giovedì 25 luglio 2019

L'ABBAZIA DI SANT'ANTIMO TESORO CAROLINGIO DELL'AMIATA ?, di Alessio Varisco



L'ABBAZIA DI SANT'ANTIMO
TESORO CAROLINGIO DELL'AMIATA ?
di Alessio Varisco




La leggenda narra che Carlo Magno -di ritorno da Roma lungo la via Francigena- nel 781 toccasse con il suo esercito e gran parte della sua corte il monte Amiata. Erano anni in cui una famigerata peste falcidiava vittime. L’imperatore fece un voto e fondò l'Abbazia.
La storia dell’Abbazia di Sant'Antimo è indi un ex voto imperiale.
Mentre secondo taluni storici la fondazione risalirebbe ai Longobardi come l’altra abbazia presente sull'Amiata, quella di San Salvatore.
Una terza ipotesi, neppure tanto astrusa e non escludibile, afferma che nel luogo fosse preesistente una villa romana. Con certezza si sa che nel IV-V secolo la località di Castelnuovo dell'Abate fu un importante centro abitato dotato di una pieve che poi scomparve.
Il complesso monastico di Sant'Antimo era comunque esistente già nell'anno 814; ciò risulta testimoniato da un lascito di Ludovico il Pio che aumenta l'Abbazia di donazioni e prelazioni legali.
Ciononostante nel IX secolo l'abbazia passa attraverso una serie di difficoltà finanziarie. Nell’anno 877 Carlo il Calvo decide di affidarla al vescovo di Arezzo, con il vincolo di tenervi -a proprie spese- ben 40 monaci. A decorre dal X secolo l'abate del monastero è altresì “Conte Palatino”, non mero titolo onorifico, bensì carica pubblica di largo rilievo donata direttamente dall'imperatore.
Nel 992 il Romano Pontefice Giovanni XV (985-996) emette una bolla con la quale la comunità di monaci  cade direttamente sotto la giurisdizione della Sede Apostolica.
L’apogeo della storia del complesso monastico di Sant'Antimo è da annoverarsi nell’anno 1118 quando il conte Bernardo degli Ardengheschi capitola il suo intero patrimonio in beni mobili e immobili «in toto regno Italico et in tota marca Tuscie» al figlio di Rustico, Ildebrando, al fine di trasferirlo all'Abbazia.
 


Quest’incredibile elargizione è testimoniata da una scritta che fu incisa sui gradini dell'altare come "carta lapidaria" a perenne ricordo dell'evento, un’eccezionale ed inaspettata donazione per un complesso abbaziale che acquisì grande potere nell’area limitrofa.
L'abate Guidone –che governò l’abbazia dal 1108 al 1128- che si vide recapitare una simile donazione diede subito inizio ad un grande cantiere per l’erezione del nuovo tempio.
Ma la fortuna del Monastero non durò neppure un secolo. Questo periodo di massimo fulgore durò fino alla perdita di Montalcino che venne occupata dai senesi i quali obbligarono l'abbazia alla firma di un patto. Da questo momento il complesso monastico passò alle dipendenze di Siena unitamente alla quarta parte del territorio di Montalcino. Era il 12 giugno 1212.

 
 
Si dà inizio per l'Abbazia ad un lento ed inesorabile declino.
Il complesso di Sant’antimo fu affidato -con una bolla del 23 agosto 1291- ai Guglielmiti da papa Nicolò IV (1288-1292).
Tra il 1397 e il 1404 stenta una lesta e repentina ripresa. Nell’anno 1462 anno papa Pio II (1458-1464), Enea Silvio Piccolomini –nativo di Pienza- il 13 agosto dello stesso anno crea la diocesi di Montalcino e Pienza ne decreta la sua soppressione e ne affida i beni al vescovo della neonata circoscrizione vescovile. Dal 1867 la proprietà dell'Abbazia passa alle dipendenze dello Stato e da questo momento in avanti si determina un lungo ed ininterrotto periodo di restauri che trassero in salvo l'intero edificio.
Le attività di ripristino iniziarono nel 1872 e furono terminate solo nel 1895. Al termine di questo periodo risultò un complesso davvero straordinario che consentì la fruizione di uno spazio stupendo; il complesso di Sant’Antimo fu riportato all'aspetto attuale.
Purtroppo si dovette attendere quasi un secolo per apprezzare nella chiesa le celebrazioni quotidiane degli uffici liturgici. Dall’anno 1992 riprende l'attività religiosa e i Canonici Regolari Premonstratensi divengono i custodi del complesso dell’Abbazia di Sant’Antimo.
Capire questo complesso è pressoché impostile. Ancora di più non si può appieno realizzare la complessità, bellezza e misteriosità tramite un’immagine, una visita virtuale od un filmato. Nulla può rimpiazzare e duplicare lo charme di questo luogo. L'incanto del complesso monastico di Sant’Antimo è reso dall’equilibrio totale e la concordanza perfetta con cui le geometrie architettoniche dell’abbazia si completano –integrandosi pienamente- con lo spazio esterno.
In Sant’Antimo assistiamo ad un vero e proprio connubio: architettura paesaggio, in maniera perfetta, insuperabilmente ed al di là di ogni paragone.


 
La facciata regala un portale –fascinoso in quanto rimasto incompiuto-, possibilmente una soluzione di ripiego ad un progetto che ne immaginava due. La grande porta è sormontata da un architrave -verosimilmente databile alla prima metà del XII secolo e capitelli- decorazioni plastiche e puntali di poco posteriori.
L’impianto della chiesa è un unicum in Toscana: presenta uno schema basilicale con deambulatorio a cappelle radiali che più di ogni altro conferisce a questa chiesa un'impronta francese tra i pochissimi fabbricati in Italia.
Bisogna sottolineare che durante la stessa giornata l’architettura presenta delle particolari “luminescenze” che ne creano una singolare costruzione. Il sole scherza –durante la mattinata- con la pietra, nel deambulatorio la più preziosa tra tutte quelle utilizzate per la chiesa: i materiali impiegati -travertino ed alabastro-, con cui sono realizzati capitelli e colonne.
La chiesa misura 44 metri di lunghezza, l'ingresso è sorvegliato da due leoni stilofori, destinati quasi certamente al portale esterno, attribuiti al Maestro di Cabestany riconducibili al XII secolo. Fra tutti stupendo è il capitello con le scene di "Daniele nella fossa dei leoni" mirabilmente istoriato, la cui resa iconografica appare davvero originale.
La decorazione plastica denuncia una matrice che va ricercata oltralpe -in Francia- in Alvernia; il disegno preciso e netto nell'intaglio presenta raffinati motivi fitomorfici e geometrici.
Alcuni degli altri capitelli ubicati nel deambulatorio presentano un carattere dichiaratamente appartenenti a maestranze lombarde, ciò rende credibile l'ipotesi cha in Sant'Antimo abbiano operato due maestranze: l’una francese e l’altra presumibilmente pavese. Taluni storici dell’arte azzardano una singolare ipotesi che dichiara un'unica maestranza lombarda che avrebbe soggiornato in Alvernia e ciò spiegherebbe questa duplicità di stilemi.
L’antica cappella carolingia –risalente al secolo VIII-IX- è un piccolo edificio costituito da un’unica navata rettangolare, con abside semicircolare. La cappelletta si trova all'inizio del deambulatorio sulla destra della chiesa maggiore.


 
L'imponente campanile è alto circa 30 metri si innalza sul lato esterno sinistro. Pur essendo esterno al tempio è decorato da lesene -diviso in quattro ordini- con aperture monofore e bifore. Le ascendenze sono imputabili ad uno stile lombardo, con una nota pisana solamente per le colonne agli angoli della base. Il campanile ha una tettoia a terrazza sopra cui sono disposte due campane, una delle quali porta incisi la data 1219 ed il nome dell'abate Ugo -che operò fra il 1216 ed il 1222-.
L'abside della grande chiesa culmina con una deliziosa bifora - l'unica che la illumina interamente - è un sunto di sprint e potenza.
Con la riforma monastica di Vallombrosa si congiunsero altri monasteri in Toscana e al di fuori dei confini geografici, sotto la guida carismatica del Gualberto dando forma alla Congregazione Vallombrosana riconosciuta dal Papa Urbano II in maniera ufficiale nel 1090.
La nascita della Congregazione vallombrosana è contraddistinta da un lato dal desiderio di vivere alla lettera la regola di San Benedetto, mentre dall’altro da un’elevata volontà di riforma, sia nei confronti della chiesa che del monachesimo.
La congregazione vide un lungo periodo di ampliamento che si conservò fino al XVI secolo; dalla metà del Cinquecento in poi incominciò un lento e definitivo declino.
Nel 1866 il governo italiano decretò la soppressione generale degli ordini religiosi.
La comunità monastica –nel frattempo- si era trasferita a Pescia e qui vi restò sino al 1949.
Fu soltanto nel 1961 che poté rientrare nel Abbazia di Sant'Antimo, la cui proprietà è tuttavia rimasta allo Stato.
Uno splendido gioiello visitabile gratuitamente –raggiungibile agevolmente o su strade ancora bianche, non asfaltate- a pochi passi dai maggiori centri storici, nel cuore della Toscana più continentale e verde, fra bellissimi vigneti e piccoli unici paesetti incastonati in una natura ancora impervia e struggente.





Fonte :   scritti dell'artista prof. Alessio Varisco , Técne Art Studio .
Prof. ALESSIO VARISCO
Designer - Magister Artium
Art Director Técne Art Studio
http://www.alessiovarisco.it

www.antropologiaartesacra.it
http://architetture.splinder.com/ 








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