L'ABBAZIA DI SANT'ANTIMO
TESORO CAROLINGIO DELL'AMIATA ?
di Alessio Varisco
La leggenda narra
che Carlo Magno -di ritorno da Roma lungo la via Francigena- nel 781 toccasse
con il suo esercito e gran parte della sua corte il monte Amiata. Erano anni in
cui una famigerata peste falcidiava vittime. L’imperatore fece un voto e fondò
l'Abbazia.
La storia
dell’Abbazia di Sant'Antimo è indi un ex voto imperiale.
Mentre secondo
taluni storici la fondazione risalirebbe ai Longobardi come l’altra abbazia
presente sull'Amiata, quella di San Salvatore.
Una terza ipotesi,
neppure tanto astrusa e non escludibile, afferma che nel luogo fosse
preesistente una villa romana. Con certezza si sa che nel IV-V secolo la
località di Castelnuovo dell'Abate fu un importante centro abitato dotato di una
pieve che poi scomparve.
Il complesso
monastico di Sant'Antimo era comunque esistente già nell'anno 814; ciò risulta
testimoniato da un lascito di Ludovico il Pio che aumenta l'Abbazia di donazioni
e prelazioni legali.
Ciononostante nel
IX secolo l'abbazia passa attraverso una serie di difficoltà finanziarie.
Nell’anno 877 Carlo il Calvo decide di affidarla al vescovo di Arezzo, con il
vincolo di tenervi -a proprie spese- ben 40 monaci. A decorre dal X secolo
l'abate del monastero è altresì “Conte Palatino”, non mero titolo onorifico,
bensì carica pubblica di largo rilievo donata direttamente dall'imperatore.
Nel 992 il Romano
Pontefice Giovanni XV (985-996) emette una bolla con la quale la comunità di
monaci cade direttamente sotto la giurisdizione della Sede Apostolica.
L’apogeo della
storia del complesso monastico di Sant'Antimo è da annoverarsi nell’anno 1118
quando il conte Bernardo degli Ardengheschi capitola il suo intero patrimonio in
beni mobili e immobili «in toto regno Italico et in tota marca Tuscie» al
figlio di Rustico, Ildebrando, al fine di trasferirlo all'Abbazia.
Quest’incredibile
elargizione è testimoniata da una scritta che fu incisa sui gradini dell'altare
come "carta lapidaria" a perenne ricordo dell'evento, un’eccezionale ed
inaspettata donazione per un complesso abbaziale che acquisì grande potere
nell’area limitrofa.
L'abate Guidone
–che governò l’abbazia dal 1108 al 1128- che si vide recapitare una simile
donazione diede subito inizio ad un grande cantiere per l’erezione del nuovo
tempio.
Ma la fortuna del
Monastero non durò neppure un secolo. Questo periodo di massimo fulgore durò
fino alla perdita di Montalcino che venne occupata dai senesi i quali
obbligarono l'abbazia alla firma di un patto. Da questo momento il complesso
monastico passò alle dipendenze di Siena unitamente alla quarta parte del
territorio di Montalcino. Era il 12 giugno 1212.
Si dà inizio per
l'Abbazia ad un lento ed inesorabile declino.
Il complesso di
Sant’antimo fu affidato -con una bolla del 23 agosto 1291- ai Guglielmiti da
papa Nicolò IV (1288-1292).
Tra il 1397 e il
1404 stenta una lesta e repentina ripresa. Nell’anno 1462 anno papa Pio II
(1458-1464), Enea Silvio Piccolomini –nativo di Pienza- il 13 agosto dello
stesso anno crea la diocesi di Montalcino e Pienza ne decreta la sua
soppressione e ne affida i beni al vescovo della neonata circoscrizione
vescovile. Dal 1867 la proprietà dell'Abbazia passa alle dipendenze dello Stato
e da questo momento in avanti si determina un lungo ed ininterrotto periodo di
restauri che trassero in salvo l'intero edificio.
Le attività di
ripristino iniziarono nel 1872 e furono terminate solo nel 1895. Al termine di
questo periodo risultò un complesso davvero straordinario che consentì la
fruizione di uno spazio stupendo; il complesso di Sant’Antimo fu riportato
all'aspetto attuale.
Purtroppo si
dovette attendere quasi un secolo per apprezzare nella chiesa le celebrazioni
quotidiane degli uffici liturgici. Dall’anno 1992 riprende l'attività religiosa
e i Canonici Regolari Premonstratensi divengono i custodi del complesso
dell’Abbazia di Sant’Antimo.
Capire questo
complesso è pressoché impostile. Ancora di più non si può appieno realizzare la
complessità, bellezza e misteriosità tramite un’immagine, una visita virtuale od
un filmato. Nulla può rimpiazzare e duplicare lo charme di questo luogo.
L'incanto del complesso monastico di Sant’Antimo è reso dall’equilibrio totale e
la concordanza perfetta con cui le geometrie architettoniche dell’abbazia si
completano –integrandosi pienamente- con lo spazio esterno.
In Sant’Antimo
assistiamo ad un vero e proprio connubio: architettura paesaggio, in maniera
perfetta, insuperabilmente ed al di là di ogni paragone.
La facciata regala
un portale –fascinoso in quanto rimasto incompiuto-, possibilmente una soluzione
di ripiego ad un progetto che ne immaginava due. La grande porta è sormontata da
un architrave -verosimilmente databile alla prima metà del XII secolo e
capitelli- decorazioni plastiche e puntali di poco posteriori.
L’impianto della
chiesa è un unicum in Toscana: presenta uno schema basilicale con deambulatorio
a cappelle radiali che più di ogni altro conferisce a questa chiesa un'impronta
francese tra i pochissimi fabbricati in Italia.
Bisogna
sottolineare che durante la stessa giornata l’architettura presenta delle
particolari “luminescenze” che ne creano una singolare costruzione. Il sole
scherza –durante la mattinata- con la pietra, nel deambulatorio la più preziosa
tra tutte quelle utilizzate per la chiesa: i materiali impiegati -travertino ed
alabastro-, con cui sono realizzati capitelli e colonne.
La chiesa misura
44 metri di lunghezza, l'ingresso è sorvegliato da due leoni stilofori,
destinati quasi certamente al portale esterno, attribuiti al Maestro di
Cabestany riconducibili al XII secolo. Fra tutti stupendo è il capitello con le
scene di "Daniele nella fossa dei leoni" mirabilmente istoriato, la cui resa
iconografica appare davvero originale.
La decorazione
plastica denuncia
una matrice che va ricercata oltralpe -in Francia- in Alvernia; il disegno
preciso e netto nell'intaglio presenta raffinati motivi fitomorfici e
geometrici.
Alcuni degli altri
capitelli ubicati nel deambulatorio presentano un carattere dichiaratamente
appartenenti a maestranze lombarde, ciò rende credibile l'ipotesi cha in Sant'Antimo
abbiano operato due maestranze: l’una francese e l’altra presumibilmente pavese.
Taluni storici dell’arte azzardano una singolare ipotesi che dichiara un'unica
maestranza lombarda che avrebbe soggiornato in Alvernia e ciò spiegherebbe
questa duplicità di stilemi.
L’antica cappella
carolingia –risalente al secolo VIII-IX- è un piccolo edificio costituito da
un’unica navata rettangolare, con abside semicircolare. La cappelletta si trova
all'inizio del deambulatorio sulla destra della chiesa maggiore.
L'imponente
campanile è alto circa 30 metri si innalza sul lato esterno sinistro. Pur
essendo esterno al tempio è decorato da lesene -diviso in quattro ordini- con
aperture monofore e bifore. Le ascendenze sono imputabili ad uno stile lombardo,
con una nota pisana solamente per le colonne agli angoli della base. Il
campanile ha una tettoia a terrazza sopra cui sono disposte due campane, una
delle quali porta incisi la data 1219 ed il nome dell'abate Ugo -che operò fra
il 1216 ed il 1222-.
L'abside della
grande chiesa culmina con una deliziosa bifora - l'unica che la illumina
interamente - è un sunto di sprint e potenza.
Con la riforma
monastica di Vallombrosa si congiunsero altri monasteri in Toscana e al di fuori
dei confini geografici, sotto la guida carismatica del Gualberto dando forma
alla Congregazione Vallombrosana riconosciuta dal Papa Urbano II in maniera
ufficiale nel 1090.
La nascita della
Congregazione vallombrosana è contraddistinta da un lato dal desiderio di vivere
alla lettera la regola di San Benedetto, mentre dall’altro da un’elevata volontà
di riforma, sia nei confronti della chiesa che del monachesimo.
La congregazione vide un lungo periodo di ampliamento che si conservò fino al XVI secolo; dalla metà del Cinquecento in poi incominciò un lento e definitivo declino.
La congregazione vide un lungo periodo di ampliamento che si conservò fino al XVI secolo; dalla metà del Cinquecento in poi incominciò un lento e definitivo declino.
Nel 1866 il
governo italiano decretò la soppressione generale degli ordini religiosi.
La comunità
monastica –nel frattempo- si era trasferita a Pescia e qui vi restò sino al
1949.
Fu soltanto nel
1961 che poté rientrare nel Abbazia di Sant'Antimo, la cui proprietà è tuttavia
rimasta allo Stato.
Uno splendido
gioiello visitabile gratuitamente –raggiungibile agevolmente o su strade ancora
bianche, non asfaltate- a pochi passi dai maggiori centri storici, nel cuore
della Toscana più continentale e verde, fra bellissimi vigneti e piccoli unici
paesetti incastonati in una natura ancora impervia e struggente.
Fonte : scritti dell'artista prof. Alessio Varisco , Técne Art Studio .
Prof. ALESSIO VARISCO
Designer - Magister Artium
Art Director Técne Art Studio
http://www.alessiovarisco.it
www.antropologiaartesacra.it
http://architetture.splinder.com/
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