giovedì 25 luglio 2019

IL MALE PERSONALE E COLLETTVO , di Padre Felice Artuso



IL MALE PERSONALE E COLLETTVO
di Padre Felice Artuso 
                           
 
 
 
 
Gli aspetti del male fisico

L’universo è costituito da miliardi di sistemi stellari simili alla Via Lattea. Hanno un ordinato movimento in continua accelerazione ed espansione. Esercitano un influsso che determina alterazioni e mutamenti sull’intero sistema cosmico. Non possiedono tuttavia sostanze o mescolanze maligne. Sono in se stessi buoni e utili all’uomo. Testimoniano perlomeno a noi la potenza e la sapienza di Dio. Potrebbero possedere delle forme di vita, di cui si occupano gli scienziati e la letteratura futuristica. Noi siamo un piccolissimo frammento rispetto ai grandissimi corpi celesti, ma valiamo molto di più di tutta la materia dell’universo, perché abbiamo la coscienza di essere chiamati a raggiungere una bellezza infinita.
Ogni elemento vitale del nostro globo terrestre nasce, si sviluppa, si moltiplica, si trasforma, si esaurisce e scompare. Viene classificato in base alla sua funzione e al suo grado di perfezione. Aggredisce e distrugge gli altri esseri, mantenendo un certo equilibrio di presenze nella natura. Ad esempio i microrganismi deformano gradualmente la struttura dei minerali, dei vegetali; gli erbivori rovinano ed eliminano i vegetali; i rapaci e i carnivori assaltano, uccidono e divorano le loro prede. Molteplici malattie compromettono la salute degli animali e degli uomini. Senza chiedere il permesso, danneggiano particolarmente i bambini e i giovani, gli adulti e gli anziani, i ricchi e i poveri, i credenti e gli atei, i colpevoli e gli innocenti. Scrollano tutte le nostre fibre. Cagionano in noi disfunzioni organiche. Ci privano della libertà e della dignità personale. Nei casi più acuti alterano la nostra integrità. Tolgono l’energia necessaria al movimento. Limitano le nostre abitudini, relazioni, progetti e impegni. Ci obbligano talora alla completa disabilità, dipendenza e isolamento. Scatenano in noi emozione, affaticamento, insicurezza, disagio, incupimento. Vorremmo misurare l'esatta dimensione del nostro dolore corporeo o psichico, ma dobbiamo rinunciarvi, perché non disponiamo di adeguati strumenti. Siamo quindi accontentarci di una valutazione piuttosto soggettiva del nostro disturbo. Il dolore, più o meno intenso, ci risulta sempre una mancanza di un bene, una privazione di qualcosa cui tendiamo, una negazione di un ordine piacevole e di un fastidio indesiderato. Se è conforme alla natura, non va tuttavia confuso con il vero male, che è il peccato, ossia l’avversione a Dio.
Ogni cultura cerca di capire le oscure origini di ogni dolore. Ne dà una sua stima e indica i mezzi più efficaci, per evitarlo o per vincerlo. I nostri contemporanei si specializzano sui singoli settori dello scibile umano, per contrastare la crescita e l’invadenza del dolore. Dedicano ampio spazio di tempo, per comprendere se esso scaturisce dai limiti della natura, dalla trascuratezza personale, dal lavoro spossante o dall’abuso della tecnica. Adottano le nuove tecnologie, applicate ai progressi specialistici della farmacologia, della chirurgia, della neurologia e della psichiatria, per prevenirlo, bloccarne l’aggressione, abbassarne la soglia di pericolosità, ridurlo ad un livello di tolleranza e sconfiggerlo. Agendo sia unitariamente, sia settorialmente, favoriscono il progresso nei vari aspetti del sapere e prolungano la nostra vita. Meritano perciò molta stima e grande riconoscenza. Non riescono tuttavia a vincere tutte le cause che producono il dolore e la morte. Ne consegue che occorre mai stancarsi di studiare, indagare, diagnosticare e sperimentare nuove possibilità d’intervento, per alleviare il più possibile ogni pena.
Tutti i nostri sensi hanno lo scopo pratico di percepire la realtà che sta dentro o di fronte a noi. Il dolore, sempre condivisibile e mai sostituibile, ha una finalità benefica e salutare. Segnala la presenza di una lesione o di una disfunzione, che alterano l’armonioso esercizio delle nostre membra. Serve a prendere coscienza della nostra permanete limitatezza fisica. Apre la nostra mente sui valori intramontabili e sovrumani. Ci aiuta a comprendere il senso del creato e della nostra grandezza spirituale. Sviluppa in noi la capacità di comprendere le difficoltà degli altri. Muove la nostra volontà di occuparci correttamente dei malati, di impedire il loro peggioramento e di liberarli dalle loro fragilità. Sollecita la nostra intelligenza a cercare, ad analizzare, a sapere di più, a dibattere i risultati ottenuti dalla diramazione delle conoscenze e con il loro accumulo risolvere i problemi pratici della nostra esistenza. Ci dispone a distaccarci dalle realtà transitorie ed a confidare in Dio, misericordioso, provvidente e bene supremo (Lc 16,20-31). Obbliga le nostre coscienze ad intraprendere un cammino di maturazione, dare un valore al nostro lavoro, unirci alla passione del Signore, trascorrere una vita più umana, crescere nella santità, ascendere alle altezze della perfezione, acquisire meriti e aspettare la ricompensa eterna .
Avendo compreso la funzione di ogni dolore e di ogni sofferenza, san Paolo della Croce scrive nel diario spirituale: «Vorrei poter dire che tutto il mondo sentisse la grande grazia che Dio per sua pietà fa, quando manda da patire, e massime quando il patire è senza conforto, chè allora l'anima resta purificata come l'oro nel fuoco, e viene bella e leggera per volarsene al suo Bene» .
Ricordiamo infine che il dolore, indipendente dalle colpe personali, non ci toglie la perfezione morale, non limita la libertà di scelta, non impedisce la crescita delle nostre potenzialità, non ci separa da Dio, né annulla la nostra chiamata alla vita eterna. Ci muove bensì verso Dio, che opera in nostro favore e ci prepara alla gloria celeste. San Francesco d'Assisi ne era convintissimo. Pertanto ripeteva: «Tanto è il bene che mi aspetto, che ogni pena mi è diletto». Solo in Dio l’uomo trova totale e definitiva completezza.
 
 
 
 
Il male originale e originato

Secondo i racconti della Genesi, interpreti delle origini del mondo, Dio Padre mediante la sua parola creatrice dà avvio all’universo. Assegna ad ogni realtà una forma di ordinata autonomia, movimento e funzione. Trasmette agli esseri creati una parte della sua energia, bellezza, armonia e gloria (Sir 18,12). Vigila su tutta la creazione, perché non decada, conservi le sue caratteristiche, si evolva nel tempo, si perfezioni e arrivi ad una completezza nella Pasqua del Figlio diletto (Col 1,15-17; Eb 1,2).
Mediante una sequenza di cause seconde chiama l’uomo e la donna all’esistenza. Modella ciascuno a sua immagine e somiglianza. Rende partecipi entrambi delle sue perfezioni e li distingue sia da se stesso che dalle altre creature. Li circonda quindi di una particolare predilezione. Conferisce a loro la libertà di scelta e di azione. Chiede ai due di dialogare con lui, di apprezzare i suoi doni, di comportarsi con filiale responsabilità, di rappresentarlo nel mondo, di vivere in piena armonia con il creato, di conferire un nome ad ogni essere, di dominare la materia, di conservarla nel suo ordine, di trasformarla e di perfezionarla (Gn 1,28; 2,7). Potranno allora godere la bellezza della natura, crescere nella beatitudine di figli ed arrivare più delle altre creature ad un livello di massima compiutezza (Gn 1,26-28; 2,15-25).
L’uomo e la donna prendono coscienza che Dio ha donato a loro l’intelligenza, la volontà, la possibilità di scelta e la capacità d’azione. Costatano di avere una stretta relazione con tutte le creature. Sanno di rassomigliare a Dio, di rispecchiare la sua bellezza. Vivono e lavorano, provando la delizia della luce, dei colori, dei profumi e dei sapori. Avvertono qualche dolore fisico, ma senza provarne una ferita psicologica.
Il demonio, angelo ribelle, invidioso e malvagio, non tollera che perseverino nella comunione d'amore con Dio e godano una piena armonia. Non accetta che conservino la dignità originale, esercitino un dominio corretto sul cosmo e progrediscano nella perfezione. Si presenta a loro nella figura del serpente, che nelle antiche interpretazioni è simbolo dell’intelligenza, dell’eloquenza e della scaltrezza. Dialogando con loro, comincia a spegnere la fiducia che hanno in Dio. Parla di lui come se fosse un crudele mentitore, dominatore e sfruttatore. Con ironia ed astuzia distorce il senso del divieto, che egli aveva imposto a loro per non essere travolti dal male. Consiglia quindi entrambi di infrangere le disposizioni di Dio e di rendersi indipendenti da lui. Supereranno allora le loro fragilità, diventeranno autosufficienti, possederanno un potere illimitato, domineranno gli elementi del mondo, diventeranno immortali e saranno lieti per sempre. ella ha in lui.
Essi cedono alle false, suggestive e ipnotizzanti parole del demonio, principe della perversione (Gn 3,1). Iniziano a guardare con fascino il frutto, prodotto dall’albero del bene e del male. Abusano della loro libertà, si idolatrano, rifiutano le deliberazioni di Dio e lo trattano da despota, ricattatore, bugiardo e spregevole. Costatando che il frutto della pianta è «buono da mangiare, gradito agli occhi e desiderabile» (Gn 3,9) compiono una ribellione, da cui scaturisce una scissione e una perturbazione interiore (Gn 3,1-11). Piegatisi sul proprio io, smarriscono così il senso della loro esistenza e delle loro sofferenze. Perdono l’originario stato di verità, di unità, di armonia, di giustizia, di felicità, di prestigio e di potenza. Diventano vittime del potere diabolico e del loro orgoglioso egoismo. Inclinati più al male che al bene, vedono le realtà non più come prima. Si accorgono di aver perduto l’innocenza originaria, di essere divenuti simili al serpente invidioso e insidioso. Sperimentano dunque il regresso, la debolezza, lo sconquasso, l’inimicizia, lo sbriciolamento delle relazioni, la conflittualità e il rischio di perdere la vita. Vorrebbero riacquistare la precedente dignità, che conferiva soddisfazione e sviluppo alla loro esistenza, ma non hanno il coraggio di chiedere perdono a Dio d’essersi ribellati a lui. Si vergognano di se stessi e si nascondono.
Iniziano un cammino di distacco da Dio, che li porta a conoscere la difformità, la contraddittorietà, il depotenziamento, la separazione e la tentazione di compiere altre ribellioni. Vittime della concupiscenza, che inclina al peccato, affaticano amarsi, ripristinare l’armonia perduta, distinguere il bene dal male, rispettare le creature, migliorare le qualità personali, incrementare i beni temporali, attribuire un valore alle loro opere e tendere alla perfezione, quale fine ultimo della propria vita. Conservano l’immagine e la somiglianza di Dio, ma perdono la conoscenza della verità oggettiva. Si guardano con sospetto, sfiducia e desolazione. Temono che l’altro sia una presenza fastidiosa e pericolosa. Non dialogano più sinceramente e si accusano con perfidia. Percepiscono il gravame della procreazione, del lavoro, della malattia e dell’invecchiamento. Costatano l'offuscamento della loro intelligenza, l’indebolimento della volontà e la difficoltà del giusto discernimento. Esperimentano un’inquietudine, che li lacera ed angoscia .
Rimane tuttavia in loro il forte desiderio di giustizia, di verità, di pace, di perfezione e di comunione con Dio, sempre disposto a trarre il bene dal male (Rm 3,5.7). Possiedono la facoltà di respingere il peccato, aborrire le azioni mortificanti, sconfiggere le malattie, proteggere la loro vita, guardare con ottimismo il futuro, infondere un significato gioioso alle proprie sofferenze e attendere la redenzione nella Pasqua di Gesù.
Gli studi scientifici non ci hanno dato finora conoscenze certe sugli inizi e sullo sviluppo della nostra vita, proveniente da Dio e da una lunghissima catena di passaggi. Come abbiamo riferito sappiamo che la creazione intera è stata intaccata dal peccato ed è «sottomessa alla caducità» (Rm 8,20), all'invasione del male e al potere della corruzione (2 Ts 2,7). Nessuno è immune dall’influsso di questo guastato genetico. Per la propagazione da padre a figlio siamo nati con un’umanità corrotta, ferita e fragile (Sal 50,7; Sir 25,24). Abbiamo iniziato la nostra vita in una situazione di separazione da Dio, di disobbedienza, di concupiscenza, di decadenza e di infelicità (Rm 5,12; 6,12-14). Soffriamo gli effetti negativi del peccato originale, che ci spingono ad opporci a Dio e ostacolano la nostra chiamata alla crescita spirituale (Rm 5,19). Nel profondo del nostro essere.notiamo un certo sconquasso. Avvertiamo in noi il dominio della concupiscenza, che seduce e genera disordine . Vorremmo escludere la sovranità di Dio sul creato ed esercitare la supremazia su ogni cosa. Senza essere pessimisti, costatiamo che il nostro desiderio di potenza infinita origina squilibri sociali, disgregazioni, tensioni, incomunicabilità, vergogne e una forma di anestesia parziale.
Gli atei moderni, influenzati dalle asserzioni pelagiane e illuministe, separano l’uomo da Dio. Ripudiano la dottrina ebraica e cristiana della defezione originaria dell’umanità. Orientano i contemporanei verso il dominio della materia e verso il benessere terreno. Insegnano che il male non ha mai intaccato la nostra natura. Asseriscono che è il Fato ad aggredire e colpire brutalmente qualsiasi persona. Non riescono tuttavia a spiegare e dimostrare le ragioni, che determinano la dannosa azione del Fato. La Chiesa, garante della verità rivelata, ci assicura che Dio agisce sempre positivamente. C’insegna inoltre che una parte delle nostre sofferenze dipende da un guasto ereditario, paragonabile ad un cataclisma (Gn 6,5.11). Ci chiede quindi di mantenerci in comunione con Dio, per vincere le conseguenze della defezione originaria, accogliere la grazia redentrice di Gesù Cristo, essere liberi e vivere nella speranza della felicità definitiva.



Il male personale e collettivo
 
Siamo spesso incoerenti e infedeli ai nostri impegni. Abusiamo del dono della libertà per garantirci illeciti profitti. Scegliamo deliberatamente il male al bene, l'egoismo alla carità, la superbia all'umiltà e la durezza alla tenerezza. Assumiamo un atteggiamento presuntuoso, intransigente e difforme al piano salvifico di Dio. Escludiamo stoltamente lui dalla nostra vita quotidiana. Eleviamo tra noi e lui un alto muro di separazione. Pertanto non lo ascoltiamo, non lo onoriamo, non lo invochiamo e non lo glorifichiamo. Respingiamo di mantenerci in un rapporto d’amore con lui, bellezza immensa, bontà infinita e sovrano assoluto della nostra vita. Rifiutiamo la sua presenza e il suo aiuto come se fosser qualcosa di fastidioso ingombro. Deviati dalla cammino che egli ci ha indicato per arrivare alla gloria immortale, puntiamo unicamente sui nostri valori intellettivi, sulle nostre capacità e sulle nostre prospettive. Ripetiamo in qualche modo l’atteggiamento ribelle e superbo di Adamo ed Eva, nostri progenitori.
Il peccato personale e collettivo, scaturito dal libero e consapevole rifiuto di Dio, produce ovviamente il male. Ferisce anzitutto Dio, che ci ama e ci elargisce salvezza. Impedisce che tra noi e lui regni l’amicizia, l’intesa e la collaborazione. Sopprime poi il bene, che abbiamo compiuto con tanta fatica. Estranea tutti noi dalle comuni regole della fede. Ostacola la nostra intelligenza a conoscere la verità delle cose e a darne una comprensibile spiegazione. Condiziona il nostro discernimento sui progetti conseguibili. Impedisce a noi di maturare spiritualmente e di arrivare alla perfezione finale in Gesù Cristo. Ci induce a crescere nelle iniquità (Eb 9,14). Immette ognuno di noi in una situazione d’irresponsabilità, insensatezza, litigiosità, ribellione, odio, ingiustizia, schiavitù, emarginazione e sofferenza (Rm 1,21.25). Ci sovraccarica di problemi, ambiguità, incertezze, delusioni, inquietudini, separazioni, tristezze e timori . Addossa sempre a noi impotenza, instabilità, asservimento, squilibrio sociale e menomazione . Avvizzisce la nostra vita, rendendola simile alle aride foglie in balia del vento (Is 64,5). Colpisce, deprime, devasta, deforma e distrugge il nostro fisico. Lo costringe ad entrare in uno stato di corruzione e di invecchiamento precoce. Esercita anche un influsso deleterio sui nostri posteri . Quanto più pecchiamo gravemente, tanto più rovinano noi stessi e gli altri . Costatiamo la potenza distruttrice dei nostri peccati nelle ingiustizie sociali, nei devastazioni delle armi, nei volti deturpati degli abbandonati, nei pianti degli ingannati e nei lamenti dei condannati.
Avendo meditato sulle dolorose conseguenze delle colpe personali, un salmista scrive: «L'empio produce ingiustizia, concepisce malizia, partorisce menzogna. Egli scava un pozzo profondo e cade nella fossa che ha fatto; la sua malizia ricade sul suo capo, la sua violenza gli piomba sulla testa» (Sal 7,15-17). L’autore dei Proverbi, profondo conoscitore dei nefasti effetti del peccato, presenta Dio che dichiara: «Chi pecca contro di me, danneggia se stesso; quanti mi odiano amano la morte» (Pr 8,36); «Chi rende male per bene, vedrà sempre la sventura in casa» (Pr 17,13). Sul nocivo influsso del peccato Gesù Cristo aggiunge: «Chiunque commette il peccato è schiavo del peccato» (Gv 8,34) e l’apostolo Paolo precisa: «Salario della morte è il peccato» (Rm 6,23).
I peccati più gravi, che deturpano la nostra vita, oggi hanno questo nome: «genocidio, terrorismo, traffico delle armi, aborto, eutanasia, tortura, carcerazione arbitraria, deportazione, razzismo, sfruttamento dei paesi poveri, condizioni indegne di vita e di lavoro, violenza sui minori, mercato delle donne, commercio pornografico, traffico di droga, corruzione politica e amministrativa, speculazione finanziaria, evasione fiscale, speculazione edilizia, inquinamento ambientale» . L’effetto devastante dei peccati apparirà più evidente al giustizio universale, quando coloro che hanno scelto di vivere definitivamente contro Dio si stabilizzeranno nella dannazione eterna (Mt 25,41).
 
    



 
 
 
 


Fonte : scritti e appunti di Padre Felice Artuso (religioso Passionista)






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