I SACRI MONTI PATRIMONIO MONDIALE DELL'UMANITA'
Una Gerusalemme nell'Italia Settentrionale
di Alessio Varisco
Santuario Nostra Signora di Oropa
«Come gioielli
incastonati ai piedi delle Alpi, i Sacri Monti furono realizzati nei secoli
scorsi come baluardi della fede.
Essi rappresentano un importante patrimonio del nostro territorio per la loro
indiscussa valenza non solo religiosa, ma anche storica, artistica e culturale».
Queste le parole dell’Assessore al Turismo della Regione
Piemonte, Giuliana Manica, che aprono un volume edito dai tipi di San Paolo dal
titolo “I Sacri Monti nella cultura religiosa e artistica del Nord Italia”.
L’interesse
personale per i Sacri Monti mi viene: dalla fede cristiana, dall’affetto verso i
luoghi mariani, inoltre a seguito di un crescente interesse per le rese
plastiche e l’istoriazioni di vere e proprie Bibbie
per i più poveri, nonché dalla pietà popolare e
devozionalità del
Cinque-Seicento in ambiente alpino sul versante italiano.
I Sacri Monti
sono indubbiamente un centro vitale di fede e di virtù cristiane. Alcuni di
questi “apparati” liturgico-devozionale devono la
loro origine al culto della Madonna. Certamente ogni “Sacro Monte” contempla i
più grandi misteri, mysterion nell’accezione greca
del termine, della cristianità; le varie cappelle ripercorrono le tappe della
fede, della devozione, della vita di Cristo. Il Sacro Monte di Varallo,
unitamente ad altri Santuari, ripropone la riedizione
delle vicende cristiche e rende, visivamente in modo
magistrale, l’esperienza messianica vissuta da Gesù in Gerusalemme… In Varallo
ed in tutti i Sacri Monti è il “pathos” che bisogna lasciar fluire, ascoltando
nel silenzio della natura una voce del passato, lasciando coinvolgersi per
contemplare pienamente il mistero della vita di ciascuno che deve, come si legge
nel Vangelo di Luca al capitolo 9 e in Galati 6,
lasciarsi conformare alla Divina Croce.
Abituati alla
metropoli, al caos cittadino, al clangore delle fabbriche, alle luci al neon
sempre illuminate degli orologi che scandiscono in cima ai palazzi il tempo,
temporale e del calore, ad ogni angolo della giornata, sempre frenetica e
intensamente rivolta alla logica dell’efficentismo e
della fretta, certamente la pace pare quanto mai lontana. Ecco perché
negli week-end, molti fedeli che durante la settimana
sfrecciano sotto insegne che ad ogni cambio di stagione cambiano colore e
sponsor, trovano rifugio in luoghi pacifici.
Il turismo
cosiddetto “spirituale” le cui tappe cardine sono:
Assisi, Roma, Loreto, Lourdes, Santiago e per chi può economicamente
Gerusalemme. Per tutti una meta, non importa quanto
lontano, non è una “guerra” alla più cara e lontana… almeno in campo di Fede,
rivalità ed efficienza sono sotterrate da dedizione e umile volontà a
riappropriarsi –mediante il silenzio- di una pace interiore tanto ambita.
Chi vive
a ridosso delle nostre maestose Alpi può imbattersi
in “inconsueti esodi”. Più volte mi è capitato di dovere fare code per giungere
a qualche santuario. Così serpentoni di auto rigonfie
di speranze si inerpicano per le strade del Piemonte e della Lombardia, per
chiedere grazie, intercessioni.
Più a valle sono
le auto dei pendolari della domenica, dei turisti a tutti i costi, che saettano
sulle autostrade della pianura coi finestrini
spalancati per la calura estiva oppure con portasci
rigonfi di sci per tutta la famiglia sulla capotte per guadagnare le agognate
piste sciistiche e mete della neve invernale. Di questi “nomadi” del terzo
millennio pochissimi hanno cura di quei monti che, sullo sfondo, svelano nella
gola della vallata, oltre la massa bianca, un santuario.
Turismi
paralleli, eppure così lontani. Da un lato lo spiritualismo
a tutti i costi, dall’altro il consumismo frenetico tipico di una società che si
ciba da Mac Donald’s nei
take a way e da qualche tempo nei
chioschi di Kebab.
Nonostante le difficoltà, l’interesse quasi di
nicchia per mete dello spirito, i cosiddetti “Sacri Monti” ora occupano anche
gli scaffali delle vetrine delle librerie, sono traguardo di migliaia di fedeli
che spesso sono raggiungibili soltanto percorrendo un percorso conclusivo a
piedi.
Un flusso stabile di persone che, pur negli indumenti
disuguali, conservano nel cuore gli identici impulsi dei pellegrini di un tempo.
In ambito biblico
-in realtà- risulta ambigua il termine “Sacri Monti”.
Da una parte troviamo l’espressione del salmista che al Salmo 48, versetto 3,
così si esprime: «il monte santo, altura stupenda, gioia di tutta la terra»
glorificando il poggiolo gerosolimitano ove sorgeva il tempio, Sion. Per contro
il termine “alture” sacre -
bamòt in ebraico-
sono duramente disapprovate perché esse accoglievano i santuari dei
cananei, in cui erano celebrati culti immorali
d’origine pagana, decisamente aborriti nelle Sacre
Scritture. Tutto ciò, a ogni buon conto, ci fa capire
come sia universale l’idea di prediligere la vetta di un monte — che per sua
natura ha l'apparenza di sfiorare il cielo- considerata quale sede divina come
dimora di un tempio, indicazione dell’appuntamento tra l’uomo -proveniente dal
bassopiano della valle, ovvero dal limite geografico ed altimetrico, dalla sua
umbratilità e dal male- e Dio che risplende nei
cieli incontaminati, onesti, del suo arcano enigma noumeno e della sua
metafisica.
In ambito
orientale si pensi solo al Fujiyama nipponico e al
K’un-lun dei taoisti cinesi, al monte
Meru induista e all’Olimpo greco, al Qaf musulmano e
così via.
Anche in ambito
architettonico i celebri templi mesopotamici a
gradoni -conosciuti con il nome di
ziqqurat-
altro non erano che l’indubitabile
riproduzione architettonica di un monte sacro. Sul vertice degli Ziggurat
veniva collocato un piccolo santuario dedicato alla
divinità –in cui poteva alloggiarvi-.
Anche in ambiente
semita si ha questo medesimo schema processionale di
ascesa «una scala poggiava sulla terra, mentre la sua cima raggiungeva il cielo.
Ed ecco gli angeli di Dio salivano e scendevano su di essa»
(Genesi 28,12). E così si notano i punti di contatto
fra la cultura ebraica e le circonvicine, proprio da un’antica idea che è
rispecchiata anche nel celeberrimo sogno di Giacobbe.
Santuari
alpini
Nel
Cinque e Seicento trovano la loro maggior espansione i Sacri Monti cristiani nel
cuore della stagione che inventariava l’insanabile frattura della Chiesa
occidentale per mezzo della Riforma di Martin
Lutero.
Il vero scopo di
questi santuari -come nondimeno è assicurato dalla
presenza in certuni di quelli della figura di san Carlo Borromeo (si pensi a
Varallo)- era in conclusione quello di un
rilancio missionario. Mediante la costruzione di
questi “Sacri Monti”, la cui fisionomia più sembrerebbe una serie di bastioni
-quasi ricorrendo alla mutazione di stilemi architettonici a guisa
dell’ortodossia cattolica- o fortezze sacre, si mirava a creare un vero e
proprio rilancio istituzionale e
architettonico della Chiesa
cattolica.
Tale finalità -seppure presente- non deve
adombrare le altre ragioni più profonde e antiche che legittimano questa
costellazione di santuari collocati nei pressi dei monti dell’Italia
settentrionale, a ridosso delle Alpi Occidentali di Piemonte e Lombardia.
Per quale ragione
vengono dunque costruiti questi mirabili Santuari?
Nella nostra
trattazione ne ricordiamo due ragioni. In prima istanza
riuscire a rendere godibile al fedele -in miniatura- l’ostico e disagevole se
non infattibile pellegrinaggio a Gerusalemme e ai suoi monti santi: Sion, il
Calvario, ma anche il monte degli Ulivi e -in Galilea- il monte delle
Beatitudini e il Tabor. Uno dei più celebri “sacro
monte”, quello di Varallo, si
delinea come una
“nuova Gerusalemme”. Ciò è confermato da quanto
asserito da Bernardino Calmi, suo ideatore: “Ut
hic Jerusalem
videat qui peragrare
nequit” [«allo scopo che possa scorgere
qui Gerusalemme chi non vi si può portare in pellegrinaggio»]. In seconda
battuta i “misteri” del cristianesimo che i tempietti di Varallo e
di altri santuari, come il Calvario di Domodossola,
suggeriscono sono una vera e propria
riproposta dal vivo dell’esperienza sperimentata da Gesù a
Gerusalemme, particolarmente nella sua snervante salita all’altura del
Golgota, il “luogo del cranio”, l’infelice sito dei
condannati a morte.
Sacro Monte di Varallo
Biblia
pauperum
Risulta
impossibile, anche a coloro che non hanno occhi scaltri scevri dagli effetti
televisivi, anche costoro che risulta permeati da una cultura opacizzata come le
copertine dei settimanali non possono restare disinteressati di fronte alla
toccante, gremita e carica scena che si prospetta innanzi una volta entrati
nella cappella della Crocifissione di Varallo.
Il
telos di chi ha edificato questi santuari è stato
-difatti- quello di fornire una specie di “catechesi
visiva”, di energico impatto emotivo
destinato a riprendere in nuove forme la tradizionale
Biblia
pauperum. Tempietti e costellazioni di
cappelle devozionali in cui veniva messa in scena una
“Bibbia dei poveri e degli illetterati” mediante pii fogli di pietra, forme
vitree, affreschi… è un ritorno, trionfale, alle primigenie forme catechistiche
mediante l’istoriazione di chiese delle città e dei
paesi. Il cuore della fede cristiana veniva così
ricondotto entro un orizzonte che era -da un lato- di tutti i giorni,
quotidiano, perché faceva parte della terra in cui si era in vita, e
-d’altro lato- era alonato dalla luminosità poiché
si era sul santo monte, separato e distinto dalla pianura, laggiù infondo, ove
fluivano una miriade di vie di comunicazione polverose, vie carrozzabili mal
frequentate, segno dell’esistenza di un tempo feriale ed operativo opposto a
quello “eletto”, sacro.
Parlavamo delle
due logiche che stanno alla radice dell’origine del
culto dei Sacri Monti. La seconda è quella “devozionale”
nel senso più dignitoso del termine; essa ha come punto di riferimento Maria.
Presenze
architettoniche di una fede incarnata
Sfogliando un
volume inviatomi da Sua Eccellenza Mons. Macchi, già Segretario di Paolo VI ed
arcivescovo emerito di Loreto, ho modo di ripensare al Sacro Monte di Varese che
assume la forgia “fabbrica del Rosario”. Nelle cappelle, tanto care agli
abitanti varesini, i “misteri” di questa popolarissima attività pregante
raccontano -in modo aromatico- la pietà della sua comunità, le
sue speranze, finanche il senso del concreto della
sua storia e persino le sue abitudini popolari.
È quanto succede
altresì a Oropa e a Crea, ove si assiste ad un vero e
proprio caratteristico progetto processionale –visibile dall’accesso al
santuario-, così come in tanti altri sacri monti noti e minormente conosciuti.
Mediante il
Rosario, per suo tramite, attraverso la natura, succedendo passi ai grani della
catena, in realtà, ci si metteva in comunicazione a quella dimensione
precedentemente descritta, cioè delle vicende
cristiche e dell’annuncio evangelico.
I Sacri Monti
risulterebbero indispensabili se pensati in questa
luce, non solo perché –spesso- veri e proprio gioielli artistici e storici,
degni della tutela, molti di essi l’Unesco li ha inseriti fra la lista dei
patrimoni dell’umanità assegnando loro un ruolo pienamente meritato presso la
moltitudine di fedeli. Anche per questo i Sacri Monti sono più
di ogni altra cosa
indicazioni di una fede incarnata e
-come tali - devono essere salvaguardati, osservati con cura e custoditi,
preservandoli dall’incuria e dall’oblio. I sacri monti non sono meri musei o
mete turistiche -pur taluni pure rispondendo a questi requisiti-: essi sono
manifestazione di preghiera, di esistenza, di
trasformazione, di fede. Così anche l’autista frettoloso che scorre via sull’autostrada
verso la vacanza riuscirà, allora, a compiere una deviazione per innalzarsi,
camminare e raggiungere inerpicandosi -accanto ad altri pellegrini- questi Sacri
Monti. Tutti, pellegrini improvvisati o innamorati del
pellegrinare, diretti verso la Shekinah, la Casa di
Dio, il santuario, in un silenzio spezzato soltanto da canzoni religiose
e preghiere.
Certamente anche
il turista per caso, riuscirà a sentire emanare dai luoghi visitati una carica
energetica affiorante. Il coinvolgimento emotivo della natura, dell’elevazione
sulla piana, ora lontana, del traffico scomparso, dell’assenza di rumori molesti
gli procurerà il vero miracolo –la Fede- in quest’oasi di riflessività e dentro
di sé la consapevolezza che la sensazione è la medesima provata anche
dall’antico pellegrino ebreo di Sion: «Alzo gli occhi verso i monti: da dove
giungerà il mio aiuto? Il mio aiuto giunge dal Signore che ha creato cielo e
terra» (Salmo 121,1-2). Ed ancora una volta sarà
compiuto l’ennesimo miracolo: quello di credere!
Prof. ALESSIO
VARISCO
Fonte : scritti dell'artista prof. Alessio Varisco , Técne Art Studio .
Prof. ALESSIO VARISCO
Designer - Magister Artium
Art Director Técne Art Studio
http://www.alessiovarisco.it
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