giovedì 25 luglio 2019

LA NASCITA DEL FIGLIO DI DIO (Lc 2,1-20), di Padre Felice Artuso



LA NASCITA DEL FIGLIO DI DIO (Lc 2,1-20)
di Padre Felice Artuso 
                           
 
 
L’evangelista Luca racconta con brevi dettagli la nascita di Gesù Cristo e la connette all’esperienza pasquale dei suoi primi discepoli. Maria e Giuseppe si recano a Betlemme, piccolo villaggio della tribù di Giuda e luogo di nascita del re Davide (1 Sam 16,1-13; Mic 5,1). Cercano un alloggio, ma nessuno dispone un locale per loro, perché nell’antica concezione ebraica chi partorisce infetta l’abitazione e procura uno stato d’impurità legale. Essi risolvono il problema, rifugiandosi in una delle disadorne grotte, scavate nel calcare e adibite a dimora dei poveri o a riparo del bestiame minuto. Qui Maria dà alla luce Gesù, il creatore di tutto ciò che esiste (Col 1,16), il Verbo incarnato (Gv 1,14), l’immagine della tenerezza divina , il pacificatore universale (Lc 2,14), il Primo e l’Ultimo della nostra storia (Ap 1,17).
Come ogni buona madre (Sap 7,4-5), compie dei gesti semplici che diventano profetici: pulisce il figlio e lo avvolge nelle bende che si è procurata durante il periodo della gestazione. Lo adagia quindi con delicatezza in una mangiatoia (Lc 2,7), posta in un angolo riservato ad un minuscolo gregge. Gioisce nel guardare il suo volto dopo averlo atteso con indicibile amore e averlo percepito nel grembo. Osserva con attenzione i suoi vari movimenti. Ascolta i suoi vagiti. Gli sussurra le paroline da apprendere. Lo abbraccia, lo coccola, lo allatta e lo rilassa. Vigila su di lui, che nella fragilità umana cela la maestà e gloria divina. Condividendo le sue sofferenze, attende che cresca, s'irrobustisca, diventi autonomo, si affermi tra i suoi connazionali e adempia la missione che Dio gli ha affidato e di cui possiede una vaga cognizione. Nello squallore di Betlemme incomincia a conoscere la contraddizione dell’annuncio che l’angelo Gabriele le ha portato a Nazaret: tuo figlio «sarà grande… sarà santo e chiamato Figlio di Dio» (Lc 1,31.35). Sperimenterà il culmine della contraddizione, quando gli increduli respingeranno i segni dati da Gesù, lo aggrediranno e lo sottoporranno ai tormenti della morte di croce.
Durante il silenzio notturno un messaggero celeste appare ad alcuni pastori che presso una grotta del brullo colle di “Beit Sahour” sorvegliano il gregge, per loro unica risorsa economica. L’angelo li illumina con un’intensa luce e annuncia a loro il lieto evento, destinato a diffondersi ovunque: «Oggi è nato nella città di David un salvatore, che è il Cristo Signore» (Lc 2,11). Rappresentanti dei poveri, degli emarginati, dei sofferenti e dei peccatori di tutti i tempi, questi pastori accolgono il messaggio celeste. Coinvolti in prima persona, interrompono il riposo, si consultano e decidono di mettersi alla ricerca del neonato, che garantirà la vittoria dell’amore sull’odio, della vita sulla morte. Sapendo che il bambino giace in una mangiatoia, avvolto in fasce, confidano di poterlo avvicinare, guardare e toccare. Lasciano quindi le loro pecore, percorrono tortuosi sentieri ed arrivano a Betlemme, divenuta il primo luogo di incontro con Dio, che si è fatto visibile e si farà nutrimento spirituale per quelli che crederanno in lui. Trovano Gesù in una grotta solitaria, custodito dai suoi genitori. Lo osservano con gli occhi illuminati dall’annuncio angelico e lo identificano con facilità. Notano che è privo di ricchezza, di potenza e di gloria. Non si meravigliano della sua povertà, debolezza e piccolezza. Credono che è il Salvatore, predetto dai profeti e atteso dai figli d’Israele. Dialogano alquanto con Maria e Giuseppe per ampliare le loro informazioni su di lui. Ritornano poi al proprio gregge, contenti d’aver visto il bambino, che salverà il popolo. Ringraziano pertanto Dio per aver concesso a loro il privilegio di conoscere in anticipo il suo inviato. Trasmettono infine ai coetanei la loro gioiosa ed esuberante esperienza di fede. Preludono l'esultanza dei primi discepoli, conosciuta negli incontri con il Risorto e nei loro racconti alla gente.
Ogni neonato prova diversi disagi come la percezione della separazione dalla madre, il bisogno di soddisfare lo stimolo della fame, la difficoltà di ricevere contatti rassicuranti, la fatica di comunicare con il mondo esterno e l’esigenza di acquisire un piacevole autonomia. Il Figlio di Dio, infinitamente eminente, s'identifica con i bambini più miseri, più emarginati e più trascurati dalla società. Nel provvisorio tugurio, ignorato dal suo popolo, vagisce, soffre ed intenerisce le persone che lo custodiscono. Concentra i suoi gracili sforzi per attirare l’attenzione su se stesso. Incomincia un’esistenza, che lo porterà ad altre separazioni, solitudini, privazioni, insicurezze, tensioni ed affanni. Impara a conoscere che cosa significa vivere nella condizione umana, esposta alle insidie del male. Prosegue così il suo cammino di discesa, di svuotamento, di dipendenza, d’impoverimento, di apprendimento e di sofferenza, già in corso con l’incarnazione. Nel suo itinerario arriverà fuori delle mura di Gerusalemme e del consorzio umano, dove sperimenterà il radicale rifiuto e il totale annientamento dei condannati alla crocifissione (Fil 2,6-8). Davvero «l'intera vita di Gesù è stata una via dolorosa. La discesa di Dio nel nostro mondo equivale già alla sua morte. Non soltanto la morte significa per Gesù il dolore di Dio, ma già il suo nascere» . Il Padre e lo Spirito partecipano all’abbassamento, al nascondimento, all’esclusione, alla debolezza e alla sofferenza del Figlio. Si umiliano assieme al loro Diletto, privo di splendore, di bellezza e di onore. Si inseriscono anche loro nella nostra fragile vita, per toccarla, riordinarla e cambiarla radicalmente.
La maggior parte dei Padri della Chiesa orientale menzionano la grotta, dove Gesù è nato. Ricordano che i giudeocristiani vi lasciarono delle tracce del loro culto. Contemplano il mistero della nascita di Gesù, collegandola alla sua passione e risurrezione. Parlano, infatti, della prima pasqua di Gesù, che consiste nella celebrazione annuale della sua nascita. I Padri della Chiesa occidentale associano la redenzione dal peccato a tutte le sofferenze, conosciute da lui. Congiungono la grotta di Betlemme al cenacolo in cui Gesù istituisce il sacramento eucaristico e si appresta a donare tutta la sua vita. Intravedono nel buio notturno di Betlemme l’ombra della croce e della tomba. Ravvisano nella sua prima fasciatura un anticipo dell’avvolgimento nelle bende funerarie, eseguito da Giuseppe di Arimatea e Nicodemo (Lc 23,50-53; Gv 19,39-40). Considerano la sua deposizione nella mangiatoia come una prefigurazione della futura sepoltura. Reputano che la luminosa apparizione angelica ai pastori fu una preparazione al gioioso annuncio della risurrezione di Gesù, effettuato dai messaggeri celesti. Esortano perciò i cristiani a non vergognarsi della sua vita e della sua morte. Li invitano sempre a seguire fedelmente il suo insegnamento e il suo esempio. Insegnano che nella grazia del Battesimo tutti rinascono a nuova vita e raccomandano di dimostrarlo mediante l’esercizio delle virtù teologali.
Compongono la liturgia natalizia, inserendo molte allusioni al mistero sofferenza e della gioia pasquale di Gesù. Redigono anche delle preghiere commoventi e degli inni liturgici, in cui sollecitano i cristiani a scoprire la bellezza della redenzione eterna. Un inno d’origine patristica esprime così la fede della Chiesa nel meraviglioso evento compiuto a Nazaret, a Betlemme e a Gerusalemme: «Tu che da Maria Vergine prendi forma mortale, ricordati di noi! Nel gaudio del Natale ti salutiamo, o Cristo, redentore del mondo. Redenti dal tuo sangue, adoriamo il tuo nome, cantiamo un inno nuovo» . Alcuni poeti medioevali stendono degli inni natalizi, nei quali evocano le prime sofferenze di Gesù e le congiungono abilmente a quelle della sua crocifissione. Pensiamo al celebre inno natalizio di sant'Alfonso Maria De' Liguori, che inizia con queste parole: «Tu scendi dalle stelle. Tu vieni in una grotta al freddo e al gelo. Io ti vedo qui a tremar: o Dio beato, ahi quanto ti costò l’avermi amato!».
Alla preghiera liturgica si sviluppa l’arte del presepio, inventato san Francesco d’Assisi. Per rappresentare le sofferenze di Gesù bambino, per educare i cristiani ad imitare le sue virtù e per prepararli a riceverlo nell’Eucaristia, nel 1223 Francesco allestisce il primo presepio, che in Occidente acquisirà un crescente interesse. Santa Teresa d’Avila e san Giovanni della Croce organizzano successivamente una processione, in cui è portato un simulacro di Gesù bambino con le insegne regali e chiedono ai loro religiosi di rivivere i patimenti della sua infanzia.
Ispirandosi all’insegnamento della Chiesa, gli artisti orientali rappresentano Gesù bambino coricato e avvolto nelle fasce, simili alle bende usate per la sua sepoltura. Dipingono la culla di Gesù a forma di bara, di sepolcro e di altare. Colorano di nero la grotta della natività, rendendola rassomigliante all’imboccatura delle tombe e costituendola un simbolo degli inferi. Gli artisti occidentali dei secoli più recenti adottano la stessa simbologia. Plasmano il bambino serio, che presagisce i suoi patimenti. Distendono Gesù su una mangiatoia con le braccia aperte come se egli pendesse dalla croce ed esortasse alla preghiera. Producono statue o immagini, nelle quali egli indossa i rossi abiti dei principi, regge con una mano il globo terrestre, sormontato da una croce, stringe con l’altra un cuore trafitto, porta sul capo una corona di spine e stilla sangue Talora lo raffigurano che ha la collana ed i bracciali di colore rosso e bianco, simbolo del sangue fuoriuscito dal suo costato. A volte lo presentano che spreme un grappolo d’uva oppure stringe in mano un pettirosso, uccellino associato alla sua passione . In altri casi modellano il bambino, disteso su una croce, ornata da un teschio oppure da un mazzo di rose. Sviluppano una iconografia in cui Gesù è attorniato dagli strumenti della crocifissione: flagelli, dadi, corde, chiodi, martelli e tenaglie. Le persone devote, che acquistavano queste immagini, le collocavano all'interno delle loro pareti domestiche. Guardandole sovente, ricordavano le prime sofferenze di Gesù e si univano spiritualmente a lui. San Paolo della Croce venerava alcune immagini che raffiguravano Gesù infante. Prediligeva l’immagine che lo ritraeva disteso e dormiente su un’ampia croce. La poneva accanto al suo letto, per posarvi frequenti sguardi e provarne commozione . Invitava spesso le persone pie a riposare sulla croce come il bambino di Betlemme. Oggi si erige inoltre l’albero di Natale, che evoca l’albero della vita, piantato nel centro dell’Eden (Gn 2,9) e quello della croce, eretto sul Calvario. Ornato da lampade colorate e da pendagli lucenti ci ricorda che il Signore ha sofferto fin dalla culla.

    



 
 
 
 


Fonte : scritti e appunti di Padre Felice Artuso (religioso Passionista)







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