giovedì 25 luglio 2019

IL SAN GIOVANNI BATTISTA DI MICHELUCCI “LA CHIESA DELL'AUTOSTRADA”, di Alessio Varisco



Alessio Varisco
IL SAN GIOVANNI BATTISTA DI MICHELUCCI
“LA CHIESA DELL'AUTOSTRADA”

 
 
«...Questa chiesa è una piccola città, uno spazio modulato nel quale gli uomini, incontrandosi, dovrebbero... riconoscersi in un interesse comune ed in una speranza comune che è quella di ritrovarsi».
[Giovanni Michelucci]
 
Percorrendo l’Autostrada del Sole, all’altezza di Firenze-Nord, non si può non restare colpiti dalla struttura della copertura, “a vela”, della chiesa di San Giovanni Battista, meglio conosciuta come chiesa dell'Autostrada, opera dell'architetto pistoiese Giovanni Michelacci. E non si può resistere alla tentazione di fermarsi a visitarla. Lo spazio architettonico moderno, modulato con rigore e grande creatività si inserisce spontaneamente nel verde della campagna fiorentina e nel paesaggio urbano di una grande arteria viaria. A tratti sembra quasi accompagnare lo spettatore/viaggiatore. E si avverte una primigenia sensazione di sostare e di contemplare le armoniose forme di un tempio dedicato al Battista.
In realtà a ben guardarla questa bella chiesa, memoria mirabile di architettura sacra modernissima, sfrecciando anche in auto -traffico permettendo perché è quasi sempre ingorgato per i rallentamenti della circolazione e per l’anticipo di code rispetto il valico tosco-emiliano che man mano si inerpica- pare urlare lei stessa come San Giovanni (voce di colui che grida nel deserto). E non è un caso che si trova allo svincolo di una zona simile ad un deserto di casupole e campi, ben poca cosa rispetto ai monumenti fiorentini del centro, alla Piazza della Signoria, al Duomo, alla maestosità della struttura degli Uffizi, di Palazzo Pitti e dei Giardini, dei Ponti, di quelle vie che costeggiano lentamente l’Arno che inesorabilmente viaggia verso il mare.
La Chiesa dell’Autostrada, così subito rinominata, viene realizzata tra il 1961 ed il 1968, sorge allo svincolo del casello autostradale di Firenze-Nord a ridosso della banchina dell'Autostrada, contigua agli uffici della Società Autostrade e ad una stazione di servizio. Bellissimo e consigliabile al visitatore attento, qui non si può essere frettolosi e chiassosi (occorre grande pazienza, silenzio ed umiltà), il percorso intorno alla Chiesa, pensato per poter leggere maggiormente la “vela” della copertura e cogliere appieno la vocazione di questa struttura di “compagna” e “di sosta” per il pellegrino, per il christifidelis, ma anche per chi vuole recuperare le proprie energie spirituali, sostare in ascolto del Padre in una vorticosa ed accelerata corsa. Ed è perciò a pieno titolo “chiesa dell’autostrada”.
L’opera risente di una profonda espressività ed è la concatenazione di spazi. Subito, anche dall’esterno, ci si accorge che la solista è la copertura pensata come tenda sotto cui si riuniscono i popoli, mirabile esempio di una profonda citazione veterotestamentaria dall’ebraico antico “shekinah” che vuol dire “casa di Dio”. L'uso dei materiali non è casuale: la pietra per i muri perimetrali è tipica della zona in risalto con il cemento bianco e la bella ed ardita copertura in rame per la copertura. Non si assiste ad un mero compiacimento stilistico, ad una mostra di virtuosismi estetici. L’intero organismo-chiesa è caratterizzato da una serie percorsi, di spazi realizzati dalla contrapposizione di pieni e vuoti, nei quali il visitatore può rintracciare una corrispondenza di ciò che più si addice al suo stato d'animo. Essa è chiesa del “dialogo” e del “silenzio”, o di entrambe le cose: di un silenzioso monologo con l’Assoluto. L’opera è dunque degna di considerazione per questa sua spiccata attitudine alla facilitazione, alla riappacificazione con il proprio sé e con Dio.
San Giovanni Battista di Michelucci è dunque uno spazio in disparte ed al contempo, come egli stesso si ripropose, uno spazio di incontro con il prossimo.


Descrizione dell’edificio




Michelucci nel settembre del 1960 riceve l'incarico per la messa in opera della chiesa di San Giovanni Battista. L’architetto pistoiese succede al precedente progetto dell'ingegnere Lamberto Stoppa, completamente declinato, complici i giudizi negativi della Soprintendenza ai monumenti ma soprattutto l’autorevole voce dell'Istituto Internazionale di Arte Liturgica. Tale scelta fu condizionata da Raffaello Fagnoni, principale responsabile del nuovo incarico a Michelucci.
Dal primitivo progetto Michelucci riceve in eredità: l'impianto, la cui pianta longitudinale con il battistero distaccato, gran parte delle fondazioni, all'epoca della successione del progettista già realizzate –difatti la posa della prima pietra era stata effettuata il 13 giugno del 1960-, come pure l’abbondante corredo iconografico definito dall'Istituto di arte liturgica già commissionato agli artisti. Per consentire la visione ai fedeli delle opere ormai commissionate ed anche per dare un respiro ed un’impronta nuova al complesso sacro, riscoprendo spazi architettonici tipici dell’architettura cristiana delle origini, Michelucci immagina la creazione di un abbondante nartece, possedente da un lato la funzione di introito alla chiesa e dall'altro quello di galleria idonea ad essere sede dei grandi bassorilievi raffiguranti tutte le città italiane collegate dalla nuova autostrada.
Il progettista nel dicembre del 1960 elabora l’impianto definitivo che viene poi realizzato. La chiesa di Michelucci risulta sostanzialmente “nuova”, organizzata in una aula a croce latina a cui si abbinano gli assi longitudinali del nartece, che funge da galleria, e del cammino di entrata al battistero.
Nella primavera del 1961 Michelucci definisce il progetto di massima: in tale fase alcuni punti sono già pienamente fissati, ad esempio il michelucciano rapporto tra: la texture muraria -di pietra- e la tettoia -in rame-, la congiunzione del battistero ed il nartece, la torre campanaria ed il traliccio a sviluppo orizzontale, al contrario altri richiedono di un approfondimento aggiuntivo. Perciò gli studi più “lenti” riguardano i pilastri di sostegno e la struttura della copertura, di cui Michelucci si rappresenta pilastri molto più fini di quelli poi effettuati –poiché l'ipotesi iniziale dell’architetto fu quella, addirittura, di realizzare la copertura a struttura metallica-, riguardo al tetto invece molteplici sono le varianti presentate: per la chiesa un insieme di cupole dal sapore orientale, per la galleria una copertura a carena di nave, per il battistero il tetto coclide.
Per giungere alla definizione volumetrica del modello definitivo di copertura Michelucci ricorre all'ausilio di plastici in creta e bronzo: si fa progressivamente strada la soluzione della copertura - tenda a sezione iperbolica, con apice in corrispondenza dell'altare maggiore, sul cui dorso si articola un percorso ascensionale verso la croce, evidente richiamo al Golgota. Più difficile risulta la scelta del materiale e delle tecniche costruttive: in un primo momento l'architetto ipotizza, in collaborazione con l'ingegnere Giacomo Spotti, una copertura con struttura in ferro, presto abbandonata a vantaggio del cemento armato.
I lavori, affidati alla ditta Lambertini, iniziano nel luglio del 1961 e la necessità di palificazioni rende impossibile il riutilizzo delle preesistenti fondazioni: sin dall'inizio si verificano ritardi nei tempi, dovuti in parte alla complessità dell'opera, e contrasti tra Michelucci e l'ingegnere Tagliaventi, sostituito per il calcolo delle fondazioni dall'ingegnere Baulina.
E' soltanto con l'affidamento del calcolo delle strutture in alzato all'architetto Enzo Vannucci (gennaio 1962) che l'edificio trova finalmente il suo volto definitivo: le murature di pietrame divengono portanti. I pilastri si ingrossano notevolmente sino ad assumere le fattezze di alberi, anche nell’evocazione formale-estetica, mentre la copertura in conglomerato precompresso prende l'aspetto di una vela al vento affrancata alle strutture portanti. Pertanto, escludendo tali “varianti” -pilastri e copertura-, i disegni esecutivi sono parecchio adiacenti al progetto di massima: uniche diversità interessanti sono la collocazione del traliccio orizzontale per le campane e l'eliminazione del percorso sulla copertura. 
I muri dell'edificio vengono eretti nei primi mesi del 1962. Durante l'estate è compiuta la struttura al rustico del battistero ed i muri della chiesa raggiungono l'altezza di una decina di metri. L'involucro murario è infine terminato nella primavera del 1963. Le rifiniture e la disposizione interna richiedono più tempo del previsto, fatto che cagiona una fatale lievitazione dei prezzi. La chiesa di San Giovanni Battista viene inaugurata nell'aprile del 1964 e si pone fine ad una gestazione sofferta e tutt’altro semplice, sicuramente una “pietra d’inciampo” per chi fa critica architettonica o architettura costruita; non semplice è il periodo “del dopo” chiesa di San Giovanni Battista. Ritengo che sia uno di quegli “unicum” dai quali non si può prescinderne.
Michelucci rifiuta ogni messaggio di monumentalità. Assai complessa risulta la sintesi tra organismo architettonico, così prominente, e l’apparato , che non può banalizzare, decorativo: grazie all’invito a partecipare di una compagine di artisti ed intellettuali capitanati da Bruno Zevi, la commissione liturgica diocesana consente la rimozione di nove tele, già destinate all’erigenda chiesa michelucciana, del pittore Sciltian, che avrebbero irreparabilmente alterato la nuda plasticità dei muri in pietra.
Sin dalle prime fasi la chiesa dell’Autostrada si procura un’attenzione ed una popolarità insolite –o meglio rare- per un'architettura contemporanea. La schiera dei diffidenti o dei denigratori - per alcuni "architettura farneticante" per altri “non riuscita sintesi della dicotomia pietra rustica” - basamento, rame - copertura, in quanto trasgredisce l'attesa di un organismo assolutamente unitario, suggerita dagli schizzi e dai modelli - appare sin dagli inizi assai ridotta rispetto alla quantità degli estimatori. Tra coloro che la celebrano: Ponti e Koenig (1964, 1968) la sollevano a “capolavoro assoluto dell'architettura del Novecento”, anche se con dissimili giustificazioni, glorificandone il valore plastico e l'alto contenuto religioso; il primo tributa lodi alla sapiente sintesi tra tecnologia ed artigianato che la riportano, ad un tempo, antica e moderna, mentre il secondo mette in risalto l'atipicità ed il vigore plastico di matrice espressionista, precisandola “la più importante opera architettonica italiana degli anni sessanta, sintesi spaziale estrema di spazio architettonico e scultoreo”.
Meno iperbolici, ma ugualmente positivi, risultano in generale i giudizi formulati tra gli anni sessanta e settanta: mentre Zevi  nel 1964 da un lato tributa all'edificio “una forza profanatrice di ogni atteggiamento tradizionale - seppur sotto la dipendenza dall'effetto traumatico di Ronchamp e da quella vena espressionista che schiaccia e deforma lo spazio - ed una percorrenza e fruibilità totali”, e dall'altra riespone in parte il dubbio di Portoghesi sulla “non perfetta coerenza tra schizzi ed esecuzione”; Figini nel 1964 mette a disposizione una occhiata ad ampio raggio dello spazio, raccogliendone, giustamente, quegli aspetti di "anarchia controllata" e complessità spaziale nonché il “riferimento agli elementi naturali”, leit-motiv della poetica michelucciana, cardine del corpus della sua espressione estetica-funzionale, rifiutando l'etichetta di "informale" o "esistenziale" per un'opera tanto intricata, ondeggiante fra la dismisura, l’ampollosità delle soluzioni spaziali e formali proposte e “l'incontestabile forza del messaggio sacro”. A partire dagli anni ottanta, interposto quel tempo occorrente a ridimensionare e storicizzare i giudizi, la valutazione si trattiene, più tranquillamente positiva: mentre Cresti nel 1991 ne dà una “lettura urbana”, dandone risalto al valore dimensionale e all'impatto formale; Dal Co nel 1993 dà rilievo all'alto “senso etico del messaggio dell'architetto, indifferente ai clamori del tempo e fedele alla propria poetica”, e Belluzzi nel 1986 ne afferra tutta la forza di "un'opera d'eccezione, formalmente emergente, capace d'innescare un'identificazione collettiva".
Alcuni critici ne hanno inoltre sottolineato il “valore d'icona”, di manifesto architettonico dell'opera «simbolo (suo malgrado?) della Italia motorizzata di massa degli anni '60. Se l'opera ha un difetto è quello di oscillare fra letture e significati eterogenei. La fluidità degli spazi interni, fatti per avvertire la radice naturalistica e vibrante, è impreziosita dai bei materiali e la realizzazione rivela, alla distanza, una superba qualità tecnica che contribuisce alla durata del mito» (Polano, 1991, p.346).
La chiesa dell’Autostrada è ubicata nella distesa ad ovest di Firenze, nel territorio comunale di Campi Bisenzio, in un'area in origine agricola ed oggi contraddistinta da molteplici dotazioni a carattere produttivo e burocratico. L’edificio sacro si solleva - con un volume di forte scontro plastico che si sottrae a qualunque confronto con le architetture circostanti - in prossimità del nastro dell'autostrada del Sole. Quest’ultimo fattore aumenta nel viaggiatore l'impressione che la chiesa si presenti come una tenda a breve distanza da una sorta di pista per ininterrotte e meccanizzate carovane.
Spicca come dato assoluto il “colloquio” fra l'architettura michelucciana ed il territorio circostante che si sono profondamente modificate, così come le relazioni, dagli anni sessanta ad oggi: stabili risultano le coordinate d'inquadramento – “piana con colline circostanti (dalle descrizioni di Michelucci), nastro autostradale, casa colonica nelle vicinanze con ampi appezzamenti a colture intensive” – numerose nuove infrastrutture (dalla pista dell'areoporto con i suoi impianti, sino al limitrofo edificio amministrativo delle Autostrade ed alla vicina zona commerciale dell'Osmannoro) si sono immesse sino a “ridurre” a mano a mano quel carattere rurale che tanto peso ha avuto nella progettazione della chiesa, rimpiazzandovi un'immagine di città come agglomerato urbano di episodi anonimi, incapaci di dialogare l'uno con l'altro.
Il volume della chiesa parrebbe, in tale trasformata condizione, aver perduto parte dell'originaria forza, inghiottito in un tessuto che piuttosto che farla emergere ne diminuisce, quasi abbassa ed alleggerisce, le valenze segniche e simboliche.
Il complesso è inserito in un lotto verde a pendenza variabile costellato da ulivi –di spiccata valenza religiosa-, elemento questo sfruttato dallo stesso progettista per rendere possibile un percorso esterno atto a intendere e scoprire l'articolazione volumetrica della chiesa ed i suoi episodi plastici e scultorei.
La chiesa di San Giovanni Battista mostra un impianto planimetrico e volumetrico estremamente articolato, che ripresenta -con forte impatto plastico- il tema anagogico della nave -l'arca dell’Alleanza con Noè-, della montagna -il Calvario e le Beatitudini, l’Oreb e il Sinai- e dell'albero -l'orto del Getsemani e l'albero della vita-; il tutto riscritto in un vocabolario che ha l'apparenza di scansare qualunque formalismo, compiacimento estetico, velleità monumentale, alla ricerca di un messaggio dal chiaro senso etico: come lo stesso progettista ricorda «la perfezione stilistica, l'invenzione o la purezza strutturale non hanno avuto per me mai alcun interesse. Anzi quello che più mi ha convinto e convince in un'opera sono le "rotture", i segni dell'arrestarsi improvviso di un pensiero per il profilarsi alla mente di nuove possibilità, di nuove strade da percorrere» (Michelucci, 1961, p.48).
Tre diversi corpi giustapposti caratterizzano l'impianto, suddivisi longitudinalmente secondo l'asse est-ovest: muovendosi da meridione, la galleria battesimale conclusa ad ovest dal corpo del battistero ad andamento curvilineo, il nartece o galleria delle città d'Italia, a pianta rettangolare, ed infine il corpo della chiesa vera e propria, con aula a pianta a croce latina articolata: frapposti tra i tre diversi ambienti, due piccoli giardini con ulivi, anch'essi a sviluppo longitudinale, aventi la doppia funzione di dare luce agli spazi adiacenti e di conferire un ritmo più pacato al percorso della galleria. Tale articolazione planimetrica è riscontrabile anche in alzato, grazie all'uso, “dinamico e drammatico al contempo, della copertura, fortemente –come dice Zevi- verticalizzata in corrispondenza dell'aula” (tanto da formare una cuspide, con ampia cesura e contrafforte di controventatura, al di sopra dell'altare maggiore), abbastanza più contenuta, in altezza e pendenza, e assai meno articolata nel disegno, al di sopra del nartece e della galleria delle città (semplice copertura ad una falda inclinata).
L'articolazione volumetrica è connotata all'esterno da un primo livello, basamento dal contorno sinuoso in bozze di pietra rosa di San Giuliano scalpellate a mano, nel quale si aprono piccole finestre e feritoie, evidente richiamo alla luce delle chiese romaniche, e gli accessi alla chiesa: il principale, sul fronte est, è costituito da un sagrato con cippo commemorativo il cui introito, protetto da una muratura con feritoie, è caratterizzato da un'ampia tettoia in cemento armato, sorta di imbuto dal quale, attraverso il bel portale in bronzo ed ottone (opera di Pericle Fazzini gettata in fusione da Lorenzo Michelucci, raffigurante il passaggio del Mar rosso ed il viaggio dei Magi) si accede alla galleria, mentre sul fronte est si apre l'ingresso alla galleria battesimale (porta in bronzo opera di Giovanni Pirrone, raffigurante episodi dell'antico Testamento) e su quello nord quelli alla Via Crucis (porta in bronzo di A.Biggi raffigurante San Cristoforo e San Rocco) ed alla sagrestia (porta in bronzo di L.Venturini raffigurante Santa Francesca Romana e San Francesco di Paola).
Un secondo livello, in parte in bozze di pietra in parte in cemento faccia vista, conduce sino alla superficie corrugata della copertura, rivestita in lastre di rame: in tale tessuto murario si ritagliano le piccole feritoie che illuminano i due altari minori e, sul fronte nord, la grande superficie vetrata decorata (opera di Marcello Avenali in vetro e ferro, raffigurante San Giovanni Battista) corrispondente all'altare maggiore: da tale continuità emergono inoltre i segni orizzontali dei tralicci del campanile e verticali dei contrafforti in cemento armato, che a stento sembrano ancorare a terra la grande massa della vela di copertura. Un percorso su diverse quote rende possibile la fruizione continua dell'involucro murario nei suoi molteplici episodi plastici.
L'interno presenta, come l'esterno, la dicotomia basamento-pietra, muratura e solaio-cemento in tutti gli ambienti: nella galleria la scansione longitudinale è contrassegnata da una teoria di 5 pannelli in cemento su cui sono posti, su ambedue i fronti, 10 bassorilievi in bronzo (opera di Emilio Greco e Venanzo Crocetti quelli sul verso, raffiguranti i Santi patroni delle città collegate dall'autostrada) ai quali corrispondono sul solaio altrettanti travi ricalate in cemento dal profilo osteomorfo: sul fondo un percorso sopraelevato, arricchito da un bassorilievo a tessere vitree (opera di B.Saetti raffigurante gli Angeli), collega la chiesa con il battistero e segnala l'ingresso all'aula, a cui si accede attraverso un andito rialzato rispetto alla quota della galleria, caratterizzato da un'acquasantiera in pietra e da una cancellata in bronzo (opera di G.D'Aloisio con stemmi di Giovanni XXIII e dell'Arcivescovo di Firenze). L'aula ha una pianta a croce latina qualificata, sui lati est e nord, da un deambulatorio avente funzione di galleria della via crucis, il quale si incastra, in corrispondenza del presbiterio, nell'altare maggiore e nella sagrestia, sollevata rispetto alla quota del pavimento: la collocazione dell'altare maggiore secondo l'asse nord-sud, così come quella dell'ingresso dolcemente disassato rispetto all'altare, è il risultato del cosciente rovesciamento svolto dall'architetto rispetto ai tradizionali spazi liturgici a sviluppo longitudinale, desiderando con ciò ribadire la centralità dell'elemento generatore dello spazio come del culto (interessante notare come l’architetto Michelucci anticipi i testi magisteriali del Concilio Ecumenico Vaticano II circa l’architettura sacra e le disposizioni degli spazi liturgici), sottolineata dal disegno coclide del pavimento: agli estremi dell'asse longitudinale sono collocati altri due altari, sorta di cappelle su cui la luce cade con notevole compostezza, dedicati quello ad est alla vergine (mosaico a tessere vitree opera di Luigi Montanarini) e quello ad ovest al crocifisso (scultura in bronzo di Jorio Vivarelli, fusa a Pistoia nelle fonderie Michelucci).
 
Lo spazio interno è animato da una fitta schiera di pilastri albero in cemento, caratterizzati da una base massiccia che va rastremandosi ed articolandosi verso la grande tenda in cemento: su tale spazio, con funzione di crasi con quello della galleria, si proietta il matroneo, con solaio a sbalzo e parapetto il cemento, nel quale è situato un secondo spazio liturgico destinato ai matrimoni ("altare degli sposi" con sovrastante scultura in pietra arenaria di Angelo Biancini raffigurante le nozze di Cana). Dalla cappella del crocifisso una scala a chiocciola in cemento conduce al livello superiore della cantoria, mentre un percorso più articolato, e quasi nascosto agli occhi del visitatore, conduce, passando per la galleria, al battistero: questo spazio è caratterizzato da un percorso a spirale che partendo dal centro ipogeo segnato dal fonte battesimale (monolite in granito con coperchio in bronzo di E.Manfrini raffigurante l'Arca di Noè, la Crocifissione e la Resurrezione) conduce, accompagnato dalla muratura in pietra in cui è collocata in una piccola nicchia una statua in bronzo di San Giovanni Battista, ad un ballatoio superiore: tale percorso si conclude, dopo essersi affacciato sul giardinetto, con l'uscita sul fronte est.
Tutti gli ambienti sono caratterizzati dall'estrema raffinatezza delle finiture e dalla qualità della lavorazione del materiale lapideo: per quanto riguarda i pavimenti, nella galleria sono in pietra lucidata di colore grigio, a moduli rettangolari; nell'aula sono di colore viola, del tipo "rosa del campo", con disegno ad andamento concentrico e giunti in piombo; nel battistero sono in pietra di Lido, di colore grigio dorato, con disegno a moduli concentrici.
L'originario valore cromatico del rapporto tra il beige rosato della muratura in pietra ed il marrone omogeneo del rame è oggi assi mutato, sebbene questa trasformazione abbia un carattere di organicità e naturalità probabilmente già intuito da Michelucci: il marrone della copertura si è trasformato, a seguito dell'ossidazione del rame, in un verde-grigio, diffondesi successivamente tramite progressive colature sulla sottostante muratura, che dà oggi l'impressione di essere parzialmente rivestita di muschio.





Fonte :   scritti dell'artista prof. Alessio Varisco , Técne Art Studio .
Prof. ALESSIO VARISCO
Designer - Magister Artium
Art Director Técne Art Studio

http://www.alessiovarisco.it











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