giovedì 25 luglio 2019

I SACRI MONTI PATRIMONIO MONDIALE DELL'UMANITA' Una Gerusalemme nell'Italia Settentrionale, di Alessio Varisco



I SACRI MONTI PATRIMONIO MONDIALE DELL'UMANITA'
Una Gerusalemme nell'Italia Settentrionale
di Alessio Varisco



Santuario Nostra Signora di Oropa

«Come gioielli incastonati ai piedi delle Alpi, i Sacri Monti furono realizzati nei secoli scorsi come baluardi della fede. Essi rappresentano un importante patrimonio del nostro territorio per la loro indiscussa valenza non solo religiosa, ma anche storica, artistica e culturale». Queste le parole dell’Assessore al Turismo della Regione Piemonte, Giuliana Manica, che aprono un volume edito dai tipi di San Paolo dal titolo “I Sacri Monti nella cultura religiosa e artistica del Nord Italia”.
 
L’interesse personale per i Sacri Monti mi viene: dalla fede cristiana, dall’affetto verso i luoghi mariani, inoltre a seguito di un crescente interesse per le rese plastiche e l’istoriazioni di vere e proprie Bibbie per i più poveri, nonché dalla pietà popolare e devozionalità del Cinque-Seicento in ambiente alpino sul versante italiano.
 
I Sacri Monti sono indubbiamente un centro vitale di fede e di virtù cristiane. Alcuni di questi “apparati” liturgico-devozionale devono la loro origine al culto della Madonna. Certamente ogni “Sacro Monte” contempla i più grandi misteri, mysterion nell’accezione greca del termine, della cristianità; le varie cappelle ripercorrono le tappe della fede, della devozione, della vita di Cristo. Il Sacro Monte di Varallo, unitamente ad altri Santuari, ripropone la riedizione delle vicende cristiche e rende, visivamente in modo magistrale, l’esperienza messianica vissuta da Gesù in Gerusalemme… In Varallo ed in tutti i Sacri Monti è il “pathos” che bisogna lasciar fluire, ascoltando nel silenzio della natura una voce del passato, lasciando coinvolgersi per contemplare pienamente il mistero della vita di ciascuno che deve, come si legge nel Vangelo di Luca al capitolo 9 e in Galati 6, lasciarsi conformare alla Divina Croce.
 
Abituati alla metropoli, al caos cittadino, al clangore delle fabbriche, alle luci al neon sempre illuminate degli orologi che scandiscono in cima ai palazzi il tempo, temporale e del calore, ad ogni angolo della giornata, sempre frenetica e intensamente rivolta alla logica dell’efficentismo e della fretta, certamente la pace pare quanto mai lontana. Ecco perché negli week-end, molti fedeli che durante la settimana sfrecciano sotto insegne che ad ogni cambio di stagione cambiano colore e sponsor, trovano rifugio in luoghi pacifici.
 
Il turismo cosiddetto “spirituale” le cui tappe cardine sono: Assisi, Roma, Loreto, Lourdes, Santiago e per chi può economicamente Gerusalemme. Per tutti una meta, non importa quanto lontano, non è una “guerra” alla più cara e lontana… almeno in campo di Fede, rivalità ed efficienza sono sotterrate da dedizione e umile volontà a riappropriarsi –mediante il silenzio- di una pace interiore tanto ambita.  
 
Chi vive a ridosso delle nostre maestose Alpi può imbattersi in “inconsueti esodi”. Più volte mi è capitato di dovere fare code per giungere a qualche santuario. Così serpentoni di auto rigonfie di speranze si inerpicano per le strade del Piemonte e della Lombardia, per chiedere grazie, intercessioni.
 
Più a valle sono le auto dei pendolari della domenica, dei turisti a tutti i costi, che saettano sulle autostrade della pianura coi finestrini spalancati per la calura estiva oppure con portasci rigonfi di sci per tutta la famiglia sulla capotte per guadagnare le agognate piste sciistiche e mete della neve invernale. Di questi “nomadi” del terzo millennio pochissimi hanno cura di quei monti che, sullo sfondo, svelano nella gola della vallata, oltre la massa bianca, un santuario.
 
Turismi paralleli, eppure così lontani. Da un lato lo spiritualismo a tutti i costi, dall’altro il consumismo frenetico tipico di una società che si ciba da Mac Donald’s nei take a way e da qualche tempo nei chioschi di Kebab.
 
Nonostante le difficoltà, l’interesse quasi di nicchia per mete dello spirito, i cosiddetti “Sacri Monti” ora occupano anche gli scaffali delle vetrine delle librerie, sono traguardo di migliaia di fedeli che spesso sono raggiungibili soltanto percorrendo un percorso conclusivo a piedi. Un flusso stabile di persone che, pur negli indumenti disuguali, conservano nel cuore gli identici impulsi dei pellegrini di un tempo.
 
In ambito biblico -in realtà- risulta ambigua il termine “Sacri Monti”. Da una parte troviamo l’espressione del salmista che al Salmo 48, versetto 3, così si esprime: «il monte santo, altura stupenda, gioia di tutta la terra» glorificando il poggiolo gerosolimitano ove sorgeva il tempio, Sion. Per contro il termine “alture” sacre - bamòt in ebraico- sono duramente disapprovate perché esse accoglievano i santuari dei cananei, in cui erano celebrati culti immorali d’origine pagana, decisamente aborriti nelle Sacre Scritture. Tutto ciò, a ogni buon conto, ci fa capire come sia universale l’idea di prediligere la vetta di un monte — che per sua natura ha l'apparenza di sfiorare il cielo- considerata quale sede divina  come dimora di un tempio, indicazione dell’appuntamento tra l’uomo -proveniente dal bassopiano della valle, ovvero dal limite geografico ed altimetrico, dalla sua umbratilità e dal male- e Dio che risplende nei cieli incontaminati, onesti, del suo arcano enigma noumeno e della sua metafisica.
 
In ambito orientale si pensi solo al Fujiyama nipponico e al K’un-lun dei taoisti cinesi, al monte Meru induista e all’Olimpo greco, al Qaf musulmano e così via.
 
Anche in ambito architettonico i celebri templi mesopotamici a gradoni -conosciuti con il nome di ziqqurat- altro non erano che l’indubitabile riproduzione architettonica di un monte sacro. Sul vertice degli Ziggurat veniva collocato un piccolo santuario dedicato alla divinità –in cui poteva alloggiarvi-.
 
Anche in ambiente semita si ha questo medesimo schema processionale di ascesa «una scala poggiava sulla terra, mentre la sua cima raggiungeva il cielo. Ed ecco gli angeli di Dio salivano e scendevano su di essa» (Genesi 28,12). E così si notano i punti di contatto fra la cultura ebraica e le circonvicine, proprio da un’antica idea che è rispecchiata anche nel celeberrimo sogno di Giacobbe.


Santuari alpini

Nel Cinque e Seicento trovano la loro maggior espansione i Sacri Monti cristiani nel cuore della stagione che inventariava l’insanabile frattura della Chiesa occidentale per mezzo della Riforma di Martin Lutero.
Il vero scopo di questi santuari -come nondimeno è assicurato dalla presenza in certuni di quelli della figura di san Carlo Borromeo (si pensi a Varallo)- era in conclusione quello di un rilancio missionario. Mediante la costruzione di questi “Sacri Monti”, la cui fisionomia più sembrerebbe una serie di bastioni -quasi ricorrendo alla mutazione di stilemi architettonici a guisa dell’ortodossia cattolica- o fortezze sacre, si mirava a creare un vero e proprio rilancio istituzionale e architettonico della Chiesa cattolica.
Tale finalità -seppure presente- non deve adombrare le altre ragioni più profonde e antiche che legittimano questa costellazione di santuari collocati nei pressi dei monti dell’Italia settentrionale, a ridosso delle Alpi Occidentali di Piemonte e Lombardia.
Per quale ragione vengono dunque costruiti questi mirabili Santuari?
Nella nostra trattazione ne ricordiamo due ragioni. In prima istanza riuscire a rendere godibile al fedele -in miniatura- l’ostico e disagevole se non infattibile pellegrinaggio a Gerusalemme e ai suoi monti santi: Sion, il Calvario, ma anche il monte degli Ulivi e -in Galilea- il monte delle Beatitudini e il Tabor. Uno dei più celebri “sacro monte”, quello di Varallo, si delinea come una “nuova Gerusalemme”. Ciò è confermato da quanto asserito da Bernardino Calmi, suo ideatore: “Ut hic Jerusalem videat qui peragrare nequit[«allo scopo che possa scorgere qui Gerusalemme chi non vi si può portare in pellegrinaggio»]. In seconda battuta i “misteri” del cristianesimo che i tempietti di Varallo e di altri santuari, come il Calvario di Domodossola, suggeriscono sono una vera e propria riproposta dal vivo dell’esperienza sperimentata da Gesù a Gerusalemme, particolarmente nella sua snervante salita all’altura del Golgota, il “luogo del cranio”, l’infelice sito dei condannati a morte.



Sacro Monte di Varallo

Biblia pauperum

Risulta impossibile, anche a coloro che non hanno occhi scaltri scevri dagli effetti televisivi, anche costoro che risulta permeati da una cultura opacizzata come le copertine dei settimanali non possono restare disinteressati di fronte alla toccante, gremita e carica scena che si prospetta innanzi una volta entrati nella cappella della Crocifissione di Varallo.
Il telos di chi ha edificato questi santuari è stato -difatti- quello di fornire una specie di “catechesi visiva”, di energico impatto emotivo destinato a riprendere in nuove forme la tradizionale Biblia pauperum. Tempietti e costellazioni di cappelle devozionali in cui veniva messa in scena una “Bibbia dei poveri e degli illetterati” mediante pii fogli di pietra, forme vitree, affreschi… è un ritorno, trionfale, alle primigenie forme catechistiche mediante l’istoriazione di chiese delle città e dei paesi. Il cuore della fede cristiana veniva così ricondotto entro un orizzonte che era -da un lato- di tutti i giorni, quotidiano, perché faceva parte della terra in cui si era in vita, e -d’altro lato- era alonato dalla luminosità poiché si era sul santo monte, separato e distinto dalla pianura, laggiù infondo, ove fluivano una miriade di vie di comunicazione polverose, vie carrozzabili mal frequentate, segno dell’esistenza di un tempo feriale ed operativo opposto a quello “eletto”, sacro.
Parlavamo delle due logiche che stanno alla radice dell’origine del culto dei Sacri Monti. La seconda è quella “devozionale” nel senso più dignitoso del termine; essa ha come punto di riferimento Maria.


Presenze architettoniche di una fede incarnata

Sfogliando un volume inviatomi da Sua Eccellenza Mons. Macchi, già Segretario di Paolo VI ed arcivescovo emerito di Loreto, ho modo di ripensare al Sacro Monte di Varese che assume la forgia “fabbrica del Rosario”. Nelle cappelle, tanto care agli abitanti varesini, i “misteri” di questa popolarissima attività pregante raccontano -in modo aromatico- la pietà della sua comunità, le sue speranze, finanche il senso del concreto della sua storia e persino le sue abitudini popolari.
È quanto succede altresì a Oropa e a Crea, ove si assiste ad un vero e proprio caratteristico progetto processionale –visibile dall’accesso al santuario-, così come in tanti altri sacri monti noti e minormente conosciuti.
Mediante il Rosario, per suo tramite, attraverso la natura, succedendo passi ai grani della catena, in realtà, ci si metteva in comunicazione a quella dimensione precedentemente descritta, cioè delle vicende cristiche e dell’annuncio evangelico.
I Sacri Monti risulterebbero indispensabili se pensati in questa luce, non solo perché –spesso- veri e proprio gioielli artistici e storici, degni della tutela, molti di essi l’Unesco li ha inseriti fra la lista dei patrimoni dell’umanità assegnando loro un ruolo pienamente meritato presso la moltitudine di fedeli. Anche per questo i Sacri Monti sono più di ogni altra cosa indicazioni di una fede incarnata e -come tali - devono essere salvaguardati, osservati con cura e custoditi, preservandoli dall’incuria e dall’oblio. I sacri monti non sono meri musei o mete turistiche -pur taluni pure rispondendo a questi requisiti-: essi sono manifestazione di preghiera, di esistenza, di trasformazione, di fede. Così anche l’autista frettoloso che scorre via sull’autostrada verso la vacanza riuscirà, allora, a compiere una deviazione per innalzarsi, camminare e raggiungere inerpicandosi -accanto ad altri pellegrini- questi Sacri Monti. Tutti, pellegrini improvvisati o innamorati del pellegrinare, diretti verso la Shekinah, la Casa di Dio, il santuario, in un silenzio spezzato soltanto da canzoni religiose e preghiere.
Certamente anche il turista per caso, riuscirà a sentire emanare dai luoghi visitati una carica energetica affiorante. Il coinvolgimento emotivo della natura, dell’elevazione sulla piana, ora lontana, del traffico scomparso, dell’assenza di rumori molesti gli procurerà il vero miracolo –la Fede- in quest’oasi di riflessività e dentro di sé la consapevolezza che la sensazione è la medesima provata anche dall’antico pellegrino ebreo di Sion: «Alzo gli occhi verso i monti: da dove giungerà il mio aiuto? Il mio aiuto giunge dal Signore che ha creato cielo e terra» (Salmo 121,1-2). Ed ancora una volta sarà compiuto l’ennesimo miracolo: quello di credere!

Prof. ALESSIO VARISCO





Fonte :   scritti dell'artista prof. Alessio Varisco , Técne Art Studio .
Prof. ALESSIO VARISCO
Designer - Magister Artium
Art Director Técne Art Studio

http://www.alessiovarisco.it










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