Nella Bibbia
Dio rivela agli uomini il suo progetto salvifico, tenuto segreto per molti
secoli. Comunica, attua e rende credibile il suo gratuito piano di redenzione
universale. Gesù professa la fede del suo popolo, che riconosce gli interventi
storici naturali e sopranaturali
di Dio. Crede nell’origine divina dei libri biblici. Ritiene che la Sacra
Scrittura è la parola di Dio. Attenendosi alla tradizione ebraica, ne
approfondisce il significato. Interpreta la parola ispirata, la perfeziona e la
applica alla sua missione di elevare gli umani alla completa comunione con Dio.
Gli apostoli proseguono nella
stessa direzione interpretativa. Riferiscono a Gesù i testi dell’Antico
Testamento nei quali evidenziano il metodo che Dio adotta per manifestare la sua
vita intima e per condurre ogni uomo alla conoscenza della salvezza definitiva
ed eterna .
La Chiesa antica sviluppa la loro
interpretazione. Coglie nella Bibbia, anche nei passi più oscuri, un messaggio
teologico, morale, liturgico, spirituale e mistico. Vi riconosce che Dio guida
le genti e particolarmente il popolo d’Israele ad una cognizione sempre più
profonda del suo progetto salvifico. Collega i complessi racconti biblici alla
preparazione, all’attesa, alla venuta, all’insegnamento, alla sofferenza, alla
esaltazione e alla sovranità universale di Gesù Cristo.
Gli autori medievali
approfondiscono e ampliano l’interpretazione patristica della Sacra Scrittura.
Tuttavia non sempre brillano nelle loro riflessioni, perché si abbandonano a
commenti artificiosi ed estranei al significato originario del testo ispirato.
Per giungere ad una migliore intelligenza della Bibbia, gli esegeti odierni si
distanziano dai precedenti schemi interpretativi e rilevano l’intreccio delle
tradizioni letterarie, i livelli di ricezione delle singole comunità e il legame
tra l’annuncio e l’attuazione dell’unico disegno salvifico di Dio.
Qui presentiamo le principali
figure inanimate e animate, che la tradizione cristiana collega al mistero
pasquale di Gesù. Iniziamo la non facile esposizione, partendo dalle figure
inanimate, inerenti alle cose. Passiamo poi alle figure animate, relative alle
persone.
A) Le figure inanimate L’albero
dell’Eden (Gn 2,9.17; 3,1-19) Gli alberi, che ornano la superficie terrestre,
sono una risorsa vitale e salutare. Attratti dalla loro bellezza, gli antichi li
avevano divinizzati e venerati. I nostri contemporanei li proteggono, per
impedire la desertificazione del suolo e la crescita della fame nel mondo. La
Bibbia deplora il culto agli alberi, perché fomentava l’idolatria e la
corruzione. Il libro della Genesi attesta che nell’Eden Dio coltiva le piante,
che producano frutti saporiti e nutrienti. Pone i nostri progenitori nel suo
bello e piacevole giardino. Li autorizza di scegliere, di cogliere e di mangiare
a loro volontà ogni frutto. Proibisce solo di astenersi dai prodotti, che vedono
nella pianta della vita e della morte, della giovinezza e del declino, del bene
e del male, del lecito e dell’illecito (Gn 2,9.17). Adamo ed Eva ignorano
l’avvertimento di Dio. Si avvicinano alla pianta insidiosa e pericolosa.
Suggestionati dal serpente, simbolo della magia, della potenza malefica e più
avanti del demonio (Sap 2,24), prendono e mangiano il frutto vietato. Compiono
un atto di arroganza e di ribellione al loro Creatore. Immaginano di superare i
loro limiti, di ottenere l’autosufficienza, l’immortalità e la parità con Dio.
Conoscono invece una movenza che li introduce nella miseria, nella fragilità,
nella sofferenza e nella solitudine. Dio potrebbe abbandonarli alla decadenza,
ma preferisce infondere in loro la speranza di redimerli dalle conseguenze della
trasgressione (Gn 3,1-19). Il profeta Osea annuncia che il popolo d’Israele,
fedele a Dio, diverrà come un albero rigoglioso e fruttifero (Os 14,6-9). Il
profeta Ezechiele asserisce che il Messia sarà come un albero che, piantato sul
monte Sion, offrirà sicura protezione ai poveri e agli umili (Ez 17,22-23;
31,6). Nelle sinagoghe o anche all’ombra di un albero i rabbini spiegano il
valore religioso della Legge, dei Salmi e dei Profeti. Nelle sinagoghe e in
altri luoghi Gesù paragona i falsi maestri ad alberi spinosi, dannosi e
infruttiferi. Insegna ai suoi discepoli che si conosce una persona dai suoi
frutti, ossia dalle sue stesse opere (Lc 6,43-45). L'albero dell’Eden è una
figura della croce di Gesù, che con la sua obbedienza al Padre tramuta la
maledizione in benedizione, introduce gli uomini nella Chiesa, li prepara ad
entrare nel Paradiso e dona a loro la beatitudine eterna.
Sant’Ireneo, uno dei primi Padri
della Chiesa, osserva che Gesù «Come uomo partecipò alle nostre sofferenze e
come Dio condona benignamente i debiti che avevamo con Dio nostro creatore.
Distrusse la cambiale del nostro debito e la fissò alla croce, affinché, come
per causa d'un albero divenimmo debitori a Dio, per mezzo di un albero
ricevessimo il condono del nostro debito» . In un'omelia pasquale e con un
linguaggio poetico Ippolito di Roma asserisce: «La croce è l’albero della mia
salvezza eterna: di esso mi nutro, di esso mi diletto. Nelle sue radici cresco,
nei suoi rami mi distendo, la sua rugiada mi rallegra e lo Spirito come carezza
di brezza mi feconda» .
San Cirillo di Gerusalemme
ricorda che il peccato ha i suoi inizi dal legno dell’albero ed è sconfitto dal
legno della croce: «Il peccato parte da un legno e giunge fino a un legno» . San
Zenone di Verona in un discorso al popolo rileva che i frutti dell’albero
dell’Eden causano la morte, mentre Gesù crocifisso dona la vita a coloro che
credono in lui: «Poiché per colpa della donna, che sola aveva toccato l’albero
apportatore di morte, in entrambi i sessi era entrata la morte, al contrario,
per merito di un uomo appeso al legno della Croce tutto il genere umano riebbe
la vita» . In un’omelia Cromazio d'Aquileia esprime il medesimo pensiero di
Cirillo e Zenone: «Per colpa di Adamo la morte, la vita per merito di Cristo che
si degnò di essere crocifisso e di morire per noi per cancellare il peccato
dell’albero mediante il legno della croce» .
Nei secoli seguenti i Padri della
Chiesa confermano l’interpretazione tipologica dei loro predecessori.
Influenzati dal comune insegnamento della Chiesa, i poeti compongono antifone ed
inni liturgici, nei quali associano l'albero dell’Eden a quello della croce.
Trascriviamo tre antifone della liturgia latina, redatte per la festa
dell’Esaltazione della croce: «Nel cuore della santa città s’innalza l’albero
della vita; le sue foglie guariscono i popoli»; «L’albero della vita si è
manifestato nella croce del Signore»; «Da quest'albero di vita è venuta la gioia
nel mondo» .
Nel prefazio della stessa
ricorrenza è inserita questa confessione di fede: «Nell’albero della Croce tu
(Dio Padre) hai stabilito la salvezza dell’uomo, perché donde sorgeva la morte
di là risorgesse la vita, e chi dall’albero traeva vittoria, dall’albero venisse
sconfitto, per Cristo nostro Signore» . Nell’inno Vexilla regis prodeunt, fulget
crucis mysterium la Chiesa canta: «O albero fecondo e glorioso, ornato d’un
manto regale, talamo, trono ed altare al corpo di Cristo Signore» .
Nelle basiliche o nei fonti
battesimali gli artisti dell’epoca imperiale tratteggiano la croce a forma
d’albero. Nel Medioevo vi aggiungono l’immagine del melo, della vite e della
menorah, candelabro liturgico ebraico a sette braccia. Ornano l’albero della
croce, ponendovi rami, guarniti di abbondanti foglie, fiori e frutti. Vi mettono
anche volatili, versetti della Scrittura o volti di santi popolari. In Liguria
gli artigiani producono crocifissi per le processioni e li decorano con disegni
floreali.
Fonte : scritti e
appunti di Padre Felice Artuso (religioso Passionista)
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