IL CULTO ALLA RELIQUIA DELLA
CROCE
e il culto alle croci e ai
crocifissi
di Padre Felice Artuso
L’imperatore Costantino I, concessa ai cristiani la
libertà del culto pubblico, invia a Gerusalemme i suoi architetti Gustato e
Zenobio, incaricandoli di erigere un complesso di edifici sull’area del Calvario
e della tomba di Gesù. Macario, vescovo di Gerusalemme, indica a loro e a Elena,
madre dell’imperatore, i luoghi della passione e della sepoltura del Signore.
Iniziati gli scavi di sterro, alcuni scritti leggendari attestano che comparve
una croce, la quale su serio accertamento sarebbe appartenuta a Gesù. Arbitra
del gioioso evento, Elena lascia un consistente reperto della Santa Croce alla
chiesa madre, un altro se lo porta a Roma e un terzo lo dona al figlio
Costantino. «Tutte le fonti coeve sottolineano come Elena facesse suddividere il
reperto ritrovato poco prima di mettersi in viaggio per Roma: un terzo della
croce rimase a Gerusalemme, un altro terzo lo portò con sé a Roma, l'ultimo
terzo infine lo fece recapitare al figlio», residente a Costantinopoli, nuova
capitale dell’impero . Il vescovo di Gerusalemme custodisce in un’apposita
cassetta il reperto della croce, impreziosito di gemme e lo espone alla
venerazione dei fedeli in queste tre ricorrenze annuali: il Venerdì Santo, il 3
maggio, giorno del prodigioso ritrovamento della reliquia ed il 14 settembre,
giorno della consacrazione della basilica. Nelle prime ore del mattino egli sale
sul Martirio (Calvario), accompagnato dal clero, pone il legno della croce di
Gesù alla vista di tutti, lo incensa ed invoca il Signore con molti Kyrie
Eleison. Presiede quindi la celebrazione eucaristica, conferendovi una
caratteristica eminentemente pasquale in cui unisce il passato al presente,
l’esodo degli ebrei all’esodo dei cristiani. Conclusa la celebrazione, lascia la
reliquia alla venerazione dei devoti, i quali la baciano con affetto e la ornano
di lumini, di verde e di fiori. Riconoscono con questi semplici gesti che il
Signore se ne è servito per donare a tutti gli uomini la salvezza eterna. La
pellegrina Egeria dà questa informazione su come si svolgeva il rito
dell’ostensione della santa croce: «Il vescovo siede sulla cattedra, davanti a
lui si mette un tavolo coperto da un telo di lino, i diaconi sono in piedi
intorno al tavolo: viene portata una cassetta dorata in cui c’è il santo legno
della croce, la si apre e la sia espone. Si mette sul tavolo il legno della
croce e l’iscrizione» . Per soddisfare la richiesta delle chiese locali o delle
singole persone, il legno della croce viene diviso e frammentato. San Cirillo di
Gerusalemme durante una catechesi sul Calvario afferma, infatti, con un tono un
po' enfatico: «Del legno della croce ormai si trovano dei pezzettini in tutto il
mondo» . In una successiva catechesi asserisce: «Il legno della croce da qui è
stato distribuito in frammenti per tutto il mondo» . Nella Città Santa si
conserva ovviamente il pezzo più ampio della santa croce.
Nelle guerre d’invasione i vincitori s’impossessano non solo dei beni immobili,
ma anche dei preziosi dei perdenti. Nella Bibbia si narra che i filistei
prevalgono sugli ebrei, ritirano l’arca santa, la collocano nel loro tempio e se
la tengono per sette mesi (1Sam 5,1-2; 6,1). Nel 614 il re persiano Cosroe II
occupa Gerusalemme, la saccheggia e massacra parecchi nemici. Cattura inoltre il
vescovo Zaccaria e lo deporta nella sua capitale assieme a migliaia di
cristiani. Prende anche la reliquia della croce, la trasporta in Persia e la
colloca accanto al suo trono. Eraclio, imperatore bizantino, reagisce,
organizzando un contrattacco. Nel 627 vince le truppe di Cosroe, ricupera il
legno della croce e lo trasferisce a Gerusalemme. Gli islamici non tollerano lo
smacco di Eraclio. Si organizzano, premono minacciosi sui confini dell’impero
bizantino e riescono ad avanzare nel territorio nemico. Considerato il pericolo
che i musulmani si impadroniscano del legno della croce, nel 635 l’imperatore lo
trasporta a Costantinopoli.
Nei secoli successivi viene ancora ridotto in migliaia di frammenti, distribuiti
in larga quantità alle cattedrali, alle pievi, alle parrocchie, ai monasteri e
alle famiglie religiose. Le comunità cristiane, sparse nel mondo, imitano le
forme di culto della chiesa madre, tributando alla reliquia una crescente
venerazione. Gli armeni venerano un pezzo della croce nella ricorrenze festive
del suo ritrovamento, del suo ricupero dai persiani, della sua esaltazione e
della consacrazione della prima basilica, edificata sull’area del Golgota e
della tomba di Gesù. Le chiese di rito bizantino espongono la reliquia alla
pubblica venerazione il 3 maggio, durante tutta la Settimana Santa e il 14
settembre. Al primo di agosto il patriarca di Costantinopoli porta in
processione il legno della croce. Le tributa onore per «tenere lontano le
malattie, dovute al caldo dell’estate» e per essere «benedetti e custoditi da
Dio le vie e i bastioni della città stessa» . Nel periodo delle lotte
iconoclaste si allenta il culto alla reliquia. Superate le controversie, si
rinnova e si rinvigorisce la devozione al sacro legno, Nel secolo XIII un
anonimo di Costantinopoli attesta: «La Croce veneranda, che attualmente è
conservata in sacrestia… la ornano di pietre preziose e d’argento e la rivestono
d’oro. E fino ad oggi dona salute, scaccia i mali e i demoni» .
In Occidente la Chiesa amplifica il rito dell’ostensione e della venerazione
della croce di Gesù, aggiungendo una pluralità di canti. Per onorare un
frammento della croce, dono dell'imperatore Giustino II di Costantinopoli alla
regina Radegonda, nel 570 Venanzio Fortunato compone a Poitiers gli inni
“Vexilla regis prodeunt” (Procedono i vessilli del Re) e “Pange lingua gloriosi
proelium certaminis” (Canta, o lingua la gloriosa battaglia). In queste
composizioni liriche Venanzio attenua gli aspetti dolorosi della passione di
Gesù, mentre esalta il suo battagliero eroismo e la sua trionfale vittoria sulla
morte. Imprime agli inni un contenuto teologico, sacrale, poetico, ardente e
retorico. Musicati e cantati nelle celebrazioni liturgiche della Settimana
Santa, dell’Invenzione e dell’Esaltazione della Santa Croce, sono divenuti molto
famosi, finché nella liturgia è prevalsa la lingua latina. Hanno anche avuto un
grande influsso spirituale presso il popolo cristiano, bramoso di percorrere il
cammino che immette nella gloria celeste.
La comunità cristiana di Roma tributa un particolare culto a questo legno,
portato nell’Urbe da sant'Elena. Il papa Sergio I (687-701) d'origine orientale,
verso le ore 14 del Venerdì Santo lascia il Laterano e, scalzo, si reca in
processione nella basilica di Santa Croce in Gerusalemme, accompagnando il
trasporto della reliquia, custodita in un contenitore d’oro. Giunto nella chiesa
scopre il sacro reperto, lo bacia, lo posa sull'altare, lo venera assieme ai
presenti, si pone con giusta umiltà dinanzi a Dio e lo ringrazia di aver scelto
un atroce strumento di morte per manifestarci il suo amore per noi. Commemora
quindi la passione di Gesù con l’ascolto delle letture, tratte dal vecchio
Testamento e dal Vangelo di Giovanni. Terminata la funzione con un’esortazione a
sperare nel Signore, datore di vita, rientra nel Laterano. I papi, successori di
Sergio I, mantengono la tradizione. Cantando salmi e antifone, ogni Venerdì
Santo si recano in processione alla detta basilica, dove svelano la reliquia e
la espongono all'adorazione, mentre il popolo canta l’Ecce lignum crucis (Ecco
il legno della croce). Conservano questo tipo di celebrazione fino all'esilio di
Avignone (1305). A Roma durante l’assenza del papa rimane tuttavia l'usanza di
venerare pubblicamente la reliquia ad ogni venerdì e nella celebrazione del
Venerdì Santo si introduce il rito dell’adorare la croce. Nel 1629 due dei suoi
grossi frammenti sono trasferiti dalla basilica della Santa Croce alla basilica
di San Pietro. Qui il papa, rientrato nella sua residenza, presiede i riti del
Venerdì Santo e impartisce la benedizione finale con la reliquia della croce.
Le parrocchie, che ne custodiscono un frammento, sogliono esporlo il 14
settembre e il Venerdì Santo, perché i fedeli lo venerino e preghino il Signore.
Qualche comunità parrocchiale organizza una processione con il sacro reperto,
per ravvivare nel paese la memoria delle volontarie e gratuite sofferenze di
Gesù.
Alcuni teologi moderni consigliano di relativizzare questa forma di culto
popolare, perché essa potrebbe fomentare atteggiamenti superstiziosi. Altri
l'approvano, per mantenere la fedeltà e la vivacità della tradizione. San
Giovanni Damasceno dà, infatti, questo consiglio: «Quando tu vedi i figli dei
cristiani che venerano la croce, sappi che essi rivolgono la venerazione al
Cristo crocifisso e non al legno…Quando tu vedi un cristiano che venera la
croce, sappi che egli la venera a causa di Cristo crocifisso e non a causa della
natura del legno» . I maestri di vita spirituale si conformano alla tradizione e
ritengono utile conservarla. San Paolo della Croce offre questo consiglio,
valido per ogni cristiano: «Poiché le feste si celebrano con allegrezza, così la
festa della Croce degli amanti del Crocifisso si fa penando e tacendo con volto
ilare e sereno, affinché tal festa sia più segreta alle creature e scoperta
solamente al sommo Bene» .
Il culto alle croci e ai crocifissi
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