Chiesa di S. Pietro Apostolo a Sartirana di Merate ,
"antiscaligera bottiana"
di Alessio Varisco
Oggi si riapre, dopo tre anni, lo splendido scenario della Scala di Milano.
Il
Martirologio celebra Sant’Ambrogio Vescovo di
Milano. Per noi milanesi è una festa particolare, cui fa eco -oltre alla
celebrazione dell’Arcivescovo nella Chiesa costruita dal Padre del Culto
Ambrosiano- la serata mondana scaligera. La riapertura, preceduta quest’anno
dalla visita del Capo di Stato, è attesa anche per gli imponenti lavori di
ripristino ed ampliamento con un nuovo edificio, molto visibile e di forte
“impatto/stacco” rispetto il disegno originario della facciata voluto dal
Piermarini. Grande attesa anche per la presentazione
delle musiche scelte dal Maestro d’Orchestra, quest’anno molto “patriottiche”.
Infine trepidante attesa anche dei flash dei fotografi per gli scatti di routine
ai politici locali: il Sindaco di Milano, il Presidente della Provincia di
Milano e della Regione Lombardia.
L’architetto dell’edificio atteso e criticato, discusso ma sempre impiegato per
grandiosi progetti (si pensi alla poliedricità
dell’artista che passa dalla progettazione del Casinò di Campione d’Italia, alla
ideazione di una cattedrale, alla Scala), è Mario Botta: nato a Lugano, in
Svizzera nel Canton Ticino, elvetico di nascita,
cosmopolita per vocazione.
Le
sue scelte estetiche –discutibili o ammirabili- hanno creato enormi “mode”, che
svelano –se mal riprodotte- l’artificiosità artigiana di coloro che tentano di
emulare lo “stile bottiano”.
E
così il trionfo del mattone a vista –quale elemento
testurizzante delle sue inconfondibili facciate- supera il mero
rivestimento parietale esterno e rivisita la storia dell’arte lombarda, memore
del romanico, del gotico internazionale si addensano nei suoi progetti.
Botta si apre mediante la razionalità ad evocazioni evocative del patrimonio
storico dell’architettura che ha contraddistinto la preziosità degli artigiani
del cotto -e del “mattone”- per l’edilizia sacra , riproduce quello stile
architettonico di molte abbazie dell’Italia Settentrionale, divenuto negli anni
un carattere “distintivo”, re-inventando l’inimitabile
typos lombardo, creandone uno nuovo, tutto suo da applicare ad edifici
quale palazzi moderni, chiese, templi del gioco d’azzardo…
La
diocesi ambrosiana, la più grande del mondo, ha una bella chicca “bottiana”.
Si trova in Brianza, poco fuori la periferia milanese, verso Lecco, esattamente
a Merate, un Comune prossimo alle collina morenica
di Montevecchia, poco distante dal Fiume Adda e dai
luoghi manzoniani.
La
costruzione in questione è la chiesa di S. Pietro Apostolo, in
Sartirana Briantea,
opera dell’architetto Mario Botta, risalente all’anno 1992. La direzione dei
lavori fu affidata all’Arch. Fabiano Redaelli, che
la curò con passione nei minimi particolari, eseguendo quanto voluto dal
progettista. L’edificio sacro ha una superficie coperta di oltre seicento metri
quadrati, l’altezza complessiva è di quasi sedici metri e un volume fuori terra
di quasi diecimila metri quadrati.
Così descriveva l’architetto Mario Botta la sua creazione: «Ho disegnato la
“Casa di Dio” pensando alla “casa dell’uomo”: la Casa di Dio non può che essere
una parte di paesaggio, di contesto, della città dove vive e opera l’uomo».
Tipologicamente,
la chiesa meratese, si pone visivamente come un
grande cubo in mattoni a vista all’interno del quale è inserito un cilindro. A
livello del piano terreno troviamo un auditorium che misura quasi cinquecento
metri quadrati, di cui oltre cento sono di porticati, al primo piano l’aula per
le celebrazioni per una superficie complessiva di 485 metri quadrati.
Il
volume cilindrico della chiesa è modellato da due matronei: il primo per una
superficie di quasi trecento metri quadri, mentre il secondo, superiore, di mq.
300 da cui si può vedere il rivestimento del cubo, il soffitto della Chiesa,
rivestito da pannelli termoacustici studiati appositamente.
La
copertura, ritorna l’elemento quadrato, è inserito una sorta di lanterna “a
quadrotto”, centrale, ribassata in modo da
permettere l’accesso della luce naturale. In realtà è la vera generatrice dello
spazio interno, che come dice Mons. Ravasi, Prefetto
Ambrosiana, nella sua presentazione: «l’architetto Mario Botta ha saputo evocare
un’epifania del divino e dell’invisibile
attraverso il fluire della luce che bagna e avvolge gli oggetti liturgici e
l’intero orizzonte della chiesa, i fedeli e la purezza cristallina delle forme».
La
struttura dell’edificio, per le cui fondazioni si è resa necessaria la
palificazione, è in calcestruzzo armato completamente gettato in opera.
Il
materiale dominante è il mattone rosso fatto a mano, che riveste quasi
completamente, esternamente ed internamente, la struttura, con una tessitura
disegnata per creare una vibrazione continua della luce e del colore nelle
mutevoli condizioni del giorno e delle stagioni.
E
ci associamo a quanto descrive Mons. Gianfranco Ravasi:
«un grande pittore, Paul Klee,
ha scritto che "l’arte non deve rappresentare ciò che si vede ma nel visibile
deve svelare l’invisibile". È questa un po’ la sigla spirituale della chiesa di
S. Pietro a Sartirana. Da un lato, infatti, essa è
la presenza “calda” della realtà terrena col sapore quotidiano del legno e del
mattone, con l’assemblea degli uomini e delle donne riuniti come in un grembo
sereno dalla circolarità della pianta centrale».
L’elemento decorativo incombe sull’osservatore e lo stesso mattone, nel cilindro
interiore dello spazio della chiesa, è posto a diamante con funzioni
fonoassorbenti; le parti non rivestite dai mattoni sono trattate con stucco
veneziano a freddo in maggioranza di colore rosso (nero all’interno del primo
matroneo e giallo nell’auditorium).
I
pavimenti sono in lastre di pietra (lavagrigia)
intercalate da listelli di marmo nero solo per il pavimento della chiesa. La
stessa lavagrigia è stata usata per le scale di
accesso alla chiesa. Per il sagrato si è impiegato porfido a cubetti.
I
serramenti sono in ferro ed alluminio verniciati colore nero: quello absidale
accoppia al vetro un rivestimento in lastre di onice del Pakistan, di grande
impatto visivo sia entrando che dall’esterno, troneggiante e di grande resa che
ben celebra il ciclo dell’albero della Vita
Il
Prefetto della Biblioteca Ambrosiana così lo descrive, recuperando quei valori
simbolici che attingono alle Scritture, in particolare al valore
soterologico che rimanda alle vicende della
“Rivelazione di Gesù Cristo” (l’Apocalisse giovannea): «l’albero della vita non
domina solo la vetrata centrale ma diventa anche l’asse che unisce finito e
infinito, tempo ed eterno, quotidianità e trascendenza. È in questa luce che la
struttura quadrata esterna diventa un simbolo della Gerusalemme celeste del
libro dell’Apocalisse, eretta «a forma di quadrato» (21,16), segno di perfezione
suprema e bellezza, e illuminata non più dalla luce del sole e della luna ma
dalla «gloria di Dio» e dalla «lampada dell’Agnello» (21,23)». La zona absidale
è animata dalla luce che illumina l’abside in onice translucido, è realmente il
simbolo della grazia divina che illumina l’uomo che ricerca Dio. L’albero in
metallo ricorda la storia della redenzione (albero della vita nel paradiso
terrestre - albero della croce, altissimo il contenuto teologico).
L’altare è interamente realizzato in legno di rovere, come tutto l’arredamento.
Segno per eccellenza dell’Alleanza tra Dio e gli uomini, suggellata nella morte
e risurrezione di Gesù e resa attuale nell’Eucaristia qui celebrata.
Interessante l’utilizzo texturizzante del lamellare
e di ardite soluzioni geometriche essenziali che disegnano forme purissime
riprese anche nell’ambone. Quest’ultimo luogo dove la Parola di Dio è proclamata
durante la celebrazione, affinché ciascuno possa accoglierla e meditarla per
meglio vivere ogni giorno.
Vicino all’altare troviamo il tabernacolo
segno della presenza di Dio tra gli uomini; è qui posto sotto il
Crocifisso, ci ricorda che l’Eucaristia,
Pane vivo, è il Memoriale della Pasqua del Signore.
Piccolo gioiello è il Fonte Battesimale, ripete lo schema architettonico della
chiesa (quadrato - cerchio). Qui l’uomo viene purificato e inizia il suo cammino
di fede e di salvezza, entrando a far parte della Chiesa.
Le
porte di accesso dall’esterno sono in acciaio inossidabile. L’arredo sacro è
realizzato in legno di rovere.
Di
forte impatto nel contesto rurale della campagna meratese,
il nuovo edificio della chiesa dialoga con la vecchia chiesina, prospiciente, a
cui si è aggiunta per esigenze di spazi. Discreto il rapporto con il centro
storico di Sartirana, modestissimo fatto di piccole
corti e villette random, attraverso il sagrato che
realizza la nuova vera piazza, luogo di incontro e di vita della comunità.
Una
Chiesa complessa che va “ascoltata” cogli occhi e vissuta coi sensi. A tratti
inquietanti per l’atmosfera, quasi artificiale, ovattata, tipica di luoghi
preziosi quali un teatro, un auditorium ed anche una sala d’incisione.
Prof. Alessio Varisco
Designer
FONTE : prof. Alessio Varisco , Designer - Art director Técne Art Studio, www.alessiovarisco.it
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