giovedì 25 luglio 2019

CHIESA SAN GIUSEPPE A MORBEGNO - SO Architetto Luigi Caccia Dominioni , di Alessio Varisco



CHIESA SAN GIUSEPPE A MORBEGNO - SO
Architetto Luigi Caccia Dominioni
di Alessio Varisco




Una svolta nella poetica di Dominioni? La parrocchiale di San Giuseppe in Morbegno
 
In Lombardia Luigi Caccia Dominioni ha tracciato molte pagine di storia dell’architettura –oltre ai suoi contributi di design-, vanta una vastissima produzione. La sua attività è segnata da una spasmodica ricerca di una modernità che raggiunge –però- le radici delle tradizioni locali. L’interesse per il restyling edilizio e urbano, l’attenzione al dettaglio e un’innata sensibilità –eccezionale- alla ricerca estetica, che fanno dei suoi interventi –sia architettonici che di design- un’armonica composizione, sempre inventiva, che non decade mai nel mero “formale” o “ornamentale”; la qualità che più spicca è il gioco della luce nei suoi edifici religiosi, siano essi chiese o conventi, dominati, forse architetture soprattutto di luce che richiamano grandi pagine della storia dell’arte sacra.
Luigi Caccia Dominioni negli anni Novanta elabora una particolare molto elaborata soluzione estetica si trova in Valtellina. La committenza, non nuova all’architetto milanese, di una diocesi, questa volta quella comasca, che gli affida -in provincia di Sondrio- a Morbegno l’edificazione della Chiesa Parrocchiale di San Giuseppe.
L’edificio religioso sorge in un'area marginale alla città storica –un quartiere di nuova edificazione- la chiesa è costruita su un terreno in leggera pendenza. Il tempio cristiano di Morbegno elaborato dal Caccia Dominioni è solo una parte di più un vasto complesso comprendente opere parrocchiali, servizi sociali e spazi commerciali.
In questo spazio religioso si nota come l'architetto milanese accolga la sfida costruttiva moderna. Difatti vengono impiegate molte strutture prefabbricate, modellandole secondo però con sapienza, aggiungendo l’estro e l’apporto della propria sensibilità. L’intero edificio di culto è infatti realizzato completamente in pannelli prefabbricati rivestiti con ghiaietto. La particolarità del materiale è tutt’altro che povero: esso è ottenuto da materiale di scavo autoctono.
L’impianto planimetrico è a ventaglio, si sviluppa ed avviluppa tutto attorno all’axis portante che è l'altare. Il disegno è arricchito da linee curvilinee -cerchi, ellissi, spirali- che finiscono con l’assecondare il flusso dei fedeli che entrano. La particolarità è resa dall’atmosfera coinvolgente che richiama il popolo all’ingresso, alla sosta soprattutto e all’uscita nelle aree porticate che nell'interno. Tre enormi travi in cemento armato precompresso contrassegnano la convergenza del soffitto che sembra inclinarsi e piegarsi verso il nodo presbiteriale (1), unica area in cui la luce entra diretta e pare disegnare un "incrocio drammatico, quasi la crocifissione".
 
 
Chiesa di San Giuseppe – Morbegno (SO)

È venerdì 19 marzo 1993, finalmente la nuova sfrontata struttura dell’architetto milanese trova la sua solenne consacrazione. È così che la Chiesa Parrocchiale viene definitivamente dedicata al culto e a San Giuseppe.
Luigi Caccia Dominioni privilegia la definizione “Chiesa di San Giuseppe ai Prati Grassi”, mantenendo fresco in quel toponimo la sensazione di positiva e di felice chiesa .
A distanza di ben 213 anni –da quella solenne benedizione della chiesa Collegiata di San Giovanni Battista- si consacra una nuova chiesa in Morbegno, nuova, dalle linee sinuose ed avvolgenti, a tratti ardite per la cittadina valtellinese.
Prendono parte a quella cerimonia di consacrazione le autorità religiose, oltre alle autorità civili. Tutti accorrono per la consacrazione di una nuova chiesa in Morbegno (2). Un segno anche di scelta, di modernità. Un fulcro per un erigendo quartiere. Una scelta di coraggio.
L’intento di questa comunità parrocchiale -che aveva fortemente reclamato la costruzione di una chiesa- è quello di segnalare che il punto fermo del nuovo agglomerato urbano fosse un tempio cristiano.
Così Monsignor Marchesini, insieme a quei fedeli -abitanti del nuovo quartiere- diede vita ad un progetto ardito, sottoposto alla commissione diocesana per la costruzione di nuove chiese. è così che nacque, dall’operosità e dall’intraprendenza della cittadina valtellinese, la nuova chiesa parrocchiale. Quest’inclinazione alla laboriosità -tipica dei lombardi- portò persino a chiedere che quella chiesa fosse intitolata a San Giuseppe Lavoratore. E così avvenne. La chiesa verrà dedicata all’operoso falegname di Nazareth, l’artigiano per antonomasia.
Il quartiere mancava di una propria aula liturgica. Si era formato dopo le disparate fasi espansionistiche della città di Morbegno. In particolare il quartiere era costretto nel suo evolversi da un limite fisico ben preciso ed ingombrante che segnerà –come sottolinea Zevi nella sua “Controstoria dell’architettura in Italia”- lo sviluppo di molti centri urbani: la ferrovia, che qui in Valtellina arrivò a fine Ottocento. Nei primi del Novecento –e poi successivamente- l’impianto urbano sarà tutto centrato dall’apertura di una nuova strada -via Ambrosetti- e successivamente dall’apertura della strada statale. Infine sono da segnalare la costruzione di nuove case nell’area Nord.
Per quest’ardua riprogettazione dell’urbanizzazione di un centro così segnato da molti problemi la scelta ricade quasi spontaneamente su Luigi Caccia Dominioni -architetto milanese-, figlio di Ambrogio, già Sindaco di Morbegno.
L’impresa di costruzione è la ditta Zecca Prefabbricati di Cosio Valtellino che esegue la costruzione, iniziata nel 1988.
L’architetto milanese già si era interessato di Morbegno presentandosi ad un concorso bandito nel 1940  mediante un progetto di raccordo tra aree vecchie e nuove della città; mentre negli anni 1965 e 1966 si era dedicato alla progettazione della Biblioteca Civica, architettura particolare effettuata con i sassi levigati del Bitto, felice preludio all’odierno edificio sacro. Come anche la nuova chiesa di Paniga.
La chiesa di San Giuseppe si leva su di un lieve pendio, all’incrocio tra due grandi coordinate viarie cittadine: Via Alpini e Viale Forestale, dove si erge un nuovo centro residenziale, commerciale e di servizi che ha ormai assunto una sua fisionomia.
Particolarità che bisogna sottolineare: l’edificio non occupa a forza il tracciato stradale ma vi si accompagna. L’equilibrio di Caccia Dominioni del “risolvere” lo spazio circostante è qui magnificato splendidamente. L’architetto milanese con il suo disegno non sfida verticalmente le vette circostanti, modula le proprie forme all’andamento del terreno, al profilo delle montagne tagliate contro quel cielo che come dice Luigi Caccia Dominioni ”…così bello quand’è bello”.
Certo la struttura spicca nello scenario generale urbanistico, si può affermare che vada anche un po’ contro. Un’architettura -questa di Morbegno- dal carattere spiccato che non teme di “squarciare”, di esser opposta alla tendenza dell’architettura del razionalismo ed un po’ sposandosi quasi verso l’architettura organica. Certo è che Caccia Dominioni si dimostra molto attento ai caratteri del paesaggio circostante e dell’ambiente in cui il prodotto è intercalato.
Tuttavia bisogna anche riportare che agli occhi di molti –soprattutto dei cittadini più abituati a quelle chiese del centro storico- l’edificio si evidenzia come un qualcosa di estraneo. Quest’anomala struttura per molti è troppo moderna, troppo spoglia e grigia…. Forse, -per questi tradizionalisti- troppo diversa dalle chiese a cui si è abituati. La stessa sensazione è anche dei parrocchiani del quartiere monzese di San Biagio che a fine anni Sessanta si son visti erigere una “enorme tenda” di pietre che poco hanno tollerato e che –a distanza di anni- ancora contestano per arditezza e “impatto” nell’equilibrio di un borgo comunque storico e di uno stile molto più antico.
Monsignor Marchesini prevedeva questa reazione dei cittadini di Morbegno. Anche se codesta reazione è –mio avviso come quella dei monzesi- abbastanza normale, nonché prevedibile, ma occorre andare un po’ più in profondità.
È opportuno osservare attentamente che ogni epoca riporta un’elaborazione di propri “manufatti” e che ogni oggetto artistico è un’espressione del proprio tempo. Si pensi alla “stratificazione” dei molti stili presenti nelle stupende capitali europeo. Questa consapevolezza è già un piccolo passo avanti per comprendere l’efficacia e la possibilità che anche l’architettura contemporanea possa farsi spazio, anche nell’elaborazione di nuovi spazi sacri, siano essi chiese, sinagoghe o moschee...
Dando un’occhiata alla pianta della chiesa –consultando anche i bozzetti o gli esecutivi dell’architetto Caccia Dominioni- ci si accorgerà che l’occhio vola sciolto per poi raccogliersi in volute che abbracciano altri ambienti: il presbiterio, il portico, la cappella feriale ed il campanile.
L’intera organizzazione dello spazio –esterno ed interno- ha luogo per scorrimenti di linee curve. L’elemento curvilineo compone lo spazio architettonico, lo delinea, ed è così un’alternanza di ovali, sinusoidali, ellittiche, che sono peculiarità specifiche dell’architettura di Luigi Caccia Dominioni.
Analizzando l’esterno ci si rende conto che l’avancorpo del portico pare risucchiare la corona aperta del blocco architettonico dove oggi hanno sede gli uffici finanziari, ed invia nuovamente al dolce profilo del tetto –come un manto- che si dispiega placidamente –nonché plasticamente- sulle strutture che contengono l’ecclesia dei fedeli.
Il portico –elemento cardine a chi osserva dall’esterno-, equilibrio per antonomasia nell’alchimia degli spazi in qualsiasi fase della storia dell’arte (fra pieni e vuoti), sembra avanzare verso il fedele –quasi farsi prossimo e venirgli incontro- ed accompagnarlo nell’interno del sistema sacro, immetterlo nell’arca della Salvezza, in una “naos” protetta. Quest’operazione è ancora più complessa a livello concettuale perché Luigi Caccia Dominioni lo sprona verso l’interno con la spinta di un secondo portico.
L’elemento copertura è un’essenzialità della lettura di questa chiesa. Memore dei grandi classici dell’architettura contemporanea sacra –si pensi alla Cappella Rochamp di Le Corbusier o la Chiesa dell’autostrada di Michelacci- diviene un attributo di riconoscibilità e di dialogo con lo spazio, determinato dall’interazione di elementi curvilinei in pianta ed orizzontali in alzata. Qui il tetto è reso dall’arhitetto milanese mediante una grondaia avvolta che si incanala verso uno spazio aperto –quello dell’alta valle- e ad un certo punto inverte rotta sino ad attorcigliare il campanile per poi sfumare e concludersi.
Sappiamo che per l’architetto l’integrazione del campanile è stato un momento di dibattito interiore: «ci sarà una grande croce parafulmine. E questo ha un senso simbolico evidente. Il parafulmine attira su di sé i fulmini per neutralizzarli ,così come Gesù sulla croce attira su di sé tutti i peccati dell’uomo per redimerlo. In secondo luogo un segnavento con lo stemma della città di Morbegno e quindi una antenna parabolica per ricevere ,ad esempio, i discorsi del Papa e degli altoparlanti per diffonderli. Non ho ancora deciso per le campane, se lasciarle all’aria aperta o se coprirle con un tetto in rame».
Quest’ansia è resa dagli innumerevoli schizzi che stanno a testimoniare la preoccupazione di decidere e risolvere un elemento che avrebbe “risolto” e completato l’esterno in maniera irreversibile, dando quel tocco finale su tutto l’ambiente circostante.
La struttura che risulta quest’oggi è un’armonica realtà. Anche da queste banali cronache emerge l’infinita cura –meticolosa ed estremamente interessata- di Luigi Caccia Dominioni che si sofferma a pensare al “particolare”, per rendere con più energia il “totale”. Una scelta estetica mai semplice. Non dimentichiamo che è in gioco l’elaborazione di una chiesa in un centro post-rurale alla base di una valle alpina, non è certo nella metropoli meneghina…. perciò non è fuori luogo questa attenzione rivolta persino ai minimi particolari. È caratteristica propria dell’architetto milanese qui all’esterno ed anche negli altri spazi della chiesa poiché fa parte del suo metodo di lavoro «…di aver voluto essere anche designer,per poter essere compiutamente architetto».
Soffermiamoci sempre all’esterno sul balconcino che si presenta su via Monsignor Danieli presenta le seguenti caratteristiche: leggerezza –simile ai merletti o ai pizzi di una bellissima tenda-, la stessa che rinveniamo internamente ad ornare le scale della chiesa, le scale di servizio esterne, i coronamenti e le soste… I balconi –simili ai portici segnano la levità del passaggio fra interno ed esterno, pieno/vuoto- sono inopinabile “firma” dei progetti di Caccia Dominioni: li cura, li modella e rimodella, li traccia dopo averli a lungo pensati e schizzati, infine pare accarezzino. Sempre così nuovi eppure così terribilmente -e fatalmente- a livello stilistico riconducibili al loro progettista.
Veniamo al ritmo, nuovamente acceso e brioso, che spicca –e sembra uscir fuori- dalle linee del disegno di un progetto teorico, dapprima astratto, per divenire man mano “movimento”. La flessuosità delle linee –come già detto- crea una ritmica all’opera, internamente sull’ambiente che la circonda, internamente nell’aula liturgica e dentro ciascun fedele che sosta orante dinanzi queste pietre che cantano, non importa se sono precompresse… Sulla ritmicità curvilinea del profilo della costruzione si rimanda alle parole di Caccia Dominioni: «ritengo che l’uomo si muove essenzialmente per linee curve. Non esiste un percorso umano rettilineo . L’uomo non cammina per linee rigidamente rette… ma per linee circolari,ovali o sinuose che siano. Questa forma propria del movimento umano è matrice della forma architettonica “. E così i muri perimetrali vengono investiti dalla luce o coperti d’ombra a seconda del mutare del movimento delle forme. Ed il colore? “L’architettura sorge e nasce dal luogo e sul luogo , il colore giusto è quello della terra su cui sorge l’edificio… ho fatto ricorso ai materiali del posto. Ho fatto fare gli scavi e ho fatto triturare le pietre estratte nello scavo»(3).
In quest’opera valtellinese la tecnica e l’arte si sono imbattute opportunamente ed hanno qui prodotto –grazie alla miscela del calcestruzzo e della ghiaia del Bitto- i pannelli prefabbricati ad incastro che disegnano sulle pareti sia internamente che esternamente lievi segni cruciformi.


 

Entrando nella chiesa un pavimento di porfido conduce all’interno, sembra un mantello di pietre che accompagna il fedele fino a portarlo dentro.
Scenografico il passaggio ritmato dalla semioscurità del portico alla luce dell’aula. La straordinarietà è che l’unica vera fonte di luce –che direttamente piove dal lucernario- è posta sopra il presbiterio. Detta luce è estremamente particolare poiché investe l’altare di un’aurea metafisica; il progettista per arrivare a questa soluzione di sintesi finale elabora diverse ricerche e scorge un unicum a lui precedente in Bernini. Così Caccia Dominioni cerca di ripristinare quella geniale luce che il Bernini “fa cadere” a Roma nella chiesa di Santa Maria della Vittoria -come un’estasi visiva- in Santa Teresa nella cappella Cornaro. L’atmosfera è estremamente soft, quasi caleidoscopica quell’elemento centrale che bagna l’altare e scandisce –durante le celebrazioni eucaristiche- un memoriale vivido alla “luce” di un cielo che richiama –con l’elemento luminosità- il bagliore della risurrezione che supera il preludio della Croce e vince quindi l’episodio morte.
Si noti questa particolarità in Caccia Dominioni: anche la luce centrale –l’unica diretta seppure dall’alto- non è mai elemento di disturbo per i con-celebranti ed il ministro officiante. Specificità questa che rende la chiesa valtellinese un bell’esempio in cui il connubio tenebre/luce (post tenebris lux) non è mai però un elemento che sforza e secca, anzi è quasi caratteristica dell’architettura medesima. Un’architettura –quella dell’architetto milanese- fatta anche dalla luce, alla pari degli elementi che costituiscono staticamente l’equilibrio e la consonanza del fabbricato stesso.
A riprova di quanto sopra esposto urge sottolineare che gli ulteriori squarci verticali –posti in posizione laterale- consentono l’ingresso di una luce soffusa che non infastidisce. Gli specchi delle finestre consentono una visione di ciò che circonda l’edificio di culto e cioè il paesaggio. E si capisce bene questa scelta dalle stesse parole dell’autore che afferma: «Preferisco che appaia la natura…».
Già la “natura” -elemento portante con la luce- si sostituisce alle vetrate policrome. È presente la natura nei materiali adoprati, nella stessa luce, nelle invenzioni stilistiche che non sono poi così foriere dall’espressione di una ri-visitazione della stessa, a volte pare che l’architetto voglia fare delle scelte che risentano della bionica.
Venendo agli interni ci accorgiamo dell’originalità di Luigi Caccia Dominioni che si dimostra brillantemente un grandissimo “architetto di interni”. Le linee sono suggestive, impareggiabili, la forza dell’aula è data dalla spinta con cui lo sguardo scorre in velocità verso l’altare –che è il fulcro dell’intera sala- e, controluce, troviamo tre enormi travature di calcestruzzo a vista inclinate che si immettono in una traversa orizzontale. La suggestione è come dice lui stesso una sorta di «incrocio drammatico,quasi una crocifissione», resa ancor più dolorante e triste dai ferri dell’armatura, dai bulloni e dalle viti sporgenti. Si noti che questa suggestione non è assolutamente una retorica bensì un canto della Croce, di una teologia crucis presente negli elementi, nella naturalezza delle cose, del quotidiano. Come a dire a noi tutti che quotidianamente riviviamo quel dolore, superato dalla Risurrezione, non mero abbaglio.
L’atmosfera è madida di simbolismo –a livello essenziale ed immediato- il riferimento al sacrificio di Gesù è immediato. Individuato questo cardine nel punto focale di tutta la chiesa non resta che lasciarsi suggestionare dal resto.
Si ma quale “resto”? La chiesa è così spoglia, così aniconica, così deserta… Pare il Golgota. Eppure se la si ascolta si scorge la ricchezza.
Dove sono i cicli di affreschi e i polittici, o le ancone e i mosaici? La grande croce, flessa come quella nella chiesa di san Francesco ad Arezzo della croce miracolosa dell’affresco di Piero della Francesca. Un’atmosfera struggente e smaniosa che chiama fuori dalla solitudine l’uomo contemporaneo. Qui non servono più tutti quegli orpelli di dipinti parietali, di suppellettili. La chiesa è spoglia eppure adorna di elementi di architettura che sanno riempire un vuoto che qui non c’è…
È così che il fedele, silenziosamente fra lusco e brusco, può scoprire se stesso e comprendersi senza essere distratto dagli arredi e dai quadri. «Non è facile accettare questo silenzio iconografico. Parlano tante piccole cose».
È forse un attenta opera minimalista.
L’essenzialità, una semplicitas che sa conquistare chi ascolta e vive il bello.
Certo è che bisogna, da un lato munirsi di attenzione –smisurata- e dall’altro aguzzare i sensi. Difatti occorre saper ascoltare le minime croci della Via Crucis -anche aguzzando lo sguardo verso un crocicchio di bulloni e blocchi di calcestruzzo-, il recinto del pulpito, la compassata figura di San Giuseppe, copia del bassorilievo realizzato da Giacomo Manzù per la chiesa del Sacro Cuore dell’Università Cattolica di Milano.
Bisogna farsi attenti alle piccole cose -“levate” dalla roccia- che ci parlano. Comunica molto perciò l’acquasantiera o il porta-cero pasquale svuotati direttamente dal sasso trascinato a valle dal Bitto. A questo proposito ricordo David Maria Turoldo che al riguardo –riferendosi alla sua comunità servita in Fontanelle di Sotto il Monte- diceva: «anche le pietre cantano»!
E più di ogni altro comunica quella porta in ferro, a battenti, su cui la luce –elemento fondamentale e fontale nell’esperienza estetica e filosofica dell’architetto- ritaglia una croce che poi si stempera nella luminosità.
Orbene l’attenzione “al dettaglio” –al particolare che si fa universale- è resa anche dai confessionali disegnati direttamente dall’architetto, sino ai banchi, non quelli che temporaneamente oggi sono in uso. Al riguardo si auspica che ulteriori banchi siano riformulati per il futuro. Il Caccia Dominioni indica addirittura 387 e l’assetto pensato a raggiera. Ed auspichiamo che l’idea del progettista non resti solo pensata, ma che la comunità parrocchiale la accolga e la renda possibile e visibile, anche in onore alla fatica impresa portata a termine dall’artista.
Non dimentichiamo che l’architetto milanese non ha mai smesso di essere anche designer, ma che prima di tutto non ha mai tralasciato di essere intrinsecamente cristiano e uomo di elevati valori spirituali.
Luigi Caccia Dominioni ha scritto liriche dello spirito mediante architetture, estremamente pregne di spiritualità cristiane. È stato un grande progettista della cristianità contemporanea sapendo unire elementi innovativi a grandi simboli del passato. Ha saputo più di ogni altra cosa esprimere nelle sue chiese progetti di architetture legate al tema sacro e non architetture adattate a chiese!
Ne è prova il grande intelletto di chi ha saputo valorizzare il convento di Viboldone (antico insediamento presso la periferia sud orientale di Milano) presso l’Abbazia delle Suore benedettine; o nella chiesa monzese di San Biagio; il convento di Poschiavo –nella Svizzera del Cantone dei Grigioni- e alla fine nella chiesa di san Giuseppe che concede alla bella cittadina di Morbegno definitivamente una pagina sulla storia dell’architettura contemporanea.

Prof. ALESSIO VARISCO
Storico dell’arte
Direttore Antropologia Arte Sacra
Art director Técne Art Studio

 

(1) Trovo bellissima questa enfatizzazione fra presbiterio/assemblea, marcatamente segnata ed insieme unificata, uno stacco quasi impercettibile ma udibile nell’equilibrio armonico del succedersi di linee come suoni su di uno spartito musicale.
(2)Erano presenti quel giorno: il Vescovo di Como Monsignor Alessandro Maggiolini -ministro officiante che presiede il clero tutto accorso-, il Sindaco pro tempore Ambrogio Salvadori, a fianco di Monsignor Antonio Marchesini -l’allora Vicario Episcopale per la Valtellina- e Monsignor Alberto De Maron -ora Arciprete di Morbegno-.
(3)Quest’intervista all’architetto è curata dal giornalista Franco Monteforte.




Fonte :   scritti dell'Artista Prof. Alessio Varisco , Técne Art Studio  www.alessiovarisco.it






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