IL MALE PERSONALE E COLLETTVO
di Padre Felice Artuso
Gli aspetti del male
fisico
L’universo è costituito da miliardi di sistemi stellari simili alla Via Lattea.
Hanno un ordinato movimento in continua accelerazione ed espansione. Esercitano
un influsso che determina alterazioni e mutamenti sull’intero sistema cosmico.
Non possiedono tuttavia sostanze o mescolanze maligne. Sono in se stessi buoni e
utili all’uomo. Testimoniano perlomeno a noi la potenza e la sapienza di Dio.
Potrebbero possedere delle forme di vita, di cui si occupano gli scienziati e la
letteratura futuristica. Noi siamo un piccolissimo frammento rispetto ai
grandissimi corpi celesti, ma valiamo molto di più di tutta la materia
dell’universo, perché abbiamo la coscienza di essere chiamati a raggiungere una
bellezza infinita.
Ogni elemento vitale del nostro globo terrestre nasce, si sviluppa, si
moltiplica, si trasforma, si esaurisce e scompare. Viene classificato in base
alla sua funzione e al suo grado di perfezione. Aggredisce e distrugge gli altri
esseri, mantenendo un certo equilibrio di presenze nella natura. Ad esempio i
microrganismi deformano gradualmente la struttura dei minerali, dei vegetali;
gli erbivori rovinano ed eliminano i vegetali; i rapaci e i carnivori assaltano,
uccidono e divorano le loro prede. Molteplici malattie compromettono la salute
degli animali e degli uomini. Senza chiedere il permesso, danneggiano
particolarmente i bambini e i giovani, gli adulti e gli anziani, i ricchi e i
poveri, i credenti e gli atei, i colpevoli e gli innocenti. Scrollano tutte le
nostre fibre. Cagionano in noi disfunzioni organiche. Ci privano della libertà e
della dignità personale. Nei casi più acuti alterano la nostra integrità.
Tolgono l’energia necessaria al movimento. Limitano le nostre abitudini,
relazioni, progetti e impegni. Ci obbligano talora alla completa disabilità,
dipendenza e isolamento. Scatenano in noi emozione, affaticamento, insicurezza,
disagio, incupimento. Vorremmo misurare l'esatta dimensione del nostro dolore
corporeo o psichico, ma dobbiamo rinunciarvi, perché non disponiamo di adeguati
strumenti. Siamo quindi accontentarci di una valutazione piuttosto soggettiva
del nostro disturbo. Il dolore, più o meno intenso, ci risulta sempre una
mancanza di un bene, una privazione di qualcosa cui tendiamo, una negazione di
un ordine piacevole e di un fastidio indesiderato. Se è conforme alla natura,
non va tuttavia confuso con il vero male, che è il peccato, ossia l’avversione a
Dio.
Ogni cultura cerca di capire le oscure origini di ogni dolore. Ne dà una sua
stima e indica i mezzi più efficaci, per evitarlo o per vincerlo. I nostri
contemporanei si specializzano sui singoli settori dello scibile umano, per
contrastare la crescita e l’invadenza del dolore. Dedicano ampio spazio di
tempo, per comprendere se esso scaturisce dai limiti della natura, dalla
trascuratezza personale, dal lavoro spossante o dall’abuso della tecnica.
Adottano le nuove tecnologie, applicate ai progressi specialistici della
farmacologia, della chirurgia, della neurologia e della psichiatria, per
prevenirlo, bloccarne l’aggressione, abbassarne la soglia di pericolosità,
ridurlo ad un livello di tolleranza e sconfiggerlo. Agendo sia unitariamente,
sia settorialmente, favoriscono il progresso nei vari aspetti del sapere e
prolungano la nostra vita. Meritano perciò molta stima e grande riconoscenza.
Non riescono tuttavia a vincere tutte le cause che producono il dolore e la
morte. Ne consegue che occorre mai stancarsi di studiare, indagare,
diagnosticare e sperimentare nuove possibilità d’intervento, per alleviare il
più possibile ogni pena.
Tutti i nostri sensi hanno lo scopo pratico di percepire la realtà che sta
dentro o di fronte a noi. Il dolore, sempre condivisibile e mai sostituibile, ha
una finalità benefica e salutare. Segnala la presenza di una lesione o di una
disfunzione, che alterano l’armonioso esercizio delle nostre membra. Serve a
prendere coscienza della nostra permanete limitatezza fisica. Apre la nostra
mente sui valori intramontabili e sovrumani. Ci aiuta a comprendere il senso del
creato e della nostra grandezza spirituale. Sviluppa in noi la capacità di
comprendere le difficoltà degli altri. Muove la nostra volontà di occuparci
correttamente dei malati, di impedire il loro peggioramento e di liberarli dalle
loro fragilità. Sollecita la nostra intelligenza a cercare, ad analizzare, a
sapere di più, a dibattere i risultati ottenuti dalla diramazione delle
conoscenze e con il loro accumulo risolvere i problemi pratici della nostra
esistenza. Ci dispone a distaccarci dalle realtà transitorie ed a confidare in
Dio, misericordioso, provvidente e bene supremo (Lc 16,20-31). Obbliga le nostre
coscienze ad intraprendere un cammino di maturazione, dare un valore al nostro
lavoro, unirci alla passione del Signore, trascorrere una vita più umana,
crescere nella santità, ascendere alle altezze della perfezione, acquisire
meriti e aspettare la ricompensa eterna .
Avendo compreso la funzione di ogni dolore e di ogni sofferenza, san Paolo della
Croce scrive nel diario spirituale: «Vorrei poter dire che tutto il mondo
sentisse la grande grazia che Dio per sua pietà fa, quando manda da patire, e
massime quando il patire è senza conforto, chè allora l'anima resta purificata
come l'oro nel fuoco, e viene bella e leggera per volarsene al suo Bene» .
Ricordiamo infine che il dolore, indipendente dalle colpe personali, non ci
toglie la perfezione morale, non limita la libertà di scelta, non impedisce la
crescita delle nostre potenzialità, non ci separa da Dio, né annulla la nostra
chiamata alla vita eterna. Ci muove bensì verso Dio, che opera in nostro favore
e ci prepara alla gloria celeste. San Francesco d'Assisi ne era convintissimo.
Pertanto ripeteva: «Tanto è il bene che mi aspetto, che ogni pena mi è diletto».
Solo in Dio l’uomo trova totale e definitiva completezza.
Il male originale e
originato
Secondo i racconti della Genesi, interpreti delle origini del mondo, Dio Padre
mediante la sua parola creatrice dà avvio all’universo. Assegna ad ogni realtà
una forma di ordinata autonomia, movimento e funzione. Trasmette agli esseri
creati una parte della sua energia, bellezza, armonia e gloria (Sir 18,12).
Vigila su tutta la creazione, perché non decada, conservi le sue
caratteristiche, si evolva nel tempo, si perfezioni e arrivi ad una completezza
nella Pasqua del Figlio diletto (Col 1,15-17; Eb 1,2).
Mediante una sequenza di cause seconde chiama l’uomo e la donna all’esistenza.
Modella ciascuno a sua immagine e somiglianza. Rende partecipi entrambi delle
sue perfezioni e li distingue sia da se stesso che dalle altre creature. Li
circonda quindi di una particolare predilezione. Conferisce a loro la libertà di
scelta e di azione. Chiede ai due di dialogare con lui, di apprezzare i suoi
doni, di comportarsi con filiale responsabilità, di rappresentarlo nel mondo, di
vivere in piena armonia con il creato, di conferire un nome ad ogni essere, di
dominare la materia, di conservarla nel suo ordine, di trasformarla e di
perfezionarla (Gn 1,28; 2,7). Potranno allora godere la bellezza della natura,
crescere nella beatitudine di figli ed arrivare più delle altre creature ad un
livello di massima compiutezza (Gn 1,26-28; 2,15-25).
L’uomo e la donna prendono coscienza che Dio ha donato a loro l’intelligenza, la
volontà, la possibilità di scelta e la capacità d’azione. Costatano di avere una
stretta relazione con tutte le creature. Sanno di rassomigliare a Dio, di
rispecchiare la sua bellezza. Vivono e lavorano, provando la delizia della luce,
dei colori, dei profumi e dei sapori. Avvertono qualche dolore fisico, ma senza
provarne una ferita psicologica.
Il demonio, angelo ribelle, invidioso e malvagio, non tollera che perseverino
nella comunione d'amore con Dio e godano una piena armonia. Non accetta che
conservino la dignità originale, esercitino un dominio corretto sul cosmo e
progrediscano nella perfezione. Si presenta a loro nella figura del serpente,
che nelle antiche interpretazioni è simbolo dell’intelligenza, dell’eloquenza e
della scaltrezza. Dialogando con loro, comincia a spegnere la fiducia che hanno
in Dio. Parla di lui come se fosse un crudele mentitore, dominatore e
sfruttatore. Con ironia ed astuzia distorce il senso del divieto, che egli aveva
imposto a loro per non essere travolti dal male. Consiglia quindi entrambi di
infrangere le disposizioni di Dio e di rendersi indipendenti da lui. Supereranno
allora le loro fragilità, diventeranno autosufficienti, possederanno un potere
illimitato, domineranno gli elementi del mondo, diventeranno immortali e saranno
lieti per sempre. ella ha in lui.
Essi cedono alle false, suggestive e ipnotizzanti parole del demonio, principe
della perversione (Gn 3,1). Iniziano a guardare con fascino il frutto, prodotto
dall’albero del bene e del male. Abusano della loro libertà, si idolatrano,
rifiutano le deliberazioni di Dio e lo trattano da despota, ricattatore,
bugiardo e spregevole. Costatando che il frutto della pianta è «buono da
mangiare, gradito agli occhi e desiderabile» (Gn 3,9) compiono una ribellione,
da cui scaturisce una scissione e una perturbazione interiore (Gn 3,1-11).
Piegatisi sul proprio io, smarriscono così il senso della loro esistenza e delle
loro sofferenze. Perdono l’originario stato di verità, di unità, di armonia, di
giustizia, di felicità, di prestigio e di potenza. Diventano vittime del potere
diabolico e del loro orgoglioso egoismo. Inclinati più al male che al bene,
vedono le realtà non più come prima. Si accorgono di aver perduto l’innocenza
originaria, di essere divenuti simili al serpente invidioso e insidioso.
Sperimentano dunque il regresso, la debolezza, lo sconquasso, l’inimicizia, lo
sbriciolamento delle relazioni, la conflittualità e il rischio di perdere la
vita. Vorrebbero riacquistare la precedente dignità, che conferiva soddisfazione
e sviluppo alla loro esistenza, ma non hanno il coraggio di chiedere perdono a
Dio d’essersi ribellati a lui. Si vergognano di se stessi e si nascondono.
Iniziano un cammino di distacco da Dio, che li porta a conoscere la difformità,
la contraddittorietà, il depotenziamento, la separazione e la tentazione di
compiere altre ribellioni. Vittime della concupiscenza, che inclina al peccato,
affaticano amarsi, ripristinare l’armonia perduta, distinguere il bene dal male,
rispettare le creature, migliorare le qualità personali, incrementare i beni
temporali, attribuire un valore alle loro opere e tendere alla perfezione, quale
fine ultimo della propria vita. Conservano l’immagine e la somiglianza di Dio,
ma perdono la conoscenza della verità oggettiva. Si guardano con sospetto,
sfiducia e desolazione. Temono che l’altro sia una presenza fastidiosa e
pericolosa. Non dialogano più sinceramente e si accusano con perfidia.
Percepiscono il gravame della procreazione, del lavoro, della malattia e
dell’invecchiamento. Costatano l'offuscamento della loro intelligenza,
l’indebolimento della volontà e la difficoltà del giusto discernimento.
Esperimentano un’inquietudine, che li lacera ed angoscia .
Rimane tuttavia in loro il forte desiderio di giustizia, di verità, di pace, di
perfezione e di comunione con Dio, sempre disposto a trarre il bene dal male (Rm
3,5.7). Possiedono la facoltà di respingere il peccato, aborrire le azioni
mortificanti, sconfiggere le malattie, proteggere la loro vita, guardare con
ottimismo il futuro, infondere un significato gioioso alle proprie sofferenze e
attendere la redenzione nella Pasqua di Gesù.
Gli studi scientifici non ci hanno dato finora conoscenze certe sugli inizi e
sullo sviluppo della nostra vita, proveniente da Dio e da una lunghissima catena
di passaggi. Come abbiamo riferito sappiamo che la creazione intera è stata
intaccata dal peccato ed è «sottomessa alla caducità» (Rm 8,20), all'invasione
del male e al potere della corruzione (2 Ts 2,7). Nessuno è immune dall’influsso
di questo guastato genetico. Per la propagazione da padre a figlio siamo nati
con un’umanità corrotta, ferita e fragile (Sal 50,7; Sir 25,24). Abbiamo
iniziato la nostra vita in una situazione di separazione da Dio, di
disobbedienza, di concupiscenza, di decadenza e di infelicità (Rm 5,12;
6,12-14). Soffriamo gli effetti negativi del peccato originale, che ci spingono
ad opporci a Dio e ostacolano la nostra chiamata alla crescita spirituale (Rm
5,19). Nel profondo del nostro essere.notiamo un certo sconquasso. Avvertiamo in
noi il dominio della concupiscenza, che seduce e genera disordine . Vorremmo
escludere la sovranità di Dio sul creato ed esercitare la supremazia su ogni
cosa. Senza essere pessimisti, costatiamo che il nostro desiderio di potenza
infinita origina squilibri sociali, disgregazioni, tensioni, incomunicabilità,
vergogne e una forma di anestesia parziale.
Gli atei moderni, influenzati dalle asserzioni pelagiane e illuministe, separano
l’uomo da Dio. Ripudiano la dottrina ebraica e cristiana della defezione
originaria dell’umanità. Orientano i contemporanei verso il dominio della
materia e verso il benessere terreno. Insegnano che il male non ha mai intaccato
la nostra natura. Asseriscono che è il Fato ad aggredire e colpire brutalmente
qualsiasi persona. Non riescono tuttavia a spiegare e dimostrare le ragioni, che
determinano la dannosa azione del Fato. La Chiesa, garante della verità
rivelata, ci assicura che Dio agisce sempre positivamente. C’insegna inoltre che
una parte delle nostre sofferenze dipende da un guasto ereditario, paragonabile
ad un cataclisma (Gn 6,5.11). Ci chiede quindi di mantenerci in comunione con
Dio, per vincere le conseguenze della defezione originaria, accogliere la grazia
redentrice di Gesù Cristo, essere liberi e vivere nella speranza della felicità
definitiva.
Il male personale e collettivo
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