Una storia infinita…
Convento delle Clarisse di Vallegloria in Spello ed annessa Chiesa di Santa Maria.
di Alessio
Varisco
Provenendo
dalla superstrada si scorge la nefasta bruttura dei devastamenti perpetrati
negli anni di quello che i sociologi chiamano il “boom economico”. Oggi solo
poche associazioni si interessano agli scempi
demolitori operati in Italia dagli anni ’60, dalle storie amare di una Italia
dominata dal malcostume e dalle bruttezze anche in architettura.
Basterebbe ricordare che la
legislazione urbanistica è una delle più antiche in Europa, risalente alla metà
dell’Ottocento, mentre il rispetto di tali regole, che
vincolano il “paesaggio” –addirittura nei principi fondamentali della
Costituzione Italiana- restarono disattesi persino in centri storici come è il
caso di Spello. A questo malcostume, provenendo dal raccordo
della E45, ora SS75 si è rapiti dall’incanto di una cittadina magica,
turrita, con ben visibili le mura e nella parte più esterna dei tetti un po’
modello mucca pezzata a devastare l’incanto paestico…
è uno dei tanti paesi stuprati d’Italia!
Non me ne vogliano se
intraprendo in questa sede una mia riflessione sul
rispetto del “paesaggio”, sia esso naturale
(alberi, piante e animali), che
architettonico (archi, chiese, conventi, basiliche e fori).
Chi mi conosce sa il mio amore
per l’Umbria che mi spinse a trasferirmi per più di un anno, proprio nella città
del Poverello. Qui ebbi modo di conoscere molte
realtà che un milanese, studente allora di scienze religiose, non poteva neppure
immaginare. Subito dopo il terremoto andai anch’io, come tanti, forse più per
curiosità, per portare qualche aiuto, minimale –forse solo per lavarci un poco
la coscienza-, per vedere cosa la natura può creare.
In comune ad Assisi -come anche nella prospiciente
Spello- mi dissero diversi funzionari ed amministratori che la paura fu enorme,
per quei muri portanti, anche larghi oltre un metro che iniziarono a dondolare,
in un sussulto a tremare e si spostarono emettendo suoni striduli.
L’angoscia e la disperazione fu
molta. Poi le polemiche… Sempre postume, il silenzio dopo i boati, qualche
scandalo, la lenta ricostruzione, i morti da seppellire, le case da accomodare,
i tetti da abbattere con i pluviali esterni pericolanti, gli innumerevoli
ponteggi (simbolo lento ancora visibili sino al Natale 2000 in certi comuni!), i
danni al patrimonio artistico e museale, la paura,
nuove scosse, l’inverno freddo umbro che avanzava e ha continuato per molti
altri inverni per i meno fortunati che hanno vissuto nei
containers ed ancora, dico ancora oggi nel maggio 2005 a distanza di ben
8 anni, da quella notte del 26 settembre del 1997 quando
una prima scossa dell’ottavo grado della scala Mercalli
si abbatteva inclemente sull’Umbria e le Marche con epicentro in Assisi,
Foligno, Colfiorito, Serravalle
del Chienti ed innumerevoli altri centri minori dei
quali neppure si è parlato.
Sfoglio gli album di un viaggio
di istruzione del marzo 2005 effettuato coi miei
alunni in Umbria (Città di Castello, Gubbio, Spello, Assisi, Perugia con sosta
al rientro alla Chiesa dell’Autostrada ai Campi Bisenzio
di Firenze) e l’emozione è ancora forte…
Quella voce dietro una botola,
sembrava irreale (quasi una suggestione, un sogno inatteso), questo il commento
–un leit motiv- dei miei ragazzi «un’immagine del medioevo, di una qualche
“murata viva” visibile in una buona ricostruzione
filmatografica». E poi con un sorriso splendente ad accoglierci sulla
porta per farci vedere il chiostro di una clausura impraticabile… tutta a
ponteggi coi calcinacci che si abbattevano sulle
nostre teste, le gru e gli operai all’opera. È questo l’amaro destino delle
sorelle clarisse di Vallegloria, un Monastero eretto nel
XIV secolo, di cui abbiamo nota anche nei manuali di storia dell’arte per i
reperti presenti all’interno.
Spello viene
eretto municipio romano intorno al I secolo a.C.,
col secondo triumvirato acquisisce il diritto di “colonia” e dopo la guerra di
Perugia nel 41 Ottaviano se ne impadronisce devastandola.
In età imperiale diviene
importante centro ed Augusto le acconsente i bagni
del Clitumno, le fa costruire una cinta muraria e la
fa fortificare. Sotto Costantino il grande, agli inizi del
IV secolo d.C., gli vengono riconosciuti
numerosi vari privilegi, tra i quali quello di innalzare un tempio in cui Umbri
ed Etruschi potessero celebrare le loro feste annuali.
Spello segue
le sorti dell’intera Italia con il crollo dell'Impero d'Occidente. Durante le
invasioni dei Goti viene danneggiato e saccheggiato,
entra a far parte del Ducato Longobardo di Spoleto e sino alla fine del XII
secolo ne segue le sorti, allorquando viene conquistato dallo Stato della
Chiesa. Nel XIII secolo si organizza “libero comune”, in un primo tempo si
schiera a favore dell'Imperatore e poi si ribella a Federico II che per ripicca
la fa distruggere. I Baglioni di Perugia la dominano dalla fine
del XIV secolo sino al 1583 quando torna
definitivamente allo Stato Pontificio. Questo è stato un periodo favorevole per
la città che si arricchisce di capolavori rinascimentali. Nel periodo romano
vede una intensa attività sia nelle arti che nella
letteratura. Nel Medioevo la città ha un momento di
intenso fervore spirituale, durante la predicazione di San Francesco.
Ma la “Vallegloria” di cui mi
accingo a parlare non è il buon pinot nero dei fratelli Sportoletti (omonimo
vitigno che non ha nulla da invidiare ai pregiati della Borgogna che prende il
nome dal prestigioso complesso delle Clarisse) è un
convento situato in prossimità della La Torre Santa Margherita, posta fuori la
cerchia delle mura urbane e sotto il davanzale di Piazza Belvedere, presso cui
alcuni resti del monastero femminile dei santi Giacomo e Margherita, dell’ordine
benedettino, riferito negli atti per la prima volta nel 1263, quando Urbano IV
lo accolse sotto la propria protezione, nonostante il disappunto delle vicine
Clarisse di Vallegloria.
Successivamente
al 1291 il monastero -che restò sempre di modeste dimensioni- si chiamerà anche
di Vallingegno; nel 1325 vi si raggrupperanno le monache agostiniane di S. Maria
del Paradiso, fino ad allora residenti sul monte Subasio, e nel 1464, infine,
tutte le monache che lo popolavano si riuniranno con quelle del monastero di
Santa Chiara, all’interno della città.
Si presuppone che il degrado e
la progressiva distruzione dell’antico edificio medievale
possa essere iniziata dopo tale data. In questi ultimi anni la torre è
stata, però, restaurata. La torre a pianta quadrangolare è realizzata in pietra
del Subasio e termina con merlature in aggetto.
Salendo da Spello verso
Collepino all'altezza dei primo ponte, alzando gli
occhi verso il monte Subasio, si nota tra il bosco un vecchio caseggiato: è l'ex
monastero di S. Maria di Vallegloria, che ormai conserva ben poco dei suo
aspetto abbaziale.
Questo monastero, la cui costruzione viene fatta
risalire a San Benedetto (480-517), sarebbe stato costruito per le madri
benedettine che vi restarono sino al 1219, quando al passaggio di Francesco e
Chiara, si innamorarono della nuova spiritualità francescana e lasciarono la
regola benedettina per abbracciare quella delle clarisse francescane. Non
essendoci acqua da bere e per lavare al convento, le suore più giovani dovevano
andare ad attingere acqua alla fonte di San Silvestro, vi si recavano a piedi
tra il bosco e con le brocche in testa ma spesso venivano
infastidite da soldati che erano soliti frequentare quella zona durante le
guerre tra Spello - Perugia - Assisi.
La madre badessa si confessò con il confessore spirituale beato Andrea
Caccioli, che sapute le difficoltà incontrate dalle
monache disse indicando con il bastone le rocce davanti al monastero: «Qui ci
vorrebbe una fonte!». Improvvisamente dalla roccia sgorgò acqua e fu sufficiente
per dissetare la comunità e per altri lavori. Quest’acqua scorre ancora e la
gente del luogo ritiene che abbia qualità terapeutiche per il mal di fegato.
Le suore restarono in questo
monastero fino al 1320, quando ottennero dal papa Giovanni XXII di trasferirsi
entro le mura di Spello nella ex rocca di Federico
Barbarossa.
Il vecchio
monastero fu adattato ad uso colonico; ultimamente è stata risistemata la chiesa
che da magazzino ha ripreso l’uso sacro.
La Conferenza Episcopale Italiana nel 2002 in uno speciale sul sito “8xmille”,
viaggio in Italia in aiuto ai monasteri di
clausura in difficoltà, cita il “caso” del
Monastero delle Clarisse di Vallegloria di Spello. Lo speciale mette in
risalto l’opera delle monache di clausura, 7000 in Italia, che pregano per le
angosce del mondo; ma neppure quest’opera meritoria risparmia dalle
preoccupazioni economiche. La preghiera delle sorelle di
Spello non basta come scudo per mettersi al riparo, all’ombra di un
chiostro dai problemi di una ricostruzione e di un consolidamento di un
complesso monastico. E così quotidianamente, da più di sette anni, le sorelle di
Vallegloria a Spello dopo l’adorazione eucaristica si
dedicano ai lavori artigianali ed agricoli, attraverso cui passa la loro
sussistenza. Il Monastero, fondato dalla stessa Santa Chiara è il secondo
monastero della storia francescana, dopo quello ben
noto di Assisi, del quale ho assistito ad un “funerale” lento e mesto, sotto un
cielo uggioso quando iniziarono la chiusura per i lavori (mentre alla riapertura
una folla di “notabili” si accalcarono fra le troupe dei media per mettersi in
bella mostra). È la storia di un simbolo della cristianità minato dagli eventi
tragici del terremoto del 1997; grazie all’interessamento dell’otto per mille,
del contributo versato dai contribuenti italiani, è stato possibile iniziare
qualche lavoro. Le suore erano state riunite in un container nell’orto e
l’intero complesso, quasi uno scheletro intirizzito pareva destinato al crollo.
Questo monastero femminile risulta inagibile con
l’annessa chiesa della Vergine Maria di Vallegloria; la sensazione colpisce
ancor oggi a quasi otto anni dal terremoto perché chi si avventura all’ingresso
ha modo di attraverso un cortiletto tutto puntellato, con trabattelli ovunque,
operai sonanti impegnati a spostare laterizi, calcinacci in ciascun dove che
piovono dall’alto, odore di cemento, malta rumorosa dalle betoniere in continuo
a spegnere il silenzio e la pace di serafiche suore che continuano la loro vita
di preghiera e meditazione nel Signore.
La dolcezza di chi ti accoglie,
sempre pronte all’ascolto, sembra impossibile se raffrontato alla sofferenza che
patiranno. E la perfetta e serafica letizia francescana è affrescata
mirabilmente in quei cuori di quelle tante donne che spengono
le loro vite come una candela per gli altri, per
pregare le nostre miserie e quelle delle innumerevoli macchinazioni burocratiche
delle quali sono loro stesse ostaggi per i lavori di restauro.
E chi chiede della Badessa, Madre Giacinta è la
Superiora del Convento di Vallegloria, rischia molto spesso di trovare la suora
di clausura assente dalla sua sede poiché in municipio od in Vescovado a Foligno
per “sbrigare” le carte della ristrutturazione.
Vallegloria
continua la sua vita in cima alla sua collina, verso
la bella Villa Fidelja con il suo parco, in
posizione più verso Assisi, proprio sotto il Monte Subasio; alla sua nascita fu
simbolo di pace, sorgendo sulle rovine della fortezza militare di Federico
Barbarossa.
"La precarietà m'insegna di che
cosa ho veramente bisogno" dice una giovane suora. La scelta assoluta della
clausura è vicinanza a tutta la Chiesa, testimonia la
forza della preghiera: "Appena succede qualcosa di serio, arriva subito qualcuno
quassù a chiederci di pregare - conferma la suora portinaia - siamo veramente
con voi".
Storia dell’architettura del complesso monastico di Vallegloria
Il monastero sorge
nel 1320, quando vi si stabiliscono le monache Clarisse pervenute dalla sede di
Vallegloria Vecchio, antico complesso claustrale situato a mezza costa del monte
Subasio, poco distante dalla strada tra Spello e Collepino.
Secondo i documenti
d’archivio dello stesso monastero -e le cronache municipali- questo primitivo
abitato eremitico era sorto intorno al 1215 su
iniziativa della nipote di santa Chiara, tale di Balvina.
L’eremo sorse anche grazie all’appoggio dei pontefici e riuscì a dotarsi, nei
primi decenni del secolo XIII, di un discreto patrimonio mobiliare, costituito a
partire dal 1236 di una porzione dei beni dell’abbazia di San Silvestro di
Collepino quando questa venne soppressa.
Le monache clarisse
rimasero sul monte Subasio sino al 1320, quando si trasferirono, per l’appunto,
a ridosso di Spello, tra le nuova mura e quelle
vecchie della città, nel luogo dove Federico I, detto il Barbarossa
aveva fatto costruire la sua rocca.
Dai documenti
notarili si sa che sin dal 1284 il monastero aveva via
via acquisito caseggiati rurali ed orti in quella
località così vicina alla cittadina. Molteplici i motivi del distacco dal sito
originale: anzitutto il bisogno di una sede più opportuna alle ingrandite
necessità della comunità e, soprattutto, l’esigenza di mettere fine
all’isolamento e di custodirsi dai pericoli della guerra in corso tra Spello,
Comune alleato con Perugia, ed Assisi affrettarono
l’avviamento dell’erezione di una nuova sede suburbana.
Le monache nel 1338
possedevano ben 364 terreni ed era stato eretto il campanile. I lavori di
costruzione della chiesa e del monastero continuarono ancora fin verso il 1370
circa.
Nel secolo XV era
entrata nel monastero Ilaria Baglioni, all’età di 11 anni, primogenita di
Braccio Baglioni, l’allora podestà di Spello; la
ragazza poi fuggì da Vallegloria per indossare l’abito di terziaria nel
monastero di Sant’Antonio di Perugia.
In età moderna non si
hanno notizie dettagliate del monastero di Vallegloria, della sua evoluzione e
dei suoi beni, fino all’ultima soppressione, avvenuta
nel 1866.
Oggi il
complesso di Santa Maria di Vallegloria
è comprendente una chiesa dedicata alla Vergine che si affaccia sull’omonima
piazza ed il convento delle Clarisse.
Le attività
di edificazione della chiesa sono attestate a partire
dal 1338 con la sistemazione della volta di copertura e l’erezione dell’annessa
torre campanaria.
L’intero complesso è
un organismo che si produce nel tempo, frutto di più fasi esecutive, di vari
stili visibili ma bene amalgamati, giunte all’apice
con la costruzione del chiostro nel 1560 che mise ordine a tutta la struttura
portante, riassettandole e conferendone un gusto più conventuale.
Certamente i lavori
di sistemazione del chiostro e modifiche ulteriori si
prolungarono almeno fino al 1587, come consegue dal contratto che il capitolo di
Vallegloria registrò con i maestri Benedetto Piersanti
di Camerino e Taddeo di Guglielmo lombardo.
La facciata della
chiesa è tipica della zona: risolta a salienti normalizzati, in calcare rosa del
monte Subasio, di fattezza tardo romanica con accenni
al gotico internazionale. Longitudinalmente il fronte è frazionato da un
cornicione realizzato da archetti trilobati, al di sotto dei
quali, centralmente, è posto il portale d’ingresso alla chiesa di fattura
genuina ed al contempo raffinata. L’eleganza della porta -archiacuta
nell’estremo superiore- si distingue nelle cornici rosastre
che incorniciano l’apertura racchiusa da due paraste con capitelli ai lati
aventi funzione meramente decorativa.
In
grande rosone, con un giro di 24 archetti poggianti
su un cerchio sprovvisto della porzione interna, è ospitato nella parte
superiore del fronte. Nel sottotetto la cornice, certamente postuma, riespone il
motivo del decoro mediano effettuato sia in laterizio che in pietra.
La pianta della chiesa è
quadrangolare, l’interno si presenta perciò come un’unica aula con
soffitto voltato a botte. Le pareti interne mostrano differenti opere disposte secondo il seguente ordine:
Ø
PARETE DESTRA
1- Statua lignea:
Sant’Antonio
da Padova e il Bambino (sec. XIX).2- Portale laterale (1530).
3- Tela ad olio attribuita a Marcantonio Grecchi; San Carlo Borromeo in preghiera. Nella cimasa: San Felice (sec. XVII).
4- Tabernacolo in pietra scolpita e dorata (sec. XVI).
5- Affresco di Cesare Sermei: Miracolo della Beata Pacifica (sec. XVII).
Ø
PARETE FRONTALE
b) Annunciazione; c) Nascita della Vergine (gli affreschi sono datati e firmati 1590).
7- In alto: Crocifisso in legno policromo (sec. XVII).
8- Affresco attribuito a Francesco Providoni; San Francesco e Santa Chiara (sec. XVII).
Ø
PARETE SINISTRA
9- Affresco di Cesare Sermei:
Trionfo della Mortificazione cristiana
(sec. XVII).10- Statua lignea policroma: Santa Chiara (sec. XIX).
11- Pulpito in legno laccato e dorato (sec. XVIII).
12- Tela a olio attribuita Cesare Sermei: Stimmate di San Francesco (1627).
Ø
CONTROFACCIATA
Parzialmente coperti dal parapetto della cantoria si trovano due affreschi di Marcantonio Grecchi: Santa Cecilia e David (primo quarto sec. XVII).
Nella porzione delle pareti, immediatamente sotto il livello delle volte di copertura, corre un ciclo di dipinti composto in origine da 18 specchiature, di cui 4 perdute, eseguito dal senese Marcantonio Grecchi (terzo decennio sec. XVII).
I soggetti rappresentati per ogni riquadro sono:
- Sposalizio della Vergine; - Attentato a Carlo Borromeo; - San Carlo Borromeo protetto da un angelo; Circoncisione di Gesù; - Disputa di Gesù con i Dottori nel Tempio; - Re David confortato da un angelo; - Incoronazione di Santa Cecilia e di David (?); - Visione del Bambin Gesù da parte di San Francesco; - Estasi di San Francesco; - Vestizione di Santa Chiara; - Morte di Santa Chiara; - Visione di Sant’Anna e Gioacchino; - Transito della Vergine; - Assunzione della Vergine.
L’interno del
complesso monastico non è visitabile in quanto vige il divieto assoluto
d’ingresso ai fedeli, a causa del voto di clausura non osservabile solo dal
Vescovo e da Legati Pontefici; nonostante ciò di seguito si
indicano le maggiori opere che esso contiene tenuto conto del valore e
l’interesse che queste ricoprono:
Ø
Tempera su tavola sagomata:
Crocifisso
(scuola spoletina inizi sec. XIII).
Ø
Terracotta invetriata di gusto
robbiano: Festa
di San Francesco (sec. XV).
Ø
Affresco di seguace locale del
Pinturicchio:
Madonna della Misericordia (datato 1502).
Ø
Affresco, molto ridipinto:
Madonna col Bambino (sec. XVI).
Ø
Tela
attribuita a Francesco Providoni:
Santa Chiara e San Francesco e tre monache
clarisse (sec. XVIII).
Ø
Tela attribuita a Francesco
Appiani: San Francesco di Paola
(sec. XVIII).
Ø
Tela di
Vincenzo Monotti:
Sacra Famiglia, San Francesco, Santa Giovanna
di Chantal (fine sec. XVIII).
A spasso per la bella Spello intorno a Vallegloria
Camminando per Via Giulia, via
che costeggia il limite della cerchia di mura romane, si passa al fianco
dell’Arco di Augusto, di cui ne rimangono unicamente
i pilastri di lato e una parte dell‘attaccatura dell‘arco. La Via Giulia termina
davanti alla Chiesa e Convento di S. Maria di Vallegloria, in
piazza Santa Maria in Vallegloria, ove vive la
comunità delle Clarisse. Il complesso monastico viene
edificato intorno al 1320, prende nome dall‘antico convento in una valle del
Monte Subasio verso Collepino, tutt’ora esistente;
la facciata si presenta in forme aggraziate che seguono la piazza e si
inseriscono nel tessuto urbano, lo schema classico romanico –all’umbra- con un
portale sormontato dal rosone centrale di eccellente fattura.
Proseguendo per Via dei Cappuccini si va verso la Porta dell’Arco Romano, di epoca repubblicana, costituito da una doppia ghiera di cunei ad arco, seminterrato, con le fenditure per il passaggio della cateratta. Alla sinistra dell’arco troviamo le Mura e il torrione della Rocca ed i resti della fortezza fatta erigere dal Cardinale Albornoz. L‘area è occupata dal Convento dei Frati Cappuccini, che incorpora l‘antica pieve di San Severino, cui appartiene la facciata romanica del 1180, corrispondente all‘abside dell‘attuale chiesa.
Proseguendo per Via dei Cappuccini si va verso la Porta dell’Arco Romano, di epoca repubblicana, costituito da una doppia ghiera di cunei ad arco, seminterrato, con le fenditure per il passaggio della cateratta. Alla sinistra dell’arco troviamo le Mura e il torrione della Rocca ed i resti della fortezza fatta erigere dal Cardinale Albornoz. L‘area è occupata dal Convento dei Frati Cappuccini, che incorpora l‘antica pieve di San Severino, cui appartiene la facciata romanica del 1180, corrispondente all‘abside dell‘attuale chiesa.
Dal Belvedere, quasi un
“davanzale-sagrato” per la chiesa che ha sulla sua sinistra l’acquedotto
municipale in laterizio (ancora molto ben conservato), si scende verso la
seconda porta monumentale romana, la Porta di Venere, che prende il suo nome
dalla sua ubicazione in direzione di un omonimo tempio dedicato alla dea, che si
suppone si sia trovato nell‘area della attuale Villa
Fidelia. Due imponenti torri in pietra locale, dalla forma
dodecagonale, affiancano la porta che risulta
articolata in tre fornici inseriti in una struttura scandita da belle lesene.
Purtroppo la parte esterna della porta fu ricostruita agli inizi del secolo XX,
mentre di quella interna ne rimangono soltanto le
fondamenta. Come si evince da un
disegno del Peruzzi, negli Uffizi di Firenze, la
parte più alta finiva con un loggiato sormontato da un timpano; da qui un
cunicolo sottoterra, con copertura a volta, conduceva sino alla Porta
Urbica; nelle cantine delle case spellane se ne
trovano parte dei resti di questo corridoio segreto.
Uscendo da Porta Venere, si
raggiunge l‘Anfiteatro, molto ben visibile dal Belvedere -quasi una foto aerea-
del quale rimangono solamente le parti del podio e del corridoio.
La costruzione è risalente al I sec. d. C., misura 59
x 35 mt. Poco più oltre si trova la Chiesetta di San
Claudio, una chiesa romanica del XII sec., la cui facciata è leggermente
asimmetrica, tipica della zona dal “campanile centrale a vela”. L’interno, che
impiega materiali di spoglio, si sovrappone a strutture romane preesistenti, ed
è asimmetrico: l‘impianto è a tre navate (di tipo
pseudobasilicale) a destra è suddiviso da colonne, mentre a sinistra da
pilastri. Le decorazioni a fresco appartengono al XIV
e XV secolo, degno di nota l’affresco di Cola Petruccioli,
databile intorno al 1393.
Proseguendo si giunge alla Villa
Fidelia (o Costanzi), oltre le mura verso
Capodacqua, costruita nel
XVI secolo in un‘area esterna la città di Spello che un tempo era dedicata a
terme e templi, delle quali rimangono solo le costruzioni per i terrazzamenti.
Una statua di Venere e l‘epigrafe dei privilegi conferiti da Costantino alla
città furono rinvenuti durante dei lavori di
manutenzione. Il giardino che la circonda è un classico –e mirabile- esempio di
giardino all‘italiana. La villa
subì delle modifiche nel XVIII sec. durante la ristrutturazione ed ancora all‘inizio
del XX sec. L‘Amministrazione Provinciale l’ha
acquistata ed ora ospita la Collezione Straka-Coppa,
una raccolta di opere e documenti d‘arte moderna e contemporanea.
S.E.R. +Sergio Goretti, vescovo
d'Assisi, con Alessio Varisco
Andrea Caccioli storia di un
parroco-sacerdote convertito al pauperismo francescano
Non si può parlare di Spello e
del Convento delle Clarisse di Vallegloria senza
menzionare un illustre artista spellano Andrea Caccioli,
Nato a Spello nel 1194. Caccioli
amava ritirarsi solitario in preghiera nei boschi, uno dei suoi luoghi
preferiti, in cui meditare, è il Monte Subasio. Qui si trovavano anche
due strutture monasteriali: quello dei monaci Benedettini e quello delle suore
Clarisse.
Venne
ordinato sacerdote dal Vescovo di Spoleto nel 1216 ed un anno dopo, rimasta
priva del titolare la Parrocchia del suo paese, ne fu nominato parroco a soli
ventitre anni. Francesco d’Assisi aveva dato vita alla comunità dei Frati
Minori, Andrea manifestò al
Poverello alcuni anni prima della sua ordinazione che avrebbe desiderato
farsi francescano.
L’incontrò
Francesco avvenne nel monastero delle Clarisse di Vallegloria;
Caccioli fu persuaso a rimanere parroco e a badare
alla mamma anziana, che morì quattro anni dopo.
Ritenutosi libero, si recò dal Vescovo a rendergli noto
i suoi propositi. Sprigionatasi la notizia, molti tentarono di fargli cambiare
idea ma, sopraggiunto il permesso, mise in vendita
tutti i suoi beni per dividerne il ricavato ai poveri, benedisse tutti e
abbandonò Spello per il convento di Santa Maria degli Angeli d'Assisi dove San
Francesco gli consegnò il saio. Qui visse un anno di noviziato nella comunità
primitiva e pronunciò la professione solenne davanti a Francesco: era il primo
parroco-sacerdote a divenire frate.
Nel 1226 mentre
Francesco morì si rivolse a lui affidandogli l’importanza della proclamazione
della Parola di Dio. Rinunciò allora la vita
eremitica per annunziare il Vangelo. Caccioli ebbe
modo di poter assistere alla canonizzazione
dell’amico e fondatore Francesco; nel 1233 fu inviato al Capitolo dei Frati di
Soria, in Spagna, dove una rovente siccità mise a
dura prova tutta quella zona e si verificò il miracolo che l'avrebbe
fatto indicare come “il santo delle acque”.
Un analogo
miracolo generò, anche, per le Clarisse di Vallegloria restate senz’acqua. Per
tali prodigi da quel momento ci si rivolse a lui in ogni periodo di siccità, e
continuamente con successo terminava l’aridità.
Dal 1235, per
otto anni, fu il predicatore dell’Ordine –nomina di prestigio che ricoprì con
impareggiabile lungimiranza ed esemplare illuminazione e ricchezza d’animo- e
toccò: Verona, Como, Crema, Padova, Reggio Emilia, Roma ed alcune località
della Francia.
Sempre ebbe la
cura spirituale delle Monache clarisse di Vallegloria, che gli erano state date
in consegna direttamente da Santa Chiara. Nel 1253 ritornò a Spello allorquando
i cittadini offrirono all’Ordine la Chiesa di Sant’Andrea
Apostolo ed il Ministro Generale dell’Ordine di San Francesco,
Fra’
Giovanni da Parma, lo inviò come Guardiano, dove poi morì nel 1254.
Il corpo
di Andrea Caccioli fu
sistemato nella chiesa, dal 1360 fu venerato come “compatrono” di Spello, ma si
dovette attendere sino al 1738 quando Papa Clemente XII ne confermava il culto.
È ricordato il 3 Giugno.
Fonte : scritti dell'artista prof. Alessio Varisco , Técne Art Studio .
Prof. ALESSIO VARISCO
Designer - Magister Artium
Art Director Técne Art Studio
http://www.alessiovarisco.it
http://architetture.splinder.com/
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