giovedì 25 luglio 2019

STORIA DI UNA CHIAMATA (5°-6°-7°-8° Capitolo) , di Rosarita De Martino



STORIA DI UNA CHIAMATA
  (5°-6°-7°-8° Capitolo)
 
di Rosarita De Martino
 
 
 
5° Capitolo
 
(prima parte)
 
 
“Io sono qui soltanto per cantare il Tuo canto
nel Tuo meraviglioso universo;
dammi il mio piccolo posto
Tagore
 
 
 
E’ una ventilata  mattinata settembrina dell’ 80. Il caldo acuto è già passato ed io mi guardo dentro: sono serena perché ho smesso l’aria cupa di “affossatrice della speranza” ed ora (dopo l’incontro con Francesco ad Assisi) non sono più disposta a “piangermi addosso” bensì ho ripreso a lottare per ricercare qui, a Catania, una comunità.
Certo sarà diversa dalla mia prima speciale comunità catanese nata lì a Lentini, tra i verdeggianti filari di pere, impreziosita dalle “nostre” Messe celebrate fra i campi a contatto diretto con la natura!
Ora sono pronta a ripartire perché ho portato via da Assisi il bastone … della speranza. Lo so, dovrò attraversare, ancora una volta, “deserti di città”, “oceani d’indifferenza” per vivere la mia unica, personale, ineliminabile chiamata, quella della comunità intesa come “luogo privilegiato” della presenza dello Spirito, anzi della Trinità.

<<… Neppure Tu ami restare solo
Sei  un Dio di compagnia,
un Dio-comunità, un Dio-insieme,
un Dio Trinità.
Ho chiaro perché tutte le anime
entrano in terra innamorate.
Ho chiaro perché l’insieme è medicina,
la solitudine veleno
perché l’uomo solo è in cattiva compagnia,
perché la gioia è a portata di cuore,
non a portata di mente.
Ho chiarito perché gli uomini risorgono
quando smettono di stare accanto
e si mettono insieme.
Solo insieme si parla,
solo insieme si canta,
solo insieme si ride,
solo insieme si ama,
solo insieme si è felici.
Ho chiaro tutto.
L’inferno è tenere le porte chiuse.
La felicità è spalancare le persiane.
                            (Anonimo)
 
Mi trovo ora già in via Etnea alla ricerca dei francescani e d’altronde, tempo fa, passando per la strada li ho visti uscire dalla chiesa di via Sangiuliano; convinta ci vado, giro l’angolo, salgo la scalinata, infilo la porta. L’ambiente è in penombra, mi trovo dentro una chiesa antica, ornata di belle pitture, ora mi avvio verso l’altare centrale, dove troneggia il tabernacolo; improvvisamente di fronte al coro di legno antico, un affresco attrae la mia attenzione: vi è raffigurato il profeta Elia che sosta sotto il ginepro e aspetta la morte, perché è troppo stanco e deluso, ma ecco, invece , un Angelo del Signore che gli porta una succulenta focaccia e dell’acqua pura per ristorarlo e per fargli continuare “Il progetto di Dio”.
Mi piace questo dipinto, mi è simpatico questo profeta “sconsolato”, ma il tema non mi sembra francescano. Ma lo è, invece, il vecchio monaco che improvvisamente spunta dalla porticina laterale ed io lo guardo attenta: ha i capelli bianchi, gli occhi vivaci di un colore tra l’azzurro e il violetto ed uno strano giovane sorriso che lo illumina.
Mi alzo e mi avvicino attratta dalla sua personalità ma, osservando il suo abito, noto qualcosa di diverso dai sai indossati dai francescani d’Assisi!
Sollecito e premuroso mi regala un sorriso e mi fa cenno di seguirlo in fondo alla chiesa dove si trova “la stanzetta per i dialoghi”.
Come  ti chiami?” chiede. “Rosarita” rispondo pronta. Rifaccio il cammino dell’entrata e in un altare laterale (che prima non avevo notato) vedo la statua di una suora e sotto c’è scritto <<S. Teresa d’Avila>>. Ma Avila è una città della Spagna e che cosa c’entra con i francescani? Mah! Padre Ignazio (così si chiama) nota la mia perplessità e mi dice:“Rosarita, noi siamo carmelitani!” Mi sono appena seduta e di scatto mi alzo:“Mi scusi, padre, io cercavo i francescani” dico convinta, pensando al viaggio ad Assisi e lui subito, con decisione giovanile, mi afferra il braccio e, facendo una dolce pressione, mi invita a sedermi di nuovo e poi, rimproverandomi amabilmente, dice:“Rosarita , ma tu hai il fuoco del vulcano dentro di te, ti prego stai calma, io, invece, sono veneto e le mie reazioni sono lente ed equilibrate. Stai tranquilla ti dico, se il Signore ti ha mandato da noi carmelitani, proprio qui troverai il tuo posto e la tua pace. Proprio in questo periodo il mio giovane confratello P. Vincenzo che, come te ha il vulcano nel cuore, sta dando vita ad una prossima comunità, ora parlane con lui” propone.
Mi guarda, si alza ed io speranzosa lo seguo, perché la parola “comunità” mi vive dentro, è qualcosa di profondo, quasi d’innato per me: il modo unico per poter testimoniare l’Amore di Cristo al mondo!
Entro in sagrestia (vi trovo dei mobili identici a quelli del coro) scendo poi una rampa di scale e mi ritrovo nei locali della chiesa.
Ma che confusione di oggetti: tubetti di colori, pennelli, matite, forbici, cartoncini, lettere disegnate e ritagliate a caratteri cubitali e, in fondo, c’è un altro monaco, giovane, con ricci capelli neri, porta occhiali cerchiati di tartaruga, è bassino, ha un viso rotondo che ispira simpatia. Anche lui meravigliato e imbarazzato per tutto il disordine circostante, mi osserva, ma io non lo guardo subito perché, in un angolo, un robusto cartellone con la scritta appena abbozzata a matita attrae la mia attenzione: “Se sei alla ricerca di qualcosa di nuovo che dia valore e significato alla tua vita  “Sta nascendo una comunità di fede per te!
“Grazie Gesù sei proprio di parola, perché in modo imprevedibile, mi hai dato la risposta che mi avevi promesso ad Assisi per bocca del fraticello”.
Il problema è che io esprimo questo “grazie” ad alta voce e P. Vincenzo
(così si chiama) mi guarda in modo interrogativo, ma subito sembra capire e con fraterno sorriso commenta: “Alleluia al Signore”.
Già parliamo lo stesso linguaggio appena balbettato perché scoperto da poco, poi via via lo vivrò in piena adesione con tutta la carica esplosiva che mi caratterizza. Comincio a frequentare la chiesa di S. Teresa per la celebrazione Eucaristica.
Stasera è veramente ordinato e accogliente il nostro saloncino, P. Vincenzo mi ha invitato per il primo incontro; le sedie, disposte a semicerchio, sono solo dieci, la chitarra è al posto d’onore, vicino c’è la Bibbia!
Entro e mi ritrovo unica “sorella” fra quattro fratelli: P. Vincenzo, Salvo, Aurelio, Pippo, Corrado.
Ma che dolce ragazzetto è Corrado! “Faremo un bel cammino di fede insieme penso dentro di me.
Ecco lui stringe la mia mano e mi sorride con i suoi limpidi, luminosi e profondi occhi azzurro-verde, mentre recitiamo in coro il Padre Nostro.
Il canto, che  P. Vincenzo intona con la sua bella voce, mi colpisce profondamente: <<Siam le catene nessuno ci scioglie, siamo le lacrime nessuno ci asciuga, siamo le tenebre nessuno ci ama … Maranathà maranathà>>.
L’invocazione allo Spirito è insistente, ritmata con canti che mi coinvolgono liberando tutte le tensioni inconsce che ancora mi turbano dentro e (stupore nuovo!) anche il mio corpo partecipa alla preghiera, anzi vi si abbandona, così rifiorisce di giovinezza, di speranza e di fede.
 
Tu sei la mia libertà
solo in Te potrò sperare
ho fiducia in Te Signore.
La mia vita cambierà.
La Parola arriverà fino ad ogni
estremità …”
 
Così sia, così sia, martella il mio cuore e comprendo che ho bisogno di farmi “ricostruire” dal Signore, ho bisogno ancora di lasciare le mie idee preconcette, il mio “stile” di vita ordinato e metodico, ho bisogno di accettare me stessa e la mia “forte emotività” che non deve essere più repressa bensì’ “incanalata”, vissuta quotidianamente godendo della comprensione dei fratelli di oggi. La mia personalità è tuttora caratterizzata dal “divario” esistente tra la mia età cronologica (sono già arrivata ai 40 anni) e la mia età mentale (sono ferma ai miei 20 anni)…
Ora mi sento libera di esprimere la mia “ingenua fede” e il mio “entusiasmo giovanile” e nessuno mostra perplessità, mi accettano come sono!
Certo la mia comunità è solo agli inizi, infatti sta nascendo pian piano con me e vi posso “immettere” il mio contributo esistenziale.
Mentre sto ordinando nella nostra sede dei libri, da uno di essi cade un foglietto ripiegato, lo apro, scritto in una leggera carta velina con caratteri piccoli, tipici di una vecchia macchina da scrivere, leggo:

Un viandante
aveva un’anfora chiusa
nel dargliela gli avevano detto:
“Vi è racchiuso un tesoro”.
Passavano  i giorni, i mesi,
passavano gli anni: uguali,
monotoni, duri.
Non uno sprazzo di luce gli allieta
il cammino, non un tepore d’affetto
lo riscaldava lungo il sentiero.
Teneva il tesoro racchiuso,
temeva, guardingo andava soltanto.
Ma che gli valse averlo senza conoscerlo,
senza metterlo in uso,
senza donarlo a qualcuno?
Morì il triste viandante con l’anfora accanto.
Noi tutti siamo viandanti con un’anfora chiusa.
Apriamola: dentro c’è un talento prezioso.
E’ grande? E’ piccino? Che importa:
è un talento, se trafficato produce, crea
qualcosa di nuovo, quello che soltanto noi
al mondo possiamo donare!
 
Oh, sì, ecco ho trovato anch’io il mio piccolo, unico, prezioso talento: la donazione alla chiesa, al mondo nell’ambito immenso di una comunità dove circola l’amore reciproco!
Ma ora  è più ricca la nostra comunità, sono venuti: Nando, Nino, Carmelo, Antonella, Francesca, Gina e, alla fine, Nunzio, medico impegnato nel volontariato.
Ora, in  ginocchio con il cuore, mi  trovo   nella  nostra  accogliente cappella e meraviglia e pace grande dentro di me, pian piano riesco a concentrarmi. Tutti i rumori delle case vicine e perfino l’abbaiare di un cane lentamente si smorzano, poi spariscono del tutto: sento solo il ritmo del mio respiro leggero e soave e ti contemplo in me. Già riesco a “gustare” la tua Santa Presenza e mi basta, la mia tipica inquietudine si è come placata nel mare sereno della preghiera. Respiro la pace, godo del silenzio divino che regna in questa “nostra cappella” e il mio corpo riposa al sicuro e sereno nei rustici francescani cuscini di juta. Il mio sguardo è assente, si perde nella lucentezza di un rilucente prato verde! Che gioia dentro di me! Ma da quanto tempo son qui? Ora il sole prepotente riesce a penetrare nella stanzetta superando la protezione della pesante tenda di velluto verde e così capisco che è tardi e lo sguardo rapido al mio orologio me lo conferma: è passato da un po’ mezzogiorno! Chi mi aprirà la porta d’uscita? Svelta prendo la borsetta e il quaderno, scendo le prime scale, continuo, scendo anche la seconda rampa di scale e mi ritrovo nei nostri locali; dalla stanzetta attigua alla segreteria si affaccia Pippo, io lo saluto premurosa: “Hai le chiavi per aprire la porta d’uscita? chiedo incerta “Sì, certo” risponde “Ma da dove vieni? Io stamattina non ti ho visto passare, ho lavorato poco e male, perché sono stato disturbato dai rumori provenienti dalle case, specie dall’abbaiare del cane vicino a noi”. Rispondo “Io stamattina sono stata in cappella un bel po’ di tempo, ma ho goduto di “un divino silenzio”, solo all’inizio ho sentito qualcosa  mi pare, anche l’abbaiare di un cane”.
Ma che bello! La nostra cappella è veramente “il deserto nella città”. Pippo mi guarda interdetto poi si avvicina e mi abbraccia, congratulandosi con me per la mia ”speciale capacità di sapermi isolare dal mondo circostante”.
Scendiamo insieme le scale d’uscita, ma presto in via Etnea ci separiamo, abbiamo da raggiungere punti opposti della città per ritornare nelle nostre case.
Cammino attenta, devo riportare salva a casa mia “la pianticella” tenera della gioia: è delicata, ha un colore verde chiaro ed ha delle foglioline che sembrano di carta velina, deve essere curata ogni giorno: innaffiata con l’acqua della speranza e con la luce rilucente della … preghiera.
Il fiore azzurro della gioia è ancora vivo dentro di me ora che, sul finire dell’Ottobre dell’81, mi ritrovo a scuola, non più con i miei alunni di quinta classe, bensì con i piccoli di prima elementare.
Il mio motto è ancora “ricominciare con entusiasmo” e strano, più passa il tempo più mi sento realizzata, impegnata nella mia “missione di maestra”.
La scuola è per me una seconda “chiamata”, una seconda vocazione e vi porto dentro la carica esplosiva della mia “personalità” che vive anche il lavoro  <<con animo perturbato e commosso>> come dice Vico, e lo posso fare pienamente perché sono ancora maestra unica. Che bellezza! Che grazia! Voglio offrire anche ai nuovi bambini la possibilità di apprendere in … modo gioioso, ricreando quel clima di serenità e d’intesa reciproca che caratterizza il mio “insegnamento”. Li guardo ora uno per uno. Ma come sono belli questi nuovi bambini nei loro lindi colorati grembiulini e con i loro limpidi occhioni dove si riflette la luce del cielo!
Di colpo con la memoria del cuore, che ho molto sviluppata, rivedo i miei alunni di quinta, non più alti e cresciuti come li ho lasciati negli ultimi giorni di giugno, bensì piccoli, graziosi, belli, incerti come erano quando, per la prima volta, nella loro prima classe prendevano in mano la matita per … scrivere.
Oggi frequentano la scuola media fisicamente, ma io, stranamente risento dentro di me le loro voci, le loro squillanti risate infantili, le loro domande, i loro  “perché”. Ripeto a me stessa che tutti, proprio tutti, i piccoli di oggi devono avere la possibilità di esprimere le loro potenzialità, il  mio compito è quello di essere una guida presente, sollecita, attenta! A me  tocca solo intrecciare con ciascuno un rapporto personale, instaurare quella <<corrispondenza d’amorosi sensi>> di foscoliana memoria. E’ davvero “fascinoso” e “affascinante”  l’intesa che ad ogni anno scolastico riesco a creare! Posso farlo, so farlo! Mi viene naturale comunicare con i bambini, li amo e loro ricambiano di cuore!
E la mattina tutti mi corrono incontro, felici di salutarmi appena scendo dalla macchina e  in coro, cinguettano “Maestra, maestra Rosarita!”
Ora è il momento della ricreazione, sono in classe, recitiamo insieme la preghiera e poi si può apparecchiare! Tutti hanno una pulita, colorata tovaglietta, la bottiglia dell’acqua e via, possiamo consumare “lo spuntino”.
Anche sul mio tavolo c’è una colorata tovaglietta e ora gusto con piacere una matura banana.
Ma ecco che Orazio ha già consumato il suo spuntino, titubante si avvicina, mi guarda perplesso con i suoi grandi verdi occhi lucenti e chiede: “Tu  sei una maestra o sei una bambina?” “Perché?” domando meravigliata. “Ecco mangi la banana come fanno le scimmie, non prendi il caffè, non fumi, non leggi il giornale!”
Rido di cuore e lo rassicuro sulla mia identità di “maestra” aggiungendo che il giornale lo leggo a casa mia la sera, il caffè non mi piace, il fumo mi fa male.
Orazio si sente rassicurato e per affermare il mio ruolo di “adulta” lo scelgo come mio segretario per distribuire i foglietti speciali del disegno individuale, così  quando i  compagnetti  finiranno lui potrà ritirare gli elaborati. Orazio mi abbraccia forte alzandosi sulla punta dei piedini ed io gli faccio notare che sono molto più alta di lui.
 
<<se non vi farete come bambini non entrerete
nel regno dei cieli>>

“O Signore, ti prego, fammi conservare nel tempo “la freschezza” di questi momenti!” – penso e prego dentro di me.
Oggi stranamente mi sento una “bambina” in mezzo a loro!
Ho permesso agli alunni di darmi del tu e mi sembra molto personale questo nostro rapporto fatto di rispetto, amicizia, collaborazione.
Il gruppo-classe, in ordinato, sereno silenzio, ha già ripreso a lavorare.
Ognuno prova ad esprimere le proprie emozioni con un disegno personale, per completare il grande cartellone dal titolo <<L’amicizia>> che servirà per la prossima drammatizzazione con la presenza dei genitori che seguono con interesse e simpatia la vita scolastica.
Passeggio tra i banchi e … guardo il disegno ben fatto di Agatella (bambina con problemi) e chiedo sorridendo: “L’hai fatto tu?”. Sta zitta e subito Fiorella, sua compagna di banco, mi dice: “Maestra, tu hai detto che dobbiamo fare un  disegno sull’amicizia, Agatella stava per piangere e allora prima ho fatto il suo disegno (per amicizia) ora faccio il mio, non preoccuparti, il mio non sarà uguale al suo!”.
Mi controllo a fatica, ho una voglia matta di abbracciarla, ma mi limito a dir piano: “Va bene”. Ora Agatella, più tranquilla, sta colorando tutto il suo disegno di uno strano colore: rosso fuoco il viso del pupazzo, il corpo e perfino i capelli … perché il disegno è “suo” e l’ha interpretato così … Ma forse è il rosso colore dell’Amore che lei ha sperimentato nel gesto della compagna? Chissà??
Sono contenta un mondo, Agatella ha già trovato un aiuto reale oltre al mio e diventerà “brava”.
Evviva la scuola dove la legge è l’Amore, non più le rigide caselle delle istituzioni! Evviva la libertà dell’insegnamento, evviva il rapporto magico che può nascere solo in una classe dove regna la libertà, il valore supremo della persona umana: ognuno dà in rapporto alle proprie possibilità raggiungendo il massimo grado d’impegno. Che meraviglia una scuola così! Che fortuna per una maestra il poter donare il meglio di sè, che fortuna per i bambini vivere in questo ambiente di gioiosa operatività!

 * * * * * * *

Finalmente una radiosa giornata domenicale del Luglio 1981, mi ritrovo a vivere un’esperienza di fraternità con riflessione, deserto, pranzo comune e infine la Celebrazione Eucaristica pomeridiana!
Ma prima di iniziare la giornata comune do uno sguardo alla casa che ci ospita qui a Monte Carmelo, vicino Lentini.
Siamo in piena campagna: intorno alla casa alberi secolari disposti a semicerchio proteggono “la clausura” dei monaci, custodiscono e rendono sacra la loro vita spesa fra la preghiera e il lavoro dei campi. Passeggiando osservo i lunghi, bassi filari di … pomodori verdi e rossi e altri filari ancora, ma non più pere, bensì rilucenti e violette melanzane e più in là, un po’ più giù dalle serre di ortaggi, fanno capolino lunghe e lucenti le zucche verdi e lisce che si espandono in lunghezza occhieggiando appena fra le verdi grandi foglie ricoperte da una tenera peluria protettiva.
Mi viene in mente una preghiera dal titolo “Chi è il mio Dio?” e quasi senza accorgermene la ripeto a fior di labbra, mi è stata regalata da un’amica, ed immersa in questa natura sfolgorante, la faccio mia.

Chi è il mio Dio?
Il mio Dio è il Dio che pianse alla morte di Lazzaro,
il mio Dio è il soffio dolce del vento
sui capelli baciati dal sole,
il mio Dio è nel primo sorriso di un bimbo
che tutto guarda con dolcissimo stupore,
il mio Dio è l’alba che ogni giorno nasce per te e per me,
il mio Dio è l’aurora, è il tramonto
che ogni giorno muore,
per risorgere poi in una nuova alba,
il mio Dio è la luce,
il mio Dio è il buio,
il mio Dio è anche dolore,
il mio Dio cinguetta con i passeri nel cielo,
il mio Dio profuma come un fiore sulla neve
o su un prato,
il mio Dio è acqua limpida che disseta e dona la vita,
il mio Dio è la speranza che domani sarà con me,
il mio Dio è la forza che mi sostiene, mi è accanto
e che a volte mi porta in braccio,
il mio Dio mi osserva, vede la mia goffaggine,
le mie cadute, i miei errori.
Ma il mio Dio mi ama come solo un folle può amare,
il mio Dio è l’Amore che non potrà mancarmi mai.
Concita Sambataro
 
lo vivo e lo respiro sensibilmente ancora immersa in questo piccolo grande spazio della creazione.
Ho appena finito di fare il primo giro esplorativo e mi ritrovo davanti al saloncino vuoto. Le sedie sono già disposte a semicerchio e, strano, sul tavolo, oltre ad alcune Bibbie ci sono diversi foglietti che formano un mucchietto, ne tiro via uno e lo guardo: <<Il Signore per più di un anno ti ha fatto camminare con l’aiuto dei fratelli (la tua comunità), ora devi impegnarti tu di persona per aiutare i nuovi fratelli che il Signore vorrà mandarci>>.
Istintivamente, a voce alta, rispondo: <<Sì, lo farò volentieri, devo restituire ad altri fratelli la gioia che tu, Signore, mi hai donato>>.
Stavolta sono proprio fortunata perché il saloncino è vuoto, solo un passero curioso, appoggiato al grande albero che si intravede dalla finestra aperta, ha ascoltato il mio proposito e cinguetta il suo allegro “cip” di … approvazione.
Mi avvicino all’ingresso del salone e cerco i miei fratelli: P. Vincenzo e Pippo sono vicino alla macchina e stanno trasportando il microfono e la chitarra, più in là Aurelio ha già in mano i libretti dei canti. Più lontano si intravedono Nando, Francesca, Nino, Antonio, ma … dove si trova Corrado? Non è venuto oggi?
Ci avviamo tutti verso l’entrata del saloncino; mentre girata sto per entrare, mi sento passare una mano davanti agli occhi e una voce nota mi chiede: <<Chi sono?>> rispondo sicura: <<Corrado>> e girandomi di scatto lo abbraccio forte.
 
mani e fiumi benedite il Signore,
uccelli dell’aria benedite il Signore 

recitiamo con le lodi mattutine.
Le vicine colline sembrano rispondere alla lode mostrando lo sfolgorio dei loro colori giallo e verde, anche il mare in vicina lontananza offre il suo “sorriso” espresso dall’incresparsi delle onde e infine gli uccelli uniscono il loro canto al nostro e, guarda un po’, riescono ad essere intonati!
Noi tutti lodiamo il Signore e lo vediamo visibile nel volto dei fratelli. Certo non posso guardare il mio volto, ma vedo il riflesso della mia gioia in quello di Corrado.
Con il salmista ripeto

com’e’ dolce e soave che i fratelli stiano insieme

Aurelio con la sua bella dizione, prende il foglietto che gli porge P. Vincenzo e legge: <<Signore tutti noi siamo dei chiamati convocati dal Tuo Amore fatto carne, La nostra vita cristiana è dunque una vocazione che ha come motivo qualificante l’Amore Tuo per noi. L’Amore è il modo in cui Tu ci chiami, ma tutto ciò non basta, occorre capire a che cosa siamo chiamati e per che cosa siamo interpellati.>>
(Sussulto: ma io lo so! Lo so già!)
<<Ogni vocazione infatti implica un’azione, una dinamica, un compito. Fa’, o Signore, che la Tua chiamata provochi in noi una risposta totale e decisiva, fa’ che sappiamo ascoltarti e fa’ che possiamo scoprire qual è il nostro posto nel Tuo disegno>>. (A. Pronzato)
Nel totale silenzio P. Vincenzo ci esorta:<<Buon deserto a tutti. Ci rivedremo tra due ore!>>
Esco, nessuno disturba la mia “riflessione”. Mi incammino fra gli ampi spazi della campagna di Monte Carmelo, trovo un sentiero appena accennato, vi entro decisa e alla fine arrivo vicino ad una rupe lavica circondata da ciuffetti di erbe e da fiorellini di campo: <<Dio mia rupe, mia potente salvezza!>> prego poi volgo lo sguardo intorno, ecco laggiù lontano il mare infinito sembra toccare il cielo infinito. <<Padre nostro>> mormoro <<che sei sulla terra>>, Padre mio, ti ringrazio di questa  “sosta”  che mi hai regalato in modo gratuito e poi mi è sembrato “congeniale” il passo offerto alla mia riflessione personale. Ho riconosciuto lo stile provocatorio, incisivo e fraterno di A. Pronzato, che è da sempre il mio preferito.
Signore ti lodo perché con ciascuno di noi usi “una speciale tattica” per incontrarci nelle nostre strade.
Alla donna samaritana hai chiesto dell’acqua per estinguere la tua sete di uomo e poi hai donato a lei < l’acqua di vita eterna>, a Zaccheo che ti aspettava curioso sul sicomoro solo per vederti passare, tu hai chiesto ospitalità e il povero usuraio con uno slancio di conversione sincera afferma: <signore se ho defraudato qualcuno ne restituirò il quadruplo>. Che grossa fortuna per i poveretti  “defraudati”  da Zaccheo!
Su, ti ascolto <<Hai qualcosa da proporre anche a me?>>. Riprendo a passeggiare nella bella campagna e improvvisamente un alto, grande pergolato appare alla mia vista. Che bello! Ho capito mi hai sempre “parlato” attraverso gli alberi: la prima volta mi hai aspettato sul lago vicino agli alberi secolari di Gambarie, poi mi hai aspettato a Lentini tra i filari di pere e ora mia stai aspettando presso le viti di Monte Carmelo.
<<Fa’, o Signore, che io non mi distacchi mai da Te mia “vite” mia “vita”>>
Com’è dolce il venticello che mi accarezza complice di tanta pace! Sento dei passi svelti, tutti stanno per ritornare per  “condividere” con i fratelli, le riflessioni del deserto.

 * * * * * * *

Inizia a Settembre ’81 il nuovo anno sociale. Il mio cartellone speciale <Sta nascendo una comunità di fede per te> fa bella mostra di sè all’ingresso della chiesa e via via ben presto intere famiglie vengono da noi coinvolte dalle nostre speciali Messe animate da canti corali e da testimonianze singole e fra esse non manca la mia.
Ora fra noi arrivano Pina e Antonio che, quale docente universitario, arricchisce di fede e di cultura teologica i nostri incontri comuni. L’affinità elettiva che, ricca e spontanea, nasce fra noi tre è profonda e duratura e diventa una bella amicizia personale.
Ecco  “l’amicizia”  è il  “dono”  nuovo che scopro e vivo nell’ambito di questa comunità.
E’ una bella sera, infatti, per la prima volta in tutta la mia vita, usciamo per divertirci insieme ed andiamo al Luna Park.
Nando, Nino, Antonella, Aurelio camminano sicuri verso la ruota panoramica, ma io mi sento indecisa. Nando e Nino si voltano, mi danno la mano, mi rassicurano e, non so come, mi ritrovo seduta sulla ruota panoramica; per prudenza (ma in realtà per un’istintiva infantile paura) mi metto al centro e ai lati ho due  “fratelli” . La paura va via pian piano, vivo intensamente la nuova, strana esperienza che avrei dovuto fare da ragazza, no ora, ma Nando mi sussurra:<<Lo spirito non ha età, divertiti!>>. Ardita tiro la leva e andiamo ancora più in alto <<Volare oh, oh, cantare oh, oh, oh>> e mi sento tanto vicina alle stelle. Provo una sensazione di libertà e gusto in pienezza questo  “momento”  grazie alla disponibilità dei miei fratelli che godono nel vedermi così  <<elettrizzata, come un’adolescente!>>.
Il nuovo anno si conclude con una giornata comune a Monte Carmelo e stavolta siamo in molti, le giovani famiglie sono ricche di figli e i bambini corrono, saltano, giocano, ridono nella bella campagna sicula.
Particolarmente festoso è il nostro domenicale Banchetto Eucaristico con tre sacerdoti concelebranti, con l’animazione musicale, con il  momento di testimonianze di vita per  confermare  <<le meraviglie operate dal Signore Gesù>>. E la  Parola di Paolo risuona ancora dentro di me  <<e se avessi il dono della profezia e conoscessi tutti i misteri e tutta la scienza e possedessi la pienezza della fede così da trasportare le montagne, ma non avessi la carità non sono nulla ….  la carità e’ paziente, e’ benigna la carità, non e’ invidiosa, la carità non si vanta, non si gonfia, non manca di rispetto, non cerca il suo interesse, non si adira, non tiene conto del male ricevuto, non  gode dell’ingiustizia, ma si compiace della verità, tutto copre, tutto crede, tutto sopporta>> (1 Cor. 13,11).
La carità diventa il tema dominante dei nostri incontri con l’attenzione agli ultimi: ai poveri di salute, ai poveri di speranza e specialmente ai più poveri dei poveri: i poveri di Dio.

 
 * * * * * * *
(seconda parte)
 
 
IL CONVEGNO DI RIMINI

       Oggi, nell’aprile dell’82, mi sto preparando per vivere una nuova, unica esperienza di fede: il Convegno del Rinnovamento nello Spirito che si terrà a Rimini.  A Catania si formerà un treno speciale riservato per tutti i partecipanti della Sicilia.  Che bello!  Sono già sul treno ed ho con me i fratelli della prima ora: P. Vincenzo, Pippo, Aurelio, Salvo e Corrado.
       Come sempre è molto emozionante per me la traversata dello Stretto e al rientro resto sempre affacciata al finestrino del corridoio, ma Corrado premuroso si avvicina: Roròesordisce (è il diminutivo che usa in certi momenti, a me piace molto, perché mi fa sentire giovane come lui che ancora non ha compiuto vent’anni)Stai attenta, facendo così ti stancherai e non potrai assaporare i sacri momenti del nostro convegno di Rimini, su presto vieni a sederti al mio posto, è vicino all’altro finestrino”.
          Sorridendo convinta accetto il suo “velato ordine”.
          A Bologna il treno si ferma per la coincidenza e abbiamo quasi tre ore libere a nostra disposizione.
          E’ una città medievale, m’ispira molto, sto contemplando le due artistiche torri  della “Garisenda” e degli “Asinelli” e Pippo propone: Dai, lasciamo qua Rosarita, la passiamo a prendere al nostro ritorno”. Tutti ridiamo, quindi si riparte <<Signori in carrozza!>>.
          Il treno riprende la sua corsa e noi ci muoviamo per fare una visita di cortesia ai fratelli del vagone accanto. Il nutrito gruppo di Palermo è guidato da P. Mario: è deciso questo monaco con una chierica vigorosa e con i pochi  capelli rimasti tenacemente attaccati alla sua testa. Gli occhi, indagatori e penetranti, pare siano avvezzi a leggere dentro i cuori degli uomini.
          A vederlo così, a prima vista, mi dà l’impressione di un uomo “severo”, “deciso”, mi sembra un antico profeta biblico. Anche lui sembra scrutarmi con interesse, ma si limita a mormorare un formale <<Benvenuta fra noi, Rosarita>>. Mi allontano, lo guardo perplessa e mi dico:<<Questo monaco avrà un ruolo nella mia vita>>  e questo pensiero è “strano”.
          Il treno continua la sua corsa, noi siamo già ritornati nel nostro scompartimento e mi chiedo: Dove sono i miei bagagli?”, Corrado si è assunto il compito di sistemarli e trascinarli via insieme al suo leggero borsone.
L’autobus all’uscita della stazione ci aspetta per portarci nel nostro albergo. Nella mia stanzetta a due posti viene Antonietta, proveniente da Paternò; la simpatia è istintiva e reciproca. Ora è mattina presto, l’autobus ci viene a prendere per portarci alla sala del convegno.
Ben presto arriviamo in uno slargo immenso riservato ai pullman che portano i pellegrini della Calabria e della Sicilia; non si riesce neppure a vedere l’asfalto perché l’enorme parcheggio è pieno di centinaia di pullman colorati con cartelli con su scritto il nome del luogo di provenienza e il numero di codice del posto assegnato ad ognuno.
<<Ma che nordica organizzazione!>> mi dico.
Scendiamo ed ora verso di noi arrivano due biondi, nordici ragazzi in divisa: camicia azzurra, pantaloni blu e una vistosa fascia bianca al braccio con la scritta  <<Servizio d’ordine>>.
Noi scendiamo e siamo già incolonnati in fila indiana; ad ognuno di noi viene consegnata una colorata busta, subito apro la mia e vi trovo una targhetta autoadesiva da riempire, il codice del nostro pullman, l’indirizzo e il nome dell’albergo, il libretto dei canti ed un grazioso cappellino giallo, che subito indosso per difendermi dal “caldo” sole.
I due biondi atletici ragazzi chiedono chi è il nostro capogruppo e subito Pippo si fa avanti, anche lui riceve il nostro materiale, ma il suo cappellino è rosso e stavolta ha il ruolo di guida. Siamo meno di un centinaio contando i fratelli di Paternò, di Siracusa e di Messina, che si sono uniti a noi, perché quelli di Palermo hanno un pullman a parte.
In questa folla immensa temo di … smarrirmi, ma Corrado sollecito afferra la mia mano e mi dice:Tu sai parlare la nostra lingua, l’italiano? Coraggio allora siamo tutti tranquilli”.
Aspettiamo il nostro turno per poter entrare nel settore a noi assegnato mentre l’altoparlante invita tutti i medici presenti ad avvicinarsi alle ambulanze, che sono già disposte in una lunghissima fila nella corsia laterale. Ma ecco alla destra, dal lato esterno del mio cordone, un medico riconoscibile dalla fascia della Croce Rossa, si avvicina sempre più, lo guardo e lo riconosco, ma anche lui mi riconosce, si avvicina svelto, alza il cordone, entra, mi abbraccia e, mostrando una sincera meraviglia, dice:Rosarita, complimenti! Ti trovo proprio in forma, sei diventata anche più giovane di me: come mai?” Sorrido fra me e con la mano gli indico il posto di P. Vincenzo e poi aggiungo:Nunzio, stai facendo volontariato? Ma così non potrai vivere la nostra forte esperienza di preghiera”. “Servire i fratelli sofferenti è preghiera!” afferma convinto.
Eh sìpenso la carità è la chiave speciale del nostro impegno cristiano.
Camminiamo in ordine, ben inquadrati e guardiamo le frecce per terra, che indicano il percorso da fare per raggiungere la nostra postazione numero sette. Vedo che tutto è rigorosamente organizzato, alcuni giovani del servizio d’ordine favoriscono il fluire della folla nei vari settori stabiliti. Ecco sono arrivata, mi siedo al mio posto numerato e mi guardo in giro, Finalmente!
Il salone è un immenso ottagono in cemento armato con sedici colonne portanti. quotidianamente è una delle sedi della fiera campionaria, ora è stato adattato per il nostro Convegno.
Sul grande podio infatti è sistemato già il palco per l’ orchestra che animerà gli incontri e tutti i cantori sono in “divisa”. Accanto all’orchestra un enorme tavolo rivestito con bianche, merlettate tovaglie, ornato di fiori rossi e di candelabri fa da “altare”. Nei lunghissimi circolari scalini, che sembrano formare un anfiteatro, via via prendono posto due rappresentanti per ogni gruppo presente.
Improvvisamente il chiacchierio iniziale si smorza ed una voce calda e potente così dice:Benvenuti fratelli, c’è posto per tutti, vi prego rispettate l’ordine, occupate i posti che corrispondono al vostro numero e lo spazio del vostro settore”.
Ora il canto corale, amplificato dai potenti altoparlanti si estende in tutto l’enorme locale: “Io ho una gioia nel cuore, gioia nel cuore e dentro me … Tu hai una gioia nel cuore e dentro te … apri le braccia e loda il tuo Signor!”
E cento, mille, diecimila braccia nere e bianche si innalzano al cielo, ondeggiano, si uniscono al ritmo del canto e … mi sembra di vedere ora solo otto fiori con petali multicolore, che lentamente si aprono e si chiudono, e che hanno come stelo dei verdeggianti bastoni appoggiati nel calmo fiume della preghiera di lode!
Come separata dalla parte materiale di me, felice e libera, canto e anche le mie braccia naturalmente si alzano e si abbassano seguendo il ritmo comunitario.
E divento anche una testimone oculare di <<miracolo>> perché gli uomini, che tre giorni fa sono entrati in questa “fiera campionaria” hanno prodotto profitto, potere, denaro, noi oggi, invece, nello stresso luogo stiamo facendo qualcosa di “sacro”, stiamo producendo preghiera e a vicenda ci regaliamo gioia e speranza estensibile al mondo intero che vive, lavora, soffre fuori da questo posto, E il coro scandisce:

Vieni, Santo Spirito
manda a noi dal cielo un raggio
della Tua luce.
Vieni, Padre dei poveri,
vieni, datore dei doni, vieni, luce dei cuori.
Consolatore perfetto:
ospite dolce dell’anima,
dolcissimo sollievo.
Nella fatica riposo,
nella calura riparo, nel pianto conforto.
O luce beatissima,
invadi nell’intimo il cuore dei tuoi fedeli.
Senza la Tua forza
nulla è nell’uomo, nulla senza colpa.
Lava ciò che è sordido,
bagna ciò che è arido,
sana ciò che sanguina,
piega ciò che è rigido
scalda ciò che è gelido
drizza ciò che è sviato.
Dona ai tuoi fedeli, che solo in Te
confidano, i tuoi santi doni.

Dopo l’invocazione più di duecento sacerdoti salgono sull’altare immenso, degradante in scalinate. E’ significativa la prima parte della liturgia penitenziale, chi vuole può ricevere il sacramento della confessione parlando con il primo fratello sacerdote che incontra nell’area del proprio settore. Che modo “carismatico” per riconciliarsi con Dio e con i fratelli! Usavano questo modo anche le comunità d’origine??
Mi metto in fila indiana in attesa del mio turno. Una voce calda e chiara proclama:
Vi aspergerò con acqua pura e sarete purificati. io vi purificherò da tutte le vostre sozzure e da tutti i vostri idoli. vi darò un cuore nuovo, metterò dentro di voi uno spirito nuovo, toglierò da voi il cuore di pietra e vi darò un cuore di carne. porrò il mio spirito dentro di voi e vi farò vivere secondo i miei statuti e vi farò osservare e mettere in pratica le mie leggi. abiterete nella terra che diedi ai vostri padri. voi sarete il mio popolo e io sarò il vostro Dio” (Ez; 36,25-29)
Mi trovo davanti un fratello sacerdote nero, riccioluto, alto. <<Salvatore>> leggo sulla targhetta bianca che spicca sulla camicia nera come la sua pelle. Mi sento come protetta da un sorriso bianco, bianchissimo, gioioso, luminoso che dal suo vivace volto si spande tutto intorno e arriva dritto al mio cuore e poi sento la nota nenia infantile che dolcemente dice: Rosarita, benvenuta a questo sacramento della gioia. Lo sai, Gesù ti ama e ti accetta così come sei e poi mi ..abbraccia ed io affascinata dalla voce e dal suo bianco e limpido sorriso, ricambio il suo abbraccio e inizio a parlare. Alla fine la sua larga mano nera è inondata di bianca luce quando si alza decisa nel gesto sacerdotale del perdono. Ma tu, Signore,  pensavi anche a questi momenti quando lì in Palestina ai tuoi apostoli dicevi: << Tutto quello che scioglierete sulla terra sarà  sciolto nei cieli?>>.
E provo ancora una strana sensazione liberatoria, perché il suo sorriso stranamente mi fa pensare ad un altro giovane catanese che, non ancora prete, lì a S. Antonio nel 1979 mi regalò il suo, P. Andrea.
Entrambi i sorrisi sono qualcosa di fantastico e di rassicurante, ecco hanno in comune l’azzurro verde della … gratuità. Piano ritorno al mio posto e l’enorme sala è illuminata dalla grazia di questi incontri di Grazia. Fratelli e sorelle abbracciati ad altri fratelli sacerdoti ricevono così il sacramento! E i tanti vescovi presenti tranquilli distribuiscono anche loro benedizioni e … sorrisi.
Improvvisamente mi rivedo nel ’70 a S. Antonio, vedo davanti a me il vecchio altolocato prelato romano che oggi amabilmente mi dice: Ti trovi bene qua, vero? Ora puoi muovere le braccia come vuoi, “lo stile” stavolta te lo permette, vero?”.
Ma è solo una mia impressione interiore! Lui è già in Cielo, è certo più libero di esprimersi!
Osservo la folla festosa, ma silenziosa e compunta, poi guardo  le colonne di ferrato cemento. Anche loro sembrano “stupite” perché appena tre giorni fa hanno udito ben diverse e febbrili trattative commerciali, ora invece guardano attonite gratuite trattative di pace, di perdono, di misericordia. Ah, se ci fosse presente il mio dotto vecchio professore di religione del magistrale di Locri direbbe: Alt! Il sacramento non è valido. Amministrato così è nullo sia per la materia, sia per la forma! Che tempi! Che Chiesa! La chiesa è caduta in basso, si è fermata a dar peso all’emotività di una folla esaltata!”.
Ma non c’è il mio  “dotto”  professore del magistrale che io, già ragazzetta, per istinto contrastavo pur non avendo basi teologiche.
Ma così si respira lo Spirito Santo, tutto il mondo è presente come una nuova Pentecoste! Quanti pensieri  frullano dentro di me mentre libera, leggera e felice ritorno al mio posto e sprofondo in preghiera, circondata da un sottofondo musicale. Mi sento sfiorare i capelli da una carezza delicata: è Corrado, lo guardo sorridendo. Anche lui ha gustato “sacri momenti” d’incontro col Signore! Ma è la terra che è già salita al cielo o è il cielo che è sceso sulla terra?
Questo dubbio mi resterà fino alla fine del Convegno, fino al mio ritorno a Catania. E’ vero gustare e vivere dei momenti forti di preghiera è una delle esperienze più complete che un uomo possa fare perché è simile all’innamoramento, ma lo supera la preghiera; essa, infatti, è un anelito universale perché non si ama  solo l’altro oggetto dell’innamoramento, ma si può amare contemporaneamente l’albero che si intravede dalla finestra, il fratello che sta aprendo la tenda pesante di una delle uscite, la sorella sconosciuta che sta aspettando, stanca, un bicchiere d’acqua al posto di ristoro, il bimbo nero che dorme placido fra le braccia della sua giovane “mamma bianca”, il volto ancora giovane e splendente di una esile donna bionda che sorride serena pur essendo inchiodata su una sedia a rotelle, l’autista che esausto aspetta fuori al sole il nostro rientro in albergo!
<<L’Amore scopre in tutto il mistero di Dio in ogni volto umano, ma anche in ogni granello di polvere, in ogni filo d’erba>>. (Anselm – Grun)

  * * * * * * *

Stiamo  vivendo la prima serata con la S. Messa che è dedicata ai fidanzati e alle famiglie. Ora, alla fine della Messa, arrivano da tutti i settori genitori con bimbi neonati o più grandicelli, c’è un cicaleccio delizioso e un mare multicolore di  “piccoli” che salgono sull’altare e, stavolta, anche i giovani del servizio d’ordine sono più tolleranti.
 E  scroscia l’applauso, mi guardo le mani ; sono rosse come il fuoco dell’Etna!
L’indomani mattina partiamo presto dal nostro albergo così arriviamo puntuali alla sala del Convegno.
E’ sempre ricca di emozioni e di ammonimenti vari la nostra mattinata comunitaria perché  <<lo spirito santo e’ presente nella preghiera dei fratelli>> (At. 4,23-30).
Ora questa colonna di cemento armato che sostiene tonnellate di peso e dove io, alzata, mi appoggio, può essere  “impregnata”  di preghiera, ora “trasuda” preghiera. E non riesco neanche a meravigliarmi per il mormorio che via via sale dai primi posti della destra dove una sorella immobilizzata da anni, costretta sulla sedia a rotelle, improvvisamente si alza, muove i primi passi stentati, si avvicina al microfono e nell’assoluto silenzio di tutta l’assemblea, con voce stonata intona:Alleluia! Gloria a Dio!
Gloria! Gloria! – intona il coro.
Sul nostro pullman, nel ritorno all’albergo nessuno parla, qualcuno delicatamente recita il Rosario.
Anche il nostro pranzo, gustoso ed abbondante, viene consumato in silenzio, silenzio di … adorazione.

* * * * * * * 

Nel  pomeriggio torniamo nella sala dei Convegni, stasera la S. Messa è dedicata ai sofferenti e alcuni salgono sull’altare per ringraziare il Signore per la disponibilità  dei loro fratelli sani che sono il loro “bastone” e i testimoni dell’Amore di Dio per loro ›.
E’ arrivato l’ultimo giorno del Convegno, stavolta la Messa sarà celebrata di mattina perché in tarda serata dobbiamo ripartire per le nostre “sedi”.
L’altare è tutto ricoperto di fiori gialli e bianchi e la S. Messa è dedicata a tutti i consacrati di ogni ordine e grado, sia quelli che sono inseriti nelle tante Istituzioni ufficiali della Chiesa, sia quelli che vivono in modo personale il loro impegno in comunità.
Ricordo che P. Vincenzo a pranzo mi aveva esortato:Rosarita presentati all’altare domani, io sarò fra i sacerdoti concelebranti. Sali fra i tanti fratelli e sorelle sconosciuti, questa è una ‹ conferma › per la tua vocazione”.
Mentre uomini , donne, ragazzi, suore responsabili delle pastorali e laici saliamo sull’altare, il coro ripete: <<nessuno ti chiamerà più abbandonata né la tua terra sarà detta devastata ma tu sarai chiamata  “mio compiacimento”  e la tua terra “sposata”. come gioisce lo sposo per la sposa così per te gioirà il tuo dio>>
Che bello!” mi dico La mia strana chiamata è visibile in uno spazio di Chiesa e oggi è quello di S. Teresa a Catania”.

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E’ l’ultimo giorno di permanenza a Rimini, usciamo, ci incontriamo con altri gruppi di Genova e di Torino e i ragazzi con le chitarre improvvisano un concerto e P. Vincenzo mette fuori il meglio della sua bella voce.
Sul grande piazzale le biciclette a due posti, i tandem, fanno bella mostra di sè, io guardo incuriosita i ragazzi che pedalano insieme ed ecco P. Vincenzo svelto ne affitta uno, si ferma, mi guarda e sorridendo mi invita: <<Svelta, sali su >>. Io lo guardo incerta, poi alla men peggio riesco a salire, sistemandomi sul sellino e lui, generoso, pedala anche per me, infatti io non sono mai andata in bicicletta, neanche da bambina.
Così mi diverto un mondo e Pippo, vedendomi, è più divertito di me, così mi scatta una foto.
Nel dondolio ritmato del treno, rannicchiata nella mia cuccetta “rivivo” le tante sensazioni provate, ma non riesco a fermarle sulla carta nella profondità del loro valore esistenziale.


 * * * * * * *
(terza parte)
 
 
LA MORTE DI MIO PADRE


Inaspettatamente la notte del 26 Novembre dell’82 un tremendo dolore si abbatte sulla mia casa e sulla mia vita: papà sta male.
Mia sorella, subito lucida e razionale, chiama l’ambulanza e insieme alla mamma accompagnano mio padre all’ospedale, mentre io resto sola a casa per fare il necessario collegamento.
Sento tutto il peso della situazione, è notte dentro di me, è ancora notte, sposto la tenda, guardo fuori e vedo la luna che impassibile manda la sua luce fredda sulla terra, mentre tutte le famiglie del mio vicinato dormono tranquille, ma non io.
Mi sento inquieta e mi accorgo di essere molto legata a mio padre, la sua presenza mi comunica un senso di sicurezza esistenziale. Io gli somiglio molto, sia nel temperamento irruento e passionale, ma fortemente volitivo, sia fisicamente ed ho una buona vena poetica che spesso trasforma la prosa del quotidiano in poesia. Mio padre ha avuto una buona formazione letteraria e i suoi poeti preferiti sono: Foscolo e Alfieri e spesso il motto del poeta astigiano affiora sulle labbra:Volli, sempre volli, fortissimamente volli”.
Mi avvicino alla libreria, prendo la Bibbia, l’appoggio sul tavolinetto accanto al telefono e l’apro; in un foglio interno c’è una piegatura, vi getto un rapido sguardo, ma ecco suona il telefono: è mia sorella:Papà si è ripreso, ma io e la mamma passiamo qua la nottata, tu cerca di riposare un po’. Fatti coraggio!”. Ma io non riesco affatto a riposarmi, tuttavia cerco di farmi coraggio nell’unico modo che conosco: pregando. Prendo la Bibbia e leggo così nel foglio spiegazzato: sentendo avvicinarsi il giorno della sua morte, Davide fece queste raccomandazioni al figlio Salomone: io me ne vado per la strada di ogni uomo sulla terra. Tu sii forte e mostrati uomo. Osserva la legge del Signore tuo Dio procedendo nelle sue vie. (1Re 2,1-2).
Che cosa significa questo messaggio biblico? <<Mio padre non guarirà, non tornerà a casa con me?>>.
Reagisco dandomi una spiegazione razionale: certo, il foglio sporgente dal bordo, perché spiegazzato, ha influenzato la mia mano nell’aprire la Bibbia. Vedo la luce della lampada sempre più fioca, perché le lacrime silenziose scendono dai miei occhi, non cerco neanche di asciugarle, il tempo lentamente passa e vivo tutta l’angoscia del momento anche perché sono sola e la solitudine mi pesa stanotte. <<Signore anche tu eri solo nell’angosciante salita al Calvario>> penso.
Ma ora non sono più nella mia stanzetta, bensì sono su una grande barca con molta gente sconosciuta attorno a me. Ma che strani costumi ottocenteschi  indossano! Sto facendo una traversata su un fiume sconfinato.
Attorno a me la gente è tranquilla, parla, ride e i bambini indossano vestitini alla marinara. Ma che faccio io sulla barca vestita in abiti moderni? Ma un secondo dubbio mi assale, perché la gente attorno a me finge di non vedermi mentre io li vedo e li sento parlottolare? E poi io sono giovane con i lisci capelli al vento, ora in lontananza vedo un gruppo di uomini in divisa militare e al centro ne intravedo uno e resto subito colpita dal suo modo familiare di tenere il cappello in mano, mostrando i suoi ondulati neri, folti capelli. Cerco di avvicinarmi in mezzo alla folla anonima, ora lo vedo (ancora in lontananza) che sta indossando il cappello d’ordinanza sulla sua attillata, splendida divisa militare già adornata di stellette.
Ma questo giovane uomo con la virile, volitiva mascella quadrata ha qualcosa di familiare, corro più svelta verso di lui e lo chiamo sicura a voce alta: Papà, papà”.
Ma improvvisamente non lo vedo più, dove si è nascosto?
Tuttavia continuo ad avvertire dentro di me la sua cara presenza e il barcone continua la sua corsa sul fiume e io continuo a cercare, ma la “visione” sparisce. I remi della barca toccano qualcosa di duro, forse un masso? E sento un forte rumore, sussulto, mi sveglio, sono a casa mia sulla sedia sdraio e ai miei piedi, a terra,  vedo il grosso libro della Bibbia e la lampada ancora accesa. Ecco ho sognato, ho solo sognato! Guardo fuori, è giorno, c’è il sole, mi scuoto, mi alzo, vado in cucina per bere e sento girare la chiave nella toppa: è mia sorella. Le corro incontro, è avvilita, mi abbraccia e dice:La situazione è un po’ migliorata, la mamma è voluta restare con papà. All’ospedale c’è una disorganizzazione terribile: papà è rimasto tutta la notte in astanteria. In cardiologia non c’è posto. Dove lo metteranno?”.
La malattia di mio padre è particolare, perché è caratterizzata da improvvisi, lunghi miglioramenti e da altrettanto improvvise e rapide ricadute, dovute al suo cuore che ha molto lavorato, ha amato noi e, in modo del tutto speciale mia madre, alla quale tuttora lo lega un amore profondo, tenero e appassionato.
Nei mesi passati all’ospedale pian piano, altre alla presenza continua di mia madre e di mia sorella, mio padre si è abituato alla presenza di alcuni miei fratelli della comunità di S. Teresa: Alfredo, Angelo, Gianfranco, che si alternano al suo capezzale, portando conforto anche agli altri malati.
In un freddo pomeriggio di Gennaio dell’83 riesco a vivere da sola (mia madre e mia sorella sono rimaste a casa) un momento speciale con mio padre che trovo in gran forma.Rosarita– esordisce -  “tu sola sai che sto per lasciarvi” - sussulto, non se ne accorge e continua “tu sai anche che ti voglio bene, sono orgoglioso di te, perché tu hai un buon lavoro che ti piace, so che i bambini a scuola ti vogliono bene, gli amici che frequentano la comunità di S. Teresa (sono riuscita a trasmettere anche a lui il concetto di comunità) sono bravi ragazzi, impegnati nella chiesa come te. Lo so e lo capisco, non hai voluto sposarti perché tu non sei disponibile per la vita matrimoniale. Tu hai rifiutato quella “magnifica possibilità” che io, tu e la mamma conosciamo bene. Lo sai, tua madre per questo tuo “ostinato, strano rifiuto” ha molto sofferto e purtroppo continua a soffrire perché lei guarda al nostro matrimonio che è così ben riuscito. Tu continua a fare bene il tuo “dovere”.
Dopo le ultime parole che riguardano “il mio dovere” mio padre mi sembra stanco, tace ed io, in silenzio sacro, metto la mia mano nella sua lievemente, ma la nostra intesa è “totale”; lui, infatti, capisce il messaggio e stringe (con la forza di sempre) la mia mano che è molto simile alla sua ed io, stavolta, miracolosamente, riesco a trattenere dentro il mio cuore amare lacrime e vane parole. E in questo momento straziante, che sento prelude ad un addio definitivo, riascolto dentro di me l’esortazione di Davide al figlio Salomone: tu sii forte e mostrati uomo e osserva la legge del Signore.
Ma stavolta (contrariamente al mio solito) riesco a non fare traboccare fuori tutta la mia “angoscia” e mi permetto perfino di scherzare con mio padre e di fare bei progetti per il suo ritorno a casa!
Rasserenata penso anche alla grazia che il Signore ha dato a mio padre di potermi parlare in piena lucidità mentale e alla grazia che ha dato a me di potere conservare tuttora nel mio cuore il suo messaggio d’amore per me, sua figlia!
All’alba del 14 Febbraio una sensazione angosciosa e inspiegabile mi assale, mi vesto in fretta, corro all’impazzata all’ospedale, arrivo trafelata, appena in tempo per vederlo morire …
E mi ritrovo una forza “strana”, non mia (viene dall’alto?) che mi permette di svolgere con lucidità le varie incombenze: riesco a portare mio padre a casa, avverto amici e parenti, organizzo i funerali nella bella chiesa di S. Luigi, vicino casa mia.
Sostengo, conforto, rimprovero mia sorella e mia madre, accasciate dall’improvviso, inatteso dolore.
La chiesa è gremita all’inverosimile di amici e parenti: in prima linea tutto il Magistrale con il preside e tutti, proprio tutti, i colleghi di mia sorella; vicino a me c’è solo qualche collega della mia scuola, ma è presente tutta la mia numerosa e calorosa comunità di S. Teresa, con padre Vincenzo in testa. Io sono fredda e lucida e nei primi momenti vivo l’esperienza dolorosa con fortezza d’animo, con una sorta di autocontrollo speciale, ma anche strano per la mia natura emotiva ed istintiva!
La Messa è partecipata, quattro carabinieri danno il picchetto d’onore e la nostra bella bandiera sventola e alla fine della Messa tutti i presenti applaudono a lungo nel saluto finale.
E’ un momento solenne, sacro. In abiti neri, seguendo la bara, mi vedo “orfana” e mi lascio quasi trascinare da Alfredo, mio fratello in Cristo!
Il viale è pieno di gente sconosciuta e tutti gli uomini fanno il saluto militare alla bandiera, che è simbolo della patria che mio padre ha servito per circa 50 anni, sempre fedelmente e mi sento fiera di lui e di me che sono sua figlia! Queste sensazioni mitigano lo strazio del distacco.
Guardando la bandiera risento la voce calda del mio professore d’italiano, che con partecipazione leggeva gli scritti inediti di G. Mazzini: <<Chi può negare Dio davanti alla morte di una persona cara è grandemente colpevole o grandemente infelice>>.
<<O Signore proprio ora dal profondo del mio cuore ti invoco, dammi forza, fa’ che io non sia né “infelice” né “colpevole” per avere dimenticato la tua presenza anche in questo momento della mia vita. Amen>>                                           
 
   * * * * * * *
Una mattina, sul finire del mese di Aprile dell’83 (dopo tre mesi dalla scomparsa di mio padre) con il cuore nero, con la faccia smunta e pallida, con il passo trascinato, ricoperta dalla camicetta nera con le lunghe maniche nere, mi preparo a salire la seconda rampa di scale per andare da sola nella “mia” cappella a S. Teresa.
Stavolta ho veramente bisogno di riflettere per ricostruire me stessa, perché, dopo la forza interiore e la decisione mostrata nei primi momenti di emergenza, sono crollata e mi sono lasciata, in buon ritardo sulla norma,  travolgere dall’angoscia.
Sto scoprendo, con un senso di sgomento, che non ho normali reazioni emotive istintive e primarie, bensì sono soggetta a periodi di “incubazione di dolore” che poi esplode fuori dopo lunghi tempi.
Qualcuno dei miei fratelli mi ha messo questo dubbio che, in certi momenti, non riesco a capire. Oggi, nel divino silenzio della cappella, analizzerò insieme al Signore questo problema.
Mi trovo quasi sulla soglia del lungo corridoio, sto per avvicinarmi ma ecco che di fronte a me trovo padre Mario, il monaco che ho intravisto a Rimini nel convegno del Rinnovamento nello Spirito e che da poco è venuto a Catania.
Per una reazione istintiva io cerco subito di tornare indietro, voglio evitare l’incontro diretto con lui, ma purtroppo mi ha già visto e allora a fatica mormoro:Buongiorno padre Mario. Si ferma, mi scruta dentro con i suoi acuti occhi indagatori e poi sorridendo mormora:La tua non è una faccia da buongiornoe così dicendo si avvicina ancora, allunga il braccio e mi tira un sonoro ceffone. Lo guardo allibita, poi, fragile come sono in quel momento, scoppio in un pianto dirotto e mi giro verso le scale per tornare a casa, ma non riesco neanche a fare il primo passo perché P. Mario appoggia il suo braccio forte sul mio e con espressione commossa, che non gli conoscevo, mi fa:Rosarita, su piangi, ti fa bene, fermati, non scappare, vieni in cappella con me stamattina. Il Signore ci ha fatto incontrare perché vuole dirti qualcosa”.
Dubbiosa mi lascio trascinare in cappella, ritrovo il mio cuscino di juta, ora lui si siede sul panchetto accanto a me e mormora dolcemente:Figlia (sussulto!) lo capisci che tu non sei sola, “orfana”, come ancora credi, tu hai il Signore con te, ti prego, ora lascia riposare in pace tuo padre, che ti vuole rivedere “serena” e “attiva” come ti ha lasciata quaggiù”.
Le lacrime che avevo inghiottito ritornano copiose a scendere sul mio viso sparuto e scivolano come perle sul mio nero vestito, apro la borsa e cerco i fazzolettini, ma p. Mario, sollecito mi precede, tira fuori dalla tasca della sua tonaca il suo ripiegato, bianco fazzolettone e con la sua manona, piano e delicatamente, mi asciuga il viso, mi accarezza i capelli, poi sempre piano inizia a parlarmi di pace, di pazienza, di amore e, alla fine, prende la Bibbia e trova il salmo adatto per me e sorridendo lievemente mi esorta a ripetere insieme a lui: <<mi opprimevano tristezza e angoscia, ero preso dai lacci degli inferi, ma ho invocato il nome del Signore ed egli mi ha risposto, mi ha tratto in salvo il Signore>> (Salmo 114)
Da quel momento riprendo quota ed inizio con lui un cammino di fede, certo breve come tempo, ma intenso come qualità.
Provo una sensazione speciale, ecco ho un nuovo padre, non è il mio della carne, ma il mio dello Spirito.
Il nostro dialogo è intenso, è fatto di momenti di preghiera comune, di verifica, di ascolto comune e di silenziosa adorazione eucaristica, secondo lo stile del Rinnovamento nello Spirito.
Inizia a S. Teresa una nuova realtà: si preparano gli incontri vocazionali per i “novizi” che guardano al carisma carmelitano e immancabilmente ci vado anch’io, in fondo sono ancora in ricerca <<perché la mia speciale vocazione può alimentare e sostenere quella dei ragazzi>> suggerisce P. Mario. <<Giusto>> penso <<proprio giusto!>>.
E tanti ragazzi vivono questa profonda esperienza: Santo, Renato, Gianfranco, Angelo.
E ogni volta che vado a Monte Carmelo il mio pergolato sembra rinverdire! Ora mi trovo ancora nella mia cappella, sono seduta ancora sul mio cuscino di juta e P. Mario è seduto sul suo panchetto: stiamo vivendo un ultimo momento di preghiera comune prima del suo ritorno a Palermo.
Ma ora il mio essere è più radicato nel Signore e il distacco dal mio padre spirituale è meno amaro, ci sentiremo spesso e potremo rivederci in qualche momento comune, così spera il mio cuore di “figlia”.
                                           
   * * * * * * * 
Nei primi di Agosto dell’84 mi trovo, per la prima volta nella  mia vita, all’aeroporto in partenza per Lourdes con il mio padre spirituale, P. Mario. Che bellezza! Che grazia!
Tanta attesa ed ora eccomi sull’aereo in volo verso Lourdes. Ti vedo Signore, contemplo il cielo, opera della tua mano, la terra, baciata dal mare, diventa sempre più lontana, piccola, evanescente sfuma nello spazio infinito. Ogni nube è diversa e il vento dà loro la forma che vuole! E tu? Pensa, o Signore, non sei riuscito ancora a darmi la forma che vuoi, perché io ho resistito e ancora Ti resisto stupidamente! Perdonami Signore!
Le nubi passano, variano, brillano, ma quanti nuvoloni grigi sono passati nella mia vita, o Signore, e lo ricordo con una preghiera-poesia che prendo in prestito dalla mia amica Concita.
 
Calda neve
… Chi ha teso la mano di noi due,
Tu per farmi salire,
oppure io per farmi innalzare?
Dove sei Signore a lungo atteso?!
Sei opaco in me, tutto tace.
Il silenzio si libra sui miei passi
e come canto senza suono, Tu sei in me.
Eppure mi circondi, sei presente.
Ti ho scelto? O sei Tu che mi hai preteso?
Non lo so ancora,
sei entrato nella mia vita e l’hai stravolta,
senza darmi la possibilità di capire
ed ora aspetto …
Aspetto che la neve smetta di cadere.
Concita Sambataro
 
Mi scuoto, sento su di me il Tuo alito di vita, queste nubi sembrano fiocchi di neve candida e calda. Ti lodo per il cielo, per il mare azzurro, per i monti innevati, ti lodo per tutte le creature animate e inanimate.
Ti lodo mentre l’aereo vola e il mio cuore, ora immerso nel Tuo, non teme alcun male!
Intravedo ora una striscia scura giù: è la dolce terra di Francia! La penna non sta dietro ai tanti eterei pensieri e non sta dietro al grazie che ti sussurro  così, faccia a faccia: Tu sei nello splendore variopinto del creato, io, in questi atomi di materia che costituiscono il mio essere su cui hai alitato il Tuo soffio di vita e mi sento una piccolissima parte del Tuo universo! Mille anni  per Te sono come un giorno solo e un giorno solo come mille anni.
Ecco Ti abbraccio, o Amore Santo, rispondi, Ti prego, ai nuovi problemi che mi porto dentro. Sei entrato nella mia vita e l’hai stravolta è vero, quale angoscia mi stringe il cuore dalla quale Tu non puoi liberarmi?
Piccola e indifesa mi affido a Te. Liberami dal male oscuro e nascosto che vive nel mio cuore, da quello insidioso che c’è nel mio corpo, dai ricordi inutili del passato, che spesso diventano vuoti bagagli di nostalgia, liberami dai perché che turbano il mio presente, anche nella vita della chiesa. Tu che guidi l’universo puoi farlo, o potente, o Amore Santo!
Ecco non posso più scrivere, l’aereo comincia a ondeggiare, quanto verde splendente, quanta speranza, quanta luce!
Dopo l’arrivo e la prima sistemazione in albergo, tutti in gruppo con le targhette appuntate sui nostri vestiti estivi, andiamo a piedi verso il Santuario, che già in lontananza appare: immenso, luccicante di lucette a spillo, lontane e intermittenti.
Le stradine sono caratteristiche, mi sembra di essere a Taormina, i negozietti che espongono oggetti vari sono ben forniti, ma P, Mario, solerte, ci invita a non fermarci per poter partecipare alla processione Eucaristica.
Ecco siamo arrivati, cerchiamo di immetterci in questa immensa folla proveniente da tutto il mondo conosciuto.
Ma ora, dentro questa “fiumara Umana” noto giovani corpi macilenti, mutilati, offesi, di fratelli e sorelle di tutte le età, perfino bambini inchiodati, con strani invisibili “bulloni della gioia” alle terribili sedie a rotelle.
Questo immenso fiume di dolore ha una caratteristica sconvolgente per me: è un dolore pudico, silenzioso, accettato con infinita pazienza, persino con gioia, oserei dire!
Mi sento sconvolta da tanto eroismo e piano mi avvicino a P. Mario e lo guardo interrogativamente, comprende, mi prende per mano e mormora:Rosarita, il segreto della gioia è accettare la volontà del Signore, poi bisogna “dimenticarsi” e camminare. Ho voluto che tu venissi a Lourdes con me per dare una svolta alla tua fede, anzi al tuo modo ci credere”.
Ora cammino in fila, sono più calma e, strano, sono io che ricevo sorrisi e timidi cenni di saluto da qualcuno che può muovere solo le dita. L’immensa fiumara a stento comincia a muoversi negli immensi spazi sacri di Lourdes, perché abbiamo lasciato alle spalle la città turistica colma di alberghi, ristoranti e negozi.
“Ave Maria, piena di grazia” ripete il primo gruppo della lunga fila, e in lontananza il gruppo finale fa eco recitando la “Santa Maria”. E la Madre di Dio unisce, in un unico coro devoto, questo mare di pellegrini, pochi, e di sofferenti, quasi tutti.
L’indomani mattina sento prepotente il bisogno di “isolarmi”: sono troppe, varie e profonde le sensazioni che mi invadono, dentro ho bisogno di luce, di pace, di gioia, di dialogo.
Ho con me la targhetta con il nome del nostro albergo e con gli orari di rientro stabiliti.
Calco sulla testa il mio colorato cappellino, sistemo bene lo zainetto, metto gli occhiali da sole e piano svicolo dal mio gruppo; qualcuno mi chiama, ma P. Mario suggerisce:Lasciate stare Rosarita, ha bisogno di ritrovarsi, perché si era smarrita”.
Ora svelta mi immergo in questa folla “dolorante”, cammino, mi fermo, prego, sento come un lieve gorgoglio d’acqua, ecco è il fiume che, irruento, libero, scorre verso il suo mare. <<O Signore fa che la mia vita scorra libera, limpida, feconda di bene e fa che fluisca sempre verso di Te, sicuro porto dell’anima mia! Ecco il mio arido cuore Ti ascolta, ora il mio spirito risposa in Te, anche il mio stanco corpo, al calore benefico della Tua presenza, si sente rifiorire!”.
E sono davanti alla grotta, rispetto il religioso silenzio e mi fermo per un po’ anch’io in preghiera. Fra alcuni minuti ci sarà la Messa nella Basilica di S. Pio X, mi avvio.
L’interrogativo che mi pongo è profondo, un’intera umanità sofferente e dolorante si aggira in questo luogo sacro e il vero stupendo miracolo è la serenità stampata sul volto dei fratelli sofferenti, l’accettazione di situazioni assurde con “naturalezza e speranza”.
Qui c’è la pace, quella che il mondo irride, ma che rapir non può (Inni Sacri; A. Manzoni).
Ora alla lettura del Vangelo con gli occhi dello spirito vedo e sento Pietro implorare <<Signore comanda che io venga a Te sulle acque>>. E lo vedo sicuro scendere dalla barca e camminare per un attimo tranquillo sulle acque, ma il vento sibila e Pietro ha paura e anche io ne ho ancora tanta. Ma lui ha l’umiltà di chiedere il soccorso. <<salvami>> implora e anche io Te lo ripeto: Salvami da tutte le mie paure, dalla mia stupida ansietà e fammi vivere alla luce del Tuo Amore>>. (1984)


                                          Rosarita di Gesù
                                                                Gesù di Rosarita       


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 6° Capitolo

 
Sei mio,
vivo di Te gran Dio,
confusa a TE,
col mio,
offro il tuo stesso amore.
 
                                                                            A. MANZONI, Inni Sacri inediti
 
 
 
 
<<Fammi vivere, o Signore, fammi “rivivere” alla luce del tuo Amore>>.
Così pregavo tornando da Lourdes e quella “speciale” sensazione di pace mi è rimasta dentro per tanto tempo ancora, fino ad oggi, Ottobre del 1984, mentre sono ritornata a scuola con i miei “piccoli”.
Un bel giorno Clara afferma convinta:Maestra, quest’anno sei più bella quando preghi con noi!
Ridendo dico: Clara, non lo vedi? Io sono sempre bella!”. “No risponde caparbiaSei bella solo quando preghi, poi no!”.
Mi chiedo dubbiosa, allora la preghiera ha il potere di rendere belli?! La bellezza interiore si riflette anche sui nostri volti? Così pare se i piccoli ne percepiscono qualche segno!…
Ora i bambini stanno osservando il grande colorato cartellone murale della linea del tempo dell’epoca romana.
Fiorella come sempre si premura di indicare ad Agatella i personaggi e le figure. Poi, interpretando con facilità il linguaggio stentato della compagna, riferisce che i vestiti dei bimbi romani non sono come i nostri, quelli sono più belli!
Osservo ora Agatella: ha gli occhioni chiari e i ricci folti capelli a stento trattenuti da due lunghe trecce bionde e dal colorato cerchietto. E’ bella , molto bella! Peccato che il suo linguaggio sia ancora stentato!
Rifletto e penso che Agatella ora ha sia il mio sostegno, sia quello dei compagni, perché tutti insieme facciamo un’ideale “cordata”. I ragazzi superdotati hanno tempo e spazio per approfondire il sapere, i bambini normodotati procedono sicuri, sotto la mia guida, attenta alle varie possibilità didattiche. Ma già l’eco lontano di qualche rivista scolastica di ispirazione “rivoluzionaria” arriva fin dentro la mia scuola!
I millantatori profeti del progressismo promettono che è finito il tempo “dell’oscurantismo scolastico” e ben presto sparirà la figura del “maestro unico”, bollato con il marchio infame di “tuttologo”. Finalmente ci saranno i saperi specializzati, evviva ci saranno maestri specializzati, ma specializzati in che cosa?
Certamente nella metodica stesura di tabelle, schemi, per arrivare ai saperi specializzati e così avremo l’alunno perfetto, l’alunno ideale, dicono!!
Rido dentro di me e guardo i miei alunni che già sono “ideali”, “speciali” e in più sono veri e reali!
Che fortuna per loro, che fortuna! Hanno ancora la possibilità di essere affidati ad un “maestro unico” che diventa non un vuoto “tuttologo”, bensì una figura di sicuro riferimento!”
Certo, l’insegnante deve amare il suo lavoro e i suoi alunni, deve essere “Maestro” secondo l’affermazione categorica del nostro filosofo idealista Lombardo Radice.
Guardo i componenti del gruppo-classe, e li accetto nella loro diversità fisica, intellettiva, emotiva, ma uguali nelle possibilità offerte loro dalla scuola, tramite la mia mediazione psicologica, didattica, umana.
Gli alunni ora sono riuniti a piccoli gruppi e stanno colorando i diversi fogli che formeranno il cartellone murale, lasciando lo spazio libero per inserire brevi poesie spontanee inventate da loro per il prossimo Natale.
Anche Agatella ha fatto un sua poesia dialettale fra l’approvazione dei compagni: Bambineddu  nicu e beddu…”
Si sente bussare lieve alla porta, è la bidella:Maestra per favore scenda giù un momento, un giovane insiste nel volerla vedere”.
Bimbetti, mi raccomandodico dubbiosa.
Maestra non preoccuparti, staremo buoni come se ci fossi tu, e poi io aiuterò Agatellasottolinea Fiorella.
Che collaborazione, che magnifica intesa tra loro e me, sembriamo proprio una comunitàpenso fiera di loro e di me.
Scendo le scale, mi ritrovo nell’atrio e vedo un bel giovane, ha i capelli biondo scuro riccioluti, vivaci occhi castano chiaro con pagliuzze verdi, ma conserva ancora la sua tipica espressione birichina in viso. Mi guarda e mi dice:Maestra, chi sono?”
Francesco R.” rispondo subito e lui meravigliato, ma contento di essere stato riconosciuto dice:Qualche volta sono passato davanti alla scuola, ma oggi proprio non ho resistito alla voglia di vederla e di abbracciarla”.
Sorrido di cuore:Anche se nel tempo ho avuto moltissimi alunni voi siete tutti miei “figli” lo sai, nel mio cuore conservo uno spazio speciale per ognuno di voi anche se ormai siete diventati tanti!”.
La trovo benemi diceproprio bene, sembra che il tempo per lei non sia passato, io ho compiuto diciotto anni e già lavoro, ma mi dica ricorda ancora le mie monellerie?
Ricordo solo il tuo primo giorno di scuola e il tuo modo ostinato di stare abbracciato al tuo zainetto, senza volerlo aprire. La tua mamma tentava di convincerti, ma tu, ostinato e imbronciato resistevi, anzi, lo stringevi con più forza ed io ti guardavo in silenzio e ti sorridevo e tu, alla fine del tuo lungo silenzio, hai alzato gli occhioni e mi hai sorriso; così abbiamo fatto amicizia e mi pare che si sia mantenuta oltre la scuola, perché oggi tu sei qua. Ti ringrazio perché oggi sei venuto a rivedermi e ti faccio gli auguri per il lavoro e per la vita!
E così dicendo mi sollevo un po’ sulla punta dei piedi per abbracciarlo forte.
Rientro in classe, i miei nuovi alunni sono intenti a disegnare in silenzio, qualcuno alza gli occhi e mi guarda.
Orazio e Fiorella (due gemelli) si avvicinano al mio tavolo e piano mi chiedono: Che cosa ti è successo? Stai piangendo?”
“Nodico sono solo commossa, perché è venuto a trovarmi Francesco R., che ora già lavora”.
Anche noi, io e mio fratello Orazio, vedrai, verremo a trovarti e ti porteremo le nostre pagelle sottolinea Fiorella.
E’ qualcosa di magnifico, di unico, il rapporto che io ho “creato” con tutti i miei alunni, rapporto fatto di comprensione, di affetto e di stima reciproca, scambio culturale ed esperienziale e, come ben diceva il presidente del concorso magistrale, ho saputo portare a scuola la carica del mio entusiasmo, coinvolgendo piccoli e … grandi.
Ho intrecciato con i genitori dei miei alunni un “costruttivo dialogo” e infatti ho tempo da “regalare” anche a loro che, all’uscita mi aspettano e spesso mi confidano le loro problematiche, perché mi stimano e mi considerano una loro “amica”.
Maestra, (che bello per me sentire questo appellativo!) lei lo sa, abbiamo già due figli grandicelli, ora ne aspetto improvvisamente un … terzo e vorrei …”.
Non ascolto, la interrompo subito, non voglio ascoltare la parola orrenda e mi affretto a consolarla:Sua figlia Anna è intelligente e bella, coraggio regali al nascituro la possibilità di vivere, vedrà il Signore l’aiuterà! Del resto, siamo già ai primi di Dicembre, in clima di attesa del Natale, così il prossimo anno potremo dire che in via Lazio è nato un bimbo, anzi è venuto al mondo un nuovo Gesù, perché ogni bimbo che nasce è una speranza per il mondo!”.
E così dicendo provo una sensazione nuova di pace e abbraccio forte la signora Maria, che ricambia commossa.
Che strano, penso, si chiama veramente così! Un brivido mi percorre la schiena! Non parlo invece e continuo a sorridere e i bimbi già sciamano nell’ampio cortile della scuola.
Ma già, è ampia anche la mia aula, adornata con lunghe e robuste tende che la mamma di Corrado, sarta rifinita, ha cucito e il papà di Sebi, munito di fil di ferro, trapano e metro, ha sistemato nelle due larghe finestre.
Non basta, la nostra aula è la più ricca di tutta la scuola, perché il papà di Orazio (falegname provetto) ha ristrutturato (nel suo giorno libero) la vecchia sgangherata cattedra, arricchendola di due cassetti nuovi. Anche l’armadio, che in prima aveva una sola mensola, adesso ne ha di nuove, così i bambini sono più contenti di lasciare a scuola i loro quadernoni colorati.
Tutti i genitori, fin dalla seconda classe, hanno fatto a gara per migliorare l’aspetto dell’aula e sulla cattedra ci sono ogni giorno dei centrini colorati e sulla mia sedia spoglia ora troneggia un cuscino.
Siamo ancora “una famiglia”, una grossa famiglia, pare, e stiamo proprio bene insieme, perché tuttora vivono nella società i valori sani dell’amicizia, o meglio della solidarietà e l’insegnante gode di stima e di fiducia massima.
E arriva la prima festa di Natale, quella scolastica, vissuta con largo anticipo sulla liturgia.
I ragazzi sfilano davanti ad una specie di capanna vuota dove c’è solo la stella; gli angeli, i pastori e Giuseppe sono gli stessi bambini, che indossano i costumi preparati dalle loro mamme, mentre i tre papà presenti usano la telecamera e scattano tantissime foto.
Alleluia, Alleluia, è nato il sovrano Bambino, la notte che già fu sì buia risplende di un astro divino così l’angelo (che è Bruno) declama e Maria (Amalia) furtivamente esce da sotto il manto azzurro il piccolo Gesù (il suo bambolotto!) ma la commozione è sincera e non manca la mia fra le altre.
Ora sul tavolo troneggia il vaso con le rosse stelle di NataleCosì noi saremo lì presenti a casa tua, perché tu hai soltanto la mamma e sei sola!” dicono i bambini inteneriti dalla mia presunta solitudine?!
Ma io penso che andrò alla Messa di mezzanotte a S. Teresa e già ne pregusto la dolcezza con la preghiera regalatami da Concita:

E nasci ancora

Vorrei lodarti Signore
nei giorni di festa,
cantare il tuo nome,
fra gli uomini senza sorriso,
ogni giorno scrutarti, vegliarti,
adorarti.
O Dio che nasci ancora,
e il mondo tace,
custodisci per sempre in me
un amore grande e semplice,
che possa non stancarsi nel cammino,
ma accrescersi e portare nuovi frutti,
e concedimi, se vuoi,
Signore della vita,
di scorgere il Tuo viso nei miei fratelli
e di servirti ed amarti sempre come nel primo giorno
in cui ci siamo detti
“Sì”
 (Concita Sambataro)

 
In questo clima natalizio che già mi avvolge e mi inebria, ripenso per un attimo al mio primo Natale di bambina, lassù nel mio paesello montano, a Canolo, e quello fu il primo “sì”, no il “nostro”  sì …
Con  questi pensieri  scendo le scale della scuola e vado verso la mia macchina posteggiata nel cortile. Apro lo sportello e, oltre al vaso di stelle di Natale, che le mamme avevano già sistemato, vi trovo una bella tovaglia e curiosa, la tiro un poco, cade un colorato cartoncinoSorpresa! Sorpresa! La tovaglia è un regalino di noi mamme, perché anche noi come i nostri figli le vogliamo bene”…
Stavolta mi sorprendo e mi commuovo davvero!
Sono seduta nella mia stanzetta, sto cercando dei libri, quando il suono del telefono  mi fa trasalire. “Ciao, sono Gina, ricorda, domani devi venire, abbiamo fatto l’ultima prova per i nostri mantelli bianchi, che tutti noi della fraternità indosseremo la notte di Natale. Ti aspettiamo, ciao, statti bene!”
E che?!dicoTutti mi aspettano? Anche io aspetto con fresca, infantile impazienza la nascita del Bambinello Gesù!”.
Finalmente arriva la Notte Santa e felice mi ritrovo nella bella, monumentale, antica chiesa di Santa Teresa; sono, no, siamo tutti noi quindici riuniti nel salone. I mantelli bianchi, appesi in ordine, con il nome scritto, sono pronti. Io mi accingo a prendere il mio, ci riesco infatti, ma non so chiudere il gancio perché le mani mi tremano e Gina, premurosa, interviene e sistema ogni cosa.
Ora siamo tutti pronti e usciamo dal salone in fila indiana per andare a sederci nel coro. Meno male che fra i fratelli io sono messa al centro, perché da sola non so dove sarei andata a finire!
P: Vincenzo ci aspetta nel coro e ci accoglie uno per uno:Benvenuta Rosarita. Auguri!”. Io ricambio e finalmente mi siedo accanto ai fratelli.
Dentro di me sbocciano pensieri di pace. contemplo il bianco dei  mantelli che sono un simbolo visibile della fraternità alimentata dalla preghiera carmelitana di “timbro” contemplativo.
Ora le note festose del Gloria inondano la grande  chiesa e si diffondono nell’aria.
La gioia dell’attesa mi inonda e così mi ritorna al cuore un Natale lontano, in Calabria, un Natale speciale della mia infanzia che ha dato il via a tutta la mia storia, alla mia stessa chiamata.
Ecco il Bambinello che appare lassù sull’altare, ma io bambina non riesco a vederlo, attorno a me la ressa è grande, cerco di alzarmi sulla punta dei piedini, ma non sono la sola ad avere tale idea, perché Erminia, Annamaria e Noretta, le mie compagne di quinta classe, cercano di fare la stessa cosa, nella piccola grande chiesa di Canolo, lì in Calabria, che profuma di … campagna ed io avida ne respiro la fragranza in questa stupenda Notte Santa.
Mi ritrovo rossa, sia per il caldo, sia per la gioia; ho appoggiato sulla sedia l’elegante cappottino e guardo e riguardo nel taschino ricamato del mio vestitino rosso per cercare il mio biglietto “G 68” che credo vincerà e lo trovo trionfante.
Mia madre è seduta al suo posto, calma e bella nella sua imponenza, sembra una matrona romana con la sua folta e ancora bionda treccia che, sulla sua testa forma una corona rilucente.
Indossa, con eleganza, la sua pelliccia d’Astrakan e sul davanti si intravede la verde camicetta di seta che incornicia ed esalta il suo naturale colorito roseo; sull’ovale delicato del viso spiccano due vivaci occhi di un azzurro chiaro e dai lobi scendono e brillano orecchini d’oro di fine fattura.
Sorridente, ma silenziosa, seduta accanto a lei c’è mia sorella Rinuccia, che indossa un bellissimo cappottino rosa con colorati e originali bottoncini a forma di ciliegia.
Ha riccioluti capelli d’oro, ben pettinati, e due occhioni di un chiaro colore azzurro come il mare, no, come quelli di mia madre a cui tanto somiglia, sia a livello di fisico, sia a livello intellettivo. Misteriosa, ma reale è la speciale intesa che esiste già tra loro due.
Continuo a sentire un odore dolce, che sa d’infanzia, che sa di vita! E’ proprio l’odore del latte, perché, proprio accanto a me, le belle, giovani contadine offrono ai loro poppanti il turgido seno e i piccoli avidi succhiano la bianca, dolce bevanda.
Li guardo e li vedo così strettamente fasciati con lunghissime fasce di cotone (per crescere con le gambe dritte, dicevano!), per l’occasione festiva sfoggiano delle bianche cuffiette di fine seta, ornate con bordi e nastrini rossi per tenere lontano il “malocchio”.
Alla sinistra dell’altare le tante “zie”, prima madri di innumerevoli figli, ora nonne di floridi nipoti, indossano gli antichi costumi della Locride (di greca memoria) che sottolineano i sani valori della civiltà contadina che ha come unica ricchezza il frutto del ventre: i figli.
Le donne anziane indossano, su ampie colorate gonne i verdoni Ippuni , che sono camicette cucite e ricamate con lunghe strette piegoline verticali rialzate, che stringendosi poi nella vita sottolineano i loro seni prosperosi.
Ora la voce del “nostro” arciprete ripete:Chi di voi piccoli o grandi ha il numero “G 68” si faccia avanti, il Bambinello stasera vuole andare a casa sua!”.
Subito mi alzo di scatto, per la fretta butto a terra sedia e cappottino, ma Nunziella, la mia catechista, sorride, mi rassicura ed io corro verso l’altare sventolando il biglietto vincente e gridando, col mio tono alto di voce:Ho vinto, ho vinto, ho il biglietto, evviva, evviva, Gesù vuole stare con me!”.
Stella e Maria (le mie amiche grandi) cercano di trattenere un poco questa mia corsa, ma non ci riescono, perché ho ali al cuore e ai piedi.
Arrivo trafelata e l’arciprete, che ben mi conosce, mi dice:Rosarita quest’anno il Bambino Gesù è voluto venire con te, a casa tua, cerca di fargli buona compagnia e così crescerete insieme!”.
Non capisco proprio: Oh bella! come può crescere una statuetta di cera?!” .
Ora poso le mie labbra di bimba sul visino di cera che stranamente si riscalda, e quasi si colora, non dico niente, ammiro la bella camiciola di seta, che la mia catechista Nunziella, rubando le ore al sonno, ha pazientemente ricamato.
Fragoroso e scrosciante è l’applauso, Teresa ripete: Sì, quest’anno il Bambino Gesù è andato a stare con la figlia grande del Maresciallo!”.
Già, il maresciallo, mio padre, ora lo cerco con lo sguardo indagatore e lo trovo: è lì con la sua nera bella uniforme, che sottolinea ed esalta la sua bruna virile bellezza.
Ci somigliamo tanto, specie nel temperamento astratto e poetico e nella fede negli ideali.
Vedendomi correre trafelata verso l’altare, mi avvolge con il suo caldo sguardo protettivo, perché fra me e lui esiste una corrispondenza d’amorosi sensi di foscoliana memoria. Anch’io lo rassicuro usando il nostro speciale linguaggio degli occhi, perché so che non posso abbracciarlo quando è in servizio.
Ora non respiro più l’odore benefico della campagna, bensì quello acuto dell’incenso, mentre una calda voce intona: Tu scendi dalle stelle o Re del cielo e vieni in una grotta al freddo e al gelo. O Bambino mio divino io ti vedo qui a tremar…
Ma perché tremi?” mi chiedo dubbiosa hai freddo o Bambinello? Aspetta un momento ti ricopro subito.
Sono già al mio posto. e cerco il mio cappottino di bimba, guardo e mi accorgo che è scivolato sulla spalliera. Ora ne tiro svelta un lembo che mi sembra più chiaro, quasi bianco e meravigliata sento una fresca voce femminile: Rosarita mi dici perché tiri il mio mantello? Forse sei scomoda?”.
Così mi parla Francesca, la mia sorella di cammino di Santa Teresa, la guardo stupita e mi ritrovo con tutti i fratelli della fraternità, non sono più una bambina bensì una donna che ha saputo conservare nel tempo la freschezza dell’infanzia ormai lontanissima, nello spazio e nel tempo, ma attuale nel cuore.
Aurelio mi fa cenno di mettermi in fila, perché ci avviamo per ricevere la comunione.
 
 
Eucaristia = Corpo reale di Cristo
Comunità = Corpo reale di Cristo
 
Così dicevamo ai nostri campi di lavoro a Lentini.
 
Ho per parlarti piccole parole,
hai per sedurmi abissi di silenzio

Come recita la poesia donatami da Tea...
 


                                          Rosarita di Gesù
                                                                Gesù di Rosarita     


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7° Capitolo
 
 
                                "La fede è facile, non credere sarebbe impossibile,
                                        la carità è facile, non amare sarebbe impossibile.
Ma sperare è la cosa più difficile."
 
A. Pronzato
 
 

 
Nell’ 84 continua con serenità e sicurezza il mio impegno di maestra, e la scuola riempie ancora buona parte della mia giornata e della mia vita.
Eppure già comincia ad affacciarsi all’orizzonte del mio spirito un certo disagio interiore dapprima lieve, incerto ancora, ma sempre più continuo e pungente.
Mi fermo, mi guardo dentro e vedo che dal lontano ’80 la comunità di S. Teresa si è molto ampliata ed è diventata un gruppo di famiglie con una tematica e una problematica profonda ma lontana, lontana dal mio personale iter spirituale. Ecco mi manca uno specchio con cui confrontarmi mi mancano i ritiri spirituali di Monte Carmelo animati da P. Mario (che ho rivisto per breve tempo nel viaggio di Lourdes) e ha dato una svolta alla mia visione dell’accettazione del dolore: i sofferenti, infatti, erano inchiodati alle terribili sedie a rotelle con i bulloni della “GIOIA”. Ma ora P. Mario è lontano, mi manca la sua presenza amica, paterna e rassicurante.
E oggi nel caldo giugno dell ’85 la scuola è finita e con essa l’impegno continuo e totalizzante dell’insegnante. Ora uno squillo insistente mi distrae dai miei pensieri, ma chi suona alla porta? Ma no, è solo il telefono che continua a squillare ed io, con voluta lentezza, mi alzo e subito la fresca voce di Maria C. annuncia: «Come stai? la sai già la buona notizia? Tutti noi abbiamo bisogno di un confronto comunitario, di una pausa di respiro e così abbiamo deciso di andare in Toscana nella casa di accoglienza dei padri Carmelitani a Campiglione. Sto scrivendo l’elenco dei partecipanti e so che verrai, tanto nel mese di agosto, sei in ferie! Dimenticavo di dirti che verrà anche Renato, il nostro futuro sacerdote!
Insieme a P. Vincenzo ti aspettiamo sabato per il nostro incontro settimanale per definire il programma estivo. CIAO TI ABBRACCIO».
Poso il ricevitore del telefono e ripenso a Renato, ma certo, è il giovane ragazzo dai riccioluti capelli neri, dagli occhi vividi e dalle mani di artista, ha modellato infatti un Cristo di fine fattura da un informe blocco di creta.
Questa inattesa notizia solleva il mio spirito e guardo interessata il mio voluminoso diario che andrà in valigia insieme al tris di penne colorate.
                                           
 
E Agosto arriva caldo di sole, ma fresco di nuovi progetti, di nuove speranze, il cuore vola e il treno sbuffa nella stazione di Catania oh! pof, pof che bello! .E’ il treno scattante come la vita! E il cuore canta e Antonella ride divertita perché non riesce ad entrare nella sua cuccetta con il suo enorme pancione, mentre il marito Aurelio la guarda preoccupato e Gianni avanza un sospetto « Come mai? Sono due gemelli? »
Ora il treno è già arrivato a Messina, ma è ancora buio e non riuscirò a intravedere i monti del mio paesello situato in terra calabra , che io con amaro dolore, ho lasciato nel 1962 per venire a Catania.
Rientro, delusa mi sdraio, la manovra è finita, il rullio cessa e diventa un gradito dondolio e pian piano gli occhi si chiudono e comincia il sogno.
Improvvisamente non è più sera,  è giorno, anzi è uno splendido giorno di primavera e nel sole, Lisa, in grembiule nero e collettino di fine merletto, canta con intonata voce: «Ah Lazzarella comme sì a me mi piaci sempre cchiù…ti sta sempre più stritta a camicetta a fiori blu…». La guardo  in silenzio sacro, ma la sorpresa non è finita, anzi! Dietro di lei con la sua tipica espressione sognante, con la cartella di cuoio zeppa di libri e d’appunti, con il nero grembiule, il collettino bianco e in più un colorato cinturino verde, avanza una ragazza che ha spalmata sul volto la crema della gioia.
Mi vedo e mi riconosco; sono io: sono felice, sono nell’Istituto magistrale di Locri, non ho ancora 18 anni!
Sono partita, come ogni giorno, dal mio paesello, alle sei del mattino e con me ci sono: Noretta, Erminia, Emilio e Vanni.
Ora piano Lisa brunetta e simpatica mi si accosta e salendo le scale, continua a dedicarmi sottovoce il mio canto preferito: «Nel blu dipinto di blu, felice di stare lassù, con te».
Siamo già arrivate nella nostra spaziosa aula, la III C che dà sul giardinetto. Alzo la mano per salutare Rosetta alla quale sono ideologicamente molto legata e quando facciamo le nostre ripetizioni o gare di italiano e filosofia lei si gira di botto e le sue deliziose trecce, legate con nastri di seta colorata, le danno un’aria sognante proprio da bambina. Pasqualina detta da noi “Lina” ha già aperto il suo quadernone (vi si può notare la sua grafia, piccola e metodica) ordinato e non mancano schemi e formule matematiche, materia in cui lei eccelle!
Nell’angolo vicino alla grande finestra che dà sul giardinetto, c’è seduta Marianna e i lunghi boccoli neri lucenti formano come una corona sul suo collo di cigno e poi si appoggiano sul suo seno turgido e prosperoso insieme.
Ma non riesco a guardare e salutare le altre ragazze perché il bidello annuncia: « Sta entrando il professore di italiano ». Tutte noi, in un unico scatto, ci alziamo in silenzio e lui sorridente ci fa segno di sederci e poi con alta competenza inizia a leggere i Sepolcri. Ascolto.
« e l’arca di Colui che nuovo OLIMPO, alzò in Roma a’ Celesti, e di chi vide sotto l’etereo padiglione rotarsi più mondi e il Sole irradiarli immoto». E spazio beata nel mondo della poesia a me congeniale, ma ecco che ad un tratto vicino al professore ora volteggiano ( usciti da dove?!) due strani personaggi e attenta guardo. Il primo è quasi vecchio ma possente ancora e infatti sostiene con vigorose braccia, una grandissima costruzione quasi cilindrica, finemente lavorata e con un improvviso tuffo al cuore la riconosco: è la cupola di SAN PIETRO e insieme riconosco lui, il grande scultore: MICHELANGELO! Ma non distinguo bene la foggia dei suoi vestiti perché è ricoperto da una fine, impalpabile polvere di marmo. Il secondo personaggio non è meno strano del primo, infatti indossa una casacca nera e ha un’ enorme colletto inamidato.
Ha un viso crucciato, tiene in mano un bastone di ferro! Ma no guardo meglio è un cannocchiale e sento che mormora fra i dentiEppur si muove!” Purtroppo la chiesa non ha saputo riconoscere la grande teoria della terra che gira intorno al sole e così GALILEO è ancora deluso e io con lui! Ma Mirella, con i bianchi occhiali che le danno un’aria di professoressa, non si è accorta di niente e tranquilla prende appunti, qui seduta accanto a me. Sto zitta per ora e la bella, calda voce del professore Ferraro continua a declamare nel silenzio generale:
« Te beata gridai, per le felici auree pregne di vita e pe’ lavacri che da’ suoi gioghi a te versa Appennino.
E tu per prima Firenze, udivi il Carme, che allegrò l’ira al Ghibellin fuggiasco >>.
Dalla finestra spalancata della classe arriva a me il richiamo acuto della campagna, unito all’odore tipico della giovinezza. Il sole è tiepido qui fuori, la brezza scompiglia i miei lisci capelli e d’incanto scende verso di me, un uccello colorato e si ferma ai miei piedi. Sicura e lieta lo guardo e aumenta dentro di me il bisogno di volare, ma certo per lungo tempo sono stata un’aquila e mi credevo un pollo!. D’istinto slancio le mani  verso l’uccello che sembra capire il mio desiderio e mi viene incontro, ecco non ha paura di me e neppure io provo paura; allungo le mani e riesco ad accarezzare con tenerezza una parte delle sue infinite ali. « Come sono morbide, sembra di toccare un cuscino di seta! ». Con sicurezza aspetto che si posi qui accanto a me e con nuova, improvvisa disinvoltura lo cavalco e volo in alto e Firenze appare nello splendore dei suoi palazzi, delle sue piazze! Dalla piazza di San Lorenzo arriva in alto fino a me, il brusio, no il vocio, del mercato e nelle lunghe ceste fanno mostra di sé le tenere verdure, i frutti carnosi, doni della fertile campagna fiorentina!
Dalla parte opposta in ordinata fila, i numerosi turisti stanno per rendere omaggio alle cappelle dei ‘Medici ove si possono ammirare ancora opere famose e dove  anche Michelangelo lasciò l’orma del suo genio.
E il mio viaggio continua ed ora l’uccello, in volo radente, si avvicina sempre di più a Ponte Vecchio, infine plana verso terra e io tranquilla salto giù leggera, felice, serena. Ora l’uccello apre e chiude i grandi occhi più volte in segno di saluto ed io ricambio con i miei occhi ora più grandi e luminosi per la gioia. Sento uno sciabordio, un rumore d’acqua pare e il fiume placido scorre: « Ma è l’Arno ripeto incantata a me stessa.
D’un lampo il sole tramonta, ed ecco lo guardo attonita  c’è buio mi pare, ma no le stelle, in manto d’argento, appaiono chiare e sbarazzine brillano e sembrano vicine vicine. La luna manda riflessi argentati e il paesaggio tutto sembra irreale, proprio come quello di un sogno! dico fra me.
Ora percepisco sempre più un rumore, ma no, è un fischio lungo e acuto che turba il silenzio solenne del paesaggio serale. D’istinto mi proteggo, porto le mani alle orecchie ed ecco mi ritrovo sul treno e qualcuno dice: « Abbiamo da un po’ superato Napoli».
Il sole filtra attraverso il finestrino, mi stiracchio, sorrido fra me perché è rinata la speranza; mi ritrovo fra i fratelli del Rinnovamento di S.Teresa.
Nel treno c’è un fervore di vita, si scambiano i saluti e tutta la carrozza è in festa: siamo tanti proprio tanti e non mancano i bambini delle nuove giovani famiglie.
  Maria, già alzata, mi augura il buongiorno e premurosa, con due thèrmos in mano, chiede: « Caffè o The? » e aprendo il suo borsone ne tira fuori tovagliolini e bicchieri colorati. Inizio a sorseggiare il mio the e Renato si avvicina lesto, e mi porge in silenzio il pacco con i miei biscotti preferiti -conosce bene i miei gusti – pare.
E corre ,corre il nostro treno, divora e supera ponti, paesi, campagne, entra nelle buie gallerie e ben presto ne sbuca fuori vittorioso, contento pare.
Si avvicina ora la campagna del LAZIO che appare in tutta la sua magnificenza di verde, di frutteti, di greggi opulenti.
Laggiù, la città eterna, Roma si intravede e d’incanto con la memoria del cuore mi ritrovo in mezzo ad una folla festosa e canterina, ma certo, tutti noi fratelli del Rinnovamento nello Spirito, oggi siamo convenuti qui in piazza S. Pietro per il nostro raduno nazionale del maggio dell’ 80.
Saremo ricevuti dal Papa nella sala Nervi, siamo già incolonnati  e stiamo per entrare. P. VINCENZO, con il cappellino rosso, apre  la nostra fila, Pippo ci guida con gli occhi attenti, io mi trovo vicino a Renato che indossa il saio carmelitano e mi tiene per mano in segno di fraternità. Dietro di noi seguono: Gianni, Maria, Nello, Giovanna, Aurelio, Francesca, Nando e Nino, Rosamaria e Giovanni. Eccoci siamo dentro, ma che fatica per arrivarci! Prendiamo posto nelle sedie numerate, ma siamo capitati male, ci troviamo alla fine della sala e il Papa passerà soltanto nelle prime file dove ci sono i sofferenti – dicono!
Ma io, come sempre, fervida di idee e nel pieno vigore fisico e mentale, escogito un mio sistema per vedere Giovanni Paolo II.
Faccio un lieve segno a Pippo che cerca di fermarmi, ma invano, perché mettendo « ali al cuore e ali al piede » svicolo nel corridoio laterale e arrivo proprio sotto la prima fila.
Mi fermo emozionata e delusa perché ci sono le transenne, alte per giunta. Sbircio con interesse il volontario del servizio d’ordine e noto che è biondo, di nordica natura e d’istinto dico: « Su fratello aiutami a saltate oltre le transenne, ho bisogno di vedere il Papa da vicino, fammi sedere accanto ai sofferenti in questa fila riservata ». Ma non gli dò il tempo di riflettere, mi alzo sulle punte dei piedi e con forza mi appoggio alle sue atletiche spalle e infine con un felice acrobatico salto in lungo, mi ritrovo nel gruppo dei sofferenti sconosciuti. Noto che alcuni sono già seduti sulle sedie a rotelle altri stanno per farlo assistiti dai loro accompagnatori. Un anziano sacerdote, sostenuto dal suo bastone, ha assistito in silenzio alla scena e non ha criticato il mio ardire, anzi, con giovani occhi limpidi e voce imperiosa mi ordina: «Svelta mettiti  su questa sedia dietro di me attenta sta per arrivare qui la guardia svizzera, non ti fare scoprire
Evviva, faccio appena in tempo, perché il cuore ora mi martella forte. Ho paura, ho paura che qualcuno mi mandi via dal posto a fatica conquistato. La guardia svizzera avanza in un turbinio di giallo e di rosso, avanza, ma sospetta qualcosa? O forse ha visto la scena? Ma no, passa oltre ignara!
Ora assumo un’aria smarrita, giro la mano, la metto con il palmo in su e ritiro le dita, sembra storta e malandata e forse è diventata proprio così! Ora dal lieve mormorio capisco che il Papa sta per passare, eccolo! Bianco vestito, giovane! Ha per ciascuno di noi un sorriso e una carezza. Si avvicina, si ferma dubbioso, mi guarda stupito, forse ha capito qualcosa? E poi, e poi mi guarda ancora e tuttavia mi regala una carezza! poi passa oltre. Subito il mio essere è come percorso da una sensazione bella, bella assai!
In rapidi cerchi di gioia penso al Tevere e al fiume, che abbraccia il mare, affido tutte le mie certezze di fede!
Ma dove sono ora? E perché sento che i miei piedi hanno un appoggio instabile? Ma che cosa è questo rullio continuo? Incerta cerco Renato, ma è qui, affacciato all’altro finestrino del treno e in silenzio mi avvicino e gli stringo forte la mano perché devo trasmettere “l’elettricità” emotiva che mi è ancora rimasta dopo la carezza del Papa!
Si gira, mi guarda sorridendo, ricambia forte la stretta e, meraviglia dice: «Lo so avvicinandoti a Roma stai ancora pensando alla carezza del Papa? Ma è passato tanto tempo dal nostro convegno dell’80.
Stavolta la gioia e la sorpresa mi provocano un nodo alla gola e pacatamente alle mie labbra affiora la lode: «Alleluia al Signore» dico,  Renato in spontanea preghiera ripete piano «Amen
E il treno corre, fatica ancora, lascia la costa, si dirige verso l’interno e in tutta la nostra carrozza il mormorio aumenta perché si devono prendere i bagagli per scendere a Firenze, che in lontananza si intravede. Guardo preoccupata la mia gonfia valigia e par mi dica: « Così, così strapiena come farai a trascinarmi?»
Gianni, dopo aver sceso la sua e quella della moglie Maria, mi dice premuroso: « Tranquilla Rosarita, la tiro giù io! »
« Meno male che ha le ruote» penso fra me. Ma ecco che Renato si offre di trascinare la mia valigia e il suo leggero bagaglio. Nei due vagoni precedenti i bambini parlano eccitati e ognuno trasporta il suo giocattolo preferito.
Scendiamo tutti dal treno, ogni famiglia controlla i bagagli, ma fra tutte la più rigonfia è la mia valigia e la guardo perplessa! Ora Padre Vincenzo fa la conta: « Bene siamo tutti presenti, mi raccomando date un occhio ai bambini, a Firenze prenderemo l’autobus per Campiglione, passando per piazzale della Signoria. »
Ora tutti insieme, come piccolo gregge, ci incamminiamo. Ai miei occhi estatici appare la Cattedrale impreziosita da marmi bianchi, rossi e verdi, splendido esempio dell’architettura gotica fiorentina. In alto spicca il Campanile di Giotto di lato il Battistero con la porta del Paradiso. E poi e poi, c’è la cupola del Brunelleschi, che io conoscevo solo dai libri di scuola. Mi fermo e contemplo in silenzio sacro. Brunelleschi, amico  dell’astronomo Toscanelli, dopo i suoi profondi studi matematici e le osservazioni attente agli antichi edifici specialmente al Pantheon di Roma, eresse la prima cupola senza le usuali impalcature.
Ma la mia contemplazione è rotta dall’arrivo eccitato di Nello che, da esperto muratore, mi chiede allibito: « Rosarita, ma Brunelleschi come ha fatto a portare lassù in alto nella cupola tutti quei mattoni rossi?» E non ottenendo alcuna risposta da me continua: « Ma è un genio, è bravo assai, assai!»
Urge camminare pare, ma Nello si gira ancora una volta indietro e lo sento mormorare: « Ma come ha fatto? Certo era il capo dei muratori! » e poi guarda veramente ammirato la bravura manuale dell’artista che ha lasciato a noi e al mondo un’opera eterna e duratura.
Ora ci scambiamo con Renato uno sguardo complice e corriamo entrambi giovani, verso il piazzale della Signoria che si intravede in vicina-lontananza!
Domina la piazza il trecentesco Palazzo Vecchio dall’ardita torre merlata. Sulla destra si trova il Palazzo degli Uffizi e la loggia della Signoria, altro notevole esempio dell’architettura gotica fiorentina. Ma fra tutte le statue che impreziosiscono la piazza vedo, nella pura maestosità del marmo bianco e nella stupenda nudità, il Davide di Michelangelo , che mostra la forza morale e fisica del guerriero vincente. L’occhio riesce a incamerare tanto splendore e provo una “goduria” che ha il sapore metafisico dell’eternità. Ma non sono la sola “a gustare” il piacere estetico, incrocio lo sguardo eloquente di Renato, ma nessuna inutile parola turba l’istante eterno di grazia che stiamo vivendo attraverso l’arte.
Sono ora sull’autobus, stiamo andando a Campiglione  e la campagna toscana appare ricca e verdeggiante. Troverò ancora una volta una risposta ai miei perché nuovi e vecchi?
Arriviamo, e la casa, simile a un robusto merlato castello medievale, ci accoglie immersa fra alti, amici alberi.
Avrò del tempo per interrogarmi, per confrontarmi con i fratelli, per pregare, penso. Tutti ci avviamo verso il grande salone antico che già è aperto, entriamo in frotta. Renato depone la mia grande valigia e subito io, fingendo di cercare qualcosa, mi allontano, ho intravisto infatti una finestra e guardo fuori. Quanti alberi, ma come è rassicurante il profumo del bosco che arriva fin qui! Socchiudo gli occhi inebriata e davanti alla memoria del cuore sfilano altri alberi: quelli secolari di Gambarie del ’68, ora ecco i filari di pere di  Vizzini  dei campi di lavoro! Già i campi di lavoro del ’70!
Ma chi parla? Chi ride con giovane voce nota? È un esile ragazza e sembra che canti! Ma come osa? Tutti dicono che è stonata, ma sembra invece intonata alla sua persona la certezza di vivere in una comunità di fede.
Eccola la Rosarita di allora serena dialoga con il folto giovane gruppo di fratelli lungo i filari e P.  Antonio è la loro guida. Comunità parola sempre cara innervata in tutto il mio essere! Tuttora ricerco tale “dono” riflesso sbiadito della prima comunitá: LA TRINITÁ  
 
ADORAZIONE   10 AGOSTO 1985
…. Gesù, piccolo grande amore, sì eccomi sono qui nella tua piccola chiesetta con la finestra antica spalancata su questo splendido cielo toscano, su questa natura feconda e verdeggiante. Sono sola con te; voglio essere sola non c’è nessuno accanto a me nonostante l’intera comunità  di S.Teresa. Sì mi sto fermando, sono qui accanto a te che stai velato e presente nella piccola Ostia bianca, voglio ancora cercarti, ritrovarti, scoprirti. Rivelati a me nello splendore della Tua luce, nell’orma che tu DIO-PADRE hai dato al creato, nella grande piccolezza del Tuo mistero Eucaristico.
Ora parla o Diletto, in questo divino e armonioso silenzio, il mio arido e inquieto cuore Ti ascolta.
Saprò riconoscere la Tua voce fra le “tante voci” che si inseguono nella mia mente e nel mio cuore assetato di pace e d’amore.
Ma chi risponde a questo mio grido profondo e muto? « Dolce sentire come nel mio cuore ora umilmente sta nascendo amore… » Ma chi canta così dolcemente, chi prega così profondamente? Ma sì, dalla vicina cappella giunge al mio cuore il canto dei ragazzi di Pisa, guidati dai Gesuiti.
È un eco lontano della loro Messa? Ma no, della mia Messa di Lentini..
Sì, un altro cielo io intravedo, un’altra natura: è il campo di lavoro del 1972, ecco sento realmente la voce di  Aurora , capelli al vento, eccola!
Canta, prega, contempla, eccola è lì, splendida di giovinezza e di fede la vedo « ridere  felice!»
Ed io all’apparire della vecchiaia ( segni nel cuore o nel corpo?) posso ritornare alla mia gioventù « nascere ancora, rinascere come Nicodemo? »
Per me è ancora possibile? Te lo chiedo su questo tramonto di giornata, in quest’ora di deserto: in questo momento di rinnovata e angosciante solitudine. Vedi? Sono stanca dentro: ho attraversato strade lunghe, sentieri stretti, strade vuote, strade vuote di te, strade troppo affollate e mi sono perduta nell’anonimato, io soffrivo, ma nessuno mi ha potuto sostenere, nessuno!
Anche la voce pacata di P. Mario è diminuita, non posso sentirla più, è ritornato nella sua comunità di Palermo. Non ho neppure un padre! Mi è rimasto solo un lumicino: il faro interiore della mia coscienza che mi esorta, mi condanna, mi porta “fuori di me”. Forse anche Tu parli ancora, ma sono sorda, non Ti sento più. Fermati! Fermati!
Ma rispondi perché non Ti sei fermato ad aspettarmi sulla Tua e sulla mia strada? Perché? Perché?
Perché vai così di fretta e mi precedi correndo? Corri, corri troppo Gesù, fermati un attimo, fermati, per farmi respirare, ti chiedo solo una pausa di respiro.
Dammi una grazia, un dono Tuo, dopo sì lunga sofferenza: fammi rinascere in acqua e spirito. Lo puoi sono sempre una tua figlia, lo ricordi? Fammi respirare un  attimo in Te. Ecco danni tremendi sono avvenuti pian piano dentro di me, oggi sono stanca, vuota, arida, angosciata.
Sanami dentro, purifica il mio cuore, inebriami del tuo amore.
Al mio ritorno a Catania fammi trovare una casa di preghiera. Aspetto!
CIAO.                                           
 
 
Eccoci abbiamo lasciato Campiglione, siamo già a Firenze, ma è quasi buio e posso dare alla città bella solo un rapido sguardo perché il treno per il ritorno ci aspetta, impaziente, pare. Saliamo e P. Vincenzo attento e premuroso, controlla tutti, poi con responsabilità paterna, si ferma vagone per vagone, regala carezze ai bambini e ringrazia tutti per la collaborazione ricevuta.
Ma in verità tutti noi abbiamo molto collaborato a rinforzare solo la sua pazienza!
Ora P. Vincenzo arriva vicino a me, mi guarda intensamente, mi sorride, ma non dice niente e io non rispondo alla sua muta interrogazione, fingo di non capire e lui va via, prosegue il suo giro augurando un buon viaggio a tutti!
E mi ritrovo già sdraiata nella cuccetta sopra quella di Renato, guardo la luna e attraverso il finestrino socchiuso, la vedo apparire, poi nascondersi fra le nuvole, riapparire di nuovo e penso che i poeti seicenteschi  hanno offeso in modo plateale la luna definendola « la gran frittata » mentre a scuola, il mio professore di musica, rifacendosi alla Norma  di Bellini la chiamava « la Casta diva ».
Già, il mio professore di musica, lo rivedo di botto: è bassino, di età indefinibile, con pesanti occhiali di tartaruga, con i folti capelli già abbastanza brizzolati e ora lo vedo e lo ascolto, mentre, suonando il violino, intona con calda voce, una canzone di sua invenzione: « Chimera nei  sogni miei mi appari tu, bella ti vedo ancor come in quel dì sempre nei sogni miei con te vivrò è stato un sogno che non scorderò…»  
E tutte noi ragazze diciottenni voliamo leggere sull’ali della musica!
L’incanto si rompe presto perché suona la campana della scuola e tutte, usciamo in ordinata fila e sui grembiuli neri e i collettini bianchi merlettati, le cartelle colorate fanno un piacevole contrasto.
 
Ricerco con lo sguardo Noretta, Erminia, Emilio, Annamaria li chiamo e insieme ci avviamo verso via G. Mazzini per prendere il nostro autobus che ci riporterà paziente ai nostri monti, baciati dalla fiumara! E tutto canta di gioia dentro di me!
E l’auto corre come il mio cuore, abbiamo già lasciato la marina e sta per apparire in lontananza la fertile campagna calabrese ed ecco già si intravede “la fiumara” con i suoi ciottoli a forma di confetti. Poso lo sguardo sull’acqua che, anche da lontano , appare limpidissima ed ecco vedo una bimba di circa nove anni che indossa un lindo vestitino guarnito da due enormi tasche.
Ma che fa? – mi chiedo –
Ecco saltella sicura da un lato all’altro su delle pietre levigate e scivolose, verdeggianti di erba, ma non ha paura, non cade, anzi!
La guardo con più attenzione e mi sembra proprio di conoscerla e d’altronde, accanto a lei, con le belle, giovani gambe tuffate interamente dentro “la fiumara”, Teresa, la domestica della caserma, sbatte vigorosamente le ruvide lenzuola dopo averle strofinate con il nostro casalingo sapone ricco di grassi, soda, erbe selvatiche, antica ricetta delle donne della Locride!                    
Ma ancora più meraviglia desta in me la bimba: è accaldata dalla gioia perché, guardando l’acqua poco profonda, ha trovato un pesciolino guizzante. Ma non lo prende si accontenta di raccogliere e mettere in tasca, ancora bagnati, i bei sassolini colorati con striature d’oro e ogni volta che ne prende uno lancia piccoli gridolini di gioia! E immerge sempre più i bei piedini nell’acqua frizzante e fredda del fiume. Provo un brivido, pur essendo sull’auto e premurosa la chiamo « Rosarita, Rosarituccia » ma non mi vede, neppure mi sente immersa nel trasparente fiume dell’infanzia. E Teresa (ancora molto giovane ) la guarda complice ma non la rimprovera e poi a mia madre dirà solo: « A Signurì, ha fattu a brava ». Ma a un certo punto una brusca frenata mi scuote e un confuso scalpiccio arriva a me, il papà di Erminia il nostro autista dice: « Su presto scendete tutti, devo cambiare una ruota! » scendiamo in ordine e Noretta passandomi accanto mormora:  <<Troveremo la pasta scotta a casa! >>
Già la mia casa, la mia casa sui monti!
Mio padre, ancora nel suo ufficio di maresciallo, si affaccia sul lungo balcone per vedere l’autobus che sbuffando in salita, sta per arrivare.
Mia madre ha già steso sul lungo tavolo la tovaglia fiorata e accaldata sta per scodellare il mio piatto preferito: gli spaghetti alla Norma. Mia sorella Rinuccia sembra sfogliare un libro, ma i suoi azzurri occhi si rispecchiano in quelli limpidi di mia madre!




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8° Capitolo
  
"...Ascolto Dio nella musica del silenzio
                             che poi diventa
canzone nell’ascolto
                                                                                           dei fratelli..."
Anonimo
  
 

 
Dalla lunga balconata la luce del sole si rifrange nella mia stanza e mi abbaglia. Giro lo sguardo, in vicina lontananza l’Etna brilla di splendore nella sua “eterna bellezza”.
Il mio lungo tavolo è pieno di ritagli, di libri, di colori, di foglietti bianchi, del barattolo di colla: ecco sembra proprio una bottega di falegname solo che la mia stanza è piena di trucioli di carta, in questa  serena mattinata settembrina dell’ 85.
La confusione è normale, sto preparando le schede per i miei alunni perché fra alcuni giorni ci rivedremo.
Che bello! Che bello -mi dico- e ho ancora, dentro di me le loro argentine voci che chiamano: “Maestra ,maestra, Rosarita!”. Prendo , o meglio, tiro fuori dal mucchio alcuni foglietti bianchi, apro il cassetto per cercare il pennarello ed ecco, una busta rigonfia fa capolino ed io incuriosita, la prendo in mano e ne controllo il contenuto: sono le   letterine che i bambini mi hanno scritto lo scorso giugno: “Sei bellissima. Sembri una principessa quando sale le scale”. “Ti voglio un mare di bene”. “La maestra Rosarita rende dolce la mia vita”. Sorrido fra me, certo a presto  miei cari alunni. A presto! Ma, mentre cerco di riordinare i bigliettini, il telefono  squilla con suono insistente. Mi alzo facendo volare a terra alcuni foglietti e sollevo la cornetta, riconosco subito la voce di Margherita: “Ciao, come stai? Che cosa stai facendo? Lavori per la scuola vero?” Ascolta, ieri ho saputo che domenica 22 settembre, padre Egidio celebrerà la sua prima Messa..      
Io passerò a prenderti! Ti prego fatti trovare pronta! Sono certa che verrai. Ciao!”
Oh questa è bella”, dico fra me, “lei  è certa ma io no e poi chi è P. Egidio ” Ma certo! Ora ricordo. E’ il giovane, splendido ragazzo che ho conosciuto a S. Vito mentre riordinavo i libri della biblioteca nel lontano ‘79! Conservo ancora nel cuore il colore dei suoi occhi di cielo e il suo sorriso luminoso e comunicativo. Ora ho deciso, ci andrò ne sono convinta! Comincio a riordinare il tavolo della mia stanzetta e i ritagli di carta sparsi ovunque, presto diventano palline che io,con accurata flemma, tiro nel cestino: ecco ho fatto goal!
Penso al tempo che è passato ricco di imprevisti e a quello che verrà con un pizzico di curiosità, e sul mio volto aleggia uno strano sorriso.
Mi sveglio presto  stamattina ricomincia la scuola e la lunga cartella è già  pronta: le schede sono già numerate.
Oggi i ragazzi mi  aspettano ed io non vedo l’ora di riabbracciarli uno per uno! Saranno più alti! Sono arrivati ormai in terza classe. Scendo in fretta le scale, la macchina è pronta, salgo, guido con la solita prudenza ,  ma il cuore vola!
Parcheggio nell’ampio cortile ,ho appena il tempo di spegnere il motore e i ragazzi, più mattinieri di me, sono già arrivati, tutti insieme corrono venendomi incontro, dai vari punti del cortile, mi ritrovo come stretta in un magico cerchio, quello unico della nostra “amicizia” mentre laggiù, vicino la scala, alcune colleghe guardano la scena con aria di disapprovazione e forse di invidia perchè il loro sguardo è cupo e la loro critica arriva fino a me: “Ma guarda un po’, così Rosarita offusca  la nostra “professionalità”. Ora suona la campana dell’ entrata, subito si ricompone la fila, saliamo le scale in assoluto silenzio e Nello apre la porta della classe. I cartelloni, già sistemati, con qualche giorno di anticipo, attirano la simpatia dei ragazzi. Sebastiano, Rossella, Serenella, Amalia, Anna, Sebi ,Salvo, Giuseppe, Francesco, Bruno, Antonio, Cristina, Angela, Maria, Rosanna, Gianfranco ,Antonella, Alessandro, Giusi  guardano ammirati, mentre  Francesca e Patrizia  tirano le tende colorate e così si vede dall’alto l’ampio cortile. Ora iniziamo la giornata scolastica  e Antonella intona: “Acqua siamo noi, dall’antica sorgente veniamo, fiumi siamo noi se i torrenti si danno la mano.” Ora inizia la distribuzione delle schede consegnate da Rossella e osservo con soddisfazione che le penne scivolano sulle risposte esatte.
Evviva la scuola dove si lavora con gioia, dove si apprende con interesse!
Esiste, esiste ancora oggi e io ne sono orgogliosa!
Ed ecco è finalmente arrivata la fatidica domenica del 22 settembre dell’85 ed io, già pronta per uscire, mi guardo allo specchio, sto proprio bene sono elegante,  sicura di me mi affretto a scendere le scale perchè Margherita ha già suonato al citofono e mi aspetta in macchina.
Ci salutiamo, Margherita guida sicura nel traffico cittadino già intenso!
Molta strada ci aspetta perché stiamo per andare verso il mare della scogliera , che io, pur abitando a Catania da anni,  ancora sconosco. Siamo arrivate e il panorama mi incanta, il mare azzurro laggiù ride nell’ estate settembrina. Scendo dalla macchina  e, proprio vicino all’insenatura naturale, dondolano lievi due barche ormeggiate a riva.
Con l’attenzione del cuore intravedo due personaggi ma le loro figure appaiono come sfocate, eteree quasi, eppure, con un tuffo al cuore, mi sembra di sentire una voce nota proprio la sua quella del Maestro.
In rapita contemplazione ascolto, i personaggi: sono Gesù e Pietro e per ben tre volte si ripete l’eterna domanda  “Simone di Giovanni mi vuoi bene più di costoro?” e dopo le tre risposte affermative di Pietro ecco il comando “Pasci le mie pecorelle”.
Margherita si gira  mi vede ferma  si avvicina e dice: “Ma è veramente la prima volta che vedi il mare della nostra città ? Via, non ti lasciare incantare, svelta, seguimi, fra poco comincerà la messa.” In assorto silenzio la guardo e cammino dietro di lei e arriviamo fin sotto i gradini della chiesa antica.  Conservo ancora nel cuore l’azzurro del mare e lo ritrovo nella volta della chiesa antica  e  in fondo, dietro il bianco candore dell’altare, troneggia la statua della   Madonna .
Un meraviglioso canto dà inizio alla processione dei sacerdoti che si avviano verso l’altare, entrando dalla porta centrale.
Con l’attenzione del cuore ricerco padre Antonio,  ma  il tempo insolente ha lasciato su di lui qualche segno: i folti, lisci capelli sono ora brizzolati e sul  viso volitivo si nota qualche ruga. E pure in mezzo alla folla il suo sguardo profondo incrocia il mio, ecco ci siamo ritrovati nella pace di Cristo dopo sì lungo distacco, dopo sette anni di lontananza.
Il sacerdote che chiude la fila è padre Egidio e tutta la sua persona sprigiona gioia: il giovane volto è illuminato dal sorriso. Arrivati all’altare padre  Antonio lo presenta e, con fine intuito dice: “Grazie al sacerdozio, questo giovane può diventare padre di suo padre  e di sua madre”. Scroscia l’applauso e le mie mani si arrossano e di slancio penso:  “Non può essere padre anche per me?
Certo umanamente parlando mi può essere solo figlio! L’idea improvvisa comincia a farsi strada dentro di me! Vivo la messa con una particolare partecipazione e mi sento piena di speranza, so di ritrovare le mie radici, tra la folla, infatti, intravedo alcuni fratelli dei tempi delle pere, ma non mi muovo dal mio posto, attendo in silenzio.
Ora un raggio di sole perforando la lunga vetrata, mi porta via con sé, ma certo sono giovane ,il vento lieve della pineta di Gambarie mi  accarezza ed estatica contemplo la strana cattedrale che ha per volta il cielo e per colonne i pini secolari nel giorno della mia chiamata: 25 aprile del ‘68!
Arriva fino a me la calda, chiara  voce  di padre   Antonio:  “Siamo venuti qua da mille posti diversi perché Gesù vuole dialogare con ciascuno di noi, vuole colmare il vuoto dei nostri cuori che sono assetati d’amore perché il Signore vuole farsi conoscere da noi quale egli è: Dio-Amore, Dio-comunità”  .   Le parole di vita penetrano in ogni fibra del mio essere che  sfiora le vette della pura contemplazione.
 Ma la frescura dei pini è diminuita, l’aria è calda, il cielo libero è scomparso, resta solo un bagliore di bianco e le colonne della cattedrale stavolta sono di  marmo e mi ritrovo nella chiesa ma la voce che arriva a me è diversa, è quella di padre Egidio che dice: “Canto il mio grazie perchè tutto ciò che ho, tutto ciò che vivo, tutto ciò che sento, lo vedo unicamente come un dono, un dono fatto nell’amore  perchè  nella Trinità trovo la mia autentica  fonte. Mi sento avvolto dalla paternità del Padre, dalla fraternità del Figlio, dalla sponsalità dello Spirito.”                                                       
E anche io mi sento ricca di pace, certo i due messaggi sono diversi sia per il tempo, sia per il luogo, ma hanno in comune il linguaggio dell’ amore quello del vangelo. L’amore di Dio arriva a noi attraverso la comunità.   Essa è per me lo spazio unico dell’appartenenza a Xsto,  al di sopra di formule giuridiche,  è il luogo privilegiato dello Spirito, è l’unica testimonianza possibile per gli uomini di oggi!  Ed io mi sento già “innervata” nella comunità ricercata e oggi “ritrovata”. L’Amore -dono,  l’Amore-servizio, è ancora la molla interiore che mi dà vita, nonostante le delusioni è la mia stella cometa che mi guida per le vie del mondo e della chiesa.
Il talento che Dio mi ha dato è quello di sapere scoprire la sua presenza nel vissuto quotidiano, nell’incontro coi fratelli e proprio ora, mentre la folla si mette in fila, per salutare il novello  sacerdote, Paola dolcemente si gira mi riconosce e mi regala una perla di sorriso.
Ora una calda voce di cronista cosi prega:
Ora per finire portiamo sull’altare le tue mani Egidio. Esse sono ormai il seno materno   in cui viene generata l’ Eucaristia. Da oggi le tue mani sono le mani del Padre:
si aprono per accogliere e accarezzare,
si chiudono per custodire e proteggere
si alzano per benedire e perdonare,-
si posano sulle nostre mani
per incoraggiare e confortare.
le tue mani sono le mani del Figlio:
stringono le nostre mani,
stringono le nostre ansie e i nostri dolori,
stringono le nostre aspirazioni e le nostre gioie,
stringono il Dio fatto pane per noi;
le tue mani lo alzeranno e lo daranno a tutti.
le tue mani sono le mani dello Spirito:
sono le sorgenti della grazia divina,
sono il ristoro per i pellegrini,
la frescura per gli inariditi
il vigore   per gli impauriti,
la speranza per gli sfiduciati,
le tue mani sono le sorgenti che dissetano.
Offriamo le tue mani sull’altare,
perché nel Dio  Uno e Trino benedicano questo pane e questo vino
e lo distribuiscano a tutti
e Dio sia tutto in tutti.
apri le tue mani sull’altare
e innalza al cielo la tua e la nostra storia,
perché sei sacerdote per sempre
a gloria del Dio uno e trino:Padre,Figlio e Spirito Santo.
       Ora io per ultima mi avvicino per baciare le mani consacrate di padre   Egidio e così mi ritrovo di fronte a lui che mi riconosce e  premuroso mi dice: “Grazie, Rosarita, per la tua presenza”. Lo guardo interrogativo e  il suo sorriso mi illumina l’anima.
Mi meraviglio tanto, ricorda ancora il mio nome dal lontano  ‘79?
Mi trattengo sulle scale armeggiando dentro la borsa ma non mi serve niente,  è solo un ingenuo modo  per fermarmi un attimo per gettare un ultimo sguardo alle barche!
 Eccole  ci sono ancora, ma non vedo né Gesù, né Pietro ma nella lieve brezza marina capto una voce misteriosa, quella  che io ho già percepito a Gambarie  nel ‘68 e che ora ritorna più chiara dentro di me: “Amatevi l’ un l’altro come io vi ho amato  da questo vi riconosceranno come miei”.
In una splendida mattinata di ottobre riparto, stavolta da sola,verso la chiesa.
Guardo il mare ancora tremolante di azzurro, rivedo l’insenatura naturale, le barche ora sono  tre,  ma   non sento nessuna voce.
Salgo le scale, entro e rivedo i due colori di Santa Maria  della Scala: l’azzurro e il bianco ecco la messa sta per iniziare, il celebrante è padre Egidio  e lo vedo salire verso l’altare.
Nel nome del Padre, del  Figlio,e dello Spirito santo”dice e  il mio cuore ha un sussulto di santa “gioia”, sto riprendendo quota perché rivive dentro di me la “lama di luce   di “Gambarie” insieme alla pace gustata ad Assisi nella “Porziuncola”
Alla fine della messa mi avvicino e chiedo: “Posso parlarti padre Egidio?”
Sorridendo mi indica la stanza dei colloqui ed entra per primo.
Da quel momento inizia la sua direzione spirituale e già, dal primo momento, lo sento padre, fratello, amico e come tale lo avrò accanto nei momenti di stanchezza, di dubbio, di paura, che illuminandosi di fede,rendono gioiosa la mia  vita e quella di coloro che   mi   stanno accanto.
 Ora, con trepido stupore mi accorgo, che sto rifacendo dei passi per un mio ritorno alle origini, ai tempi delle pere.
 Un nuovo verbo appare  nella mia vita : “ricominciare” e lo coniugo con l’entusiasmo tipico che mi caratterizza e  un nuovo luogo appare: il convento di Savoca dove si respira un’aria salubre, quella francescana che mi è proprio congeniale e mi ricorda Assisi.
 Il paese sorge su una roccia( quella della fede? ) e nelle strette   viuzze si sparge intorno alla casa l’odore del pane appena sfornato e oggi, nel pane ritrovo un sapore nuovo , quello della fraternità, che si è ricostruita intorno alla lunga tavolata nella grande terrazza del convento mentre il cielo, sopra di noi, manda una pioggia di stelle,nella calura dell’ Agosto dell’ 86.
 E il mio cuore canta in pace la sua gioia.



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CONTINUA AL 9° Capitolo ...











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