CULTURA CATTOLICA
PER UN VERO UMANESIMO
del Card. Giacomo
Biffi
“La fede in Gesù Cristo che ha definito se stesso
‘la via, la verità e la vita’ (Gv 14,6) chiede ai cristiani lo sforzo di
inoltrarsi con maggior impegno nella costruzione di una cultura che, ispirata al
Vangelo, riproponga il patrimonio di valori e contenuti della Tradizione
cattolica” (Nota
dottrinale circa alcune questioni riguardanti l’impegno e il comportamento dei
cattolici nella vita politica n. 7).
Ci chiediamo: come si rapporta l’identità
sostanziale e ovviamente irrinunciabile dei credenti (che non ammette
opinabilità e diversificazioni) con “la legittima libertà dei cattolici di
scegliere, tra le opzioni politiche…, quella che secondo il proprio criterio
meglio si adegua alle esigenze del bene comune” (id. n.3) (libertà che
fatalmente poi conduce a un pluralismo comportamentale e di schieramenti tra i
fratelli di fede nella loro azione pubblica)?
La questione è concreta, è ineludibile, e non è di
agevole soluzione.
La Nota della Congregazione per la dottrina
della fede, nel passo citato, ricerca la corretta determinazione del problema
utilizzando, tra l’altro, l’idea di “cultura”.
“Cultura” nel mondo moderno è vocabolo usatissimo e
quasi mitico, anche se non gli si assegna sempre e da tutti lo stesso contenuto
concettuale. Sicché una previa chiarificazione - una “explicatio terminorum” -
normalemente si impone.
Ai fini del nostro discorso, diciamo però subito
che, quale che sia il senso che di volta in volta viene preso in considerazione
(almeno tra quelli più comunemente accolti e adoperati), l’esistenza nonché la
legittimità semantica e non solo semantica di una “cultura cattolica” è
incontestabile. E anzi proprio nel dovere di salvaguardare la “cultura
cattolica” sta la risposta all’interrogativo che qui ci intrattiene.
Si vuol dire che non basta a garantire l’obbligante
identità del cristiano impegnato in politica che egli custodisca una convinta
adesione agli articoli del Credo, rispetti la vita sacramentale, non
contesti il carattere vincolante dei comandamenti di Dio. Occorre anche che
resti fermamente e operosamente fedele a quella “cultura” che in ultima analisi
è in modo omogeneo derivata, entro la vicenda ecclesiale, da Cristo e dal suo
Vangelo; alla “cultura cattolica”, appunto.
Anzi - ammonisce la Nota - “la necessità di
presentare in termini culturali moderni il frutto dell’eredità spirituale,
intellettuale e morale del cattolicesimo appare oggi carico di un’ugenza non
procrastinabile, anche per evitare il rischio di una diaspora culturale dei
cattolici” (n. 7).
* * *
A dare consistenza a queste affermazioni di
principio e qualche utile articolazione al discorso, possiamo brevemente
rilevare come le principali accezioni di “cultura” nell’idea di “cultura
cattolica” trovino rispondenza e plausibilità.
Il significato originario (ma ancor oggi vivo)
proviene da un’immagine presa dal mondo agricolo: “cultura” viene a indicare la
“coltivazione dell’uomo” segnatamente nella sua realtà interiore. Già Cicerone
parla di un “cultus animi”.
Dal canto loro i discepoli di Gesù non hanno mai
dimenticato che, secondo il suo insegnamento, il primo e più vero “coltivatore
dell’uomo” è il Padre (cfr. Gv 15,1) sicché ogni antropologia è autentica e
davvero illuminante a misura che - almeno oggettivamente, pur se non sempre
intenzionalmente - si rifà al suo disegno, nel quale l’“archetipo” di ogni
umanità è stabilito nell’ Unigenito fatto uomo, crocifisso e risorto. Perciò il
Concilio Vaticano II ha potuto icasticamente asserire che “solamente nel mistero
del Verbo incarnato trova luce il mistero dell’uomo” (Gaudium
et spes 22).
In questa prospettiva si capisce come mai proprio
nell’ambito del cristianesimo si sia configurato l’umanesimo più alto e meglio
motivato. Già l’antichità classica era arrivata a proclamare: “Molte cose sono
mirabili al mondo, ma l’uomo le supera tutte” (Sofocle, Antigone, coro del
primo stasimo). Il cristianesimo accoglie e assimila l’umanesimo greco, e
trasfigurandolo lo trascende sino a farne il senso, anzi la prima e immediata
finalità di tutte le cose visibili, come si evince da quanto scrive sant’Ambrogio:
“L’uomo è il culmine e quasi il compendio dell’universo, e la suprema bellezza
dell’intera creazione” (Exameron IX, 75).
E’ dunque parte eminente e caratterizzante della
“cultura cattolica” una antropologia tipica e inconfondibile. E’ un’antropologia
che certo potrà anche almeno parzialmente convenire con ogni altra attenzione
umanistica, purché questa sia sana e fondata sui reali valori - dovunque si
trovino - di verità, di giustizia, di bellezza, dei quali l’animo umano si nutre
e si adorna: coi quali, possiamo dire, “si coltiva” (come già aveva intuito il
mondo classico). Ma non potrà mai identificarsi o anche solo assimilarsi a
nessuna visione dell’uomo che effettivamente contraddica o si distacchi dall’
“archetipo” di ogni umanità, che è “l’uomo Cristo Gesù” (cfr. 1 Tm 2,5).
Proprio l’esistenza di questo “archetipo” consente e
impone di difendere l’uomo da ogni manipolazione e da ogni asservimento, e
arruola ogni credente a combattere ogni attentato all’immagine viva di quel
Signore dell’universo, nel quale siamo stati progettati.
Ovviamente la “coltivazione cristiana dell’uomo”, se
non vuol restare soltanto un’astratta affermazione di principio, deve avere
anche i mezzi per il raggiungimento dei propri compiti, e particolarmente per la
formazione delle nuove generazioni. Il cattolico impegnato in politica non lo
dovrà dimenticare.
* * *
Lungo il secolo ventesimo si è diffusa e si è
imposta un’altra e ben diversa accezione di “cultura”. In essa “cultura” viene a
indicare un sistema collettivo di valutazione delle idee, degli atti, degli
accadimenti, e quindi anche un complesso di “modelli” comportamentali. Ogni
“cultura” intesa così suppone anche una “scala di valori” proposta e accettata
entro un determinato raggruppamento umano. Così si è potuto e si può parlare,
per esempio, di una “cultura positivista”, di una “cultura idealista”, di una
“cultura marxista”, di una “cultura radicale”.
Che esista, tra le altre, anche una “cultura
cristiana” secondo questo significato, e sia per il credente necessaria e
irrinunciabile, potrebbe essere negato solo da chi volesse ridurre il
cristianesimo a esteriorità folkloristica o quanto meno a un puro fatto di
coscienza senza alcuna risonanza nella testimonianza esteriore e nella vita.
In questo campo il discepolo di Gesù potrà talvolta
rallegrarsi di concordanze inattese con i non credenti, nella difesa di qualche
principio etico o in qualche scelta operativa. Egli anzi ascolterà con rispetto
e con sincero interesse le opinioni di tutti perché non dimentica che, come
ripete più volte san Tommaso, “omne verum a quocumque dicatur a Spiritu Sancto
est” (I-II, q.109, a.1, ad 1: “Ogni verità, da chiunque sia detta, viene dallo
Spirito Santo”).
Ma più frequentemente dovrà registrare - e in
special modo quando si tratta di problemi sostanziali che toccano la natura e la
dignità dell’uomo - dissonanze e incompatibilità. E’ molto difficile che
convergano sulla stessa scala di valori coloro che affermano e coloro che negano
un disegno divino all’origine delle cose; coloro che affermano e coloro che
negano una vita eterna oltre la soglia della morte; coloro che affermano e
coloro che negano l’esistenza di un mondo invisibile, di là dalla scena
variopinta e labile di ciò che appare. Il credente dedito alla vita pubblica
dovrà affrontare a occhi aperti, con serenità e con fermezza di convinzioni, le
inevitabili tensioni tra le diverse “culture” che di fatto coesistono in una
società pluralistica.
Senza dubbio, vivendo in un’umanità culturalmente
multiforme e dovendosi comportare nell’attività pubblica secondo i dettami
irrinunciabili del metodo democratico, il credente sarà spesso indotto a una
volontà di mediazione e alla ricerca di posizioni pratiche condivisibili anche
dagli altri; addirittura condivise dalla maggioranza, auspicabilmente, in modo
da consentire un’effettiva attuazione. La politica, si usa dire, è l’arte del
compromesso. La Nota della Congregazione offre opportune indicazioni
perché tali “compromessi” possano essere ritenuti accettabili da una retta
coscineza.
In ogni caso, bisogna far attenzione a non
estendere - nell’ansia di arrivare più facilmente e più presto a conclusioni
operative - l’atteggiamento di mediazione (che può essere ammissibile nel
“momento politico”) anche al “momento culturale”, a scapito di una identità che
non deve mai essere messa in pericolo.
* * *
C’è un terzo significato di “cultura” che, dal
linguaggio delle discipline etnologiche si diffonde a partire dalla metà del
secolo XIX. “Cultura” è tutto ciò che è espresso da una determinata gente e da
essa riconosciuto come proprio: la mentalità, le istituzioni, le forme di
esistenza e di lavoro, le consuetudini, i prodotti dell’ingegno e dell’abilità
manuale. In questo senso si può parlare di “cultura africana”, “cultura
contadina”, eccetera.
Esiste una “cultura cattolica” intesa così?
Esiste, perché esiste e deve esistere un popolo cattolico, con buona pace di chi
ritiene che una cristianità non ci sia più e non ci debba essere. La cristianità
odierna potrà anche essere di minoranza, diversamente da quella di qualche
secolo fa, ma non per questo deve essere meno vivace e meno inequivocabilmente
caratterizzata. E non potrà mai delinearsi come realtà priva di continuità nel
tempo, senza premesse e senza radici; né come qualcosa di puramente
intellettuale, senza manifestazioni socialmente rilevabili. Ciò che non è
socializzabile, e non diventa mai socializzato, a poco a poco perde di rilievo
nella consapevolezza delle persone semplici e comuni; e alla fine si estingue.
Del resto, anche l’atto di fede - per intrinseco
dinamismo - chiede di investire e trasformare tutto l’uomo in tutte le sue
dimensioni: non solo personali e familiari, ma anche sociali.
Nei duemila anni della nostra storia, molti
contributi decisivi dati all’elevazione dell’uomo e molti tra i frutti più
nobili e preziosi dello spirito in tutti i campi (filosofia, letteratura, arti
figurative, musica, diritto, eccetera) portano evidenti in sé i segni della
visione cristiana.
Tra i compiti del cattolico politicamente impegnato
c’è anche quello di tutelare, far conoscere, far apprezzare - anche al servizio
di un vero umanesimo - questo nostro impareggiabile “tesoro di famiglia”.
Card. Giacomo Biffi
Arcivescovo di Bologna
Arcivescovo di Bologna
Fonte : www.vatican.va
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