Alessio Varisco
IL SAN
GIOVANNI BATTISTA DI MICHELUCCI
“LA
CHIESA DELL'AUTOSTRADA”
«...Questa chiesa è una
piccola città, uno spazio modulato nel quale gli uomini, incontrandosi,
dovrebbero... riconoscersi in un interesse comune ed
in una speranza comune che è quella di ritrovarsi».
[Giovanni
Michelucci]
Percorrendo
l’Autostrada del Sole, all’altezza di Firenze-Nord,
non si può non restare colpiti dalla struttura della copertura, “a vela”, della
chiesa di San Giovanni Battista, meglio conosciuta come
chiesa dell'Autostrada, opera
dell'architetto pistoiese Giovanni Michelacci.
E non si può resistere alla tentazione di fermarsi a
visitarla. Lo spazio architettonico moderno, modulato con rigore e
grande creatività si inserisce spontaneamente nel
verde della campagna fiorentina e nel paesaggio urbano di una grande arteria
viaria. A tratti sembra quasi accompagnare lo spettatore/viaggiatore.
E si avverte una primigenia sensazione di sostare e
di contemplare le armoniose forme di un tempio dedicato al Battista.
In realtà a ben
guardarla questa bella chiesa, memoria mirabile di
architettura sacra modernissima, sfrecciando anche in auto -traffico permettendo
perché è quasi sempre ingorgato per i rallentamenti della circolazione e per
l’anticipo di code rispetto il valico tosco-emiliano che man mano si inerpica-
pare urlare lei stessa come San
Giovanni (voce di colui che grida nel deserto). E non è un caso che si trova
allo svincolo di una zona simile ad un deserto di casupole e campi, ben poca
cosa rispetto ai monumenti fiorentini del centro, alla Piazza della Signoria, al
Duomo, alla maestosità della struttura degli Uffizi, di Palazzo
Pitti e dei Giardini, dei Ponti, di quelle vie che
costeggiano lentamente l’Arno che inesorabilmente viaggia verso il mare.
La Chiesa
dell’Autostrada, così subito rinominata, viene
realizzata tra il 1961 ed il 1968, sorge allo svincolo del casello autostradale
di Firenze-Nord a ridosso della banchina
dell'Autostrada, contigua agli uffici della Società Autostrade e ad una stazione
di servizio. Bellissimo e consigliabile al visitatore attento, qui non si può
essere frettolosi e chiassosi (occorre grande
pazienza, silenzio ed umiltà), il percorso intorno alla Chiesa, pensato per
poter leggere maggiormente la “vela” della copertura e cogliere appieno la
vocazione di questa struttura di “compagna” e “di sosta” per il pellegrino, per
il christifidelis, ma anche per chi vuole recuperare
le proprie energie spirituali, sostare in ascolto del Padre in una vorticosa ed
accelerata corsa. Ed è perciò a pieno titolo “chiesa
dell’autostrada”.
L’opera risente
di una profonda espressività ed è la concatenazione di spazi. Subito, anche
dall’esterno, ci si accorge che la solista è la copertura pensata come
tenda sotto cui
si riuniscono i popoli, mirabile esempio di una profonda citazione
veterotestamentaria dall’ebraico antico “shekinah”
che vuol dire “casa di Dio”. L'uso dei materiali non è casuale: la pietra per i
muri perimetrali è tipica della zona in risalto con il cemento bianco e la bella
ed ardita copertura in rame per la copertura. Non si
assiste ad un mero compiacimento stilistico, ad una mostra di virtuosismi
estetici. L’intero organismo-chiesa
è caratterizzato da una serie percorsi, di spazi
realizzati dalla contrapposizione di pieni e vuoti, nei quali il visitatore può
rintracciare una corrispondenza di ciò che più si addice al suo stato d'animo.
Essa è chiesa del “dialogo” e del “silenzio”, o di
entrambe le cose: di un silenzioso monologo con l’Assoluto. L’opera è dunque
degna di considerazione per questa sua spiccata attitudine alla facilitazione,
alla riappacificazione con il proprio sé e con Dio.
San Giovanni
Battista di Michelucci è dunque uno spazio in disparte ed al contempo, come
egli stesso si ripropose, uno spazio di incontro con
il prossimo.
Descrizione
dell’edificio
Michelucci nel settembre del 1960
riceve l'incarico per la messa in opera della chiesa di San Giovanni Battista.
L’architetto pistoiese succede al precedente
progetto dell'ingegnere Lamberto Stoppa,
completamente declinato, complici i giudizi negativi della Soprintendenza ai
monumenti ma soprattutto l’autorevole voce dell'Istituto Internazionale di Arte
Liturgica. Tale scelta fu condizionata da Raffaello Fagnoni,
principale responsabile del nuovo incarico a Michelucci.
Dal primitivo progetto Michelucci
riceve in eredità: l'impianto, la cui pianta longitudinale con il battistero
distaccato, gran parte delle fondazioni, all'epoca della successione del
progettista già realizzate –difatti la posa della prima pietra era stata
effettuata il 13 giugno del 1960-, come pure
l’abbondante corredo iconografico definito dall'Istituto di arte liturgica già
commissionato agli artisti. Per consentire la visione ai fedeli delle opere
ormai commissionate ed anche per dare un respiro ed un’impronta nuova al
complesso sacro, riscoprendo spazi architettonici tipici dell’architettura
cristiana delle origini, Michelucci immagina la creazione di un abbondante
nartece, possedente da un lato la funzione di
introito
alla
chiesa e dall'altro quello di
galleria idonea ad essere sede dei grandi bassorilievi raffiguranti
tutte le città italiane collegate dalla nuova autostrada.
Il progettista nel dicembre del
1960 elabora l’impianto definitivo che viene poi
realizzato. La chiesa di Michelucci risulta
sostanzialmente “nuova”, organizzata in una aula a croce latina a cui si
abbinano gli assi longitudinali del nartece, che funge da galleria, e del
cammino di entrata al battistero.
Nella primavera del 1961
Michelucci definisce il progetto di massima: in tale fase alcuni punti sono già
pienamente fissati, ad esempio il michelucciano
rapporto tra: la texture muraria -di pietra- e la
tettoia -in rame-, la congiunzione del battistero ed il nartece, la torre
campanaria ed il traliccio a sviluppo orizzontale, al contrario altri richiedono
di un approfondimento aggiuntivo.
Perciò gli studi più “lenti” riguardano i pilastri di sostegno e la struttura
della copertura, di cui Michelucci si rappresenta pilastri
molto più fini di quelli poi effettuati –poiché l'ipotesi iniziale
dell’architetto fu quella, addirittura, di realizzare la copertura a struttura
metallica-, riguardo al tetto invece molteplici sono le varianti presentate: per
la chiesa un insieme di cupole dal sapore orientale, per la galleria una
copertura a carena di nave, per il battistero il tetto
coclide.
Per giungere alla definizione
volumetrica del modello definitivo di copertura Michelucci ricorre all'ausilio
di plastici in creta e bronzo: si fa progressivamente strada la soluzione della
copertura - tenda a sezione iperbolica, con apice in corrispondenza dell'altare
maggiore, sul cui dorso si articola un percorso ascensionale verso la croce,
evidente richiamo al Golgota. Più difficile
risulta la scelta del materiale e delle tecniche
costruttive: in un primo momento l'architetto ipotizza, in collaborazione con
l'ingegnere Giacomo Spotti, una copertura con
struttura in ferro, presto abbandonata a vantaggio del cemento armato.
I lavori, affidati alla ditta
Lambertini, iniziano nel luglio del 1961 e la
necessità di palificazioni rende impossibile il riutilizzo delle preesistenti
fondazioni: sin dall'inizio si verificano ritardi nei
tempi, dovuti in parte alla complessità dell'opera, e contrasti tra Michelucci e
l'ingegnere Tagliaventi, sostituito per il calcolo
delle fondazioni dall'ingegnere Baulina.
E' soltanto con l'affidamento del
calcolo delle strutture in alzato all'architetto Enzo
Vannucci (gennaio 1962) che l'edificio trova finalmente il suo volto
definitivo: le murature di pietrame divengono portanti. I pilastri
si ingrossano notevolmente sino ad assumere le
fattezze di alberi, anche nell’evocazione formale-estetica,
mentre la copertura in conglomerato precompresso prende l'aspetto di una vela al
vento affrancata alle strutture portanti. Pertanto, escludendo tali “varianti”
-pilastri e copertura-, i disegni esecutivi sono parecchio adiacenti al progetto
di massima: uniche diversità interessanti sono la
collocazione del traliccio orizzontale per le campane e l'eliminazione
del percorso sulla copertura.
I muri dell'edificio
vengono eretti nei primi mesi del 1962. Durante
l'estate è compiuta la struttura al rustico del battistero ed i muri della
chiesa raggiungono l'altezza di una decina di metri. L'involucro murario è
infine terminato nella primavera del 1963. Le rifiniture e la disposizione
interna richiedono più tempo del previsto, fatto che cagiona una fatale
lievitazione dei prezzi. La chiesa di San Giovanni
Battista viene inaugurata nell'aprile del 1964 e si
pone fine ad una gestazione sofferta e tutt’altro
semplice, sicuramente una “pietra d’inciampo” per chi fa
critica architettonica o
architettura
costruita; non semplice è il periodo
“del dopo” chiesa di San Giovanni Battista. Ritengo che sia uno di quegli
“unicum” dai quali non si può prescinderne.
Michelucci rifiuta ogni messaggio
di monumentalità. Assai complessa
risulta la sintesi tra organismo architettonico, così
prominente, e l’apparato , che non può banalizzare, decorativo: grazie
all’invito a partecipare di una compagine di artisti ed intellettuali capitanati
da Bruno Zevi, la commissione liturgica diocesana
consente la rimozione di nove tele, già destinate all’erigenda chiesa
michelucciana, del pittore
Sciltian, che avrebbero irreparabilmente alterato la nuda plasticità dei
muri in pietra.
Sin dalle prime fasi la chiesa
dell’Autostrada si procura un’attenzione ed una popolarità insolite –o meglio
rare- per un'architettura contemporanea. La schiera dei diffidenti o dei
denigratori - per alcuni "architettura farneticante" per altri “non riuscita
sintesi della dicotomia pietra rustica” - basamento, rame - copertura, in quanto
trasgredisce l'attesa di un organismo assolutamente unitario, suggerita dagli
schizzi e dai modelli - appare sin dagli inizi assai ridotta
rispetto alla quantità degli estimatori. Tra coloro che la celebrano: Ponti e
Koenig (1964, 1968) la sollevano a “capolavoro
assoluto dell'architettura del Novecento”, anche se con dissimili
giustificazioni, glorificandone il valore plastico e l'alto contenuto religioso;
il primo tributa lodi alla sapiente sintesi
tra tecnologia ed artigianato che la riportano,
ad un tempo, antica e moderna,
mentre il secondo mette in risalto l'atipicità ed il vigore plastico di
matrice espressionista, precisandola
“la più importante opera architettonica italiana degli anni sessanta, sintesi
spaziale estrema di spazio architettonico e scultoreo”.
Meno iperbolici, ma ugualmente
positivi, risultano in generale i giudizi formulati
tra gli anni sessanta e settanta: mentre Zevi nel
1964 da un lato tributa all'edificio “una forza profanatrice di ogni
atteggiamento tradizionale - seppur sotto la dipendenza dall'effetto traumatico
di Ronchamp e da quella vena espressionista che
schiaccia e deforma lo spazio - ed una percorrenza e fruibilità totali”, e
dall'altra riespone in parte il dubbio di Portoghesi sulla “non perfetta
coerenza tra schizzi ed esecuzione”; Figini nel 1964
mette a disposizione una occhiata ad ampio raggio dello spazio, raccogliendone,
giustamente, quegli aspetti di "anarchia controllata" e complessità spaziale
nonché il “riferimento agli elementi naturali”, leit-motiv della poetica
michelucciana, cardine del corpus della sua
espressione estetica-funzionale, rifiutando l'etichetta di "informale" o
"esistenziale" per un'opera tanto intricata, ondeggiante fra la dismisura,
l’ampollosità delle soluzioni spaziali e formali proposte e “l'incontestabile
forza del messaggio sacro”. A partire dagli anni ottanta, interposto quel tempo
occorrente a ridimensionare e storicizzare i giudizi, la valutazione si
trattiene, più tranquillamente positiva: mentre
Cresti nel 1991 ne dà una “lettura urbana”, dandone
risalto al valore dimensionale e all'impatto formale; Dal
Co nel 1993 dà rilievo all'alto “senso etico del messaggio
dell'architetto, indifferente ai clamori del tempo e fedele alla propria
poetica”, e Belluzzi nel 1986 ne afferra tutta la
forza di "un'opera d'eccezione, formalmente emergente, capace d'innescare
un'identificazione collettiva".
Alcuni critici ne hanno inoltre
sottolineato il “valore d'icona”, di manifesto
architettonico dell'opera «simbolo (suo
malgrado?) della Italia motorizzata di massa degli anni '60.
Se l'opera ha un difetto è quello di oscillare fra
letture e significati eterogenei. La fluidità degli spazi interni, fatti per
avvertire la radice naturalistica e vibrante, è impreziosita dai bei materiali e
la realizzazione rivela, alla distanza, una superba
qualità tecnica che contribuisce alla durata del mito» (Polano,
1991, p.346).
La chiesa dell’Autostrada
è ubicata nella distesa ad ovest di Firenze, nel
territorio comunale di Campi Bisenzio, in un'area in
origine agricola ed oggi contraddistinta da molteplici dotazioni a carattere
produttivo e burocratico. L’edificio sacro si solleva - con un volume di forte
scontro plastico che si sottrae a qualunque confronto con le architetture
circostanti - in prossimità del nastro dell'autostrada del
Sole. Quest’ultimo fattore aumenta nel viaggiatore l'impressione che la chiesa
si presenti come una tenda a breve distanza da una
sorta di pista per ininterrotte e meccanizzate carovane.
Spicca come dato assoluto il
“colloquio” fra l'architettura michelucciana ed il
territorio circostante che si sono profondamente modificate, così come le
relazioni, dagli anni sessanta ad oggi: stabili risultano
le coordinate d'inquadramento – “piana con colline circostanti (dalle
descrizioni di Michelucci), nastro autostradale, casa colonica nelle vicinanze
con ampi appezzamenti a colture intensive” – numerose nuove infrastrutture
(dalla pista dell'areoporto con i suoi impianti,
sino al limitrofo edificio amministrativo delle Autostrade ed alla vicina zona
commerciale dell'Osmannoro) si sono immesse sino a
“ridurre” a mano a mano quel carattere rurale che tanto peso ha avuto nella
progettazione della chiesa, rimpiazzandovi
un'immagine di città come agglomerato urbano di episodi anonimi, incapaci di
dialogare l'uno con l'altro.
Il
volume della chiesa parrebbe, in tale trasformata condizione, aver perduto parte
dell'originaria forza, inghiottito in un tessuto che piuttosto che farla
emergere ne diminuisce, quasi abbassa ed alleggerisce, le valenze
segniche e simboliche.
Il complesso è inserito in un
lotto verde a pendenza variabile costellato da ulivi –di spiccata valenza
religiosa-, elemento questo sfruttato dallo stesso progettista per rendere
possibile un percorso esterno atto a intendere e
scoprire l'articolazione volumetrica della chiesa ed i suoi episodi plastici e
scultorei.
La chiesa di San Giovanni
Battista mostra un impianto planimetrico e volumetrico
estremamente articolato, che ripresenta -con forte impatto plastico- il
tema anagogico della nave
-l'arca dell’Alleanza con Noè-,
della montagna -il Calvario e le
Beatitudini, l’Oreb e il Sinai-
e dell'albero
-l'orto del Getsemani e
l'albero della vita-; il tutto riscritto in un vocabolario che ha l'apparenza di
scansare qualunque formalismo, compiacimento estetico, velleità monumentale,
alla ricerca di un messaggio dal chiaro senso etico: come lo stesso progettista
ricorda «la perfezione stilistica, l'invenzione o la purezza strutturale non
hanno avuto per me mai alcun interesse. Anzi quello che più mi ha convinto e
convince in un'opera sono le "rotture", i segni
dell'arrestarsi improvviso di un pensiero per il profilarsi alla mente di nuove
possibilità, di nuove strade da percorrere» (Michelucci, 1961, p.48).
Tre diversi corpi giustapposti
caratterizzano l'impianto, suddivisi longitudinalmente secondo l'asse est-ovest:
muovendosi da meridione, la galleria battesimale conclusa ad ovest dal corpo del
battistero ad andamento
curvilineo, il nartece o galleria
delle città d'Italia, a pianta rettangolare, ed infine il
corpo della chiesa vera e propria,
con aula a pianta a croce latina articolata: frapposti tra i tre diversi
ambienti, due piccoli
giardini con ulivi, anch'essi a
sviluppo longitudinale, aventi la doppia funzione di dare luce agli spazi
adiacenti e di conferire un ritmo più pacato al
percorso della galleria. Tale articolazione planimetrica è riscontrabile anche
in alzato, grazie all'uso, “dinamico e drammatico al contempo, della copertura,
fortemente –come dice Zevi- verticalizzata in
corrispondenza dell'aula” (tanto da formare una cuspide, con ampia cesura e
contrafforte di controventatura,
al di sopra dell'altare maggiore), abbastanza più contenuta, in altezza e
pendenza, e assai meno articolata nel disegno, al di sopra del nartece e della
galleria delle città (semplice copertura ad una falda inclinata).
L'articolazione volumetrica è
connotata all'esterno da un primo livello, basamento dal contorno sinuoso in
bozze di pietra rosa di San Giuliano scalpellate a mano, nel quale si aprono
piccole finestre e feritoie, evidente richiamo alla luce delle chiese romaniche,
e gli accessi alla chiesa: il principale, sul fronte est, è costituito da un
sagrato con cippo commemorativo il cui introito,
protetto da una muratura con feritoie, è caratterizzato da un'ampia tettoia in
cemento armato, sorta di imbuto dal quale, attraverso il bel portale in bronzo
ed ottone (opera di Pericle Fazzini gettata in
fusione da Lorenzo Michelucci, raffigurante il passaggio del Mar rosso ed il
viaggio dei Magi) si accede alla galleria, mentre sul fronte est si apre
l'ingresso alla galleria battesimale (porta in bronzo opera di Giovanni
Pirrone, raffigurante episodi dell'antico
Testamento) e su quello nord quelli alla Via Crucis (porta in bronzo di
A.Biggi raffigurante San Cristoforo e San Rocco) ed
alla sagrestia (porta in bronzo di L.Venturini
raffigurante Santa Francesca Romana e San Francesco di Paola).
Un secondo livello, in parte in
bozze di pietra in parte in cemento faccia vista, conduce sino alla superficie
corrugata della copertura, rivestita in lastre di
rame: in tale tessuto murario si ritagliano le piccole feritoie che illuminano i
due altari minori e, sul fronte nord, la grande superficie vetrata decorata
(opera di Marcello Avenali in vetro e ferro,
raffigurante San Giovanni Battista) corrispondente all'altare maggiore: da tale
continuità emergono inoltre i segni orizzontali dei tralicci del campanile e
verticali dei contrafforti in cemento armato, che a stento sembrano ancorare a
terra la grande massa della vela di copertura. Un percorso su diverse quote
rende possibile la fruizione continua dell'involucro
murario nei suoi molteplici episodi plastici.
L'interno presenta, come
l'esterno, la dicotomia basamento-pietra, muratura e solaio-cemento in tutti gli
ambienti: nella galleria la scansione longitudinale è contrassegnata da una
teoria di 5 pannelli in cemento su cui sono posti, su ambedue i fronti, 10
bassorilievi in bronzo (opera di Emilio Greco e
Venanzo Crocetti quelli sul verso, raffiguranti i
Santi patroni delle città collegate dall'autostrada) ai quali corrispondono sul
solaio altrettanti travi ricalate in cemento dal
profilo osteomorfo: sul fondo un percorso
sopraelevato, arricchito da un bassorilievo a tessere vitree (opera di
B.Saetti raffigurante gli Angeli), collega la chiesa
con il battistero e segnala l'ingresso all'aula, a cui si accede attraverso un
andito rialzato rispetto alla quota della galleria, caratterizzato da
un'acquasantiera in pietra e da una cancellata in bronzo (opera di
G.D'Aloisio con stemmi di Giovanni XXIII e
dell'Arcivescovo di Firenze). L'aula ha una pianta a croce latina qualificata,
sui lati est e nord, da un deambulatorio avente funzione di galleria della via
crucis, il quale si incastra, in corrispondenza del
presbiterio, nell'altare maggiore e nella sagrestia, sollevata rispetto alla
quota del pavimento: la collocazione dell'altare maggiore secondo l'asse
nord-sud, così come quella dell'ingresso dolcemente disassato rispetto
all'altare, è il risultato del cosciente rovesciamento svolto dall'architetto
rispetto ai tradizionali spazi liturgici a sviluppo longitudinale, desiderando
con ciò ribadire la centralità dell'elemento generatore dello spazio come del
culto (interessante notare come l’architetto Michelucci anticipi i testi
magisteriali del Concilio Ecumenico Vaticano II
circa l’architettura sacra e le disposizioni degli spazi liturgici),
sottolineata dal disegno coclide del pavimento: agli
estremi dell'asse longitudinale sono collocati altri due altari, sorta di
cappelle su cui la luce cade con notevole compostezza, dedicati quello ad est
alla vergine (mosaico a tessere vitree opera di Luigi
Montanarini) e quello ad ovest al crocifisso (scultura in bronzo di Jorio
Vivarelli, fusa a Pistoia nelle fonderie Michelucci).
Lo spazio interno è animato da
una fitta schiera di pilastri albero in cemento, caratterizzati da una base
massiccia che va rastremandosi ed articolandosi verso la
grande tenda in cemento: su tale spazio, con funzione di crasi con quello
della galleria, si proietta il matroneo, con solaio a sbalzo e parapetto il
cemento, nel quale è situato un secondo spazio liturgico destinato ai matrimoni
("altare degli sposi" con sovrastante scultura in pietra arenaria di Angelo
Biancini raffigurante le nozze di
Cana). Dalla cappella del
crocifisso una scala a chiocciola in cemento conduce al livello superiore
della cantoria, mentre un percorso più articolato, e quasi nascosto agli occhi
del visitatore, conduce, passando per la galleria, al battistero: questo spazio
è caratterizzato da un percorso a spirale che partendo dal centro ipogeo segnato
dal fonte battesimale (monolite in granito con coperchio in bronzo di
E.Manfrini raffigurante l'Arca di
Noè, la Crocifissione e la Resurrezione) conduce,
accompagnato dalla muratura in pietra in cui è collocata in una piccola nicchia
una statua in bronzo di San Giovanni Battista, ad un ballatoio superiore: tale
percorso si conclude, dopo essersi affacciato sul giardinetto, con l'uscita sul
fronte est.
Tutti gli ambienti sono
caratterizzati dall'estrema raffinatezza delle finiture e dalla qualità della
lavorazione del materiale lapideo: per quanto riguarda i pavimenti, nella
galleria sono in pietra lucidata di colore grigio, a moduli rettangolari;
nell'aula sono di colore viola, del tipo "rosa del campo", con disegno ad
andamento concentrico e giunti in piombo; nel
battistero sono in pietra di Lido, di colore grigio dorato, con disegno a moduli
concentrici.
L'originario valore cromatico del
rapporto tra il beige rosato della muratura in pietra ed il marrone omogeneo del
rame è oggi assi mutato, sebbene questa trasformazione abbia
un carattere di organicità e naturalità probabilmente già intuito da Michelucci:
il marrone della copertura si è trasformato, a seguito dell'ossidazione del
rame, in un verde-grigio, diffondesi successivamente tramite progressive
colature sulla sottostante muratura, che dà oggi l'impressione di essere
parzialmente rivestita di muschio.
Fonte : scritti dell'artista prof. Alessio Varisco , Técne Art Studio .
Prof. ALESSIO VARISCO
Designer - Magister Artium
Art Director Técne Art Studio
http://www.alessiovarisco.it
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