domenica 4 agosto 2019

LA SANTA SEDE E LA TERRA SANTA , di Mons. Jean-Louis Tauran





Mons. Jean-Louis Tauran
Segretario per i Rapporti della Sede con gli Stati


Esporre il pensiero della Santa Sede sulla Terra Santa significa penetrare nel cuore delle preoccupazioni di Papa Giovanni Paolo II. Il suo recente pellegrinaggio in Terra Santa ha mostrato con quale libertà Egli affronta, in una prospettiva tipicamente religiosa, le situazioni più delicate e più difficili, e con quale efficacia riesce a mobilitare la coscienza dei popoli. 
Qualche giorno fa, rivolgendosi al Corpo diplomatico accreditato presso la Santa Sede, il Papa Giovanni Paolo II ha detto: “Nessuno deve accettare, in questa parte del mondo che ha accolto la rivelazione di Dio agli uomini, la banalizzazione di una sorta di guerriglia, la persistenza dell’ingiustizia, il disprezzo del diritto internazionale o il mettere in secondo piano i Luoghi Santi e le esigenze delle Comunità Cristiane. Israeliani e Palestinesi non possono progettare il loro futuro che insieme, e ognuna delle due parti deve rispettare i diritti e le tradizioni dell’altra. E’ il momento di tornare ai principi di legalità internazionale:divieto di acquisizione dei territori con la forza, diritto di autodeterminazione dei popoli, rispetto delle risoluzioni dell’Organizzazione delle Nazioni Unite e delle Convenzioni di Ginevra, per citare solo i più importanti.Altrimenti tutto è da temere:da iniziative unilaterali avventurose a un’estensione difficilmente controllabile della violenza.” 
Uno degli scopi del pellegrinaggio del Santo Padre alle sorgenti del Cristianesimo è stato quello di ricordare a tutti che dopo la caduta del muro della vergogna, era sempre più imperioso abbattere il muro dell’odio e del sospetto che, in questa parte del mondo, divide numerosi popoli. 
Prima di continuare ritengo utile definire i termini intorno ai quali si svilupperà la nostra riflessione: Santa Sede e Terra Santa.
 

1)     La Santa Sede
a)     La Santa Sede non è lo Stato della Città del Vaticano. Si tratta piuttosto della personificazione giuridica del ministero di comunione del Papa, uno status che la storia gli ha sempre riconosciuto: ”il Papato”, centro di unità e comunione per le Chiese locali.
b)     La Santa Sede si serve della sua autorità morale internazionalmente riconosciuta per arrivare ad ottenere il bene della Chiesa in tutto il mondo.
c)     Ma, in quanto entità morale, la Santa Sede ritiene che la sua missione includa anche la ricerca della pace, il rafforzamento della giustizia, la difesa dei diritti fondamentali, la protezione del povero e del debole.
d)     La Santa Sede persegue questi due aspetti della sua missione (dimensione ecclesiastica e dimensione di moralizzazione politica) con i mezzi che sono a sua disposizione, compresa la diplomazia.

2)                 La Terra Santa
a)     Come dice la parola stessa, parliamo di un territorio che non si può definire geograficamente. Nel corso dei secoli questa espressione è stata usata per indicare la Palestina. Dalla conquista romana alle crociate, il nome Palestina si applicava al territorio che si estende dal Mar Mediterraneo fino all’altra riva del Giordano; includeva anche una parte del Libano e della Siria attuali. Negli anni ‘20, l’Inghilterra , detentrice del mandato sulla regione, utilizzava l’espressione per indicare i territori che si trovavano ad ovest del Giordano e che, oggi, corrispondono allo Stato di Israele nelle frontiere che aveva al momento della sua proclamazione e alla Transgiordania, cioè la riva Ovest del Giordano. Nel mio discorso l’espressione Terra Santa si applicherà solo a questi confini geografici, cioè l’attuale stato di Israele e la Riva Ovest.
b)     E’ “santa” per la sua relazione con la fede e con Dio:
- per gli Ebrei, perché è la terra dei loro Padri ,la terra del Libro e della rivelazione biblica;
     - per i Cristiani, perché è la terra in cui Gesù è nato ed ha insegnato, in cui hanno avuto luogo i grandi avvenimenti della Redenzione e in cui le prime comunità di cristiani - che hanno continuato a viverci - hanno la loro origine;
     - per i Mussulmani,perché è la terra tradizionalmente legata alle origini dell’Islam, la terra in cui i Mussulmani sono stati continuamente presenti per più di mille anni.

Inoltre, al centro, come fonte e sintesi della sacralità di questa terra, c’è Gerusalemme, “patria del cuore di tutti i discendenti spirituali di Abramo[…]simbolo di concentrazione, di unione e di pace per tutta la famiglia umana…[ma che sfortunatamente]…continua ad essere una causa di rivalità continua ,di violenza e di rivendicazioni particolari”…patrimonio sacro di tutti i credenti e città che dovrebbe essere un luogo di pace e di incontro per tutti i popoli del Medio Oriente (Redemptionis anno, 20 aprile 1984).

Una terra divisa alla ricerca della pace 
Gli avvenimenti che si sono succeduti tra la fine degli anni ’80 e l’ inizio degli anni ’90 hanno contribuito alla nascita di un nuovo ordine mondiale , che ha permesso il crollo dell’architettura bipolare dei rapporti politici e militari, nata dalle rivalità ideologiche tra le due “superpotenze”di allora, e che ha permesso anche lo svolgimento della Conferenza regionale di pace per il Medio Oriente a Madrid nell’ottobre del 1991.Da allora è stata messa in atto una “dinamica della pace”. 
Questo processo costituisce il tentativo più serio, sostenuto a livello internazionale, per risolvere un conflitto che dura da decenni e che è la causa dei rischi di instabilità nella regione. In definitiva, è il nodo della politica in Medio Oriente, attraverso la quale passano, nella regione, i nuovi equilibri e i corrispondenti rischi di disequilibrio. 
Bisogna riconoscere che, anche se lungo e laborioso, il processo di pace ha già prodotto notevoli progressi e ha messo in evidenza l’impegno ostinato di tutte le parti di portarlo a compimento e di mettere così fine all’insieme del conflitto. 
Il raggiungimento della pace potrebbe, infatti, trasformare completamente la regione del Medio Oriente, che attualmente si trova in una fase di transizione verso nuovi equilibri. Tale fatto libererebbe energie e risorse enormi, che potrebbero essere utilizzate per lo sviluppo e la crescita economica dei paesi della regione, presi non solo individualmente ma anche collettivamente, nelle loro reciproche relazioni come con gli altri continenti. La riduzione delle minacce verso la sicurezza darebbe un impulso all’affermazione della società civile, ai processi di democratizzazione politica; a sua volta, una maggiore prosperità economica ridurrebbe sensibilmente lo sviluppo di movimenti ideologici e politici di carattere estremista che nascono e si nutrono della disperazione delle masse di diseredati. 
Al contrario, il fallimento di una situazione attesa non può essere concepito semplicemente come il prolungare indefinitamente lo status quo attuale.La ripresa di uno o più conflitti armati non è che uno dei numerosi pericoli che la regione potrebbe correre.Infatti molti paesi della regione rischierebbero di essere trascinati in tensioni interne insopportabili, cosicché il rinvio della pace o peggio ancora la sua non realizzazione, potrebbe significare anche il rinvio delle speranze di democratizzazione politica, un rallentamento della liberalizzazione economica, il mantenimento di concentrazioni di rifugiati o di altri problemi marginali.Una tale tensione potrebbe estendersi inesorabilmente e portare a crisi con conseguenze ben più disastrose.La pace è e sarà,dunque, l’unica opzione da perseguire.

Principi conduttori dell’azione della Santa Sede 
Di fronte a tali prospettive, vorrei precisare alcuni elementi a partire dai principi che guidano l’azione della Santa Sede nelle questioni di ordine internazionale in armonia con la sua specifica missione.In seguito cercherò di esporre come la Santa Sede li ha posti in essere nella sua attività a favore della pace in Medio Oriente. 
Per la Santa Sede libertà, sicurezza e giustizia sono i tre fattori principali sui quali si fondano le democrazie moderne e intorno ai quali le comunità cercano di organizzarsi. Se è vero che sicurezza e giustizia avanzano di pari passo, è vero anche che in loro assenza non può esserci libertà. Di conseguenza, il problema della giustizia costituisce il fondamento indispensabile ad ogni forma di democrazia. 
La Santa Sede ha frequentemente ricordato che la pace risultante da accordi deve essere una pace giusta, non solo a titolo di imperativo morale, ma anche come condizione di stabilità e continuità. Una pace che non fosse percepita dalle popolazioni coinvolte come giusta ed equa non potrebbe durare a lungo, e creerebbe dei risentimenti crescenti che non potrebbero restare inespressi per sempre. Perché la pace sia giusta, è prima di tutto necessario che il cammino per giungervi sia imparziale, che i negoziati si svolgano nel rispetto della pari dignità delle parti e dell’uguaglianza delle loro rispettive esigenze di libertà e sicurezza. Perché la pace sia duratura, deve essere veramente “globale”, “comprensiva”, senza che dei gruppi sociali e politici importanti siano esclusi da questa pace e dai suoi vantaggi. 
L’anima di una regione in pace è la solidarietà, tanto tra le nazioni che al loro interno. 
Nel discorso al Corpo diplomatico del 10 gennaio 2000, il Santo Padre ha affermato che il secolo che si apre dovrà essere quello della solidarietà.”Lo sappiamo -diceva il Santo Padre- che non saremo mai felici e in pace gli uni senza gli altri, e ancor meno gli uni contro gli altri”. 
La solidarietà può manifestarsi nella divisione generosa e ripartita di risorse essenziali, quali le risorse d’acqua, come anche nella creazione di strutture regionali efficaci per lo sviluppo. Il fenomeno della globalizzazione fa sì che il ruolo degli Stati si sia in parte modificato: il cittadino è divenuto più attivo ed il principio della sussidiarietà contribuisce senza dubbio alcuno ad equilibrare le forze vitali della società civile; il cittadino è in misura maggiore “membro” del progetto comune (cfr. Discorso al Corpo diplomatico del 10 gennaio 2000). 
Malgrado il declino delle ideologie, non si può non essere preoccupati della ricomparsa di altre rivalità più antiche tra grandi potenze che sono in competizione per ristabilire o per acquisire zone di influenza in Medio Oriente, regione la cui importanza è particolarmente strategica. E’ un processo che si deve combattere, in modo che le conquiste e le speranze di questi ultimi anni non siano rese vane. 
Per questo la doppia presidenza della Conferenza regionale di pace è particolarmente significativa, così come la partecipazione dell’Europa e di altri paesi che hanno voluto apportare il loro contributo. Questa corresponsabilità multilaterale dovrà essere conservata e rinforzata, non solo mantenendo formalmente il quadro della conferenza ma anche trasformando in realtà le sue reali e giuste intenzioni. Il riconoscimento obbligato del ruolo giocato, in modo lodevole, da parte di una determinata potenza, non deve trasformarsi nella concessione di un monopolio. Infatti, non solo l’efficacia stessa del processo di pace, ma anche la necessità di evitare inutili competizioni, sembrano esigere che la “sponsorizzazione” e “l’accompagnamento” internazionale del processo siano effettivamente una responsabilità comune e condivisa. L’insieme dovrà essere anche organicamente legato all’attività delle più grandi istanze internazionali e alle loro direttive.
Si tratta, in definitiva, di riconoscere l’importanza del diritto internazionale e l’insostituibile ruolo che la comunità internazionale, nella sua totalità, è chiamata a svolgere e che gli è stato affidato dal preambolo della Carta delle Nazioni Unite.

Situazione in Medio Oriente 
Come si presenta ai nostri occhi il Medio Oriente? Non si può che essere colpiti dalla precarietà della situazione, che non si potrebbe certo definire come una situazione di pace. 
Per non dilungarmi oltre misura, vorrei ricordare solamente le situazioni più preoccupanti.
·       Il processo di pace. Sappiamo tutti che l’oggetto principale dei negoziati è un accordo che suggellerebbe la nascita di uno Stato palestinese, permettendo a quest’ultimo di vivere in pace con il suo vicino israeliano. Oggi, è evidente che l’incertezza dei negoziati arabo-israeliani è dovuta alle esitazioni dei negoziatori ad impegnarsi in maniera decisiva. Si è ancora alla ricerca di un accordo capace di dare finalmente pace e sicurezza alla regione.
Ad ogni modo, i protagonisti del processo di pace non hanno altra scelta che quella di trovare un compromesso sui tre punti essenziali del negoziato: le frontiere del futuro Stato palestinese (e quindi l’avvenire degli insediamenti ebraici), la questione dei rifugiati e Gerusalemme.
·       L’Iraq si trova sempre in uno stato di isolamento e la sua popolazione vive una situazione umanitaria drammatica alla quale la Comunità internazionale dovrebbe, senza alcun dubbio, essere più sensibile. Il programma di controllo della distruzione degli arsenali chimici e biologici ha segnato una battuta d’arresto; la politica di embargo verso l’Iraq sembra essersi trasformata in una politica mirante a rovesciare il regime attuale.
·       Il Libano continua ad essere un paese a sovranità limitata, con la presenza sul suo territorio di truppe straniere e di numerose milizie armate.
·       La Siria è anch’essa un insostituibile elemento del processo di pace in Medio Oriente. Dovrà tornare al tavolo dei negoziati e ci tornerà sicuramente con la ben nota richiesta di restituzione delle alture del Golan, occupate da Israele nel 1967. C’è una grande incertezza, peraltro, sulla posizione che assumerà in futuro quanto alla sua presenza e alla sua influenza in Libano.
·       L’Iran, infine, non può non essere menzionato, in ragione della sua importanza geostrategica, ma anche della sua interessante evoluzione politica segnata dall’elezione del Presidente Khatami, nel maggio del 1997, le cui parole-chiave nel suo discorso programmatico all’inizio del suo mandato sono state: dialogo, stato di diritto e promozione della società civile.

A questi elementi puntuali aggiungerei altri aspetti che preoccupano la diplomazia della Santa Sede. 
Il Medio Oriente è la regione del mondo che investe di più in armamenti. Le correnti politiche islamiche estremiste sono presenti ovunque, e l’apparente stabilità dei regimi della regione non può far dimenticare che l’apertura economica degli ultimi due decenni ha sicuramente modificato gli equilibri sociali, ma non ha prodotto una reale apertura politica. L’assenza dell’alternanza politica, la povertà delle classi più deboli, l’urbanizzazione non controllata, la disoccupazione cronica e la pressione demografica, favoriscono una minoranza di privilegiati e la pratica della corruzione.

Linee di forza nell’azione della Santa Sede 
Di fronte ad un quadro simile, quali sono le linee di forza dell’azione della Santa Sede? Le si possono riassumere come segue:
- rispetto delle persone, quale che sia la loro situazione religiosa e politica;
-libertà di coscienza e di religione;
-rifiuto della guerra e del terrorismo come soluzione delle divergenze tra gli Stati.

Come si vede la Santa Sede non fa altro che restare fedele ai principi del diritto internazionale che devono essere applicati in tutte le circostanze e ai quali tutti sono soggetti.
In tre recenti occasioni la Santa Sede ha dimostrato di uniformarsi a questa filosofia delle relazioni internazionali:
1.     In primo luogo nel conflitto israeliano-palestinese. Gli interventi dei Papi e dei loro più vicini collaboratori possono essere così riassunti:ogni popolo ha diritto alla dignità, alla giustizia, alla pace, all’autodeterminazione e alla sicurezza. Ma è evidente che non si possono assicurare questi diritti a se stessi calpestando quelli degli altri.
Ecco perché i Papi, come la Comunità internazionale, non hanno mai accettato l’annessione dei territori con la forza ed hanno sempre invitato all’incontro, al dialogo, ai negoziati. Ecco ancora perché Giovanni Paolo II ha incoraggiato il processo di pace intrapreso con la Conferenza di Madrid (le due lettere ai Presidenti Clinton e Gorbaciov ne sono una testimonianza eloquente).
La Conferenza di Madrid e la sua dinamica hanno permesso alla Santa Sede di concludere, nel dicembre 1993, l’Accordo Fondamentale con lo Stato d’Israele (successivamente lo stabilimento di relazioni diplomatiche) e, all’inizio dell’anno successivo, l’Accordo di Base con l’Organizzazione per la Liberazione della Palestina.
E’ chiaro che questi accordi, come può dedursi dalla loro lettura, non hanno affatto modificato le convinzioni della Santa Sede- soluzione pacifica dei conflitti, rifiuto dell’occupazione di una parte di Gerusalemme con la forza, richiesta di uno statuto speciale internazionalmente garantito per le parti più sacre della Città Santa.

2.     La crisi Libanese.La Santa Sede non si è mai stancata di ripetere che il Libano, paese fondatore e membro delle Nazioni Unite, è un paese come gli altri, che ha diritto all’indipendenza, alla sovranità e alla dignità.
Ancora oggi, dopo il ritiro delle truppe israeliane, la Comunità internazionale aspetta che l’esercito regolare si schieri nella regione meridionale.
Per la Santa Sede un Libano unito e fedele alla sua storia è un punto di ancoraggio per tutti i cristiani della regione del Medio Oriente. Inoltre, come ha detto una volta il Papa, “questo paese che permette a tutte le comunità di vivere insieme su un piano di uguaglianza è più che un paese, è un messaggio”.
Di qui deriva l’importanza di salvaguardare la formula di coesistenza feconda che ha fatto del Libano, per molti decenni, il paese più tollerante e più democratico della regione. Per questo la Santa Sede ha sempre ricordato, a coloro che erano tentati di dividere il Libano o di creare un piccolo Stato cristiano, che l’avvenire del paese risiede nella salvaguardia del suo pluralismo politico e religioso. Se posso riassumerla in un facile slogan, la linea della Santa Sede è stata: salviamo il Libano per salvare i cristiani; e non: salviamo i cristiani per salvare il Libano.

3.     Infine, la terza occasione per riaffermare con chiarezza i principi di fedeltà alla filosofia delle relazioni internazionali fu offerta nel 1991dalla guerra del Golfo. Il Papa Giovanni Paolo II parlò allora della guerra come “un’avventura senza ritorno” e fu particolarmente attento a respingere ogni motivazione o interpretazione religiosa della crisi. Invitando i protagonisti a percorrere il cammino del dialogo senza mai separarsi, e a valutare le proporzioni tra i rimedi impiegati per scongiurare un male (la violazione delle frontiere internazionali) e le loro conseguenze sui popoli, il Papa dimostrò l’indipendenza dell’azione internazionale della Santa Sede, che forgia sempre la sua condotta sui principi del diritto internazionale e della morale internazionale. 
Non sarete certo sorpresi se aggiungo una preoccupazione specifica della Santa Sede, in ragione della sua qualità di soggetto di diritto internazionale a carattere morale e religioso, cioè la difesa della libertà di religione e di culto
L’interesse della Chiesa Cattolica nei confronti del Medio Oriente risale, in realtà, ai primi anni dell’esistenza della Chiesa. Il destino dei cristiani di questa parte del mondo è mutato in base agli avvenimenti politici, spesso violenti, che hanno più volte modificato la configurazione etnica e religiosa delle popolazioni. Inoltre, nel corso dei secoli, il destino dei cristiani in questa regione è stato legato agli interessi delle potenze europee. In occasione del processo di decolonizzazione del secolo scorso, i cristiani hanno creduto di essere abbandonati di fronte all’Islam maggioritario, di fronte al nuovo Stato creato per gli Ebrei e di fronte ai Palestinesi, impegnati soprattutto nella lotta armata. Come è stato scritto un giorno: ”I cristiani sono divenuti, poco a poco, tre volte minoritari: arabi in mezzo agli ebrei, arabi cristiani in mezzo agli arabi mussulmani; minoritari nella società cristiana”. 
E’ normale perciò che i Papi proteggano - e all’occorrenza difendano – l’esistenza dei cattolici e dei cristiani in questa parte del mondo. E la Santa Sede ha sempre cercato di non far vivere i cristiani in un ghetto ma, al contrario, in simbiosi con l’Islam e l’Ebraismo. 
Il dialogo tra le religioni è considerato dalla Santa Sede come un fattore decisivo per la pace in Medio Oriente, nella convinzione che la fede in Dio non può essere che per la concordia e non per l’opposizione. Il Santo Padre lo ha sottolineato ancora nella sua ultima lettera apostolica Novo millennio ineunte , in cui ribadisce: ”Questo dialogo deve proseguire. In un contesto di pluralismo culturale e religioso più marcato, qual è prevedibile nella società del nuovo millennio, tale dialogo è importante anche per assicurare le condizioni di pace ed allontanare lo spettro spaventoso delle guerre di religione che hanno insanguinato molti periodi della storia umana. Il nome del Dio unico deve diventare sempre di più quello che è, un nome di pace e un imperativo di pace” (n. 55). 
Per la Santa Sede, e il Papa lo ha ribadito con forza nel suo recente pellegrinaggio in Terra Santa, ogni estremismo religioso per giustificare degli atti di esclusione e di violenza non è che una perversione della religione e dunque un’azione da condannare. Se Dio è uno solo, domanda a tutti noi di riconoscerci come fratelli. 
La Santa Sede si è fatta promotrice di una pedagogia della pace, che invita a non considerare l’altro come un nemico da aggredire o da convertire, ma a vedere in lui un compagno con il quale unirsi per fare un tratto di strada insieme e costruire una società e un mondo dove si possa vivere bene. 
Questa impostazione ha anche una portata universale dato che le tre religioni monoteiste, che hanno le loro radici storiche in Medio Oriente, hanno discepoli sparsi in tutto il mondo e inseriti in tutte le società. E’ per questo che la Terra Santa, come i Papi amano chiamare il Vicino Oriente, dovrà essere, in qualche modo, il laboratorio del dialogo interreligioso, e Gerusalemme, Città Santa per eccellenza, il suo simbolo. Così si spiegano la perseveranza e l’intensità con le quali, dopo il 1947, i Papi si sono fatti i difensori del carattere sacro e unico di questa città.
Vorrei cogliere l’occasione per ricordare la posizione della Santa Sede in merito alla Città Santa
La Santa Sede ha sempre accettato ciò che fu fissato dalla Risoluzione 181 del 29 novembre 1947, cioè che Gerusalemme doveva essere oggetto di un regime speciale, sotto l’egida della Comunità internazionale. Si parlò allora di un “corpus separatum” che riguardava un’estensione molto più vasta della Gerusalemme di cui si parla oggi. Questa Risoluzione è ancora in vigore. 
Da allora numerose Risoluzioni hanno ripreso questo principio e la Santa Sede, soprattutto dopo l’ annessione con la forza da parte di Israele della zona est della Città, ha perorato l’adozione di uno “statuto speciale internazionalmente garantito” al fine di salvaguardare il carattere unico delle parti più sacre della Città, care alle tre religioni monoteiste.

Agendo in tal senso la Santa Sede si è sempre curata di distinguere due aspetti:
a)     L’aspetto territoriale, che dovrà essere oggetto di un negoziato bilaterale tra Israeliani e Palestinesi, sulla base delle Risoluzioni e delle Conferenze internazionali (Madrid, Oslo).
b)     L’aspetto multilateralederivante dalla dimensione religiosa e culturale della Città, essendo sì i santuari una realtà sacra, ma inseriti in un contesto storico e culturale: mi riferisco alle comunità umane che li circondano, con le loro lingue, le loro tradizioni, le loro scuole, i loro ospedali, i loro commerci etc. 
La Santa Sede è dell’avviso che questo Statuto sia l’unico mezzo valido per evitare che in futuro, sotto la pressione degli avvenimenti o dei cambiamenti politici, una delle parti possa rivendicare per se l’esclusività del controllo dei santuari e delle realtà che li circondano. 

Conclusioni 
Di fronte alle scelte che i responsabili locali e quelli della Comunità internazionale dovranno effettuare nei mese a venire, la Santa Sede continuerà ad usare la sua forza morale per aiutare questi popoli così diversi ma uniti dalla geografia, dalla storia (e, in un certo senso, dalla religione) a vivere insieme e a praticare il rispetto dei diritti umani fondamentali e del diritto internazionale. 
Non sarà meno attenta a difendere i diritti di tutti gli Stati di esistere entro frontiere sicure senza essere costantemente in stato di allerta. Ricorderà infine a tutti che la guerra, che troppo spesso ha insanguinato la regione, non potrà mai essere un mezzo degno per l’uomo - a maggior ragione se credente- per risolvere gli inevitabili problemi tra i popoli. 
In Medio Oriente è già stato dimostrato, nell’ultimo quarto di secolo, che il coraggio politico (e personale), coniugato con l’immaginazione e l’acutezza, è capace di rompere gli schemi, di superare ostacoli apparentemente insormontabili, di osare - e anche ottenere - ciò che non sembrava proponibile e, forse, di osare l’impossibile. 
All’inizio di questo nuovo millennio il Santo Padre, nella sua risposta agli auguri che gli erano stati indirizzati dal Corpo diplomatico accreditato preso la Santa Sede, ha lanciato un appello al mondo intero per la difesa dell’uomo e quindi dell’umanità.Evocando i rischi del desiderio di dominare la natura e la storia, il Santo Padre ha detto:”L’egoismo e la volontà di potenza sono i peggiori nemici dell’uomo.Essi sono sempre, in qualche modo, all’origine di tutti i conflitti. Il credente – e in particolare il cristiano –sa che un’altra logica è possibile. La riassumerò con delle parole che potranno sembrarvi troppo semplici: ogni uomo è mio fratello. Se fossimo convinti che siamo chiamati a vivere insieme, che è bello conoscersi, stimarsi ed aiutarsi, il mondo sarebbe radicalmente diverso” (nn. 4-5). 
Queste ispirate parole trovano una forte eco in Medio Oriente e sembrano indicare con forza i soli mezzi capaci di rendere l’uomo degno della vocazione alla quale Dio lo ha chiamato. Un’utopia? Non credo! O l’umanità progredirà lungo il cammino della fraternità, della solidarietà e della pace, oppure le barbarie si riproporranno, come hanno dimostrato le crisi che hanno diviso l’umanità alla fine del secolo che si è appena concluso.

Marsiglia, 27 gennaio 2001

 
 
 
 



Fonte : www.vatican.va






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