NOE' , L'UOMO GIUSTO
di P. Giovanni Boggio
La figura di Noè rappresenta uno
dei pilastri sui quali è costruito il racconto del libro della Genesi, che vede
in lui il. secondo padre di tutta l'umanità, dopo Adamo. Il suo nome può essere
interpretato o come «colui che è stato prolungato» si intende nella sua vita (cf
i nomi del protagonista dei racconti mesopotamici), in riferimento al diluvio
dal quale è scampato per l'intervento di Dio, oppure, secondo l'interpretazione
di Gn 5,29 messa sulle labbra del padre Lamech: «Costui ci consolerà del nostro
lavoro e della fatica delle nostre mani, a causa del suolo che il Signore ha
maledetto», dove il riferimento è al tempo precedente il diluvio e riguarda
l'aiuto che il padre si aspetta di ricevere dal figlio. È facile però riferire
la «consolazione» alla benedizione che Dio gli ha dato all'inizio della nuova
era del mondo susseguente al cataclisma che, secondo il racconto biblico, ha
cancellato dalla terra ogni traccia di vita che può continuare soltanto grazie a
Noè e ai suoi figli (cf Gn 9,1). Un'altra possibile interpretazione collega il
nome ad una radice ebraica che significa «respirare» con richiamo evidente alla
sopravvivenza di Noè e della sua famiglia.
Il racconto che il redattore
della Genesi sta costruendo, pone il patriarca in un contesto evidente di
universalismo, collocandolo all'ultimo posto nelle Genealogie che risalgono ad
Adamo (Gn. 5,29) e quindi al primo in quelle che seguono il diluvio (Gn 10,1),
facendo derivare da lui tutta l'umanità post diluviana.
Ma non solo dal punto di vista
della generazione fisica Noè si trova al centro di una vicenda universale.
Ancora più importante è la dimensione delle benedizioni di Dio che lo collegano
direttamente al primo uomo. A Noè è ripetuta la benedizione data agli animali (Gn
1,22 e 8,17) e alla razza umana (Gn l,28ss e 9,1 ss). Quest'ultima benedizione
contiene anche un elemento nuovo che ne estende la portata, cioè il permesso di
cibarsi delle carni degli animali (Gn 9,3) insieme al divieto di alimentarsi con
il sangue e di versarlo, in quanto considerato sede della vita (Gn 9,4).
Sulla stessa linea va posto il
racconto dell'alleanza che Dio stringe con tutta la creazione attraverso Noè.
L'impegno di assicurare il succedersi regolare dei diversi tempi che scandiscono
la vita dell'umanità, con la garanzia di poter raccogliere i frutti delle
stagioni, era già stato assunto da Dio che escludeva cosi il ripetersi di uno
sconvolgimento generale delle leggi che lui stesso aveva dato alla natura (Gn
8,21-22).
In Gn 9,9-11 si introduce il
termine «alleanza» «berit» che qui indica un impegno solenne da parte di
Dio senza che sia richiesto all'uomo alcun corrispettivo. Questo particolare
garantisce la realizzazione di quanto promesso, in quanto dipende unicamente dal
partner divino e non dalla volontà o dall'osservanza di qualche clausola da
parte dell'uomo, cosa che avrebbe introdotto un elemento di debolezza nel patto
stesso. Noè riceve da Dio una parola solenne che riguarda tutto il creato e gli
assicura la sopravvivenza.
L'arcobaleno, per il suo
verificarsi in ogni parte del mondo, è interpretato come segno universale di
questo giuramento pronunciato da Dio e garanzia del mantenimento della promessa
che non è rivolta soltanto a Noè ma all'umanità intera (Gn 9,12-16). La forma
assunta dal fenomeno naturale (quasi un ponte che congiunge la terra al cielo),
e il momento in cui si manifesta (la quiete della natura dopo la violenza di un
temporale) hanno suggerito l'interpretazione poetica e religiosa che ha
riscontri in quasi tutte le culture. L'altra immagine rievocata, quella
dell'arco riposto dopo un combattimento (il nubifragio con i fulmini e le saette
scoccate dalla divinità), ha portato a pensare all'annuncio di un periodo di
pace, anticipato dal segno comparso nel cielo.
Il privilegio di cui gode Noè è
attribuito al fatto che «era uomo giusto e integro tra i suoi contemporanei e
camminava con Dio» (Gn 6,9). Questa sua caratteristica giustifica quanto detto
nel versetto precedente, e cioè che «trovò grazia agli occhi del Signore» (Gn
6,8). La benevolenza di Dio si manifesta verso quello che viene presentato come
l'unico «giusto» in mezzo ad una umanità depravata. Non si tratta dunque di un
atteggiamento di favoritismo immotivato, ma del riconoscimento di un complesso
di qualità, sintetizzate nel termine tzaddiq che nel linguaggio biblico
indica l'uomo che corrisponde in tutto ai progetti di Dio nei suoi riguardi.
Non è fuori luogo sottolineare
che nel racconto del Pentateuco le «dieci parole» non sono state ancora
consegnate a Mosè. Quella «Torah» che costituirà il vanto di Israele (cf Dt
4,6-8; Bar 4,1-4) non può ancora separare un popolo privilegiato dal resto
dell'umanità. Noè appartiene ad una massa degenerata destinata all'annientamento
totale, ma nonostante ciò non è intaccato dalla corruzione generale e continua a
«camminare con Dio» (Gn 6,9), espressione usata anche per descrivere la vita di
Enoch (Gn 5,22.24), l'altro patriarca premiato per la sua fedeltà a Dio.
L'atteggiamento religioso di Noè
è messo in evidenza anche dopo il diluvio. Il primo atto che compie dopo aver
rimesso in libertà gli animali che popolavano l'arca è l'offerta di un
sacrificio in ringraziamento. Il racconto sembra insinuare che Noè era tanto
fedele a Dio da anticipare le prescrizioni riguardanti gli animali che si
potevano offrire in sacrificio: solo quelli che in seguito la legislazione
contenuta nel Levitico avrebbe indicato come «mondi» (cf Lv 11).
Questa preoccupazione era già
stata attribuita a Dio stesso quando si trattava di introdurre nell'arca le
coppie di animali. Era stata fatta distinzione tra quelli puri, di cui dovevano
essere salvate sette coppie, e gli altri per cui era sufficiente mettere in
salvo una sola coppia (Gn 7,2-3). Il motivo di questa variante risulta chiaro
nel momento del sacrificio, che avrebbe rischiato di essere il primo e l'ultimo
della storia umana, se fossero stati uccisi gli unici superstiti degli animali
destinati all'offerta sacrificale.
La promessa che Dio fa di non
alterare il corso delle stagioni umane (8,22) sembra voler riconoscere la
correttezza e la bontà di un atto di culto condiviso e praticato da tutti i
popoli, anche se con modalità differenti (a volte anche in modo radicale, vedi
ad esempio l'uso dei sacrifici umani) da quelle praticate dal popolo ebraico.
L'ottimismo derivante da questa promessa è però velato dalla motivazione che ha
spinto Dio a farla: la malvagità radicale dell'uomo (Gn 8,21). È uno spiraglio
drammatico che apre la strada alle narrazioni successive nelle quali emergono il
particolarismo e l'odio che nemmeno il diluvio è riuscito a cancellare
dall'animo della nuova umanità.
Nel seguito della storia, Noè
viene presentato come agricoltore e scopritore delle possibilità e qualità della
vite e del suo derivato: il vino (Gn 9,20-24). È visto anche come la prima
vittima delle conseguenze sgradevoli dovute all'uso di bevande alcoliche, qui
rappresentate da quella che nei paesi mediterranei è la più diffusa e gradita,
benché non sia universale nel vero senso del termine.
Il racconto, che si sofferma sul
comportamento dei figli nei confronti del padre, denota un'accentuata
caratteristica eziologica soprattutto per il riferimento sorprendente a Canaan (Gn.
9,25) maledetto al posto del padre Cam, il diretto responsabile dell'irriverenza
verso Noè. Sembra evidente la preoccupazione dell'autore del racconto di
spiegare (e giustificare) la situazione storica determinatasi nel territorio
abitato dai Cananei dopo la conquista operata da Israele, collegato
esplicitamente alla discendenza di Sem attraverso il patriarca Abramo (Gn
11.10-30). La condizione di sudditanza politica delle popolazioni locali ai
conquistatori non solo Ebrei ma anche Filistei questi ultimi collegati a Iafet (Gn
10,1-5). viene spiegata come conseguenza di una maledizione che non ha colpito
tutti i discendenti di Cam, ma solo le tribù il cui territorio si affacciava sul
Mediterraneo (Gn 10,15-19).
Con questa eziologia,
dall'universalismo che contraddistingue il racconto sulla vita di Noè si
restringe l'orizzonte al particolarismo di una piccola regione, con le sue lotte
fra tribù locali che cercano faticosamente di trovare una ragione per la propria
sopravvivenza. E la motivazione viene indicata in un peccato che ha violato il
precetto del rispetto verso l'autorità patema.
La figura di Noè mantiene invece
la sua caratteristica di universalità nelle presentazioni che ne vengono fatte
negli altri libri della Bibbia.
Ezechiele presenta Noè come il
prototipo dell'uomo giusto (Ez 14,14-20) e vede nell'arcobaleno una componente
della manifestazione della «gloria» con cui Dio si rende presente nel mondo (Ez
1,28). Il Siracide è ammirato per il suo splendore e bellezza che rivelano la
potenza di Dio (Sir 43,11-12) e, parlando dei giusti del passato, ricorda Noè
come colui che ha assicurato il futuro dell'intera umanità (Sir 44,17-I8). Lo
stesso concetto è espresso nel libro della Sapienza che chiama Noè «la speranza
del mondo» perché ha lasciato «la semenza di nuove generazioni» (Sap 14,16).
Per l'autore della seconda
Lettera di Pietro, Noè non è soltanto personalmente giusto
ma anche «banditore di giustizia»
(2 Pt 2.5), idea che troviamo anche nella tradizione rabbinica ricordata nella
riflessione del Rav Laras. La giustizia di Noe ha il suo fondamento nella fede
che lo ha portato a fidarsi ciecamente nella parola che Dio gli aveva
comunicato, senza richiedere prove o dimostrazioni della verità. Cosi afferma
l’autore della Lettera agli Ebrei nel suo excursus sulla fede dei grandi
uomini della storia (Eb 11,7). Infine nell'Apocalisse si riprende l'immagine
dell'arcobaleno per descrivere lo splendore della gloria nella Gerusalemme
celeste (Ap 10,1) e soprattutto quello del trono su cui siede il dominatore
della stona (Ap 4,3).
Anche gli apocrifi hanno esaltato
Noè per le caratteristiche messe in evidenza nei testi biblici, spesso ampliando
con leggende le notizie scarne del testo sacro.. L’iconografia cristiana ha
rappresentato volentieri la scena del diluvio mettendo in luce la figura del
protagonista, spesso rappresentato da solo in atteggiamento di preghiera.
Il Corano gli intitola la sura
71 che presenta Noè con la caratteristica di predicatore, appena accennata nella
seconda Lettera di Pietro e qui invece molto sviluppata, con una polemica anti
idolatrica già presente nella sura 7, 59-64. In altri passi si ritorna
sulla rivelazione che Dio gli ha consegnato e sulla fedeltà di Noe nel mettere
in pratica i suoi comandi.
La figura di questo patriarca ha
offerto e continua ad offrire spunti molto interessanti per una riflessione sui
rapporti tra Dio e l'umanità, indipendentemente da rivelazioni particolari
vantate dall'una o dall'altra fede. Collocato nel racconto biblico in una fase
iniziale della storia umana, Noè sintetizza in sé un messaggio universale
proprio perché precede le divisioni dolorose che si sono create nel corso dei
millenni. Il messaggio di unità del genere umano, derivante dalla comune origine
da una sola famiglia, mantiene intatto il suo valore, anche se questo è velato
dalla vicenda infelice che ha avuto per protagonista Cam.
Purtroppo questo particolare
realistico, dovuto al comportamento dei figli, ha assunto nei rapporti tra i
popoli una dimensione tale da far passare in secondo piano i valori universali
legati alla figura del padre.
Fonte : http://www.nostreradici.it/ecumenismo_e_dialogo.htm#Noè%20camminava
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