giovedì 25 luglio 2019

IL BASTONE DI MOSE' E LA CROCE , di Padre Felice Artuso



IL BASTONE DI MOSE' E LA CROCE
di Padre Felice Artuso 
                           
 
 
 
 
(Es 17,1-16)
Stabilitosi nel deserto del Sinai, Mosè si dedica alla pastorizia. Un giorno, mentre pascola il gregge osserva che un semplice roveto arde senza incenerirsi. Stupito, sale sull’altura e si avvicina al roveto (Es 3,3). Mentre guarda il fenomeno, dall’interno delle fiamme esce una voce che lo chiama ripetutamente per nome e gli comanda di rispettare la sacralità del luogo. Egli si toglie i sandali e si vela la faccia (Es 3,5-6). Ode quindi Dio che gli dice: «Ho osservato la miseria del mio popolo in Egitto e ho udito il suo grido a causa dei suoi sorveglianti; conosco infatti le sue sofferenze. Sono sceso per liberarlo dalla mano dell'Egitto» (Es 3,7-8); gli ordina poi di rientrare in Egitto e di organizzare la liberazione del popolo: «Ora va'! Io ti mando in Egitto. Fa' uscire dall'Egitto il mio popolo» (Es 3,10).
Mosè dubita di poter realizzare l'ardua missione. S'impaurisce e obietta a Dio: «Chi sono io per andare dal faraone e per far uscire dall'Egitto gli Israeliti?» (Es 3,11); i miei consanguinei «non mi crederanno, non ascolteranno la mia voce, ma diranno: Non ti è apparso il Signore!» (Es 4,1). Dio risponde alle legittime titubanze di Mosè, rivelandogli il suo nome trascendente e attivo: «Io sono colui che sono» (Es 3,14). Inoltre aggiunge: «Io sarò con te» (Es 3,12), perché tu non fallisca nell’incarico, che ti ho affidato. Gli offre quindi un rassicurante segno: «Gli disse: che hai in mano? Rispose: un bastone. Riprese: Gettalo a terra! Lo gettò a terra e il bastone diventò un serpente… Mosè si mise a fuggire… Il Signore disse a Mosè: Stendi la mano e prendilo per la coda! Stese la mano, lo prese e diventò di nuovo un bastone nella mano…Terrai in mano questo bastone, con il quale tu compirai prodigi» (Es.4,2-4.17).
Trasformato dal segno, Mosè supera l’iniziale impaccio, Comincia a dipendere dagli ordini di Dio. Rientra in Egitto, si reca dal faraone (Es 5,1.15) e gli chiede di autorizzare gli ebrei ad andare nel deserto del Sinai, per offrire dei sacrifici a Dio, sovrano di tutti i viventi (Es 5,3). A modo di ritornello gli ripete: «Il Signore, il Dio degli Ebrei, mi ha inviato a dirti: Lascia partire il mio popolo, perché possa servirmi nel deserto» .
Mosè non deflette alla progressiva durezza del faraone, che si reputa una divinità. Eleva il bastone, ottiene da Dio quello che desidera . Partito dall’Egitto, presso il Mare delle Canne alza il bastone, l’acqua si ritira e giunge con popolo alla sponda opposta (Es 14,16-21.26.27). A Mara trova l’acqua salmastra, immerge il bastone nello stagno ed essa diventa potabile (Es 15,22-25). Più avanti percuote con il bastone una roccia, da cui scaturisce l'acqua dissetante (Es 17,1-7).
All'oasi di Refidim teme l’annientamento del popolo, ostacolato dalla tribù degli Amaleciti. Convoca gli uomini più validi e li invia a combattere contro gli assalitori. Affida a Giosuè il compito di guidare la lotta, mentre egli sale su un’altura e gli segnala la tattica dell’attacco e della difesa. Dall’alba fino al tramonto prega Dio con le mani e il bastone alzati. Non potendo resistere ad oltranza, si fa aiutare da Aronne e da Cur. Vinti i saccheggiatori, erige un altare e lo chiama: «Il Signore è il mio vessillo» (Es 17,15). Incoraggiati dalla fede del grande condottiero, gli ebrei imparano a conoscere Dio, a dipendere da lui e ad invocarlo in ogni necessità.
Questi racconti fantasiosi, dipendenti da una credenza magica, hanno un senso profetico. Annunciano la grazia, che scaturisce da Gesù Cristo crocifisso e insegnano a lottare contro le forze del male. L’apostolo Paolo infatti ricava per i cristiani quest’applicazione sacramentale: «Non vogliamo che ignoriate, fratelli, che i nostri padri furono tutti sotto la nuvola, tutti attraversarono il mare, tutti furono battezzati in rapporto a Mosè nella nuvola e nel mare, tutti mangiarono lo stesso cibo spirituale, tutti bevvero la stessa bevanda spirituale: bevvero infatti da una roccia spirituale che li accompagnava, e quella roccia era Cristo» (1 Cor 10,1-4).
I Padri della Chiesa ripetono con frequenza che Gesù è il nuovo Mosè con noi (Rm 8,31). Attestano che egli condivide le nostre sofferenze e rinnova i prodigi dell'esodo.
All’inizio del II secolo lo pseudonimo Barnaba, scrive: «Lo Spirito parla al cuore di Mosè di rappresentare la figura della croce e di chi avrebbe dovuto patire, per significare che se non crederanno in lui, saranno in guerra eterna» . San Giustino, noto filosofo e teologo, parlando sulla preghiera di Mosè, sostiene: «Non è perché pregava in quella posizione che il popolo diventava più forte, ma perché, apertasi la battaglia nel nome di Gesù, egli riproduceva il segno della croce» . Tertulliano trae questa connessione sacramentale: «Questo legno allora adombrava un mistero, quando Mosé rese dolce l'acqua amara… bevendo al legno della passione di Cristo… siamo nati a vita nuova» . Origene asserisce: «La verga per mezzo della quale tutto questo avviene ¼ è la croce di Cristo, dalla quale viene vinto il mondo. La croce di Cristo, la cui predicazione sembrava stoltezza, è contenuta in Mosé… dopo che è venuta a proporsi alla fede degli uomini, si muta in sapienza, e sapienza tanto grande che divora tutta la sapienza degli egiziani, cioè di questo mondo» . San Teodoro Studita dà al cristiano questo consiglio: «Pensa alla verga di Mosé. Non fu forse un simbolo della croce? Cambiò l’acqua in sangue, divorò i serpenti fittizi dei maghi, percosse il mare e lo divise in due parti, ricondusse poi le acque del mare al loro normale corso e sommerse i nemici, salvò invece coloro che erano il popolo legittimo. Tale fu anche la verga di Aronne, simbolo della croce, che fiorì in un solo giorno e rivelò il sacerdote legittimo» . In un sermone sant'Agostino afferma: «La roccia fu colpita da una verga di legno perché ne scaturisse l'acqua. Fu colpita da un legno e non da un ferro per indicare la croce che doveva aderire a Cristo per riversare su di noi la bevanda dalla grazia» .
San Gregorio di Nissa deduce quest'applicazione morale: «Mosè con il gesto delle mani distese fece scomparire le rane anche dalle case degli egiziani. Ci è possibile osservare anche oggigiorno questo fatto. Colui che vede il Legislatore stendere le mani e tiene fissi gli occhi sopra di lui, viene liberato dall'odiosa compagnia dei pensieri luridi e impuri, così che la passione finisce, muore e imputridisce» . San Bonaventura precisa: «Colui che guarda attentamente questo propiziatorio (Cristo) fissandolo, sospeso in croce… compie con lui la pasqua, cioè il passaggio, affinché con la verga della croce attraversi il Mar Rosso…» .
Questa tipologia è inserita nella preghiera liturgica. Infatti nostri fratelli d’oriente cantano il Venerdì Santo: «Oggi i Giudei inchiodarono alla croce il Signore, che aveva diviso il mare con la verga e li aveva condotti nel deserto» . Gli ambrosiani, che hanno conservato dei legami con la liturgia orientale, ricordano nel prefazio della festa dell’Esaltazione della Croce: «Noi celebriamo il glorioso vessillo di Cristo… Figura di questo santo legno è la verga di Mosè, che dividendo le acque aperse nel mare la via della salvezza e vi sommerse il persecutore» .
I cristiani dei primi secoli stendevano le braccia verso il cielo (1 Tm 2,8). Salmeggiavano con le mani elevate e pensavano a Gesù crocifisso (Sal 28,2;63,5; 134,2; 141,2). Ce lo conferma san Massimo di Torino con la seguente testimonianza: «Per questo ci è prescritto di pregare con le mani alzate, per confessare la passione del Signore anche con la posizione delle membra. La nostra preghiera viene esaudita più prontamente, quando anche il corpo imita Cristo che l'animo invoca» . Ognuno incontra molteplici ostacoli nel percorso della sua vita terrena. Se eleva continuamente le mani a Dio, sconfigge le avversità e cammina lesto verso la patria celeste.



 
 
 
 


Fonte : scritti e appunti di Padre Felice Artuso (religioso Passionista)






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