giovedì 25 luglio 2019

Una storia infinita… Convento delle Clarisse di Vallegloria in Spello ed annessa Chiesa di Santa Maria, di Alessio Varisco



Una storia infinita…
Convento delle Clarisse di Vallegloria in Spello ed annessa Chiesa di Santa Maria.
di Alessio Varisco










       

Provenendo dalla superstrada si scorge la nefasta bruttura dei devastamenti perpetrati negli anni di quello che i sociologi chiamano il “boom economico”. Oggi solo poche associazioni si interessano agli scempi demolitori operati in Italia dagli anni ’60, dalle storie amare di una Italia dominata dal malcostume e dalle bruttezze anche in architettura.
Basterebbe ricordare che la legislazione urbanistica è una delle più antiche in Europa, risalente alla metà dell’Ottocento, mentre il rispetto di tali regole, che vincolano il “paesaggio” –addirittura nei principi fondamentali della Costituzione Italiana- restarono disattesi persino in centri storici come è il caso di Spello. A questo malcostume, provenendo dal raccordo della E45, ora SS75 si è rapiti dall’incanto di una cittadina magica, turrita, con ben visibili le mura e nella parte più esterna dei tetti un po’ modello mucca pezzata a devastare l’incanto paestico… è uno dei tanti paesi stuprati d’Italia!
Non me ne vogliano se intraprendo in questa sede una mia riflessione sul rispetto del “paesaggio”, sia esso naturale (alberi, piante e animali), che architettonico (archi, chiese, conventi, basiliche e fori).
Chi mi conosce sa il mio amore per l’Umbria che mi spinse a trasferirmi per più di un anno, proprio nella città del Poverello. Qui ebbi modo di conoscere molte realtà che un milanese, studente allora di scienze religiose, non poteva neppure immaginare. Subito dopo il terremoto andai anch’io, come tanti, forse più per curiosità, per portare qualche aiuto, minimale –forse solo per lavarci un poco la coscienza-, per vedere cosa la natura può creare. In comune ad Assisi -come anche nella prospiciente  Spello- mi dissero diversi funzionari ed amministratori che la paura fu enorme, per quei muri portanti, anche larghi oltre un metro che iniziarono a dondolare, in un sussulto a tremare e si spostarono emettendo suoni striduli.
L’angoscia e la disperazione fu molta. Poi le polemiche… Sempre postume, il silenzio dopo i boati, qualche scandalo, la lenta ricostruzione, i morti da seppellire, le case da accomodare, i tetti da abbattere con i pluviali esterni pericolanti, gli innumerevoli ponteggi (simbolo lento ancora visibili sino al Natale 2000 in certi comuni!), i danni al patrimonio artistico e museale, la paura, nuove scosse, l’inverno freddo umbro che avanzava e ha continuato per molti altri inverni per i meno fortunati che hanno vissuto nei containers ed ancora, dico ancora oggi nel maggio 2005 a distanza di ben 8 anni, da quella notte del 26 settembre del 1997 quando una prima scossa dell’ottavo grado della scala Mercalli si abbatteva inclemente sull’Umbria e le Marche con epicentro in Assisi, Foligno, Colfiorito, Serravalle del Chienti ed innumerevoli altri centri minori dei quali neppure si è parlato.
Sfoglio gli album di un viaggio di istruzione del marzo 2005 effettuato coi miei alunni in Umbria (Città di Castello, Gubbio, Spello, Assisi, Perugia con sosta al rientro alla Chiesa dell’Autostrada ai Campi Bisenzio di Firenze) e l’emozione è ancora forte…
Quella voce dietro una botola, sembrava irreale (quasi una suggestione, un sogno inatteso), questo il commento –un leit motiv- dei miei ragazzi «un’immagine del medioevo, di una qualche “murata viva” visibile in una buona ricostruzione filmatografica». E poi con un sorriso splendente ad accoglierci sulla porta per farci vedere il chiostro di una clausura impraticabile… tutta a ponteggi coi calcinacci che si abbattevano sulle nostre teste, le gru e gli operai all’opera. È questo l’amaro destino delle sorelle clarisse di Vallegloria, un Monastero eretto nel XIV secolo, di cui abbiamo nota anche nei manuali di storia dell’arte per i reperti presenti all’interno.
 

 










Spello viene eretto municipio romano intorno al I secolo a.C., col secondo triumvirato acquisisce il diritto di “colonia” e dopo la guerra di Perugia nel 41 Ottaviano se ne impadronisce devastandola.
In età imperiale diviene importante centro ed Augusto le acconsente i bagni del Clitumno, le fa costruire una cinta muraria e la fa fortificare. Sotto Costantino il grande, agli inizi del IV secolo d.C., gli vengono riconosciuti numerosi vari privilegi, tra i quali quello di innalzare un tempio in cui Umbri ed Etruschi potessero celebrare le loro feste annuali.
Spello segue le sorti dell’intera Italia con il crollo dell'Impero d'Occidente. Durante le invasioni dei Goti viene danneggiato e saccheggiato, entra a far parte del Ducato Longobardo di Spoleto e sino alla fine del XII secolo ne segue le sorti, allorquando viene conquistato dallo Stato della Chiesa. Nel XIII secolo si organizza “libero comune”, in un primo tempo si schiera a favore dell'Imperatore e poi si ribella a Federico II che per ripicca la fa distruggere. I Baglioni di Perugia la dominano dalla fine del XIV secolo sino al 1583 quando torna definitivamente allo Stato Pontificio. Questo è stato un periodo favorevole per la città che si arricchisce di capolavori rinascimentali. Nel periodo romano vede una intensa attività sia nelle arti che nella letteratura. Nel Medioevo la città ha un momento di intenso fervore spirituale, durante la predicazione di San Francesco.
   
Ma la “Vallegloria” di cui mi accingo a parlare non è il buon pinot nero dei fratelli Sportoletti (omonimo vitigno che non ha nulla da invidiare ai pregiati della Borgogna che prende il nome dal prestigioso complesso delle Clarisse) è un convento situato in prossimità della La Torre Santa Margherita, posta fuori la cerchia delle mura urbane e sotto il davanzale di Piazza Belvedere, presso cui alcuni resti del monastero femminile dei santi Giacomo e Margherita, dell’ordine benedettino, riferito negli atti per la prima volta nel 1263, quando Urbano IV lo accolse sotto la propria protezione, nonostante il disappunto delle vicine Clarisse di Vallegloria.
Successivamente al 1291 il monastero -che restò sempre di modeste dimensioni- si chiamerà anche di Vallingegno; nel 1325 vi si raggrupperanno le monache agostiniane di S. Maria del Paradiso, fino ad allora residenti sul monte Subasio, e nel 1464, infine, tutte le monache che lo popolavano si riuniranno con quelle del monastero di Santa Chiara, all’interno della città.
Si presuppone che il degrado e la progressiva distruzione dell’antico edificio medievale possa essere iniziata dopo tale data. In questi ultimi anni la torre è stata, però, restaurata. La torre a pianta quadrangolare è realizzata in pietra del Subasio e termina con merlature in aggetto.
Salendo da Spello verso Collepino all'altezza dei primo ponte, alzando gli occhi verso il monte Subasio, si nota tra il bosco un vecchio caseggiato: è l'ex monastero di S. Maria di Vallegloria, che ormai conserva ben poco dei suo aspetto abbaziale.
Questo monastero, la cui costruzione viene fatta risalire a San Benedetto (480-517), sarebbe stato costruito per le madri benedettine che vi restarono sino al 1219, quando al passaggio di Francesco e Chiara, si innamorarono della nuova spiritualità francescana e lasciarono la regola benedettina per abbracciare quella delle clarisse francescane. Non essendoci acqua da bere e per lavare al convento, le suore più giovani dovevano andare ad attingere acqua alla fonte di San Silvestro, vi si recavano a piedi tra il bosco e con le brocche in testa ma spesso venivano infastidite da soldati che erano soliti frequentare quella zona durante le guerre tra Spello - Perugia - Assisi.
La madre badessa si confessò con il confessore spirituale beato Andrea Caccioli, che sapute le difficoltà incontrate dalle monache disse indicando con il bastone le rocce davanti al monastero: «Qui ci vorrebbe una fonte!». Improvvisamente dalla roccia sgorgò acqua e fu sufficiente per dissetare la comunità e per altri lavori. Quest’acqua scorre ancora e la gente del luogo ritiene che abbia qualità terapeutiche per il mal di fegato.
Le suore restarono in questo monastero fino al 1320, quando ottennero dal papa Giovanni XXII di trasferirsi entro le mura di Spello nella ex rocca di Federico Barbarossa.
Il vecchio monastero fu adattato ad uso colonico; ultimamente è stata risistemata la chiesa che da magazzino ha ripreso l’uso sacro.

  
La Conferenza Episcopale Italiana nel 2002 in uno speciale sul sito “8xmille”, viaggio in Italia in aiuto ai monasteri di clausura in difficoltà, cita il “caso” del Monastero delle Clarisse di Vallegloria di Spello. Lo speciale mette in risalto l’opera delle monache di clausura, 7000 in Italia, che pregano per le angosce del mondo; ma neppure quest’opera meritoria risparmia dalle preoccupazioni economiche. La preghiera delle sorelle di Spello non basta come scudo per mettersi al riparo, all’ombra di un chiostro dai problemi di una ricostruzione e di un consolidamento di un complesso monastico. E così quotidianamente, da più di sette anni, le sorelle di Vallegloria a Spello dopo l’adorazione eucaristica si dedicano ai lavori artigianali ed agricoli, attraverso cui passa la loro sussistenza. Il Monastero, fondato dalla stessa Santa Chiara è il secondo monastero della storia francescana, dopo quello ben noto di Assisi, del quale ho assistito ad un “funerale” lento e mesto, sotto un cielo uggioso quando iniziarono la chiusura per i lavori (mentre alla riapertura una folla di “notabili” si accalcarono fra le troupe dei media per mettersi in bella mostra). È la storia di un simbolo della cristianità minato dagli eventi tragici del terremoto del 1997; grazie all’interessamento dell’otto per mille, del contributo versato dai contribuenti italiani, è stato possibile iniziare qualche lavoro. Le suore erano state riunite in un container nell’orto e l’intero complesso, quasi uno scheletro intirizzito pareva destinato al crollo. Questo monastero femminile risulta inagibile con l’annessa chiesa della Vergine Maria di Vallegloria; la sensazione colpisce ancor oggi a quasi otto anni dal terremoto perché chi si avventura all’ingresso ha modo di attraverso un cortiletto tutto puntellato, con trabattelli ovunque, operai sonanti impegnati a spostare laterizi, calcinacci in ciascun dove che piovono dall’alto, odore di cemento, malta rumorosa dalle betoniere in continuo a spegnere il silenzio e la pace di serafiche suore che continuano la loro vita di preghiera e meditazione nel Signore.
La dolcezza di chi ti accoglie, sempre pronte all’ascolto, sembra impossibile se raffrontato alla sofferenza che patiranno. E la perfetta e serafica letizia francescana è affrescata mirabilmente in quei cuori di quelle tante donne che spengono le loro vite come una candela per gli altri, per pregare le nostre miserie e quelle delle innumerevoli macchinazioni burocratiche delle quali sono loro stesse ostaggi per i lavori di restauro. E chi chiede della Badessa, Madre Giacinta è la Superiora del Convento di Vallegloria, rischia molto spesso di trovare la suora di clausura assente dalla sua sede poiché in municipio od in Vescovado a Foligno per “sbrigare” le carte della ristrutturazione.
Vallegloria continua la sua vita in cima alla sua collina, verso la bella Villa Fidelja con il suo parco, in posizione più verso Assisi, proprio sotto il Monte Subasio; alla sua nascita fu simbolo di pace, sorgendo sulle rovine della fortezza militare di Federico Barbarossa.
"La precarietà m'insegna di che cosa ho veramente bisogno" dice una giovane suora. La scelta assoluta della clausura è vicinanza a tutta la Chiesa, testimonia la forza della preghiera: "Appena succede qualcosa di serio, arriva subito qualcuno quassù a chiederci di pregare - conferma la suora portinaia - siamo veramente con voi".

  

 





Storia dell’architettura del complesso monastico di Vallegloria
Il monastero sorge nel 1320, quando vi si stabiliscono le monache Clarisse pervenute dalla sede di Vallegloria Vecchio, antico complesso claustrale situato a mezza costa del monte Subasio, poco distante dalla strada tra Spello e Collepino.
Secondo i documenti d’archivio dello stesso monastero -e le cronache municipali- questo primitivo abitato eremitico era sorto intorno al 1215 su iniziativa della nipote di santa Chiara, tale di Balvina. L’eremo sorse anche grazie all’appoggio dei pontefici e riuscì a dotarsi, nei primi decenni del secolo XIII, di un discreto patrimonio mobiliare, costituito a partire dal 1236 di una porzione dei beni dell’abbazia di San Silvestro di Collepino quando questa venne soppressa.
Le monache clarisse rimasero sul monte Subasio sino al 1320, quando si trasferirono, per l’appunto, a ridosso di Spello, tra le nuova mura e quelle vecchie della città, nel luogo dove Federico I, detto il  Barbarossa aveva fatto costruire la sua rocca.
Dai documenti notarili si sa che sin dal 1284 il monastero aveva via via acquisito caseggiati rurali ed orti in quella località così vicina alla cittadina. Molteplici i motivi del distacco dal sito originale: anzitutto il bisogno di una sede più opportuna alle ingrandite necessità della comunità e, soprattutto, l’esigenza di mettere fine all’isolamento e di custodirsi dai pericoli della guerra in corso tra Spello, Comune alleato con Perugia, ed Assisi affrettarono l’avviamento dell’erezione di una nuova sede suburbana.
Le monache nel 1338 possedevano ben 364 terreni ed era stato eretto il campanile. I lavori di costruzione della chiesa e del monastero continuarono ancora fin verso il 1370 circa.
Nel secolo XV era entrata nel monastero Ilaria Baglioni, all’età di 11 anni, primogenita di Braccio Baglioni, l’allora podestà di Spello; la ragazza poi fuggì da Vallegloria per indossare l’abito di terziaria nel monastero di Sant’Antonio di Perugia.
In età moderna non si hanno notizie dettagliate del monastero di Vallegloria, della sua evoluzione e dei suoi beni, fino all’ultima soppressione, avvenuta nel 1866.
Oggi il complesso di Santa Maria di Vallegloria è comprendente una chiesa dedicata alla Vergine che si affaccia sull’omonima piazza ed il convento delle Clarisse.
Le attività di edificazione della chiesa sono attestate a partire dal 1338 con la sistemazione della volta di copertura e l’erezione dell’annessa torre campanaria.
L’intero complesso è un organismo che si produce nel tempo, frutto di più fasi esecutive, di vari stili visibili ma bene amalgamati, giunte all’apice con la costruzione del chiostro nel 1560 che mise ordine a tutta la struttura portante, riassettandole e conferendone un gusto più conventuale.
Certamente i lavori di sistemazione del chiostro e modifiche ulteriori si prolungarono almeno fino al 1587, come consegue dal contratto che il capitolo di Vallegloria registrò con i maestri Benedetto Piersanti di Camerino e Taddeo di Guglielmo lombardo.
La facciata della chiesa è tipica della zona: risolta a salienti normalizzati, in calcare rosa del monte Subasio, di fattezza tardo romanica con accenni al gotico internazionale. Longitudinalmente il fronte è frazionato da un cornicione realizzato da archetti trilobati, al di sotto dei quali, centralmente, è posto il portale d’ingresso alla chiesa di fattura genuina ed al contempo raffinata. L’eleganza della porta -archiacuta nell’estremo superiore- si distingue nelle cornici rosastre che incorniciano l’apertura racchiusa da due paraste con capitelli ai lati aventi funzione meramente decorativa.
In grande rosone, con un giro di 24 archetti poggianti su un cerchio sprovvisto della porzione interna, è ospitato nella parte superiore del fronte. Nel sottotetto la cornice, certamente postuma, riespone il motivo del decoro mediano effettuato sia in laterizio che in pietra.
La pianta della chiesa è quadrangolare, l’interno si presenta perciò come un’unica aula con soffitto voltato a botte.
Le pareti interne mostrano differenti opere disposte secondo il seguente ordine:
Ø      PARETE DESTRA
1- Statua lignea: Sant’Antonio da Padova e il Bambino (sec. XIX).
2- Portale laterale (1530).
3- Tela ad olio attribuita a Marcantonio Grecchi; San Carlo Borromeo in preghiera. Nella cimasa: San Felice (sec. XVII).
4- Tabernacolo in pietra scolpita e dorata (sec. XVI).
5- Affresco di Cesare Sermei: Miracolo della Beata Pacifica (sec. XVII).
Ø      PARETE FRONTALE
6- Affreschi di Ascensidonio Spacca detto il Fantino: a) Visita di Maria a Santa Elisabetta;
b) Annunciazione; c) Nascita della Vergine (gli affreschi sono datati e firmati 1590).
7- In alto: Crocifisso in legno policromo (sec. XVII).
8- Affresco attribuito a Francesco Providoni; San Francesco e Santa Chiara (sec. XVII).
Ø      PARETE SINISTRA
9- Affresco di Cesare Sermei: Trionfo della Mortificazione cristiana (sec. XVII).
10- Statua lignea policroma: Santa Chiara (sec. XIX).
11- Pulpito in legno laccato e dorato (sec. XVIII).
12- Tela a olio attribuita Cesare Sermei: Stimmate di San Francesco (1627).
 
Ø      CONTROFACCIATA
13- Cantoria in legno dipinto (sec. XVIII). Ai lati dell’organo; dipinti su tavola: San Pietro e San Paolo (sec. XVIII).
Parzialmente coperti dal parapetto della cantoria si trovano due affreschi di Marcantonio Grecchi: Santa Cecilia e David (primo quarto sec. XVII).
Nella porzione delle pareti, immediatamente sotto il livello delle volte di copertura, corre un ciclo di dipinti composto in origine da 18 specchiature, di cui 4 perdute, eseguito dal senese Marcantonio Grecchi (terzo decennio sec. XVII).
I soggetti rappresentati per ogni riquadro sono:
- Sposalizio della Vergine; - Attentato a Carlo Borromeo; - San Carlo Borromeo protetto da un angelo; Circoncisione di Gesù; - Disputa di Gesù con i Dottori nel Tempio; - Re David confortato da un angelo; - Incoronazione di Santa Cecilia e di David (?); - Visione del Bambin Gesù da parte di San Francesco; - Estasi di San Francesco; - Vestizione di Santa Chiara; - Morte di Santa Chiara; - Visione di Sant’Anna e Gioacchino; - Transito della Vergine; - Assunzione della Vergine.
L’interno del complesso monastico non è visitabile in quanto vige il divieto assoluto d’ingresso ai fedeli, a causa del voto di clausura non osservabile solo dal Vescovo e da Legati Pontefici; nonostante ciò di seguito si indicano le maggiori opere che esso contiene tenuto conto del valore e l’interesse che queste ricoprono:
Ø       Tempera su tavola sagomata: Crocifisso (scuola spoletina inizi sec. XIII).
Ø       Terracotta invetriata di gusto robbiano: Festa di San Francesco (sec. XV).
Ø       Affresco di seguace locale del Pinturicchio: Madonna della Misericordia (datato 1502).
Ø       Affresco, molto ridipinto: Madonna col Bambino (sec. XVI).
Ø       Tela attribuita a Francesco Providoni: Santa Chiara e San Francesco e tre monache clarisse (sec. XVIII).
Ø       Tela attribuita a Francesco Appiani: San Francesco di Paola (sec. XVIII).
Ø       Tela di Vincenzo Monotti: Sacra Famiglia, San Francesco, Santa Giovanna di Chantal (fine sec. XVIII).

 

A spasso per la bella Spello intorno a Vallegloria
Camminando per Via Giulia, via che costeggia il limite della cerchia di mura romane, si passa al fianco dell’Arco di Augusto, di cui ne rimangono unicamente i pilastri di lato e una parte dell‘attaccatura dell‘arco. La Via Giulia termina davanti alla Chiesa e Convento di S. Maria di Vallegloria, in piazza Santa Maria in Vallegloria, ove vive la comunità delle Clarisse. Il complesso monastico viene edificato intorno al 1320, prende nome dall‘antico convento in una valle del Monte Subasio verso Collepino, tutt’ora esistente; la facciata si presenta in forme aggraziate che seguono la piazza e si inseriscono nel tessuto urbano, lo schema classico romanico –all’umbra- con un portale sormontato dal rosone centrale di eccellente fattura.

Proseguendo per Via dei Cappuccini si va verso la Porta dell’Arco Romano, di epoca repubblicana, costituito da una doppia ghiera di cunei ad arco, seminterrato, con le fenditure per il passaggio della cateratta. Alla sinistra dell’arco troviamo le Mura e il torrione della Rocca ed i resti della fortezza fatta erigere dal Cardinale Albornoz. L‘area è occupata dal Convento dei Frati Cappuccini, che incorpora l‘antica pieve di San Severino, cui appartiene la facciata romanica del 1180, corrispondente all‘abside dell‘attuale chiesa.
Dal Belvedere, quasi un “davanzale-sagrato” per la chiesa che ha sulla sua sinistra l’acquedotto municipale in laterizio (ancora molto ben conservato), si scende verso la seconda porta monumentale romana, la Porta di Venere, che prende il suo nome dalla sua ubicazione in direzione di un omonimo tempio dedicato alla dea, che si suppone si sia trovato nell‘area della attuale Villa Fidelia. Due imponenti torri in pietra locale, dalla forma dodecagonale, affiancano la porta che risulta articolata in tre fornici inseriti in una struttura scandita da belle lesene. Purtroppo la parte esterna della porta fu ricostruita agli inizi del secolo XX, mentre di quella interna ne rimangono soltanto le fondamenta. Come si evince da un disegno del Peruzzi, negli Uffizi di Firenze, la parte più alta finiva con un loggiato sormontato da un timpano; da qui un cunicolo sottoterra, con copertura a volta, conduceva sino alla Porta Urbica; nelle cantine delle case spellane se ne trovano parte dei resti di questo corridoio segreto.
Uscendo da Porta Venere, si raggiunge l‘Anfiteatro, molto ben visibile dal Belvedere -quasi una foto aerea- del quale rimangono solamente le parti del podio e del corridoio. La costruzione è risalente al I sec. d. C., misura 59 x 35 mt. Poco più oltre si trova la Chiesetta di San Claudio, una chiesa romanica del XII sec., la cui facciata è leggermente asimmetrica, tipica della zona dal “campanile centrale a vela”. L’interno, che impiega materiali di spoglio, si sovrappone a strutture romane preesistenti, ed è asimmetrico: l‘impianto è a tre navate (di tipo pseudobasilicale) a destra è suddiviso da colonne, mentre a sinistra da pilastri. Le decorazioni a fresco appartengono al XIV e XV secolo, degno di nota l’affresco di Cola Petruccioli, databile intorno al 1393.
Proseguendo si giunge alla Villa Fidelia (o Costanzi), oltre le mura verso Capodacqua, costruita nel XVI secolo in un‘area esterna la città di Spello che un tempo era dedicata a terme e templi, delle quali rimangono solo le costruzioni per i terrazzamenti. Una statua di Venere e l‘epigrafe dei privilegi conferiti da Costantino alla città furono rinvenuti durante dei lavori di manutenzione. Il giardino che la circonda è un classico –e mirabile- esempio di giardino all‘italiana. La villa subì delle modifiche nel XVIII sec. durante la ristrutturazione ed ancora all‘inizio del XX sec. L‘Amministrazione Provinciale l’ha acquistata ed ora ospita la Collezione Straka-Coppa, una raccolta di opere e documenti d‘arte moderna e contemporanea.
 



S.E.R. +Sergio Goretti, vescovo d'Assisi, con Alessio Varisco
 
I tesori di Vallegloria: un padre spirituale  
Andrea Caccioli storia di un parroco-sacerdote convertito al pauperismo francescano
Non si può parlare di Spello e del Convento delle Clarisse di Vallegloria senza menzionare un illustre artista spellano Andrea Caccioli, Nato a Spello nel 1194. Caccioli amava ritirarsi solitario in preghiera nei boschi, uno dei suoi luoghi preferiti, in cui meditare, è il Monte Subasio. Qui si trovavano anche due strutture monasteriali: quello dei monaci Benedettini e quello delle suore Clarisse.
Venne ordinato sacerdote dal Vescovo di Spoleto nel 1216 ed un anno dopo, rimasta priva del titolare la Parrocchia del suo paese, ne fu nominato parroco a soli ventitre anni. Francesco d’Assisi aveva dato vita alla comunità dei Frati Minori, Andrea manifestò al Poverello alcuni anni prima della sua ordinazione che avrebbe desiderato farsi francescano.
L’incontrò Francesco avvenne nel monastero delle Clarisse di Vallegloria; Caccioli fu persuaso a rimanere parroco e a badare alla mamma anziana, che morì quattro anni dopo. Ritenutosi libero, si recò dal Vescovo a rendergli noto i suoi propositi. Sprigionatasi la notizia, molti tentarono di fargli cambiare idea ma, sopraggiunto il permesso, mise in vendita tutti i suoi beni per dividerne il ricavato ai poveri, benedisse tutti e abbandonò Spello per il convento di Santa Maria degli Angeli d'Assisi dove San Francesco gli consegnò il saio. Qui visse un anno di noviziato  nella comunità primitiva e pronunciò la professione solenne davanti a Francesco: era il primo parroco-sacerdote a divenire frate.
Nel 1226 mentre Francesco morì si rivolse a lui affidandogli l’importanza della proclamazione della Parola di Dio. Rinunciò allora la vita eremitica per annunziare il Vangelo. Caccioli ebbe modo di poter assistere  alla canonizzazione dell’amico e fondatore Francesco; nel 1233 fu inviato al Capitolo dei Frati di Soria, in Spagna, dove una rovente siccità mise a dura prova tutta quella zona e si verificò il miracolo che l'avrebbe fatto indicare come “il santo delle acque”.
Un analogo miracolo generò, anche, per le Clarisse di Vallegloria restate senz’acqua. Per tali prodigi da quel momento ci si rivolse a lui in ogni periodo di siccità, e continuamente con successo terminava l’aridità.
Dal 1235, per otto anni, fu il predicatore dell’Ordine –nomina di prestigio che ricoprì con impareggiabile lungimiranza ed esemplare illuminazione e ricchezza d’animo- e toccò: Verona, Como, Crema, Padova, Reggio Emilia, Roma ed alcune località della Francia.
Sempre ebbe la cura spirituale delle Monache clarisse di Vallegloria, che gli erano state date in consegna direttamente da Santa Chiara. Nel 1253 ritornò a Spello allorquando i cittadini offrirono all’Ordine la Chiesa di Sant’Andrea Apostolo ed il Ministro Generale dell’Ordine di San Francesco, Fra’ Giovanni da Parma, lo inviò come Guardiano, dove poi morì nel 1254.
Il corpo di Andrea Caccioli fu sistemato nella chiesa, dal 1360 fu venerato come “compatrono” di Spello, ma si dovette attendere sino al 1738 quando Papa Clemente XII ne confermava il culto. È ricordato il 3 Giugno.





Fonte :   scritti dell'artista prof. Alessio Varisco , Técne Art Studio .
Prof. ALESSIO VARISCO
Designer - Magister Artium
Art Director Técne Art Studio

http://www.alessiovarisco.it

http://architetture.splinder.com/







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