IL BATTISTERO E LA CHIESA DI AGLIATE
Capolavoro romanico della Brianza
di Alessio Varisco
Basilica dei Santi Pietro e Paolo ad Agliate
Premessa
Ricorrenza importante per un monzese è
certamente la Festa dei Santi Patroni cittadini: San Gerardo
de’
Tintori e San Giovanni Battista. Ancora più
significativa la Festività dei Santi Pietro e Paolo, poiché unica città
a rito romano –e papista- in un universo, tutti i comuni dell’Arcidiocesi di
Milano, ambrosiano. Monza romana, nel culto liturgico e nella prassi.
Ma anche un cittadino del mondo che abita a Monza,
vi è nato e lavora, può pensare ad altro nella ricorrenza più bella per un
cattolico. E un modo diverso di celebrare i due
santi, pilastri dell’Ortodossia cattolica, è anche di scrivere di San Pietro e
Paolo segni visibili nella “prassi di fede” del territorio circonvicino.
Avrei potuto scrivere della bella Chiesa di San Pietro e
Paolo in Monza, ho preferito iniziare dalla Brianza, dal principio
delle nostre origini cristiane cattoliche in terra
briantea.
San Pietro e Paolo in
Agliate. Un complesso sacrale brianteo
La nuova provincia della Brianza, di cui
Monza ne è capoluogo, è terra in cui non è cosa
straordinaria il trovare dei paesi, o dei Borghi, che possano decantare
un’antichissima genesi. In taluni casi, poi, si tratta di
un’origine romana, per altri perfino precedente; a segno di questi tempi
anteriori, molto spesso, permangono rovine di costruzioni antiche,
edifici, monumenti civili e templi devozionali.
A circa una decina di chilometri a
settentrione di Monza, nell’infossata valle del fiume Lambro, vicino alle
grotte di Re Aldino, sorge il paesello di Agliate.
Il territorio che andiamo esaminando è il limine
fra la cittadina di Carate e Costa Lambro. Il
borgo di Agliate può -a ragione- decantare una più
che invidiabile origine.
I nomi generici terminanti in «ate
» proverebbero l’antichità del sito; difatti tale terminazione -con varianti
più o meno grandi- la troviamo a designare quei paeselli sparsi per l’ondulata
Brianza, quali
Galliano di Erba,
Galliate
in provincia di Varese, Civate
presso Cantù che come Agliate
hanno un’origine remota.
Tale fatto potrebbe, da solo, deporre in
favore di un’origine comune antica. Secondo alcuni studiosi, poi, il nome di
“Agliate” deriverebbe in linea
retta da “Alea” ossia territorio donato a
soldati romani distaccati nei vari presidi, per meriti che
avrebbero acquistati. Questo basterebbe a confutare la tesi
di un’origine romana del sito di Agliate.
Altri studiosi azzarderebbero che in Agliate
si trovasse un presidio di soldati romani -ipotesi questa
tutt’altro che assurda-. Detta tesi è sostenuta dall’illustre
archeologo Mommsen che vuol riconoscere nella
strada che passa attraverso il paesello e nel relativo ponte sul fiume Lambro,
un tratto di una strada romana, un’arteria che congiungeva Milano con Como, la
cosiddetta strada “Mediolanum-Aliatum–Comum” con
accesso obbligato ad Agliate. Tale tesi apparirebbe poi comprovata dal nome di
Costa, il paesello che sovrasta
Agliate, originato, sempre secondo lo stesso Mommsen
da “Castrum” e perciò
fortezza o spazio rinchiuso e guarnito di
fortificazioni, adoperato per l’accampamento notturno dei soldati
del presidio romano di guardia che invece durante il giorno erano impegnati
nella salvaguardia della strada ed del ponte
sottostanti il paesello di Costa Lambro.
Nel 1793 venne
scoperchiata una lapide che comprovò l’antichità di Agliate: essa era di
proprietà di un certo Aruspice –il cui nome è Veraciliano- e porta la seguente
epigrafe:
«D. M. T.
VERACILIANUS
ARUSPEX D. M.
S,
Q. V. A.
CXXXV
S.
C. IPSE SERVI
VO. FECIT MI
MARCELLINA».
Al di sotto
dell’iscrizione
è scolpita una sorta di otre, simile nella forma ad una chiocciola; di fianco,
sulla sinistra, è il disegno di una patera e di una verga o liuto; sulla
destra un coltellaccio, detto “secespite”.
secondo lo storico Corbella la lapide fu portata a
Giussano, poi a Verano ed infine scomparve nel
nulla, forse fugata da qualche antiquario.
Durante i lavori di restauro del campanile,
si trovò un pietra votiva dedicata al dio Silvano
che, dopo Giove, era la principale divinità dei luoghi boscosi. Sul cippo si
poteva leggere la seguente iscrizione:
« SILVANO
/ V.S.L.M. »
Esiste traccia
di diverse parole rese indecifrabili dalla frattura dello stesso cippo.
Successivamente ai restauri del secolo scorso
questo cippo è stato murato sulla sinistra dell’entrata del Battistero e serve
da acquasantiera.
In realtà il
vero vanto presso gli storici dell’arte e gli estimatori dell’arte
lombarda è il complesso –importantissimo per la molteplicità di resti- della
Basilica e del Battistero, in perfetto stile romanico. Quello di Agliate resta
un’inconfondibile testimonianza dell’antichità di questo paese che annovera un
vero e proprio tesoro.
Grafici della Chiesa e del Battistero di Agliate
La Basilica
di Agliate -con l’annesso Battistero- risulta unica
per la sua vetustà e per il suo stile nella Brianza. Essa è seconda
-nell’Arcidiocesi di Milano- solo
a di Sant’Ambrogio in
Milano. si capisce quanto sia importante quest’edificio
brianzolo per le peculiarità stilistiche, i resti
precristiani e la consistenza di un culto diffuso nell’area, tale da
far sorgere un simile complesso.
Una delle
ragioni dell’esistenza di questo luogo starebbe
nell’antichità del paese. Tutto fa supporre che il complesso
di Agliate sia sorto proprio sopra le rovine di un
tempio pagano al Dio Nettuno. In realtà alcuni storici dicono l’abbia soltanto
sostituito; è nondimeno evidente che una grande
quantità di materiale fosse proveniente proprio da detto tempio che fu usato
per la nuova costruzione cristiana.
All’interno
della Basilica si può notare una frammentarietà dello stile. Ciò è dipeso dal
fatto che molto probabilmente lo sforzo maggiore fu
di adattare il più possibile quel materiale di spoglio, colonne, capitelli od
altro, che potessero essere disponibili. Questa tesi della costruzione con
materiali preesistenti sarebbe confutata dal fatto che ogni colonna ha una
forma sua propria, un diverso diametro ed i
capitelli sono tutti disuguali.
Gli storici
dicono che sarebbe impossibile attribuire una simile varietà di forme ad
un ingegnosità stilistica. Orbene una simile opera
denuncia che in sé che una così grande diversità
non ha alcunché di simmetrico e di armonico.
L’esatta data di costruzione non è molto
facile però da precisare. Lo nota bene il Corbella
nel suo libro «Memoria di Agliate»; difatti a
nessuno sfugge l’antichità della Basilica per le prove sopra elencate, ma
pochi azzardano un’ipotesi di databilità del
complesso. O meglio le “bande di oscillazione”,
dipese anche dalla preesistenza dei manufatti di decorazione architettonica,
non sono sempre univoche, anzi.
Tratteremo la trattazione partendo da una
curiosa -ma infondata- supposizione lasciata scritta negli atti della
visita pastorale da un tal
Protonotario Apostolico Visitatore, datata 1742 con la quale si vuol far della
Basilica di Agliate un tempio pagano trasformato, nei primi secoli del
Cristianesimo, in una chiesa.
Il Cardinal Federico Borromeo, invece, è
molto più misurato nel suo resoconto fatto nel 1619, poiché sostenendone
l’antichità non precisa alcuna data. Ecco la traduzione di quanto ha lasciato
scritto
«L’architettura di questa Chiesa, la
sotterranea cripta (detta
scurolo), il tempietto
ottagonale (battistero) separato dalla Chiesa, il titolo stesso
dei SS. Apostoli Pietro e Paolo ed infine il luogo
dove venne edificata la Chiesa nel centro della Pieve, e le vestigia che ci
rimangono e le rovine degli stessi edifici ne attestano l’antichità».
Nell’archivio parrocchiale sono solo queste
le uniche -piuttosto esigue- testimonianze sul complesso
di Agliate.
Se
dal lato degli storici e dell’archivio parrocchiale, pochissime sono le prove
e le dichiarazioni su quest’edificio sacro, molteplici –invece- rimangono
delle probabili e serie supposizioni basate su iscrizioni -o lapidi- trovate
nella Basilica o nelle vicinanze.
Un’epigrafe, copiata qui ad Agliate dal
bibliotecario Branca dice:
« + AMIZIA M
ATER GARIBA
NI PRESBITERI
VI PC. PAUL I NI
IND. III
Iscrizione che potrebbe essere così
interpretata:
«Ha qui riposo la
madre di Garibano sacerdote».
L’ultima linea dell’epigrafe sarebbe in grado
di fornirci la data dell’iscrizione e cioè il 3
anno dopo il consolato di Paolino; si tratterebbe dell’anno 540.
detto questo si potrebbe confermare che già
nell’anno 540 in Agliate ci fosse una Chiesa con il proprio Cappellano.
Nel Battistero, c’è un’altra lapide che porta
la seguente iscrizione:
«
Il
ANIM. IN XP ω
XP ω V
SEXTILIAE CATIAE ET
SEXTILIO BASSIANO
QUAE VIXIT ANNIS
XXI MENSES VIII
GERMANIA EVNOE
PATRONA ALUMNAE
PIENTISSIMAE
QUI VIXIT ANNIS
XXV MENSES VI
SEXTILIA VALERIANA
GENERO PIENTISSIMO
Coniuges
hic positi
acerbo
funere rapti »
Il latinista si aspetterebbe
perfezione grammaticale e qui resta deluso: non
noi, invece, che vediamo in queste improprietà un elemento distintivo, una
peculiarità precipua, della lingua latina del VI e VII secolo, a riconferma
dell’antichità della Basilica.
Il Battistero serba altre due lapidi
funerarie: sulla prima sono visibili queste parole
«HIC REQUIES
CET IN PACE
ALBNUS LEC».
Dovrebbe trattarsi di una di quelle persone
che nei primi tempi della Chiesa avevano l’incarico
di leggere i testi sacri, cioè di un lettore. Il nome è sicuramente “Albinus”
con la “I” incorporata nella enne e “LEC” è
l’abbreviazione e sta al posto di “Lector”.
La seconda fu ritrovata nel 1874 in una tomba
che stava all’ingresso del Battistero e porta
un’iscrizione divisa in quattro campi da una croce
CAR ---- A
T ---- E
Si
potrebbe interpretare secondo il Corbella almeno in
due modi:
«
CAR issimi
(ae)
A
(nome)
T
itutus
E st
oppure
CAR
issime (a)
A (nome)
T
ecum
E ro».
Se vogliamo aggiungere un’ipotesi basata
sulla storia diremo che non distando molto da
Monza, Agliate potrebbe essere uno tra i luoghi che beneficarono della
munificenza della Regina Teodolinda che, al dir dello storico
Warnefrido, al tempo della costruzione del duomo
di Monza sovvenzionò ed incoraggiò la costruzione di altre Chiese nelle
vicinanze.
Possiamo con questi elementi definire l’anno
esatto della costruzione della Basilica? I Commessi della Consulta
Archeologica nel 1874 giudicarono la costruzione della Chiesa anteriore a
quella del Battistero attribuendola ad un’epoca non ben
distinta ma certamente non posteriore al VII od
Viii secolo. Più preciso è
invece il Cattaneo presidente nella commissione per gli studi della Basilica
di Aqliate che,
rispondendo al Dartein, l’attribuisce all’amino
881 : « qli storici milanesi, dice, ci
dichiararono eretti il Battistero e la Chiesa di Agliate dall’Arcivescovo di
Milano Ansperto. lo non sono certo molto facile a
dare ascolto alle varie tradizioni popolari, e molto meno a credere alle
presunte antichità di tanti monumenti, ma questa volta mi conviene
sottoscriverci, perchè visitati quegli edifici, li trovai precisamente
costruiti alla maniera di costruire e di ornare in uso per l’Italia e
specialmente per la Lombardia nel secolo IX e vi riscontrai con la massima
soddisfazione chiari punti di somiglianza con le scritture sincrone di S.
Satiro».
Sezione della Chiesa di Agliate
La facciata
della Basilica è a capanna con il tetto a quattro spioventi e la navata
centrale sopraelevata rispetto alle laterali. Sopra le tre porte
di entrata c’è una semilunetta in mosaico
raffigurante San Pietro, il Cristo legislatore e S. Paolo, disegnato e
realizzato dal Prof. Marelli della Scuola B.
Angelico.
Il muro della navata a Nord non ha finestre e
così lo stesso lato delle tre absidiole. Si notano le finestrelle della cripta
nell’abside centrale seminterrate. Numerose sono
le robuste e marcate lesene che dal basso salgono fino al tetto. Nella
muratura soprattutto della facciata notiamo la caratteristica
collocazione dei sassi ad angolo, che
vien chiamata a spina di pesce; questo particolare
si ripete anche nelle mura del Battistero.
L’interno della Basilica
dà l’impressione di una forza calma e di una solidità che sfida i
secoli: una doppia fila di colonne, basse e massicce, travature robuste,
scoperte secondo la caratteristica dello stile romanico.
La Chiesa ci si presenta quasi divisa in due
piani: in basso la nave in una costante penombra, rotta solo dalla luce che
entra dalle avare finestre, le quali, dopo una capace svasatura, si
restringono a feritoia. Qui è sviluppata l’idea liturgica di finestre simili
ai sensi del cristiano, che devono essere chiusi
alla vanità del mondo ed aperti ai doni del cielo: per questo le finestre sono
strette all’esterno e molto svasate all’interno.
Altro simbolismo liturgico si potrebbe avere
nel numero di 33 delle stesse finestre che alluderebbero ai 33 anni del
Salvatore.
La parete della navata verso Nord della
Chiesa non ha finestre: una simile abitudine stilistica sembra molto antica:
infatti nella Basilica dì S. Vincenzo in Prato ci
sono delle apertura nella parete Nord ma di grandezza diversa dalle altre,
facendo supporre che siano state praticate dopo. Sostenibile qui l’allusione
alle frasi bibliche:
«Ab Aquilone
pandetur malum -
Malum visum est
ab Aquilone» (Ger.).
Nella distribuzione delle navate è sviluppata
l’idea ternaria, suggerita dall’adorazione del mistero della SS. Trinità.
Oltre a tutti i simbolismi classici comuni alle Chiese del
periodo romanico, la nostra ci presenta anche questo particolare simbolismo
abbastanza raro: ponendosi sulla soglia della porta centrale e guardando
attentamente verso l’abside, si può osservare un leggero spostamento della
stessa verso sinistra, rispetto all’asse della navata centrale. Secondo
il parere di alcuni critici tedeschi si vorrebbe
indicare con questo spostamento l’inclinazione del capo di Cristo crocifisso.
L’altare e così l’abside, non sono al livello
delle navate e neppure rialzati di poco, come comunemente si trova in Chiese
antiche, ma è letteralmente lanciato verso l’alto, quasi in
una atmosfera di mistero, mediante un vera
gradinata.
L’altare primitivo era in pietra e supposto
consacrato dal Cardinal Federico Borromeo nell’anno 1731, quando consacrò la
Basilica.
Questo altare fu poi sostituito da un altro
di stile barocco, ottimo per il valore dei marmi ma inadatto allo stile della
Basilica e vi rimase fino ad alcuni mesi fa quando
finalmente lasciò il posto a quello migliore voluto e realizzato dall’attuale
Prevosto Prof. don Leonardo Corti.
Parlando della gradinata è necessario
ricordare che nel 1741 si chiusero le due bifore che mettono in comunicazione
la navata centrale con la cripta perchè la gradinata
potesse occupare tutta la larghezza dell’abside. In
quell’anno nefasto per la Basilica, si apersero
due grandi arcani nei muri dell’abside centrale all’altezza del presbiterio
per conferire alla chiesa la forma di croce; si alzò il livello del pavimento
apportandovi un buon mezzo metro di terriccio ma interrando così i piedestalli
di parecchie colonne; infine si asportò il bel soffitto basilicale, forse
anche perchè si era reso pericoloso e si copersero le tre navate con un goffo
tetto a due enormi spioventi. Fortunatamente nel 1893 con l’assiduo
interesse e buon gusto del Prevosto Cav. Pompeo
Corbella e dell’architetto Luca Beltrami la Basilica
ritornò, nella misura del possibile, allo stato primitivo. Sulla
sommità della scalea presbiterale esisteva, come risulta
da un’antico bozzetto, l’inconostasi
oppure « pergula » composta da due colonne
corinzie in corrispondenza degli spigoli interni della balaustra e da una
trave con gli estremi murati nei fianchi dell’abside.
Le colonne però rappresentano la più
interessante caratteristica della Basilica sia per la storia che per
l’archeologia.
Il capitello della prima colonna di destra
per chi entra, è una ara sacrificale e su uno dei
suoi lati si può leggere questa iscrizione:
«
SUIS OMNIBUS
V.S.L.M.
V.S.L.M.
Altri segni si notano sulla stessa ara per no
indecifrabili a causa del cattivo stato nella quale si trova.
Durante lo sterro per il nuovo pavimento si
rinvenne come piedestallo della stessa colonna un’altra ara
sacrifìcale dalle quattro facce ben conservate,
con cornice in alto ed in basso:
sulla
stessa stà questa iscrizione
«
IOVI OM CO(onservator)l
VITAKIO PRO SALU
TE DOMINORUM
SUORUM ES VA
AT FAMILIAE SKC
V.S.L.M».
Malauguratamente questa
iscrizione è ora invisibile poiché il piedestallo della colonna è stato
di nuovo interrato per la sovraelevazione del
pavimento.
La quarta colonna sempre di destra è di un
importante interesse archeologico: il capitello infatti
è un resto di cippo funebre con i cornicioni ben conservati almeno su tre
lati. Osservando attentamente notiamo su uno dei lati i segni di
una iscrizione che forse fu graffiata; nel 1 860
l’archeologo Biraghi la poteva ancora leggere:
« D.
I. SA (crum)
SALINIUS MAS...
Della stessa
colonna interessantissimo
il basamento poiché è la parte superiore di un’ara sulla quale si bruciava
l’incenso in onore di qualche divinità: ha gli orli molto prominenti ed un
canaletto su tutti e quattro i lati.
Pure le colonne del lato sinistro hanno
un’importanza grandissima da un punto di vista archeologico e storico. Già si
è accennato alla seconda colonna che è composta da
un troncone di pietra miliare risalente all’impero di Giuliano l’Apostata.
sono tre le iscrizioni dedicatorie: una, la più
chiara ed a caratteri molto grandi, sul lato interno della colonna allude
all’imperatore Giuliano; sull’altro lato, invece, sono due e confuse: una
nomina ancora l’imperatore Giuliano con una forma dedicatoria differente,
mentre l’altra dedica la colonna all’imperatore Massimo ed al figlio Flavio
Vittore, C’è poi da entrambe le parti ladesignazione
del numero della stessa colonna miliare. Eccone le
iscrizioni:
«
PRO S.D.N. CLA. IUL. PER.
SEM. AUG.
SEM. AUG.
Il
»
«
D.N. CL.
IULIANO PIO AC FELICI
SEMPER AUG. B.R.P.N.
Il
«D.N. MAG. MAXIMI ET FL. VICTOR
SEMPER AUGUSTI P.B.R.N. ».
Il
«D.N. MAG. MAXIMI ET FL. VICTOR
SEMPER AUGUSTI P.B.R.N. ».
Le due
iscrizioni che alludono all’imperatore Giuliano risalgono certamente
all’anno 360 circa; quella di Massimo e del
Figilo Vittorio al 378-388. Questa colonna è molto
simile a quella che si trova a Roma, alla destra del Colosseo.
Pure molto interessante il capitello della
penultima colonna di sinistra. Si tratta di un capitello presumibilmente una
volta appartenente ad un tempio del dio Nettuno: rappresenta dei delfini che
intrecciano le loro code per formare una specie di voluta agli angoli del
capitello e che bevono ad un’anfora dalla quale emerge lo scettro di Nettuno.
Foglie di acanto con la punta ribattuta verso
l’esterno ricoprono per buona parte il capitello.
L’ambone e le balaustre che molto da vicino
imitano lo stile antico sono opere recenti eseguite su disegno dell’Ufficio
Regionale artistico. In antico esisteva un ambone in pietra che poi
venne distrutto per l’imprudenza di un Prevosto.
Sotto l’altare dell’abside di sinistra è
conservata la reliquia insigne di 5. Biagio; varie furono le
collocazioni dell’urna poiché prima ebbe posto
nella piccola nicchia della cripta, in faccia all’altare, poi sotto l’altare
maggiore.
Nella navata centrale e nell’abside rimangono
i resti di ciò che doveva essere il ricco ciclo pittorico ed anche questo
molto rovinato dal tempo, dall’imperizia di qualche restauratore e in modo del
tutto particolare, dall’apertura delle due arcate alle quali già si accennò.
Il gruppo più importante l’abbiamo
sulla parete sinistra della navata centrale all’altezza delle due ultime
arcate: sono dei dipinti antichissimi, sebbene posteriori almeno di un secolo
alla costruzione della Basilica. Il ciclo pittorico è diviso in due ordini: il
primo rappresentato da affreschi molto grandi che occupano lo spazio tra le
finestre ed il secondo nella parte inferiore dove le scene sono in quadri più
ridotti, Il dipinto meglio conservato è quello che occupa lo spazio definito
dalla parete absidale e dalla finestra. A prima vista sembra raffigurare la
creazione di Adamo: infatti sulla destra abbiamo il
corpo nudo di un uomo dalle dimensioni un po’ esagerate, ma proprie del genere
pittorico di quel periodo, e sulla sinistra invece una figura veneranda, dai
gesti ampi e solenni. La difficoltà nasce però dalla presenza di una
costruzione dall’aria zzantineggiante, ben
visibile alle spalle della figura nuda: come si spiegherebbe la presenza di
una simile costruzione nel Paradiso Terrestre al momento della creazione
dell’uomo?
Il Corbella, riportando il parere
di alcuni studiosi di arte del secolo scorso, pensa
si tratti di una scena allegorica dove il Cristo conforta l’umanità
rappresentata dalla figura dell’uomo. Negli affreschi della parte inferiore
possiamo distinguere la Annunciazione, la visita a
S. Elisabetta e la Madonna con il Bambino. Considerando la differenza
esistente tra i due ordini si potrebbe pensare ad una rappresentazione
simbolica nell’uno e realista irììece nell’altro.
interessante
é dai colori vivaci la fascia che racchiude questi dipinti : nella parte
superiore si alternano ad elementi simbolici dei tondi con immagini di Santi,
mentre nell’inferiore si succedono le rappresentazioni dell’arca di Noè, del
pavone, della brocca con l’ulivo, del pesce e della colomba.
La stessa fascia decorativa orna pure il
presbitero ma questa volta i motivi sono floreali,
come l’alloro, le spighe ed il mirto. La figura meglio conservata nel
presbitero è senza alcun dubbio il Cristo
benedicente chiuso in un doppio cerchio di diverso colore ed accompagnato dal
simbolo dei quattro Evangelisti; i colori sono molto sbiaditi ma colpisce
l’impressionante vivacità degli occhi. Alla sommità dell’arco trionfale è
dipinta una mano benedicente. Ancora una volta il Corbella si preoccupa di
‘darne una plausibile spiegazione: pensa alla mano di un Vescovo che stia ad
indicare la sua giurisdizione, alla destra di Dio onnipotente che minaccia chi
indegnamente tenta di avvicinarsi all’Altare, al simbolo della protezione e
della benedizione di Cristo.
Ancora nell’abside, a sinistra, all’altezza
della balaustra si osserva una pittura dai colori molto sbiaditi,
rappresentante la Madonna con il Bambino. Nel dipinto che
era stato eseguito quello antico ed ora quasi interamente graffiato,
l’espressione, l’arabesco del vestito e la finezza dei lineamenti sembrano da
attribuirsi allo stesso pittore che eseguì l’affresco alla Pietà nel
battistero. Nel fondo dell’abside rimangono dei resti
di altre pitture, come la consegna delle Chiavi a
5. Pietro, la Madonna con il Bambino e S. Giovanni sicuramente databili
all’anno 1491, poiché se ne trovò la data
scalcinando le pareti.
Le due bifore praticate ai lati della scala
che immette al Presbitero, mettono in comunicazione la navata centrale della
Basilica con la Cripta, alla quale si scende passando per le absidi laterali.
La cripta è la novità architettonica e liturgica generalmente introdotta nelle
Chiese preromaniche e romaniche.
Poichè
di solito la cripta serviva a celare come prezioso tesoro il Corpo o le
insigni reliquie dei Santi, è probabile derivi
dalle stesse catacombe. I teorici del simbolismo hanno visto nella cripta
l’idea della vita contemplativa ed il ricordo della sepoltura del Salvatore.
La costruzione fatta di numerose colonnette e
di volte a cera, è in parte sotterranea; l’altare addossato al muro nord-est è
in muratura e con tutta probabilità il Sacerdote doveva celebrarvi i S.
Misteri stando rivolto verso il popolo: simile ipotesi è suggerita dalla
posizione dello stesso altare, posto tra due delle colonnette che sostengono
la volta e staccato dal muro quel tanto che basta perchè una persona possa
rimanervi ritta e muovervisi con sufficiente comodità.
La Chiesa di Agliate vista dal lato Battistero
Parlando della cripta è necessario accennare
brevemente alla data approssimativa della sua costruzione e alla complicata
questione del suo rifacimento o meno, I migliori archeologi che si sono
occupati della questione, come il Cattaneo, il Kingsley
ed il Porter credono si debba attribuire
tutto, Chiesa e cripta, ad Ansperto da
Biassono, arcivescovo di Milano. Dello stesso
avviso è pure il Giuliani.
Assolutamente da scartare, come priva di fondamento, l’opinione del
Dartein, che la vuole far risalire dopo il secolo
XI.
Ammessa l’esistenza della cripta sin dalla
costruzione della Basilica, rimane sempre un grave dubbio sul suo stato
primitivo. Il Rivolta crede ad un rifacimento della
volta verso il mille, motivato dal desiderio di alzare maggiormente il livello
dell’altare e del coro.
Un altro archeologo, rincarando la dose,
vuole la cripta una aggiunta inorganica, non
preveduta al tempo della costruzione della Chiesa.
Tale illazione pare insostenibile, da un confronto con la Basilica di S
Vincenzo in Prato, dove la cripta è parte organica della Chiesa. Esaminando
poi il complesso della sopraelevazione del Presbiterio e la cripta non si nota
alcuna inorganicità : la sopraelevazione del primo
e la cripta sono due cose richieste dallo stile romanico. Non può nemmeno
essere avvenuto l’innalzamento della volta della cripta, poiché non esiste
nessuna traccia di piedritto sulle colonnine centrali; la strombatura delle
finestre, in chiave, è molto intradosso al sottarco della volta.
Se la cripta fosse stata più bassa, si dovrebbe
trovare sotto le attuali finestre un tratto murato, ma nemmeno di questo
esiste traccia. Come conclusione possiamo ritenere
che la cripta è contemporanea alla Basilica e originale nella sua attuale
forma. Dal punto di vista liturgico, questo particolare della cripta primitiva
non è di poca importanza poiché trascina
inevitabilmente con sé la sopraelevazione dell’abside.
Di fronte all’altare esiste ancora la nicchia
nella quale era conservata l’urna contenente il corpo di S. Biagio.
La Basilica non è l’unico ricordo dell’antico
splendore di Agliate: accanto ad essa, abbiamo il
Battistero, pure in perfetto stile romanico e ben conservato all’esterno.
Si presenta con la caratteristica forma
ottagonale, non considerando come una divisione in due l’accenno ad uno
spigolo che si nota solo all’altezza degli archetti, nel lato nord-est. Ha una
cornice ad arcate cieche, i bordi delle finestre a feritoia
marcati
da arcate in mattone; sotto la gronda si nota un ornamento che si potrebbe
considerare un tentativo preludente alle logge, perfezionate ed abbondanti
nelle Chiese romaniche più recenti. Attorno al suo perimetro di base corre un
fossato largo e profondo un metro circa.
La sua forma ottagonale è giustificata, nel
simbolismo liturgico, da S. Ambrogio, in un modo piuttosto curioso: la prima
creazione del mondo, dice, si è compiuta in sette giorni
mentre la nuova rigenerazione dello Spirito si compie in otto.
Nell’interno, il Battistero è occupato dalla vasca battesimale di forma
ottagonale, definita da tre serie di gradini, pure a forma ottagonale. I
gradini sono molto importanti dal punto di vista liturgico, poiché ci rivelano
tutta una simbologia cristiana primitiva.
S. Ilario di Siviglia ce ne dà la
spiegazione:
« tre gradini discendono per significare le
tre cose alle quali un cristiano deve rinunciare con il Battesimo, satana, le
sue opere e le sue pompe; tre gradini salgono per indicare il Mistero della
SS. Trinità che dal cristiano viene professato dopo
il Battesimo ».
Curiosa anche
la presenza nel Battistero di un altare addossato al lato nord, nella piccola
absidiola.
Questo potrebbe suggerire l’idea di un primitivo Battistero-Chiesa antecedente
al complesso della Basilica, piccolo se si vuole, ma bastante all’esiguo
numero dei primi cristiani del luogo. Si rimane sempre nella pura possibilità,
senza poter avere delle prove sufficienti per giungere alla certezza.
L’altare ha una grande importanza liturgica,
non per la sua forma, costituito com’è da una lastra di granito, sorretta da
una colonna pure di granito a forma cilindrica, ma piuttosto per il luogo
insolito dove, nello stesso vennero collocate le
reliquie dei Santi. Risale ai primi anni del Cristianesimo, l’uso di celebrare
i Divini Misteri sui Corpo di un Martire, o almeno
su alcune sue reliquie: simile abitudine si può forse collegare con le parole
di San Giovanni:
«Vidi sotto l’altare le anime di
coloro che furono uccisi in testimonianza del Verbo
Divino».
Nelle Basiliche spesso l’unico altare sorgeva
sulla tomba del martire venerato ed attraverso la finestrella confessionale se
ne poteva scorgere l’urna. L’intenzione della Chiesa è abbastanza evidente
offrire a Dio il Divin Sacrificio, su un altare
consacrato dalla presenza dei resti gloriosi di chi ha testimoniato il proprio
amore con la morte. Se l’altare rappresenta Cristo
non può essere completo senza le sue membra: Martiri sono le membra certe di
Lui, membra gloriose.
L’unione tra l’altare e le reliquie avveniva
in vari modi che esprimevano più o meno bene il loro simbolismo. Efficacissimo
quello adottato nel nostro Battistero, dove le
reliquie di San Pietro e di San Paolo non furono posti né nella tavola
dell’altare, né nel la colonna di sostegno, ma nel pavimento dove ora è lo
predella: il Sacerdote celebrava appoggiando i piedi sulle reliquie.
Durante i
restauri voluti da San Carlo si rinvenne nel luogo già accennato un vaso di
marmo finemente lavorato contenente una capsella di
argento, cesellata, con il monogramma di Cristo e rivestita all’interno da
lamine di argento dorato. Nella forma la capsella è simile a quelle rinvenute
in altre Chiese della Brianza. Esaminata in rapporto a quelle di Civate, il
Baserqa credette di poterla datare a qualche secolo prima
del Mille.
Il Cardinal
Schuster ha pensato di giustificare la presenza delle
insiqni Reliquie dei Santi Apostoli ad Agliate, in questa maniera: le
reliquie furono regalate da San Simpliciano a
Sant’Ambrogio. Per pura combinazione da
Agliate si chiedevano in quel tempo delle reliquie per l’altare del
Battistero.
S. Ambrogio colse l’occasione e inviò quelle
appena ricevute da Roma. Furono poi ritrovate durante la
demolizione dell’altare del Battistero verso il 1578, al tempo di San Carlo
Borromeo.
Sulle pareti del Battistero poi esistono
abbondanti resti di pitture
rovinate dal tempo, ma in modo particolare dall’imperizia di pittori
posteriori, che sovrapposero i loro affreschi sulle pitture già esistenti. Si
cercò in seguito di graffiare ciò che era stato aggiunto, ma l’effetto non
corrispose alle buone intenzioni, poiché una delle pitture, la Deposizione
uscì un po’ malconcia dalle mani
del restauratore. E’ molto difficile dare una data sicura a
questo affresco : penso si possa trattare di
un’opera del 1200 a causa di alcuni particolari come la collocazione dei
gruppi, e l’assenza totale di scenografia, ma eseguita da mani non troppo
esperte nell’arte pittorica. E’ bella però nella sua semplicità e nella
sua fresca espressione.
L’altro affresco che si è tentato di liberare
dalle sovrapposizioni è molto interessante poiché
rappresenta un orante del quale sono visibili i piedi appuntiti e verticali,
la tunica ed il mantello stilizzati. Rimane uno degli unici esempi, se non
l’unico, di rappresentazione di orante, oramai di
proprietà assoluta delle catacombe.
Sul fianco dell’absidiola sono affrescati
i SS. Andrea e Giacomo e sulla parete di destra
altre pitture; tra le quali quelle rappresentanti S. Ambrogio, S. Onofrio ed
una Madonna con il Bambino ritto sulle ginocchia.
Nella fascia affrescata del poligono di base
della piccola cupola è ben visibile una pesca
miracolosa.
Nel Battistero sono poi stati raccolti i
cipoi funerari del Lettore Albino, quello diviso
in quattro campi dalla croce, la lapide dei coniugi morti ancora
qiovani ed infine il cippo dedicato al Dio
Silvano, immurato come acquasantiera dello stesso
Battistero.
Prospettiva della Chiesa di Agliate
BIBLIOGRAFIA
E. ARSLAN :
L’Architettura dal 568 al Mille in
Storia di Milano. V. (Milano,
1954).
BASERGA:
Antiche capeIIe liturgiche in Brianza.
BERETTA:
La
Basilica e il Battistero di Agliate
(Carate, 1929).
CATTANEO:
L’architettura in Italia dal secolo IV al Mille circa
(Venezia, 1889).
CHIERICI :
La Chiesa di S. Satiro a Milano.
CORBELLA:
Memorie di Agliate
(Milano 1895).
DE DARTEIN:
Etudes sur
l’architecture lombarde
(Paris, 1885).
MONGEPI:
Chiesa e Battistero di Agliate
(Archivio Storico Lombardo, fasc. I, 1874).
TOESCA:
La pittura e a miniatura nella Lombardia dai più antichi monumenti alla metà
del Quattrocento
(Milano, 1912).
Fonte : scritti dell'artista prof. Alessio Varisco , Técne Art Studio .
Prof. ALESSIO VARISCO
Designer - Magister Artium
Art Director Técne Art Studio
http://www.alessiovarisco.it
http://architetture.splinder.com/
fonte foto : http://kimota.clarence.com/archive/images/altare.jpg
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