PRESENTAZIONE DEL SIGNORE AL TEMPIO
a cura del Monastero Carmelo Sant'Anna a Carpineto Romano
Il 2 febbraio la Liturgia ci fa
festeggiare la “Presentazione del Signore al Tempio”.
L’origine della festa è orientale e celebra l’incontro del Signore con il vecchio Simeone. Da qui prende il nome greco di “Ipapante” (incontro). Il vecchio Simeone e la profetessa Anna riconoscono nel Bambino Gesù l’atteso Messia. Tale festa, quindi, deve essere inclusa nella serie di avvenimenti che manifestano il Signore come Messia. Nel corso del tempo si è messa in risalto la purificazione di Maria e il riscatto del primogenito dopo quaranta giorni dalla nascita. Da Gerusalemme questa festa si diffuse poi in tutto l’Oriente, fino a Roma.
Oggi questa festa, che ha subito diversi cambiamenti e adattamenti nei vari secoli e nelle varie culture, è da considerarsi come un “cammino verso Cristo”, come il vecchio Simeone e Anna che Gli andarono “incontro”.
In questi ultimi anni, dopo il Concilio Vaticano II, si è cominciato ad abbinare la Presentazione del Signore al Tempio con la festa dei religiosi/e, della loro consacrazione o rinnovazione dei voti. Nello stesso giorno, poi si è soliti ricordare anche la Giornata della Vita. Si direbbe che sono degli accostamenti “forzati”, ma non è così. La vita è un dono: essere presentati al Signore nel Battesimo ci introduce nella Chiesa di Cristo; la scoperta della propria vocazione porta all’adesione a Lui e alla sua sequela, qualsiasi sia la strada.
Questa festa è essenzialmente cristologica e si collega sempre alla vita consacrata e alla correlata e conseguente dimensione mariologica. Che significato ha l’evento della Presentazione al tempio per Maria? Non è stata tanto una “purificazione” della puerpera, come si diceva una volta (la candelora era chiamata la “purificazione di Maria”): l’elemento centrale del brano evangelico è, infatti, il bambino (mentre il rito di purificazione non prevedeva di portare il bambino al tempio).
Nella Marialis Cultus, si legge: “Nell’episodio della presentazione di Gesù al tempio, la Chiesa, guidata dallo Spirito, ha scorto, al di là dell’adempimento delle leggi riguardanti l’offerta del primogenito (cfr. Es 13,11-16) e la purificazione della madre (cfr. Lv 12,6-8), un mistero salvifico, relativo appunto alla storia della salvezza: ha rilevato, cioè, la continuità dell’offerta fondamentale che il Verbo incarnato fece al Padre, entrando nel mondo (cfr. Eb 10,5-7) […]. Ma la Chiesa stessa, soprattutto a partire dai secoli del medioevo, ha intuito nel cuore della Vergine che porta il Figlio a Gerusalemme per presentarlo al Signore, una volontà oblativa, che superava il senso ordinario del rito” (n. 20).
È questa dimensione oblativa che si deve cogliere come messaggio della festa odierna per le persone consacrate: la strada dell’abbandono radicale di tutto e del dono totale di sé a Dio come il Tutto della propria vita.
La profezia dei voti religiosi consiste nel dire con “fatti di vangelo” che la vita è bella, e non solo quella dell’al di là; la vita è bella già qui, se però è condotta con “gli stessi sentimenti che furono in Cristo Gesù” (Fil 2,5). Non è vero che la gioia si compra con l’euro! Non è vero che la povertà fa godere di meno; piuttosto fa godere di più perché mi distacca dalla frenesia e dall’ingordigia: è l’ingordigia che sciupa le cose e le guasta. Non è vero che la castità ti fa amare di meno, semmai ti fa amare di più, perché sana in radice la tua voglia malsana di possedere e di usare l’altro. Non è vero che l’obbedienza mi rende più dipendente, mi rende anzi più libero, perché mi fa ottenere la libertà più preziosa e più rara, non quella dagli altri, ma quella dal proprio io per gli altri. Non una “esclusiva” per privilegiati, ma una scelta “diversa”. La “valenza” spirituale ed umana dei voti, poi, non assurge ad una importanza di tipo “elitario” (quasi che chi non li emette non possa essere un “buon cristiano”); al contrario, essa esclude la “selezione” mentre manifesta e propone una semplice diversità di scelta. “Non voi avete scelto Me, ma Io ho scelto voi” (Gv 15, 16); chi emette i voti, dunque, sceglie Cristo e sceglie ciò che il Signore ha scelto per lui.
Un'altra considerazione consiste in ciò che viene offerto, promesso, presentato, “votato”, come Gesù al Tempio nella festa odierna. Non si tratta di promettere “qualcosa” a Qualcuno; si tratta, meglio, di offrire “qualcuno” a “Qualcun Altro”: si tratta di votare sé stessi al Signore, di “darsi”, di “svuotarsi” di sé, di “regalarsi”, di donarsi a Chi si è donato a noi per primo insegnandoci a “restituirci”: “Offrite i vostri corpi come sacrificio vivente, gradito a Dio: è questo il vostro culto spirituale” (Rm 12, 1), e Cristo è l’offerente per eccellenza, il dono per eccellenza al Padre per la nostra salvezza. Il culto vero, quello spirituale, è “vivente”. Il Signore vuole noi stessi per Sé e vuole Se stesso per noi: “Mentre Dio non ha bisogno di nulla, l'uomo ha bisogno della comunione con Dio”, si dice.
In una società “spersonalizzante” come la nostra la professione dei tre voti è una testimonianza che riconduce, ogni uomo e donna, a guardarsi dentro, a chiedersi quali siano i veri valori che sia lecito, giusto, consentito conseguire... anche lottando, soffrendo, sapendo rinunciare, cioè imparando ad amare. Votarsi a Dio, ossia riconoscere che tutto Gli appartiene e volerglielo restituire con amore e fiducia, non è “sadismo”, e non costituisce una rinuncia come generalmente si pensa.
È anche qui indubbio che quando si sceglie qualcosa o qualcuno si “rinuncia” automaticamente ad altre cose e ad altre persone; così avviene (o dovrebbe avvenire) anche nell'ambito del matrimonio e per qualsiasi altra vocazione; e così accade anche per coloro che hanno scelto il Cristo perché da Lui sono stati scelti. Ma con una differenza sostanziale: chi sceglie Cristo sceglie i fratelli, il mondo intero, la Chiesa tutta e diviene padre-madre spirituale di ogni uomo; ecco perché il Signore rassicura nel Vangelo l'uomo “calcolatore” (Pietro!) che domanda preoccupato: “Noi abbiamo lasciato tutte le nostre cose e ti abbiamo seguito. Ed Egli risponde: In verità vi dico, non c'é nessuno che abbia lasciato casa o moglie o fratelli o genitori o figli per il regno di Dio, che non riceva molto di più nel tempo presente e la vita eterna nel tempo che verrà” (Lc 18, 28-30). Il consacrato è la persona “innamorata” di Dio: nella sua libertà ha riconosciuto l'Amore del Signore e non può fare a meno di seguirLo; vuole restituire, sente la necessità di “darsi”. Vuole amare. Solo chi ama è felice; questo il Signore lo sa bene, Lui che ci creati non perché abbia bisogno di noi, ma perché è Amore e, come tale, ha “necessità” di “riversarsi” sull'altro. L'Amore, per Sua natura, è diffusivo; e Dio, il nostro Dio Uno e Trino, in questa donazione reciproca che crea Amore increato, genera Amore... Egli vuole insegnarci a fare altrettanto; vuole, in una parola, donarci il “gusto” vero della vita, delle cose, vuole farci vedere dove e cosa sia la vera felicità. Dice l’Apostolo: “Noi non fissiamo lo sguardo sulle cose visibili, ma su quelle invisibili. Le cose visibili sono d'un momento, quelle invisibili sono eterne” (2 Cor 4, 18). E continua: “Queste dunque le tre cose che rimangono: la fede, la speranza e la carità; ma di tutte più grande è la carità!”, (1Cor 13, 13.
Ecco, dunque, la “medicina”! Il Signore apre la via ed il cuore alla libertà, offre la vera felicità, ci suggerisce il modo di evitare tante preoccupazioni inutili che ci “appesantiscono” il cammino, ci concede un sonno sereno e una pace interiore costante dopo aver fatto il nostro dovere, ci dona la gioia di vivere ma, soprattutto, ci fa comprendere il vero senso della vita che è Lui, l'Amore e, perciò, quello di amare.
L’origine della festa è orientale e celebra l’incontro del Signore con il vecchio Simeone. Da qui prende il nome greco di “Ipapante” (incontro). Il vecchio Simeone e la profetessa Anna riconoscono nel Bambino Gesù l’atteso Messia. Tale festa, quindi, deve essere inclusa nella serie di avvenimenti che manifestano il Signore come Messia. Nel corso del tempo si è messa in risalto la purificazione di Maria e il riscatto del primogenito dopo quaranta giorni dalla nascita. Da Gerusalemme questa festa si diffuse poi in tutto l’Oriente, fino a Roma.
Oggi questa festa, che ha subito diversi cambiamenti e adattamenti nei vari secoli e nelle varie culture, è da considerarsi come un “cammino verso Cristo”, come il vecchio Simeone e Anna che Gli andarono “incontro”.
In questi ultimi anni, dopo il Concilio Vaticano II, si è cominciato ad abbinare la Presentazione del Signore al Tempio con la festa dei religiosi/e, della loro consacrazione o rinnovazione dei voti. Nello stesso giorno, poi si è soliti ricordare anche la Giornata della Vita. Si direbbe che sono degli accostamenti “forzati”, ma non è così. La vita è un dono: essere presentati al Signore nel Battesimo ci introduce nella Chiesa di Cristo; la scoperta della propria vocazione porta all’adesione a Lui e alla sua sequela, qualsiasi sia la strada.
Questa festa è essenzialmente cristologica e si collega sempre alla vita consacrata e alla correlata e conseguente dimensione mariologica. Che significato ha l’evento della Presentazione al tempio per Maria? Non è stata tanto una “purificazione” della puerpera, come si diceva una volta (la candelora era chiamata la “purificazione di Maria”): l’elemento centrale del brano evangelico è, infatti, il bambino (mentre il rito di purificazione non prevedeva di portare il bambino al tempio).
Nella Marialis Cultus, si legge: “Nell’episodio della presentazione di Gesù al tempio, la Chiesa, guidata dallo Spirito, ha scorto, al di là dell’adempimento delle leggi riguardanti l’offerta del primogenito (cfr. Es 13,11-16) e la purificazione della madre (cfr. Lv 12,6-8), un mistero salvifico, relativo appunto alla storia della salvezza: ha rilevato, cioè, la continuità dell’offerta fondamentale che il Verbo incarnato fece al Padre, entrando nel mondo (cfr. Eb 10,5-7) […]. Ma la Chiesa stessa, soprattutto a partire dai secoli del medioevo, ha intuito nel cuore della Vergine che porta il Figlio a Gerusalemme per presentarlo al Signore, una volontà oblativa, che superava il senso ordinario del rito” (n. 20).
È questa dimensione oblativa che si deve cogliere come messaggio della festa odierna per le persone consacrate: la strada dell’abbandono radicale di tutto e del dono totale di sé a Dio come il Tutto della propria vita.
La profezia dei voti religiosi consiste nel dire con “fatti di vangelo” che la vita è bella, e non solo quella dell’al di là; la vita è bella già qui, se però è condotta con “gli stessi sentimenti che furono in Cristo Gesù” (Fil 2,5). Non è vero che la gioia si compra con l’euro! Non è vero che la povertà fa godere di meno; piuttosto fa godere di più perché mi distacca dalla frenesia e dall’ingordigia: è l’ingordigia che sciupa le cose e le guasta. Non è vero che la castità ti fa amare di meno, semmai ti fa amare di più, perché sana in radice la tua voglia malsana di possedere e di usare l’altro. Non è vero che l’obbedienza mi rende più dipendente, mi rende anzi più libero, perché mi fa ottenere la libertà più preziosa e più rara, non quella dagli altri, ma quella dal proprio io per gli altri. Non una “esclusiva” per privilegiati, ma una scelta “diversa”. La “valenza” spirituale ed umana dei voti, poi, non assurge ad una importanza di tipo “elitario” (quasi che chi non li emette non possa essere un “buon cristiano”); al contrario, essa esclude la “selezione” mentre manifesta e propone una semplice diversità di scelta. “Non voi avete scelto Me, ma Io ho scelto voi” (Gv 15, 16); chi emette i voti, dunque, sceglie Cristo e sceglie ciò che il Signore ha scelto per lui.
Un'altra considerazione consiste in ciò che viene offerto, promesso, presentato, “votato”, come Gesù al Tempio nella festa odierna. Non si tratta di promettere “qualcosa” a Qualcuno; si tratta, meglio, di offrire “qualcuno” a “Qualcun Altro”: si tratta di votare sé stessi al Signore, di “darsi”, di “svuotarsi” di sé, di “regalarsi”, di donarsi a Chi si è donato a noi per primo insegnandoci a “restituirci”: “Offrite i vostri corpi come sacrificio vivente, gradito a Dio: è questo il vostro culto spirituale” (Rm 12, 1), e Cristo è l’offerente per eccellenza, il dono per eccellenza al Padre per la nostra salvezza. Il culto vero, quello spirituale, è “vivente”. Il Signore vuole noi stessi per Sé e vuole Se stesso per noi: “Mentre Dio non ha bisogno di nulla, l'uomo ha bisogno della comunione con Dio”, si dice.
In una società “spersonalizzante” come la nostra la professione dei tre voti è una testimonianza che riconduce, ogni uomo e donna, a guardarsi dentro, a chiedersi quali siano i veri valori che sia lecito, giusto, consentito conseguire... anche lottando, soffrendo, sapendo rinunciare, cioè imparando ad amare. Votarsi a Dio, ossia riconoscere che tutto Gli appartiene e volerglielo restituire con amore e fiducia, non è “sadismo”, e non costituisce una rinuncia come generalmente si pensa.
È anche qui indubbio che quando si sceglie qualcosa o qualcuno si “rinuncia” automaticamente ad altre cose e ad altre persone; così avviene (o dovrebbe avvenire) anche nell'ambito del matrimonio e per qualsiasi altra vocazione; e così accade anche per coloro che hanno scelto il Cristo perché da Lui sono stati scelti. Ma con una differenza sostanziale: chi sceglie Cristo sceglie i fratelli, il mondo intero, la Chiesa tutta e diviene padre-madre spirituale di ogni uomo; ecco perché il Signore rassicura nel Vangelo l'uomo “calcolatore” (Pietro!) che domanda preoccupato: “Noi abbiamo lasciato tutte le nostre cose e ti abbiamo seguito. Ed Egli risponde: In verità vi dico, non c'é nessuno che abbia lasciato casa o moglie o fratelli o genitori o figli per il regno di Dio, che non riceva molto di più nel tempo presente e la vita eterna nel tempo che verrà” (Lc 18, 28-30). Il consacrato è la persona “innamorata” di Dio: nella sua libertà ha riconosciuto l'Amore del Signore e non può fare a meno di seguirLo; vuole restituire, sente la necessità di “darsi”. Vuole amare. Solo chi ama è felice; questo il Signore lo sa bene, Lui che ci creati non perché abbia bisogno di noi, ma perché è Amore e, come tale, ha “necessità” di “riversarsi” sull'altro. L'Amore, per Sua natura, è diffusivo; e Dio, il nostro Dio Uno e Trino, in questa donazione reciproca che crea Amore increato, genera Amore... Egli vuole insegnarci a fare altrettanto; vuole, in una parola, donarci il “gusto” vero della vita, delle cose, vuole farci vedere dove e cosa sia la vera felicità. Dice l’Apostolo: “Noi non fissiamo lo sguardo sulle cose visibili, ma su quelle invisibili. Le cose visibili sono d'un momento, quelle invisibili sono eterne” (2 Cor 4, 18). E continua: “Queste dunque le tre cose che rimangono: la fede, la speranza e la carità; ma di tutte più grande è la carità!”, (1Cor 13, 13.
Ecco, dunque, la “medicina”! Il Signore apre la via ed il cuore alla libertà, offre la vera felicità, ci suggerisce il modo di evitare tante preoccupazioni inutili che ci “appesantiscono” il cammino, ci concede un sonno sereno e una pace interiore costante dopo aver fatto il nostro dovere, ci dona la gioia di vivere ma, soprattutto, ci fa comprendere il vero senso della vita che è Lui, l'Amore e, perciò, quello di amare.
Fonte :
www.monasterocarpineto.it
, sito ufficiale del Monastero Carmelo Sant'Anna a Carpineto Romano.
Carmelo Sant'Anna tel. 06
97.18.90.49
Monache Carmelitane tel. e fax 06 97.19.458
Via B.P. Caldarozzi, 32 ccp 79066007
00032 CARPINETO ROMANO (RM)
E-mail: info@monasterocarpineto.it
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N.B. non si dispone di adsl non inviare immagini.
Grazie.
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