giovedì 25 luglio 2019

PROFILO STORICO E CULTUALE ALLA SINDONE, di Padre Felice Artuso



PROFILO STORICO E CULTUALE ALLA SINDONE
di Padre Felice Artuso 
                           
 
 
 
La Sindone è un antico telo di lino rettangolare, tessuto a mano con una tecnica praticata in Palestina durante il periodo del dominio romano. Incrociato a spina di pesce è lungo oltre 4 metri e largo un metro e tredici centimetri. Conserva le impronte tridimensionali anteriori e posteriori. di un uomo robusto, atletico, elegante e maestoso, che è stato flagellato, coronato di spine, inchiodato, trafitto al costato dopo la morte, sepolto e rimasto poche ore nell’oscurità della tomba.
Gli scienziati recenti hanno sottoposto la sacra Sindone a molteplici e minuziose indagini. Hanno accertato che il tessuto nuovo, mai usato (Mt 27,59), proviene dalla Palestina, avendo dei granuli di polline di piante fiorifere, esistenti solo nella zona di Gerusalemme ed Hebron. Nelle macchie di sangue hanno scoperto un’alta percentuale di bilirubina, presente in coloro che subiscono una morte traumatica. Alcuni hanno tentato di riprodurre in laboratorio un’immagine simile a quella della Sindone. Non hanno tuttavia ottenuto risultati convincente. Per spiegare il processo che ha prodotto le impronte sfumate sul telo sindonico, si sono allora limitati a proporre delle ipotesi come le reazioni chimiche di sostanze presenti nel lenzuolo, le tecniche pittoriche sconosciute o la momentanea e densa irradiazione di luce ultravioletta.
Il risultato ottenuto sull’analisi del radio carbonio degli anni ’80 ha suscitato dubbi sulle corrette procedure, essendo stato effettuato il prelievo sul telo rammendato e inquinato. Inoltre non si è tenuto conto che il calore, prodotto da un incendio, ha alterato notevolmente la datazione del tessuto. I futuri studi specialistici apporteranno chiarimenti ai problemi rimasti irrisolti
Stando agli attuali accertamenti scientifici, si può affermare che la Sindone ha un’altissima probabilità di essere la vera immagine del cadavere di Gesù Cristo, l’uomo «dei dolori che ben conosce il patire» (Is 53,3). Essa costituisce un probante documento del suo martirio, della sua morte, della sua sepoltura e della sua risurrezione, avvenuta senza lasciare resti di materia, né indizi di un qualche movimento. Conferma gli scritti evangelici sul mirabile evento pasquale. Induce a meditare sul bel fisico di Gesù, lesionato, torturato e devastato dalla malignità umana. Invita specialmente a guardare il volto di Gesù tumefatto che irradia serenità, pace, fascino, amore infinito e gloria immortale. È un validissimo strumento di evangelizzazione. Non è tuttavia strettamente necessaria alla fede pasquale, perché essa si basa sulla predicazione apostolica. Noi conosciamo la corporatura e la sembianza di Gesù, perché gli artisti le hanno ricavate dalla impronte del sacro telo.
Non conosciamo tutte le vicende e gli spostamenti della Sindone, testimone silenziosa di amore, di fraternità e di vita. Presumiamo che gli apostoli e i loro primi successori hanno intuito che le impronte del telo erano un prezioso dono di Gesù. Essendo proibito agli ebrei di custodire un oggetto sepolcrale, divenuto immondo per il contatto con un cadavere (Nm 19,11-21; Ag 2,13), si premurano di conservarlo integro in un’apposita custodia. Piegato in otto parti, lo tengono nascosto, per non essere rimproverati di mostrare al pubblico la nudità di Gesù e per non esporsi a probabili sanzioni penali. Trascorsi alcuni anni, il telo è trasferito ad Edessa (l’attuale Urfia in Turchia), centro culturale del cristianesimo siro-aramaico. Collocato. in una nicchia della chiesa di Santa Sofia, viene celato per impedire le profanazioni iconoclaste. Nel 525 lo si ritrova durante i lavori di restauro della chiesa, danneggiata da un’alluvione. Qui viene chiamato il Mandylon (fazzoletto), perché, essendo piegato in quattro parti, ha la forma di una pezzuola e mostra solo il volto cadaverico di Gesù, mentre le impronte del suo corpo rimangono invisibili, essendo all’interno della stoffa ritorta. Nel 943 i Bizantini prelevano il Mandylon, non eseguito da un artista, lo trasferiscono solennemente a Costantinopoli e lo custodiscono nella cappella imperiale di Santa Maria Blachernissa Teriore.
Superato il periodo delle controversie iconoclaste, la Chiesa incrementa la venerazione alle reliquie e alle immagini di Gesù. Non adora delle raffigurazioni inanimate, bensì il Signore vivo per sempre. Tributa una particolare venerazione alla Sindone (Mandylon), perché la ritiene la più importante reliquia del passaggio e della presenza spirituale di Signore. Ad ogni venerdì la distende, la mette in posizione verticale, la espone ai visitatori, desiderosi di vedere e di venerare le tracce di Gesù, «irradiazione della gloria del Padre e impronta della sua sostanza» (Eb 1,3). In particolari ricorrenze rende un culto pubblico alla sacra reliquia, portandola in processione per le vie di Costantinopoli, capitale dell’impero romano d’oriente. Nelle preghiere liturgiche e nella settimana santa la Chiesa orientale recita o canta dei tropari (antifone), che evocano la passione, la morte, la tumulazione e la risurrezione gloriosa di Gesù. Inoltre per la celebrazione eucaristica i presbiteri di ogni rito distendono sulla mensa una tovaglia bianca o almeno il corporale, per simboleggiare la Sindone.
Nel 1204 i musulmani cominciamo ad assediare Costantinopoli, difesa dai Crociati e la occupano effettivamente nel 1453 con la sottomissione del Patriarca all’imperatore Maometto II. Durante il primo assedio alla città la Sindone scompare dalla chiesa di Santa Maria. I Cavalieri Templari, protettori dei luoghi santi, dei pellegrini e delle sacre reliquie, ritornano in Francia. Nel viaggio di rientro passano da una all’altra città e forse si portano la Sindone. Si sa che per oltre un secolo conservano nascosto un volto barbuto di Cristo, lo venerano privatamente, ma non lo mostrano a nessuno, per evitare la scomunica papale, inflitta ai trafugatori di reliquie. Nel 1356 il prode cavaliere, Goffredo de Charmy (Francia), colloca una Sindone nella chiesa del castello di Lery e la custodisce, quale legittimo proprietario. Il vescovo di Troiyes, primo responsabile della fede nel territorio di Lery, teme che sia un falso. Tollera che sia venerata privatamente dal popolo, ma ne limita il culto pubblico. Nel 1453 Margherita di Charmy, discendente di Goffredo, vende la Sindone ai duchi di Savoia, i quali la trasferiscono a Chambéry e la collocano in un’apposita nicchia della loro chiesa. Talora la trasportano in altre località e la espongono alla venerazione dei fedeli. Nel 1578 Emanuele Filiberto di Savoia costituisce Torino capitale del ducato, vi trasporta anche la Sindone e nel 1694 provvede che sia sistemata nella Cappella del Guarini. Attenendosi alla sperimentata tradizione, nei matrimoni degli eredi, nelle feste di famiglia e nei giubilei i reali sabaudi espongono la reliquia al pubblico. Umberto II di Savoia, ultimo re d’Italia, muore nel 1983 e nel suo testamento dona la Sindone al Papa, il quale negli anni seguenti ne affida la custodia all’arcivescovo di Torino.
Attratti dal desiderio di vederla e di osservarla attentamente, i pellegrini confluiscono verso la città In numero crescente partecipano ad un evento di grazia e di gioia. Provano un fascino spirituale sostare davanti alla Sindone, fissare silenziosi l’icona di Gesù, per coglierne di molteplici particolari. Intuiscono che le impressionanti torture, inferte al Signore, sono la conseguenza dei loro peccati. Implorano il perdono di Dio e partecipano alle celebrazioni liturgiche organizzate. Prima di intraprendere il viaggio di ritorno lo ringraziano dei benefici ricevuti. Gli chiedono di infondere in loro l’energia necessaria per perseverare nella vocazione cristiana. Arrivano così alle loro dimore rinnovati interiormente e zeppi di santi propositi. Solo i protestanti non si interessano della Sindone, perché ritengono che le devozioni popolari siano un residuo pagano da eliminare in fretta.
Accentuano notevolmente la venerazione alla Sindone la crescente devozione all’umanità di Gesù, le ordinarie omilie, i libri di meditazione sulla passione del Signore, la predicazione quaresimale sulle scene evangeliche dell’ultimo giorno di Gesù, i pellegrinaggi dei Santi più noti (San Carlo Borromeo è andato tre volte a Torino), le dichiarazioni pubbliche dei pontefici del secolo scorso, l’elargizione delle indulgenze ai pellegrini, l’imitazione di copie sindoniche esposte nei luoghi di culto (in Europa ce ne sarebbero 27), le celebrazioni liturgiche di cattolici ed ortodossi nei giorni dell’ostensione, le mostre d’arte, gli affreschi, le decorazioni, gli ex voto nelle chiese, le medaglie commemorative, la pubblicazione di svariati studi, la riproduzione di molteplici fotografie, i musei con una copia fotografica delle stesse dimensioni dell’icona, la trasmissione televisiva in diretta delle recenti ostensioni e i vari articoli in Internet.
Giovanni Paolo II e Benedetto XVI avrebbero dovuto parlare della sacra reliquia, quando si recarono a Torino, per venerare la Sindone. Tuttavia per non urtare i dubbiosi, hanno evitato questa terminologia e si sono espressi, adottando il termine di icona. Convinta di possedere la migliore immagine della passione del Verbo fatto carne la chiesa torinese attribuisce alla Sindone lo stesso culto, recato agli oggetti appartenuti a Gesù Cristo. Il 4 maggio vi dedica una memoria liturgica con Messa ed Ufficiatura, istituita nel 1506 dal papa Giulio II. Si sente fortunata di inchinarsi davanti alla Sindone e di venerarla. Nella colletta della messa invoca Dio, perché conceda ai presenti di contemplare per sempre il volto glorioso di Gesù: «… A noi, che veneriamo la sua immagine, raffigurata nella Santa Sindone, dona di contemplare il suo volto in eterno». Ringrazia inoltre Dio per le tutte sue meraviglie. Nel 2006 Benedetto XVI, che una spiccata sensibilità liturgica, ha elevato la memoria della Sindone a festa della Cattedrale torinese. Ha dato così più rilevanza a questa ricorrenza annuale, che ha un forte legame con la passione del Signore.
Nelle ostensioni pubbliche, sempre più frequenti, la chiesa subalpina valorizza le impronte del Crocifisso, che per ragioni ideologiche è tuttora respinto e osteggiato da qualcuno. Organizza conferenze, meditazioni, incontri di preghiera e Via Crucis sull’argomento sindonico. Pubblica articoli, interviste e guide pratiche che aiutano i pellegrini a partecipare attivamente allo svolgimento della liturgia. Mediante appropriate illustrazioni dispone i visitatori a capire i segni della Sindone, a sostarvi concentrati per alcuni minuti, a rinforzare le convinzioni della fede e a formulare una preghiera come questa: «Signore, fa di me la tua sindone. Quando, deposto nuovamente dalla croce, vieni in me nel sacramento del tuo corpo e del tuo sangue, che io ti avvolga con la mia fede e il mio amore come in un sudario, in modo che i tuoi lineamenti si imprimano nella mia anima e lascino anche in essa una traccia indelebile. Signore, fa del ruvido e grezzo panno della mia umanità la tua sindone!» .



 
 
 
 


Fonte : scritti e appunti di Padre Felice Artuso (religioso Passionista)









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