LA PAZIENZA E LA PREGHIERA DI
MOSE'
di Padre Felice Artuso
Il faraone teme
che la crescita degli ebrei costituisca un’insidia al suo potere
dispotico. Progetta quindi di ridurre il loro numero, obbligandoli ai
lavori forzati e prescrivendo alle levatrici di uccidere tutti i neonati
di sesso maschile (Es 1,1-22). Le levatrici e le donne, timorate di Dio,
non adottano la prescrizione del faraone. Ricorrono a molteplici
inventive per salvare i loro neonati. Una donna della tribù di Levi
partorisce Mosè e lo tiene nascosto per tre mesi. Interviene Maria, che
prende il fratellino, lo posa in un canestro e lo abbandona alla
corrente del Nilo con la speranza che qualcuno lo soccorra (Es 6,20). La
figlia del faraone vede il bambino, che galleggia sul corso del fiume.
Spinta dall’impulso materno, lo coglie, lo porta nella reggia, lo adotta
e incarica i maestri di corte di fornirgli l’educazione, riservata ai
principi..
Mosè, che significa tratto fuori dalle acque, cresce nell’agiatezza.
Diventa un giovane colto, scaltro, deciso, amato e stimato. Pensa,
ragiona e progetta il proprio futuro, basandolo sulla sua raffinata
formazione (Es 2,1-10). Visita di frequente i suoi fratelli ebrei,
costata la loro servitù e decide di liberarli dalle sofferenze. Avendo
notato che un sorvegliante egiziano colpisce irragionevolmente un ebreo,
applica la legge della vendetta.. Si avvicina all’aggressore, lo uccide
e lo occulta il suo cadavere nella sabbia (Es 2,11-12). Il giorno
seguente rimprovera un ebreo litigioso, ma costui si giustifica,
accusandolo d’aver commesso un omicidio (Es 2,13-14). Mosè intuisce che
i suoi fratelli lo pedinano, lo invidiano e lo odiano. Teme che lo
arrestino e lo consegnino al faraone. Si pone al sicuro, fuggendo nel
territorio di Madian, zona del golfo di Aqaba, occupata dai nomadi. Qui
Dio sorprende Mosè, che sperimenta il massimo isolamento e la totale
povertà. Ordina infatti a lui di ritornare in Egitto, di liberare il
popolo oppresso e di condurlo nel deserto, dove potrà rendergli culto.
Mosè obbedisce al Dio dei padri, che gli ha parlato. Si scontra tuttavia
con il faraone, che lo sfida, lo minaccia, lo caccia via e lo insegue,
senza riuscire a prenderlo.
Gli ebrei cantano vittoria, quando giungono con Mosè nel deserto.
Ringraziano Dio di averli liberati (Es 15,1ss). Incapaci di sopportare
le angustie del cammino, smorzano presto il primitivo entusiasmo.
Considerano la libertà acquisita un sogno utopistico, inaridiscono i
loro cuori e si abbandonano alla mormorazione contro Dio e contro Mosè (Es
14,1-14). Non negano che Dio li ha liberati, ma dubitano che egli li
accompagni negli spostamenti e provveda alle loro necessità. Pervasi da
una cecità interiore, pensano che egli si comporti come le divinità
straniere, insensibili e indifferenti alle sofferenze umane . Dominati
da un’insana cupidigia, si rammaricano d’aver abbandonato l’Egitto, dove
potevano almeno saziarsi di cibo sostanzioso. Si chiedono anche se: «il
Signore è in mezzo a noi sì o no?» (Es 17,7). Pretendono che egli
intervenga nuovamente e assicuri a loro una completa salvezza. Esigono
accedere alla svelta nella terra del Canaan, senza esporsi a fatiche e
incertezze.
Dubitano che Mosè sia il principale trasmettitore ed esecutore della
volontà di Dio (Nm 12,1-2). Sottovalutano il suo parlare affettuoso e
carismatico (Es 6,9). Immaginano che egli sia un orgoglioso e sventato
condottiero (Es 14,11-12; Nm 11,4-8). Pervasi da un forte risentimento,
rifiutano di procedere verso la terra promessa, considerata molto
pericolosa dai primi esploratori (Nm 13, 25-33; 16,1-3). Si ribellano
apertamente a lui, quando si diffondono le epidemie mortali (Es
32,1-6.21-24). Alcuni gruppi tentano di lapidarlo (Es 18,13-27; Nm
14,10). Tramano perfino di eleggersi una guida, che li accompagni in
Egitto e li inserisca nuovamente nelle strutture di questa grande
nazione (Nm 14,1-4; 21,5).
Mosè non cede alle molteplici pretese, incomprensioni, contestazioni,
ribellioni, paure e minacce di morte. Cerca di rasserenare i profughi,
di calmarli e di convincerli sulle ragioni dei disagi, per ottenere il
possesso dei beni superiori alle previsioni. Difende il libero agire di
Dio e raccomanda di affidarsi a lui, loro alleato. Esclude con sdegno i
maggiori rivoltosi dalle assemblee liturgiche, indisposti ad accogliere
il peso della legge divina, che tutela la libertà, l’intesa, l’ordine e
l’elevazione interiore. Grida ad ognuno di sottomettersi agli ordini di
Dio, di mantenere un rapporto più vitale con lui e di servirlo con
gratitudine (Es 15,26; Nm 16,1ss). Si rivolge così ai più ostili: «Come
posso io da solo portare il vostro peso, il vostro carico e le vostre
liti?» (Dt 1,12). Elimina la tensione e l’angoscia, prendendo frequenti
contatti con Dio, nei quali rivendica i diritti del popolo sofferente.
In un momento di scoraggiamento ricorda a Dio di non essere lui il
generatore di questo popolo ostile. Implora quindi Dio di esimerlo dal
pesante incarico di guida e di portavoce: «Perché hai trattato così male
il tuo servo?… L'ho forse concepito io questo popolo? O l'ho forse messo
al mondo io perché tu mi dica: portatelo al grembo, come la balia porta
il bambino lattante?» (Nm 11,12).
Mentre prega con insistenza, Mosè avverte che Dio lo incoraggia a
proseguire la missione di testimone inascoltato. Pertanto difende e
guida il popolo caparbio, presuntuoso e sofferente. Gli infonde
misericordia, sostegno, sicurezza e speranza. Lo esorta ad accogliere
l’alleanza divina e scrive le regole giuridiche, atte a mantenerlo nella
libertà e nel rispetto dei diritti vicendevoli (Dt 25,1-3). Sancita
l’alleanza con Dio educa il popolo ad osservarla anche nei momenti
calamitosi: «Mosè disse al popolo: Non abbiate timore: Dio è venuto per
mettervi alla prova e perché il suo timore vi sia sempre presente e non
pecchiate» (Es 20,20). Il popolo promette fedeltà a Dio, ma si mostra
sleale in assenza di Mosè. Infrange infatti i vincoli dell'alleanza,
forgiandosi un idolo, simile al bue Apis, venerato in Egitto (Es
32,1-6).
Sceso dal monte, Mosè si adira, vedendo la grave defezione. Frantuma
subito l'idolo, scagliandogli le tavole dell'alleanza (Es 32,15-24).
Risale quindi sulla cima del monte e supplica Dio di avere pietà del suo
popolo (Dt 9,18). Eleva a Dio una preghiera, che ha una straordinaria
grandezza spirituale. Gli chiede appunto di perdonare il peccato del
popolo e, se gli fosse impossibile di punire solo lui, radiandolo dal
libro della vita: «Questo popolo ha commesso un grande peccato: si sono
fatti un dio d'oro. Ma ora, se tu perdonassi il loro peccato. E se no,
cancellami dal tuo libro che hai scritto!» (Es 32,31-32). Dio accoglie
la supplica di Mosè: perdona la grave offesa del popolo, rinnova
l'alleanza infranta e continua ad accompagnare i prevaricatori (Es
34,10).
Nella defezione di Baal Peor Mosè vorrebbe impiccare i capi apostati (Nm
25,4), ma ha imparato ad essere paziente e misericordioso (Es 32,30-34).
Si mostra particolarmente benevolo verso Maria e Aronne che, dominati da
una cocciuta invidia, lo disprezzano e lo umiliano. Per Maria, affetta
dalla lebbra, implora la guarigione con questa semplice invocazione:
«Guariscila, Dio!» (Nm 12,13). Attento ai bisogni di ognuno, affida ad
alcuni anziani la responsabilità di risolvere i problemi quotidiani (Nm
11,24-30). Incarica i sacerdoti di compiere il servizio cultuale (Nm
15,1ss), di adattare la Legge di Dio alle esigenze delle comunità locali
(Dt 17,8-12), di porre il rotolo della Scrittura accanto all'arca
dell'alleanza (Dt 31,24-26) e di prestare ascolto a tutto quello che vi
è scritto (Dt 32,45-47). «Istruito in tutta la sapienza degli Egiziani,
si mostra potente nelle parole e nelle opere» (At 7,22).
Mosè non è certo un uomo perfetto. Sbaglia quando immagina di poter
operare prodigi e di risolvere i problemi del popolo in aperta rivolta (Nm
20,9-11). Ha tuttavia la virtù di lasciarsi educare e guidare dalla
presenza dell’Onnipotente. Arriva perciò alla perfezione personale (Eb
11,24-29). Diviene il più docile, il più umile, il più fedele degli
uomini (Nm 12,1-3) e il migliore modello di sapienza (Dt 32,2). Molto
anziano si ritira sulla montagna del Nebo, che si erge di fronte alla
terra promessa. Dalla cima del monte contempla con mestizia il
territorio verdeggiante, che le tribù d'Israele stanno per occupare (Dt
34,1-4). Promette ai suoi intimi collaboratori che Dio invierà ai loro
discendenti un profeta, che avrà le sue stesse doti, meriterà il pieno
ascolto, beneficerà tutti e li libererà dalle loro oppressioni: «Il
Signore tuo Dio susciterà per te, in mezzo a te, fra i tuoi fratelli un
profeta pari a me; a lui darete ascolto» (Dt 18,15).
Mosè muore senza avere la gioia di introdurre il popolo nella terra
promessa. Il suo spirito accede nella patria dei giusti, mentre il suo
corpo è sepolto in un luogo sconosciuto (Dt 34,5-10; Gv 5,28-29).
Egli scompare dalla scena di questo mondo, riconoscendo che soltanto Dio
merita di essere ascoltato, servito ed esaltato. Lascia ai posteri, che
lo ricordano (Sir 45,1-2) una grande eredità spirituale ed un esempio di
dedizione mistica. Insegna agli uomini a cercare Dio e ad essere sempre
docili alla sua Parola (Dt 32,45-47). Condottiero, legislatore, giudice,
mistico, sacerdote, intercessore, profeta e primo scrittore biblico, è
nella coscienza dei giudei il servo più fedele a Dio e «il più infelice
di tutti i mortali» . Costituisce per loro il modello migliore nel
servizio agli uomini, nella costruzione di un mondo più giusto e
nell’avanzamento sulla via della santità. Nelle celebrazioni liturgiche
ricordano che fu un servo attivo, sofferente e vittorioso (Dt 3,24;
34,5.10-12). Attendono quindi che Dio mandi a loro un profeta con
caratteristiche simili a quelle di Mosè.
Gesù si riferisce sovente alla persona e al ruolo svolto da Mosè. Verbo
di Dio incarnato, rende presente la trascendenza di Dio nel mondo.
Supera l’autorità e la missione profetica di Mosè. Servo e pastore del
popolo, compie segni prodigiosi. Illumina con il suo insegnamento coloro
che vivono nelle tenebre mortali (Mt 4,12-16). Legittima, completa e
perfeziona la Legge divina, rivelandone il senso recondito (Gv 7,15-16).
Libera l’umanità dalle funeste schiavitù, e la guida verso il traguardo
della redenzione eterna (Gv 1,17; 10,11; Eb 3,1-6). Gli increduli
mormorano contro il suo insegnamento e lo abbandonano (Gv 6,41.61.66).
Nell’Orto degli Ulivi prova angoscia mortale, pensando alla durezza e
alla violenza degli uomini. Condannato a morte, sale sul monte Calvario,
si lascia crocifiggere, effonde il suo sangue, muore nella solitudine ed
espia i peccati. Risorto, entra nella vita celeste con le cicatrici del
suo passaggio, inaugura la nuova ed eterna alleanza, invia i discepoli,
che ha preparato, ad ammaestrare e unificare tutte le nazioni nella
professione dell’unica fede (Mt 28,19), mentre egli intercede per loro,
espleta una funzione di mediazione (Gal 3,19; Eb 8,6), li sazia con il
pane eucaristico e li prepara ad entrare nel banchetto celeste. I
discepoli riconoscono quindi che egli è la guida, il legislatore, il
profeta, il giudice, il sacerdote, il rinnovatore dell’alleanza, il
salvatore, il restauratore e il perfezionatore di tutte le cose (At
3,22; 7,37, Dt 18.15). Si sentono realmente sollecitati da lui ad
evitare le defezioni degli antichi ebrei (1 Cor 10,6-11).
I Padri della Chiesa tracciano tanti parallelismi tra Mosè e Gesù
Cristo, tra la notte dell’Esodo e quella pasquale, tra la Legge del
Sinai e quella delle Beatitudini. Riportiamo soltanto questa
testimonianza dello pseudo Barnaba: «Mosè rappresenta la figura di Gesù
perché egli doveva patire e proprio quello che credevano morto sulla
croce avrebbe dato la vita»; «Mosè da servo aveva ricevuta la legge, il
Signore stesso invece la diede a noi, al popolo erede, avendo sofferto
per noi» . Nei primi secoli i pellegrini cristiani salgono sulla cima
del monte Nebo, vi sostano e commemorano le imprese, gli insegnamenti,
le sofferenze, le solitudini e la morte di Mosè. Collegando il suo
percorso a quello di Gesù, rafforzano la fede nella costante assistenza
di Dio. Nei secoli seguenti edificano sul Nebo una basilica con
battistero e mosaici simbolici. Accanto ad essa erigono anche un
monastero di cui rimangono dei preziosi resti.
Fonte : scritti e
appunti di Padre Felice Artuso (religioso Passionista)
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