CHIESA SAN GIUSEPPE A MORBEGNO - SO
Architetto Luigi Caccia Dominioni
di Alessio Varisco
Una svolta
nella poetica di Dominioni? La parrocchiale di San Giuseppe in Morbegno
In Lombardia
Luigi Caccia Dominioni ha tracciato molte pagine
di storia dell’architettura –oltre ai suoi contributi di design-, vanta una
vastissima produzione. La sua attività è segnata da una spasmodica ricerca di
una modernità che raggiunge –però- le radici delle tradizioni locali.
L’interesse per il restyling edilizio e urbano, l’attenzione al dettaglio e
un’innata sensibilità –eccezionale- alla ricerca estetica, che fanno dei suoi
interventi –sia architettonici che di design- un’armonica composizione, sempre
inventiva, che non decade mai nel mero “formale” o “ornamentale”; la qualità che
più spicca è il gioco della luce nei suoi edifici religiosi, siano essi chiese o
conventi, dominati, forse architetture soprattutto di luce che richiamano grandi
pagine della storia dell’arte sacra.
Luigi Caccia Dominioni
negli anni Novanta elabora
una particolare molto elaborata soluzione
estetica si trova in Valtellina. La committenza, non nuova all’architetto
milanese, di una diocesi, questa volta quella comasca,
che gli affida -in
provincia di Sondrio- a Morbegno l’edificazione della Chiesa Parrocchiale di San
Giuseppe.
L’edificio religioso
sorge in un'area marginale alla città storica –un quartiere di nuova
edificazione- la chiesa è costruita su un terreno in leggera pendenza. Il tempio
cristiano di Morbegno elaborato dal Caccia Dominioni è solo una parte di più un
vasto complesso comprendente opere parrocchiali, servizi sociali e spazi
commerciali.
In questo spazio
religioso si nota come l'architetto milanese accolga la sfida costruttiva
moderna. Difatti vengono impiegate molte strutture prefabbricate, modellandole
secondo però con sapienza, aggiungendo l’estro e l’apporto della propria
sensibilità. L’intero edificio di culto è infatti realizzato completamente in
pannelli prefabbricati rivestiti con ghiaietto. La particolarità del materiale è
tutt’altro che povero: esso è ottenuto da materiale di scavo autoctono.
L’impianto
planimetrico è a ventaglio, si sviluppa ed avviluppa tutto attorno all’axis
portante che è l'altare. Il disegno è arricchito da linee curvilinee -cerchi,
ellissi, spirali- che finiscono con l’assecondare il flusso dei fedeli che
entrano. La particolarità è resa dall’atmosfera coinvolgente che richiama il
popolo all’ingresso, alla sosta soprattutto e all’uscita nelle aree porticate
che nell'interno. Tre enormi travi in cemento armato precompresso contrassegnano
la convergenza del soffitto che sembra inclinarsi e piegarsi verso il nodo
presbiteriale (1), unica area in cui la luce entra diretta e pare disegnare un
"incrocio drammatico, quasi la crocifissione".
Chiesa di San Giuseppe
– Morbegno (SO)
È venerdì 19
marzo 1993, finalmente la nuova sfrontata struttura dell’architetto milanese
trova la sua solenne consacrazione. È così che la Chiesa Parrocchiale viene
definitivamente dedicata al culto e a San Giuseppe.
Luigi Caccia
Dominioni privilegia la definizione “Chiesa di San Giuseppe ai Prati Grassi”,
mantenendo fresco in quel toponimo la sensazione di positiva e di felice chiesa
.
A distanza di
ben 213 anni –da quella solenne benedizione della chiesa Collegiata di San
Giovanni Battista- si consacra una nuova chiesa in Morbegno, nuova, dalle linee
sinuose ed avvolgenti, a tratti ardite per la cittadina valtellinese.
Prendono parte a
quella cerimonia di consacrazione le autorità religiose, oltre alle autorità
civili. Tutti accorrono per la consacrazione di una nuova chiesa in Morbegno
(2). Un segno anche di scelta, di modernità. Un fulcro per un erigendo
quartiere. Una scelta di coraggio.
L’intento di
questa comunità parrocchiale -che aveva fortemente reclamato la costruzione di
una chiesa- è quello di segnalare che il punto fermo del nuovo agglomerato
urbano fosse un tempio cristiano.
Così Monsignor
Marchesini, insieme a quei fedeli -abitanti del nuovo quartiere- diede vita ad
un progetto ardito, sottoposto alla commissione diocesana per la costruzione di
nuove chiese. è così che nacque,
dall’operosità e dall’intraprendenza della cittadina valtellinese, la nuova
chiesa parrocchiale. Quest’inclinazione alla laboriosità -tipica dei lombardi-
portò persino a chiedere che quella chiesa fosse intitolata a San Giuseppe
Lavoratore. E così avvenne. La chiesa verrà dedicata all’operoso falegname di
Nazareth, l’artigiano per antonomasia.
Il quartiere mancava di
una propria aula liturgica. Si era formato dopo le disparate fasi
espansionistiche della città di Morbegno. In particolare il quartiere era
costretto nel suo evolversi da un limite fisico ben preciso ed ingombrante che
segnerà –come sottolinea Zevi nella sua “Controstoria dell’architettura in
Italia”- lo sviluppo di molti centri urbani: la ferrovia, che qui in Valtellina
arrivò a fine Ottocento. Nei primi del Novecento –e poi successivamente-
l’impianto urbano sarà tutto centrato dall’apertura di una nuova strada -via
Ambrosetti- e successivamente dall’apertura della strada statale. Infine sono da
segnalare la costruzione di nuove case nell’area Nord.
Per quest’ardua
riprogettazione dell’urbanizzazione di un centro così segnato da molti problemi
la scelta ricade quasi spontaneamente su Luigi Caccia Dominioni -architetto
milanese-, figlio di Ambrogio, già Sindaco di Morbegno.
L’impresa di
costruzione è la ditta Zecca Prefabbricati di Cosio Valtellino che esegue la
costruzione, iniziata nel 1988.
L’architetto
milanese già si era interessato di Morbegno presentandosi ad un concorso bandito
nel 1940 mediante un progetto di raccordo tra aree vecchie e nuove della città;
mentre negli anni 1965 e 1966 si era dedicato alla progettazione della
Biblioteca Civica, architettura particolare effettuata con i sassi levigati del
Bitto, felice preludio all’odierno edificio sacro. Come anche la nuova chiesa di
Paniga.
La chiesa di San
Giuseppe si leva su di un lieve pendio, all’incrocio tra due grandi coordinate
viarie cittadine: Via Alpini e Viale Forestale, dove si erge un nuovo centro
residenziale, commerciale e di servizi che ha ormai assunto una sua fisionomia.
Particolarità
che bisogna sottolineare: l’edificio non occupa a forza il tracciato stradale ma
vi si accompagna. L’equilibrio di Caccia Dominioni del “risolvere” lo spazio
circostante è qui magnificato splendidamente. L’architetto milanese con il suo
disegno non sfida verticalmente le vette circostanti, modula le proprie forme
all’andamento del terreno, al profilo delle montagne tagliate contro quel cielo
che come dice Luigi Caccia Dominioni ”…così bello quand’è bello”.
Certo la
struttura spicca nello scenario generale urbanistico, si può affermare che vada
anche un po’ contro. Un’architettura -questa di Morbegno- dal carattere spiccato
che non teme di “squarciare”, di esser opposta alla tendenza dell’architettura
del razionalismo ed un po’ sposandosi quasi verso l’architettura organica.
Certo è che Caccia Dominioni si dimostra molto attento ai caratteri del
paesaggio circostante e dell’ambiente in cui il prodotto è intercalato.
Tuttavia bisogna
anche riportare che agli occhi di molti –soprattutto dei cittadini più abituati
a quelle chiese del centro storico- l’edificio si evidenzia come un qualcosa di
estraneo. Quest’anomala struttura per molti è troppo moderna, troppo spoglia e
grigia…. Forse, -per questi tradizionalisti- troppo diversa dalle chiese a cui
si è abituati. La stessa sensazione è anche dei parrocchiani del quartiere
monzese di San Biagio che a fine anni Sessanta si son visti erigere una “enorme
tenda” di pietre che poco hanno tollerato e che –a distanza di anni- ancora
contestano per arditezza e “impatto” nell’equilibrio di un borgo comunque
storico e di uno stile molto più antico.
Monsignor
Marchesini prevedeva questa reazione dei cittadini di Morbegno. Anche se codesta
reazione è –mio avviso come quella dei monzesi- abbastanza normale, nonché
prevedibile, ma occorre andare un po’ più in profondità.
È opportuno
osservare attentamente che ogni epoca riporta un’elaborazione di propri
“manufatti” e che ogni oggetto artistico è un’espressione del proprio tempo. Si
pensi alla “stratificazione” dei molti stili presenti nelle stupende capitali
europeo. Questa consapevolezza è già un piccolo passo avanti per comprendere
l’efficacia e la possibilità che anche l’architettura contemporanea possa farsi
spazio, anche nell’elaborazione di nuovi spazi sacri, siano essi chiese,
sinagoghe o moschee...
Dando
un’occhiata alla pianta della chiesa –consultando anche i bozzetti o gli
esecutivi dell’architetto Caccia Dominioni- ci si accorgerà che l’occhio vola
sciolto per poi raccogliersi in volute che abbracciano altri ambienti: il
presbiterio, il portico, la cappella feriale ed il campanile.
L’intera
organizzazione dello spazio –esterno ed interno- ha luogo per scorrimenti di
linee curve. L’elemento curvilineo compone lo spazio architettonico, lo delinea,
ed è così un’alternanza di ovali, sinusoidali, ellittiche, che sono peculiarità
specifiche dell’architettura di Luigi Caccia Dominioni.
Analizzando
l’esterno ci si rende conto che l’avancorpo del portico pare risucchiare la
corona aperta del blocco architettonico dove oggi hanno sede gli uffici
finanziari, ed invia nuovamente al dolce profilo del tetto –come un manto- che
si dispiega placidamente –nonché plasticamente- sulle strutture che contengono
l’ecclesia dei fedeli.
Il portico
–elemento cardine a chi osserva dall’esterno-, equilibrio per antonomasia
nell’alchimia degli spazi in qualsiasi fase della storia dell’arte (fra pieni e
vuoti), sembra avanzare verso il fedele –quasi farsi prossimo e venirgli
incontro- ed accompagnarlo nell’interno del sistema sacro, immetterlo nell’arca
della Salvezza, in una “naos” protetta. Quest’operazione è ancora più complessa
a livello concettuale perché Luigi Caccia Dominioni lo sprona verso l’interno
con la spinta di un secondo portico.
L’elemento
copertura è un’essenzialità della lettura di questa chiesa. Memore dei grandi
classici dell’architettura contemporanea sacra –si pensi alla Cappella Rochamp
di Le Corbusier o la Chiesa dell’autostrada di Michelacci- diviene un attributo
di riconoscibilità e di dialogo con lo spazio, determinato dall’interazione di
elementi curvilinei in pianta ed orizzontali in alzata. Qui il tetto è reso
dall’arhitetto milanese mediante una grondaia avvolta che si incanala verso uno
spazio aperto –quello dell’alta valle- e ad un certo punto inverte rotta sino ad
attorcigliare il campanile per poi sfumare e concludersi.
Sappiamo che per
l’architetto l’integrazione del campanile è stato un momento di dibattito
interiore: «ci sarà una grande croce parafulmine. E questo ha un senso simbolico
evidente. Il parafulmine attira su di sé i fulmini per neutralizzarli ,così come
Gesù sulla croce attira su di sé tutti i peccati dell’uomo per redimerlo. In
secondo luogo un segnavento con lo stemma della città di Morbegno e quindi una
antenna parabolica per ricevere ,ad esempio, i discorsi del Papa e degli
altoparlanti per diffonderli. Non ho ancora deciso per le campane, se lasciarle
all’aria aperta o se coprirle con un tetto in rame».
Quest’ansia è
resa dagli innumerevoli schizzi che stanno a testimoniare la preoccupazione di
decidere e risolvere un elemento che avrebbe “risolto” e completato l’esterno in
maniera irreversibile, dando quel tocco finale su tutto l’ambiente circostante.
La struttura che
risulta quest’oggi è un’armonica realtà. Anche da queste banali cronache emerge
l’infinita cura –meticolosa ed estremamente interessata- di Luigi Caccia
Dominioni che si sofferma a pensare al “particolare”, per rendere con più
energia il “totale”. Una scelta estetica mai semplice. Non dimentichiamo che è
in gioco l’elaborazione di una chiesa in un centro post-rurale alla base di una
valle alpina, non è certo nella metropoli meneghina…. perciò non è fuori luogo
questa attenzione rivolta persino ai minimi particolari. È caratteristica
propria dell’architetto milanese qui all’esterno ed anche negli altri spazi
della chiesa poiché fa parte del suo metodo di lavoro «…di aver voluto essere
anche designer,per poter essere compiutamente architetto».
Soffermiamoci
sempre all’esterno sul balconcino che si presenta su via Monsignor Danieli
presenta le seguenti caratteristiche: leggerezza –simile ai merletti o ai pizzi
di una bellissima tenda-, la stessa che rinveniamo internamente ad ornare le
scale della chiesa, le scale di servizio esterne, i coronamenti e le soste… I
balconi –simili ai portici segnano la levità del passaggio fra interno ed
esterno, pieno/vuoto- sono inopinabile “firma” dei progetti di Caccia Dominioni:
li cura, li modella e rimodella, li traccia dopo averli a lungo pensati e
schizzati, infine pare accarezzino. Sempre così nuovi eppure così terribilmente
-e fatalmente- a livello stilistico riconducibili al loro progettista.
Veniamo al
ritmo, nuovamente acceso e brioso, che spicca –e sembra uscir fuori- dalle linee
del disegno di un progetto teorico, dapprima astratto, per divenire man mano
“movimento”. La flessuosità delle linee –come già detto- crea una ritmica
all’opera, internamente sull’ambiente che la circonda, internamente nell’aula
liturgica e dentro ciascun fedele che sosta orante dinanzi queste pietre che
cantano, non importa se sono precompresse… Sulla ritmicità curvilinea del
profilo della costruzione si rimanda alle parole di Caccia Dominioni: «ritengo
che l’uomo si muove essenzialmente per linee curve. Non esiste un percorso umano
rettilineo . L’uomo non cammina per linee rigidamente rette… ma per linee
circolari,ovali o sinuose che siano. Questa forma propria del movimento umano è
matrice della forma architettonica “. E così i muri perimetrali vengono
investiti dalla luce o coperti d’ombra a seconda del mutare del movimento delle
forme. Ed il colore? “L’architettura sorge e nasce dal luogo e sul luogo , il
colore giusto è quello della terra su cui sorge l’edificio… ho fatto ricorso ai
materiali del posto. Ho fatto fare gli scavi e ho fatto triturare le pietre
estratte nello scavo»(3).
In quest’opera
valtellinese la tecnica e l’arte si sono imbattute opportunamente ed hanno qui
prodotto –grazie alla miscela del calcestruzzo e della ghiaia del Bitto- i
pannelli prefabbricati ad incastro che disegnano sulle pareti sia internamente
che esternamente lievi segni cruciformi.
Entrando nella chiesa un
pavimento di porfido conduce all’interno, sembra un mantello di pietre che
accompagna il fedele fino a portarlo dentro.
Scenografico il
passaggio ritmato dalla semioscurità del portico alla luce dell’aula. La
straordinarietà è che l’unica vera fonte di luce –che direttamente piove dal
lucernario- è posta sopra il presbiterio. Detta luce è estremamente particolare
poiché investe l’altare di un’aurea metafisica; il progettista per arrivare a
questa soluzione di sintesi finale elabora diverse ricerche e scorge un unicum a
lui precedente in Bernini. Così Caccia Dominioni cerca di ripristinare quella
geniale luce che il Bernini “fa cadere” a Roma nella chiesa di Santa Maria della
Vittoria -come un’estasi visiva- in Santa Teresa nella cappella Cornaro.
L’atmosfera è estremamente soft, quasi caleidoscopica quell’elemento centrale
che bagna l’altare e scandisce –durante le celebrazioni eucaristiche- un
memoriale vivido alla “luce” di un cielo che richiama –con l’elemento
luminosità- il bagliore della risurrezione che supera il preludio della Croce e
vince quindi l’episodio morte.
Si noti questa
particolarità in Caccia Dominioni: anche la luce centrale –l’unica diretta
seppure dall’alto- non è mai elemento di disturbo per i con-celebranti ed il
ministro officiante. Specificità questa che rende la chiesa valtellinese un
bell’esempio in cui il connubio tenebre/luce (post tenebris lux) non è mai però
un elemento che sforza e secca, anzi è quasi caratteristica dell’architettura
medesima. Un’architettura –quella dell’architetto milanese- fatta anche dalla
luce, alla pari degli elementi che costituiscono staticamente l’equilibrio e la
consonanza del fabbricato stesso.
A riprova di
quanto sopra esposto urge sottolineare che gli ulteriori squarci verticali
–posti in posizione laterale- consentono l’ingresso di una luce soffusa che non
infastidisce. Gli specchi delle finestre consentono una visione di ciò che
circonda l’edificio di culto e cioè il paesaggio. E si capisce bene questa
scelta dalle stesse parole dell’autore che afferma: «Preferisco che appaia la
natura…».
Già la “natura”
-elemento portante con la luce- si sostituisce alle vetrate policrome. È
presente la natura nei materiali adoprati, nella stessa luce, nelle invenzioni
stilistiche che non sono poi così foriere dall’espressione di una ri-visitazione
della stessa, a volte pare che l’architetto voglia fare delle scelte che
risentano della bionica.
Venendo agli
interni ci accorgiamo dell’originalità di Luigi Caccia Dominioni che si dimostra
brillantemente un grandissimo “architetto di interni”. Le linee sono suggestive,
impareggiabili, la forza dell’aula è data dalla spinta con cui lo sguardo scorre
in velocità verso l’altare –che è il fulcro dell’intera sala- e, controluce,
troviamo tre enormi travature di calcestruzzo a vista inclinate che si immettono
in una traversa orizzontale. La suggestione è come dice lui stesso una sorta di
«incrocio drammatico,quasi una crocifissione», resa ancor più dolorante e triste
dai ferri dell’armatura, dai bulloni e dalle viti sporgenti. Si noti che questa
suggestione non è assolutamente una retorica bensì un canto della Croce, di una
teologia crucis presente negli elementi, nella naturalezza delle cose, del
quotidiano. Come a dire a noi tutti che quotidianamente riviviamo quel dolore,
superato dalla Risurrezione, non mero abbaglio.
L’atmosfera è
madida di simbolismo –a livello essenziale ed immediato- il riferimento al
sacrificio di Gesù è immediato. Individuato questo cardine nel punto focale di
tutta la chiesa non resta che lasciarsi suggestionare dal resto.
Si ma quale
“resto”? La chiesa è così spoglia, così aniconica, così deserta… Pare il Golgota.
Eppure se la si ascolta si scorge la ricchezza.
Dove sono i
cicli di affreschi e i polittici, o le ancone e i mosaici? La grande croce,
flessa come quella nella chiesa di san Francesco ad Arezzo della croce
miracolosa dell’affresco di Piero della Francesca. Un’atmosfera struggente e
smaniosa che chiama fuori dalla solitudine l’uomo contemporaneo. Qui non servono
più tutti quegli orpelli di dipinti parietali, di suppellettili. La chiesa è
spoglia eppure adorna di elementi di architettura che sanno riempire un vuoto
che qui non c’è…
È così che il
fedele, silenziosamente fra lusco e brusco, può scoprire se stesso e
comprendersi senza essere distratto dagli arredi e dai quadri. «Non è facile
accettare questo silenzio iconografico. Parlano tante piccole cose».
È forse un
attenta opera minimalista.
L’essenzialità,
una semplicitas che sa conquistare chi ascolta e vive il bello.
Certo è che
bisogna, da un lato munirsi di attenzione –smisurata- e dall’altro aguzzare i
sensi. Difatti occorre saper ascoltare le minime croci della Via Crucis -anche
aguzzando lo sguardo verso un crocicchio di bulloni e blocchi di calcestruzzo-,
il recinto del pulpito, la compassata figura di San Giuseppe, copia del
bassorilievo realizzato da Giacomo Manzù per la chiesa del Sacro Cuore
dell’Università Cattolica di Milano.
Bisogna farsi
attenti alle piccole cose -“levate” dalla roccia- che ci parlano. Comunica molto
perciò l’acquasantiera o il porta-cero pasquale svuotati direttamente dal sasso
trascinato a valle dal Bitto. A questo proposito ricordo David Maria Turoldo che
al riguardo –riferendosi alla sua comunità servita in Fontanelle di Sotto il
Monte- diceva: «anche le pietre cantano»!
E più di ogni
altro comunica quella porta in ferro, a battenti, su cui la luce –elemento
fondamentale e fontale nell’esperienza estetica e filosofica dell’architetto-
ritaglia una croce che poi si stempera nella luminosità.
Orbene
l’attenzione “al dettaglio” –al particolare che si fa universale- è resa anche
dai confessionali disegnati direttamente dall’architetto, sino ai banchi, non
quelli che temporaneamente oggi sono in uso. Al riguardo si auspica che
ulteriori banchi siano riformulati per il futuro. Il Caccia Dominioni indica
addirittura 387 e l’assetto pensato a raggiera. Ed auspichiamo che l’idea
del progettista non resti solo pensata, ma che la comunità parrocchiale la
accolga e la renda possibile e visibile, anche in onore alla fatica impresa
portata a termine dall’artista.
Non
dimentichiamo che l’architetto milanese non ha mai smesso di essere anche
designer, ma che prima di tutto non ha mai tralasciato di essere intrinsecamente
cristiano e uomo di elevati valori spirituali.
Luigi Caccia
Dominioni ha scritto liriche dello spirito mediante architetture, estremamente
pregne di spiritualità cristiane. È stato un grande progettista della
cristianità contemporanea sapendo unire elementi innovativi a grandi simboli del
passato. Ha saputo più di ogni altra cosa esprimere nelle sue chiese progetti di
architetture legate al tema sacro e non architetture adattate a chiese!
Ne è prova il
grande intelletto di chi ha saputo valorizzare il convento di Viboldone (antico
insediamento presso la periferia sud orientale di Milano) presso l’Abbazia delle
Suore benedettine; o nella chiesa monzese di San Biagio; il convento di
Poschiavo –nella Svizzera del Cantone dei Grigioni- e alla fine nella chiesa di
san Giuseppe che concede alla bella cittadina di Morbegno definitivamente una
pagina sulla storia dell’architettura contemporanea.
Prof. ALESSIO VARISCO
Storico dell’arte
Direttore Antropologia Arte Sacra
Art director Técne Art Studio
(1) Trovo
bellissima questa enfatizzazione fra presbiterio/assemblea, marcatamente
segnata ed insieme unificata, uno stacco quasi impercettibile ma udibile
nell’equilibrio armonico del succedersi di linee come suoni su di uno
spartito musicale.
(2)Erano presenti quel giorno: il Vescovo di Como Monsignor Alessandro
Maggiolini -ministro officiante che presiede il clero tutto accorso-, il
Sindaco pro tempore Ambrogio Salvadori, a fianco di Monsignor Antonio
Marchesini -l’allora Vicario Episcopale per la Valtellina- e Monsignor
Alberto De Maron -ora Arciprete di Morbegno-.
(3)Quest’intervista
all’architetto è curata dal giornalista Franco Monteforte.
Fonte :
scritti dell'Artista Prof. Alessio Varisco , Técne Art Studio
www.alessiovarisco.it
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