ROSE BUSINGYE
responsabile del Meeting
Point International di Kampala
Rose Busingye nata nel 1968 a
Kampala (Uganda), dove vive tutt'ora, è infermiera professionale specializzata
in malattie infettive.
Dal 1992 esercita la sua attività di
volontariato con pazienti affetti da HIV/AIDS e altre malattie infettive. Ha
fondato il Meeting Point Kampala Association , di cui è stata eletta Presidente,
che si occupa della cura dei malati e dei loro orfani, nonché dell'assistenza ai
giovani.
Si contraddistingue ogni giorno per
un lavoro preziosissimo, spesso nascosto, ma fondamentale nell'educazione di
tanti bimbi sfortunati.
Discorso di Rose Busingye a Città
del Vaticano nel 2001 alla presenza di Papa Giovanni Paolo II in preparazione
alla Quaresima
Io voglio ringraziare il Santo
Padre. Mi permetterei di dire che è anche il Padre di ciò che faccio
dall'inizio. La testimonianza che ci da sul valore umano, sul valore della
persona, non me l'ha mai mostrato nessuno nella mia vita. Io imparo da questa
instancabilità insistente sulla coscienza di ciò che l'uomo è. Voglio
ringraziarLa non tanto perché ci sta dando fondi ma perché permette alla mia
persona di non essere divisa.
Se la fede determina il mio lavoro
allora l'unità della mia persona è salvaguardata. Vale a dire il senso di
responsabilità di fronte a qualcosa di più grande.
Siccome tutto il mio
lavoro riguarda l'uomo, occorre che la fede investa la modalità del mio agire
che genera il soggetto giusto e così uno sa come trattare bene l'altro.
E' di moda fare
progetti diversi ed è così facile confondere o sostituire l'uomo con quello che
dobbiamo o riusciamo a fare per lui e quando le cose non quadrano siamo violenti
con lui e anche con noi stessi.
Ciò che importa è il
valore positivo, che la tecnica ha usato, che l'uomo non sia un oggetto
meccanico di meccanismi usati.
L'uomo è una
situazione di bisogni. Se non percepiamo questo, se non abbiamo questa
sensibilità, è come passargli accanto agli indifferenti.
In Uganda tutti
fanno progetti sia per distribuire i preservativi, per difendere i diritti
umani, per sconfiggere la povertà, per difendere le donne, i bambini, ecc. ma
tutti sono di fronte ai progetti non alla persona. La persona non è nessuno, è
ridotta ai suoi problemi.
Per esempio uno ha
l'Aids o ha mal di testa, sono di fronte all'Aids, non alla persona con l'Aids.
Non si cura un pezzo di uomo, si cura un uomo. Toccare una parte dell'uomo
implica la totalità del suo organismo.
Io lavoro con i
malati di Aids, bambini, adulti e gli orfani. E' un'avventura ed è anche
divertente, mi trovo di fronte ai desideri, caratteri, bisogni, tradizione,
comportamento diversi. E' interessante proprio lavorare con ciò che si chiama
"uomo e i suoi bisogni".
Perché aiutare la
gente? Chi sono per noi? E io chi sono?
Il Meeting Point
(M.P.) è una esperienza concreta di un gruppo di amici che si sono trovati di
fronte al problema dell'HIV/AIDS, o perché sono colpiti personalmente, o nelle
loro famiglie o tra gli amici più cari desiderando di scoprire un senso nella
sofferenza e nella morte.
Lo scopo del M.P. è
non lasciare da soli i malati di AIDS davanti alla malattia e alla morte e
questo avviene attraverso una compagnia matura e quotidiana e che tiene conto di
tutti i bisogni.
Noi offriamo innanzi
tutto un rapporto umano, un'amicizia che nel tempo si approfondisce e attraverso
questo i malati, i bambini scoprono come affrontare la realtà con libertà e
gioia sconosciuti prima e anche noi cresciamo con loro.
Per Alice, 46 anni Hiv/Aids da 10
anni, disperata. Cercava medicine per morire subito. Non sapevo cosa fare con
lei. Prima di andare a lavorare passavo da lei, a volte stavo lì senza parole,
non potevo neanche consolarla. Dopo una settimana mi ha detto piangendo: "Sai
avevo mio marito, ho 6 figli, nel rapporto con mio marito è l'unico rapporto che
stavo bene, mi dava senso, adesso non c'è più, è come se tutto smarrisse il
senso, non ho più consistenza, sono smarrita, niente, voglio morire, aiutami a
morire subito. Non lo dirò a nessuno. Da allora sono passati 8 anni. Tanti mi
accusano di aver dato medicine speciali, pesa quasi 90 chili e dice: "Basta
guardare qualcuno che ha un senso di vivere, vive anche lei". Adesso fa la
volontaria del Meeting Point perché vuole fare ciò che faccio io.
La nostra amicizia
con i malati e le loro famiglie è una scuola dove impariamo come amare veramente
e totalmente la vita delle persone e il loro destino. Il preservativo e la paura
sono un modo negativo senza soluzione di affrontare la sfida dell'epidemia.
Noi offriamo un
rapporto psicologico ai pazienti, ai giovani e delle norme sanitarie e un
corretto comportamento sessuale. Vi ho già detto che è un'avventura lavorando
con gli adulti, i giovani, i bambini c'è tanto da scoprire e non puoi dire oggi:
"Ho capito cosa ha bisogno l'uomo".
E' successo che ero
contenta del tempo, dei fondi, del cibo, delle medicine che davo ai miei
pazienti. Invece è successo il contrario, nonostante tutto a un certo punto i
bambini invece di andare a scuola stavano nella spazzatura, rifiutavano di
parlare o inventavano malattie per non andare a scuola, si nascondevano sotto i
letti o dietro la casa o non volevano mangiare. I malati non volevano le
medicine neanche mangiare. Mi veniva voglia di piantare tutto e di andare via.
Così mi è venuta quella domanda. "Ma chi sono questi qui per me?", "Ma chi sono
io per loro?"
Fino a qualche tempo
fa in Uganda ognuno sapeva di appartenere alla tribù, al clan, alla famiglia:
uno sapeva di essere di qualcuno. Adesso tutto questo ha perso significato: le
famiglie sono sfasciate, le tribù non si occupano più dell'interesse comune, ma
soltanto d'interessi particolari. Prima il bambino apparteneva a tutta la tribù,
era di un popolo e così aveva una consistenza e una dignità.
Ora i bambini, le
donne si trovano senza difese, senza dignità, fino a diventare malinconici,
senza voglia di vivere e senza aspettative.
Non hanno più un
valore per le loro famiglie, come d'altra parte la moglie non ha più valore per
il marito e il marito per la moglie. Per chi si vive? Per chi ci si sposa? Per
chi si fanno i figli?
Smarrendo il senso
di se stessi è stato smarrito il senso di tutto. Avendo perso il punto che dava
loro significato non sanno più perché devono andare a scuola o perché devono
prendere le medicine o parlare, ecc. Alla fine non si fidano di nessuno.
Il lavoro che
abbiamo provato a fare è stato innanzitutto entrare in rapporto con loro: è
chiaro che noi non siamo lì a sostituire i loro genitori, ma è altrettanto
chiaro che noi vogliamo loro bene, che sono importanti e che hanno un valore per
noi. Non si può dare un'idea di dignità espressa nella formula "essere qualcuno"
se non all'interno di un rapporto.
Il M.P. è presente
nei sobborghi di Kampala, Hoima e Kitgum. Kampala è una città costruita su sette
colline e ai piedi di ciascuna c'è una slum. Noi giriamo ogni mattina in questi
slum. Nella città c'è un gran numero di malati di Aids. Da questa cresce sempre
di più il problema degli orfani. Se non sono curati vivono per le strade.
Come cresce la
popolazione, anche la malattia si diffonde e questa provoca una grande
confusione di giudizi e di sentimenti in cui prevalgono la paura, la vergogna e
il rifiuto dei malati da parte dei parenti. Questo crea difficoltà. Non ci sono
famiglie che accolgono gli orfani il cui numero aumenta.
Infatti i più
colpiti dall'Aids sono donne e uomini di età tra i 20 - 45 anni, cioè la parte
di popolazione più attiva. La maggior parte di essi muore dopo lunghe sofferenze
e spesso in povertà, avendo dovuto abbandonare il lavoro, e senza aiuto.
Stiamo attualmente
aiutando quasi 600 malati registrati nel Meeting Point, e quasi 1000 orfani in
tutta la città di Kampala.
Seguiamo gli
ammalati anche dal punto di vista medico, attraverso visite a domicilio e
portando medicinali a quelli che non possono affrontare le spese di un ricovero
ospedaliero.
Per gli orfani un
grosso aiuto è il pagamento delle tasse scolastiche perché tanti di loro possono
frequentare almeno le scuole primarie. Distribuiamo cibo e altri beni di prima
necessità: coperte, sapone, pentole, ecc.
Seguiamo le vedove e
i malati anche dal punto di vista legale (problemi di eredità, adozione, ecc.)
Non sto qui a
descrivere tutto ma ciò che mi interessa di comunicarvi e che mi sta a cuore è
quest'uomo, ciò che riguarda l'uomo - lo so che lo sapete - ma lavorando con
loro, partendo da me stessa, è più evidente vedere la debolezza perché io non
posso stare in piedi da sola, è molto più facile intuire la grandezza dell'uomo
e il valore inattaccabile da chiunque che egli ha.
Un uomo è qualcosa
che ha dentro una complessità e una varietà di commozione, di rabbia, d'ira, di
reazione, di tenerezza che è inconcepibile in qualunque altro fenomeno della
natura. Allora il tempo che usiamo, i soldi, il cibo, le medicine, sono
strumento per dire loro che hanno un valore più grande di tutto il valore del
mondo e che sono responsabili di questo e della loro vita. Non si tratta di una
responsabilità collettiva; se non passa attraverso il singolo, non serve a
niente, è totalmente inutile. Per questo si ha bisogno di avere persone
responsabili a cui guardare. Per essere precisi nell'usare strumenti su una
persona bisogna avere amore alla persona, avere la stima per la persona.
Di fronte alla
drammaticità della vita che abbiamo in Africa: malattia, guerra, conflitti, per
raggiungere la nostra felicità ci vuole uno che abbia passione per la nostra
dignità, che abbia rispetto per la nostra persona.
Il mio maestro mi
diceva che la novità del mondo è se l'uomo appartiene, perché è in
un'appartenenza che tutto cambia. Da questo può nascere una società nuova, una
civiltà nuova.
Questo ho visto
accadere nella mia vita e nella vita delle persone che curo. Sembrava una cosa
astratta, invece ho visto le persone cambiare, i malati che pensavo fosse
impossibile che cambiassero, cambiare. e cambiano anche me.
I bambini che mi
chiamano mamma - perché hanno trovato la vita, Viccky prostituta: "Non so cosa
sia il M.P. però quello che so è che ci sono persone che mi vogliono bene in cui
io voglio vivere per loro -, i bambini di Akello, donna nel campo rifugiati.
Ecco ho detto già
che l'appartenenza sembra una cosa astratta, invece è la coscienza di ciò che
l'uomo è, la responsabilità verso la sua dignità cambiano il volto del mondo e
possono giungere fino a rompere anche le strutture. Quello che desidero è che
l'oggetto del mio lavoro sia Uno, cioè il rapporto con un amico. E questa
precisione di posizione può farmi cambiare e creare una cosa nuova dentro le
strutture.
Grazie.
Nessun commento:
Posta un commento