Lo "Zoomorfismo" in Apocalisse , simbolica per l'esegesi
di Alessio Varisco
Albrecht Durer - I quattro cavalieri dell'Apocalisse
Non me ne
vogliano i docenti di lettere antiche, ma in ambito esegetico si
analizzano determinati aspetti della
simbolica che nel settore analitico
dell’Apocalisse si definisce “simbolismo teriomorfo”.
Lo studio di questo risvolto dello scritto giovanneo
è estremamente ricco di significati che aiutano a comprendere la “Rivelazione di
Gesù Cristo”, meglio conosciuta dai più “Apocalisse di San Giovanni
Evangelista”.
Il testo è letteralmente popolato da
innumerevoli animali: animali domestici o feroci, reali o chimerici, animali
volanti, camminanti, striscianti sulla terra o viventi nel fondo delle acque e
che rimandano a scenari veterotestamentari (si pensi
allo Sheol).
«È un quadro
impressionante per la sua vastità che non trova riscontro, neppure lontanamente
in nessun scritto del Nuovo Testamento» [Ugo
Vanni, Apocalisse, 1988, p.38]
Orbene in
Apocalisse gli animali desiderano manifestare i
recessi della realtà.
«Prescindendo dal
significato dei singoli animali, l’animale
rappresenta generalmente come archetipo la profondità dell’inconscio e
dell’istinto, inoltre le forze cosmiche materiali e spirituali. Gli animali
toccano i tre piani dell’universo: inferno, terra e cielo» [GERD HEINZ-MOHR,
op. cit.,
p. 44.]
A tratti possiamo
notare che gli animali nel contesto dell’Apocalisse
si comportano come le persone. Addirittura come individui che paiono avere un
dominio sull’uomo: lo combattono, lo intimano, , lo
perseguitano. Mentre «nella Bibbia gli animali sono subordinati all’uomo che dà
loro un nome e con questo autentica la sua pretesa a dominarli»
[Gerd
Heinz Mohr, op
cit., p.45],
qui si verifica l’opposto. Qui le bestie si presentano
«a
un livello di realtà eterogeneo, oscuramente superiore rispetto al livello degli
uomini [...]. Gli animali protagonisti, sia di segno
positivo che negativo, si comportano secondo modalità sempre
sorprendenti, spesso umanamente inesplicabili. La loro azione preme sugli uomini
e sulla storia, ma è sempre sotto il controllo di Dio» [78
UGo vANNI,
op. cit.,
1988, p. 39]
La presenza
dell’animale nell’Apocalisse ci dice che la storia sta vivendo un complesso di
forze in atto che si scontrano e rispetto alle quali l’uomo non può far nulla,
se non affidarsi a Dio, il solo capace di dominarle.
L’animale inviato
da Dio, l’agnello, il più mite di essi, vincerà gli
altri animali e sarà l’unico a non scomparire, anzi ad entrare come sposo e re,
nella Gerusalemme Celeste.
Senza dubbio la
massiccia presenza del mondo animale nell’Apocalisse costituisce per
l’illustratore incisore uno dei punti di maggior fascino di
questo testo. Ritraendo queste bestie egli si riallaccia al genere figurativo
dei “bestiari” che così grande fortuna ha avuto
presso l’arte incisoria; non solo, l’illustratore può sbizzarrirsi liberando le
sue interne pulsioni, dando libero sfogo a quelle forze che dominano il suo
spirito come quello di ogni altro uomo.
Accostiamo ora il
“simbolismo antropologico” che si attua quando «i
vari elementi riguardanti l’uomo subiscono quello spostamento di identità tipico
del simbolo» [Ibidern,
p. 42]
L’uomo, con tutta
la sua complessa vita, nella gioia e nel dolore, in festa o al lavoro, è
presente nell’Apocalisse. Ma, in ogni ambito del suo vivere, su di lui
viene operato uno spostamento di significato in
direzione dì un superamento escatologico.
«L’autore,
attento all’uomo e a tutto il quadro che lo riguarda, lo vede e lo sente, senza
farsi mai illusioni nei suoi riguardi e senza accettare i
suoi limiti, nella completezza che raggiungerà. C’è un più, un meglio che
preme e incalza, passando per tutti i dettagli del quadro antropologico» [80
Ibidern,
p. 49.]
La veste
dell’uomo è il suo modo di essere, spiritualmente e moralmente davanti agli
altri; la donna è la prostituta, il popoio che
tradisce Dio, ma anche la sposa fedele dell’agnello; la città è l’ambito in cui
l’uomo vive orgoglioso nel suo peccato (Babilonia), ma
è anche il luogo dell’abbraccio con il Signore (Gerusalemme Celeste).
E così i particolari del corpo umano: i denti, i capelli, la
voce. Particolari fisici ma anche altrettante forze
che si sprigionano dall’uomo verso Dio. Come i gesti: l’atto di mangiare
è anche l’atto del coinvolgimento totale con la
realtà ingoiata.
Abbiamo parlato,
nel paragrafo precedente, di centralità strutturale della figura
di Gesù Cristo nell’Apocalisse; a questa centralità,
come il ricco simbolismo antropologico ci dimostra, segue, diretta conseguenza,
la centralità dell’uomo. L’illustrazione dell’Apocalisse è dunque
rappresentazione della vicenda umana.
“Simbolismo
cromatico” e “simbolismo numerico” si accompagnano
nell’Apocalisse agli altri simbolismi, specificandoli.
I colori
dell’Apocalisse sono soprattutto il bianco, il rosso,
il verde e il nero. Questi quattro colori ricorrenti sono anche quelli dei
quattro cavalli di Apocalisse, presentati al capitolo
sesto, nell’atto di de-sigillazione dei primi quattro sigilli; si evince da ciò
quanto l’aspetto del “simbolismo cromatico” sia accompagnato, quasi
simbioticamente con il già nominato “simbolismo
teriomorfo”.
Se in questo lavoro trattassimo
dell’illustrazione pittorica del testo dovremmo dare
certamente grande spazio all’analisi di questo simbolismo.
Comunque anche in uno studio dell’illustrazione incisoria è significativo
fare alcune osservazioni. Il bianco, di gran lunga la
nota cromatica predominante, è il colore della trascendenza: ciò significa che
l’Apocalisse è il libro della Resurrezione di Cristo, della luce.
Solo secondariamente vengono il rosso, il colore della
crudeltà e della potenza, della lotta; il verde, il colore che esprime la
caducità del mondo naturale; il nero, l’assenza di luce e di bene, il tono
oscuro della storia. I numeri nell’Apocalisse sono sempre simbolici:
«Essi hanno
tutti valore simbolico e sarebbe tempo sprecato
perdersi a loro riguardo in calcoli aritmetici. Il numero tre ha evidentemente
un carattere divino; il quattro, che richiama i quattro angoli della terra o i
quattro venti del cielo, avrà spesso un significato cosmico; il sette indica una
pienezza o una perfezione e poiché contiene il tre e il quattro, che
hanno un significato particolare, l’Autore si
compiacerà di dividere i suoi settenari in due serie rispettivamente composte di
tre e di quattro numeri. [...] Anche il dodici indica una pienezza e pare
sia adoperato dal nostro autore particolarmente per
indicare la Chiesa» [81H.MFÉRETOPCit., p25.]
Nella terza parte del capitolo dedicato alla
simbologia dell’Apocalisse, il Vanni tratta delle varie immagini allegoriche non
più prese singolarmente ma collocate in una struttura: di volta in volta
infatti sono le complesse, e spesso surrealistiche combinazioni tra i
vari simboli, ad indicare il significato dei diversi quadri.
Non vi è un’unica forma di struttura simbolica
nell’Apocalisse.
Si presentano casi in cui,
una volta individuato il significato simbolico dei singoli elementi,
questi possono, collegati fra loro, fornire una narrazione compatta e lineare.
Altre volte invece la struttura simbolica del discorso si produce a strappi.
«L’autore non si
preoccupa, più di quanto si siano preoccupati i suoi
precursori giudei, della coerenza delle immagini o delle similitudini che
adopera. Voler cercare questa coerenza sarebbe vano, come il voler calcolare le
proporzioni espresse dai numeri. La stessa realtà o lo
stesso insegnamento potrà essere espresso con due metafore, talora a
breve distanza l’una dall’altra ma che non hanno nessuna relazione tra loro» [Ibem,
p. 26].
Concorde con il
Féret il Vanni, che
comunque non estende questo tipo di strutturazione a tutta l’Apocalisse,
denomina tale impianto simbolico «struttura a ritmo spezzato» e la considera la
più connaturale allo stile dell’autore apocalittico.
«Si ha un
accumulo di simboli tutti dotati di una grande
capacità evocativa, ma che potremmo chiamare “allo stato grezzo”. Ciascuno di
essi deve essere decodificato ed elaborato. Tra l’uno
e l’altro, data la discontinuità fantastica che presentano, ci sono degli spazi
vuoti: si richiede l’interpretazione che media e li riempie. Si richiede anche
che, non appena un elemento simbolico è stato interpretato, sia messo in
disparte, lasciando nella mente uno spazio disponibile che accolga l’altro
materiale che verrà» [ UGO VANNI, op.
cit., 1988,
p. 58].
Se
è già difficile seguir questa linea metodologica in una lettura esegetica del
testo (cogliendo anche l’invito del Féret:
«Non cerchiamo
dunque la coerenza sul piano delle immagini ma su quello delle idee e degli
insegnamenti che esse esprimono!» [H. M. FÉRET,
op. cit.,
p. 27.]
quanto
più difficile è per un illustratore organizzare questo materiale simbolico in
strutture grafiche, che comunichino il reale significato della pagina
apocalittica, quando le varie immagini sembrano contraddirsi a vicenda. È vero
che, si pensi all’arte surrealista del
xx secolo, ciò che rende affascinante un’opera
simbolista è proprio l’apparente incongruenza dei vari particolari rispetto
all’insieme del quadro o l’allusiva estraneità degli accostamenti.
Ma, se l’illustratore vuole rendere il reale significato
teologico del testo, non può abbandonarsi a briglia sciolta a tali inebrianti
legami onirici; potrà certo servirsene, proprio per rendere chiaro che si tratta
di una raffigurazione simbolica, metafisica, trascendente; ma dovrà anche
vigilare per riportare tutto questo complesso mondo allegorico al significato
teologico che l’autore dell’Apocalisse ha inteso comunicare.
La sfida a
strutturare l’immagine, attraverso complesse
figurazioni simboliche, capaci di comunicare il significato globale del testo,
senza tralasciare la ricchezza allucinata e contrastante di tutti i simboli
presenti, pensiamo sia ciò che ha spinto, più di ogni altra motivazione, gli
artisti a volersi cimentare nell’illustrazione dell’Apocalisse.
Note conclusive
Apprendiamo dalla
“storia dell’esegesi dell’Apocalisse” che questo testo è stato interpretato in
tanti modi diversi, secondo differenti chiavi di lettura. Oggi da tutte queste
letture cogliamo alcuni punti fondamentali per una corretta esegesi del libro:
l’Apocalisse è rivelazione di Gesù alla Chiesa per tutta la storia, non è
profezia di eventi precisi ma comprensione teologica
di ogni evento umano.
Dall’esame della “struttura dell’Apocalisse”
ricaviamo l’idea di un testo architettonicamente
complesso, difficilmente organizzato in una strutturazione chiara e ben
delimitata, ma nello stesso tempo per nulla casuale nel suo svolgersi.
Rivelazione di Gesù, tramite Giovanni, alla Chiesa, la struttura dell’Apocalisse
è dialogica. È anche testo compatto e unitario. Tutto il libro
è ricapitolato nel primo settenario (quello delle lettere):
i settenari seguenti, strettamente concatenati tra loro, ne sono lo
sviluppo. Prologo ed Epilogo delimitano il testo nella sua inviolabile
compiutezza.
Dalla “simbologia dell’Apocalisse” riceviamo la
conferma che il testo è storia umana letta come segno: la sua comprensione è
Cristo. Il simbolismo dell’Apocalisse ci dice che questo libro esige
coinvolgimento personale per essere compreso e che, in sé oscuro, può essere
decodificato da chi, in ogni tempo, lo rilegge incarnandolo nella propria
storia.
Da questi tre punti deduciamo anche alcune
fondamentali indicazioni per l’illustrazione dell’Apocalisse.
Al centro dell’illustrazione deve sorgere
chiara la presenza di Cristo, fulcro della vicenda. Ogni altro motivo, per
quanto accattivante, non può usurparne il titolo.
L’illustrazione, pur divisa in tavole, deve
dare l’impressione di unitarietà; lo sviluppo da
tavola a tavola più che aggiungere temi nuovi dovrà approfondire il tema
principale, la signoria di Dio sulla storia.
L’illustrazione
dell’Apocalisse, parola di Cristo alla Chiesa, cercherà di rendere la struttura
dialogica del testo attraverso contrapposizioni di piani e di linee,
contrappunto di chiari e scuri, o altri espedienti
compositivi. L’illustrazione dell’Apocalisse sarà infine opera d’arte
simbolica e in ogni modo, con qualsiasi mezzo, l’immagine grafica dovrà rendere
l’idea che la visione della tavola non è visione solo fisica o solo
storica, ma metafisica e
metastorica.
Per raggiungere
il suo scopo l’illustratore incisore ha mezzi
limitati, all’apparenza persino troppo poveri: egli si esprime con due sole note
cromatiche, il bianco ed il nero; egli è inoltre obbligato a suddividere il
proprio racconto in un certo numero di tavole.
Per quanto
riguarda la povertà cromatica essa non permette certo
la resa del vasto simbolismo coloristico del libro. Può però essere funzionale
alla resa della struttura dialogica dell’Apocalisse e alla rappresentazione
dello scontro tra bene e male, luce e tenebra, grande
tema del libro.
La suddivisione
dell’opera incisoria in tavole è svantaggiata, rispetto all’opera filmica, o al
risultato di una serie di affreschi, per quanto
riguarda la rappresentazione unitaria del magmatico fluire del racconto
apocalittico. Tale svantaggio è però in parte compensato
dal fatto che la narrazione dell’Apocalisse si produce “a strappi” e quindi, se
sapientemente congegnate, le varie tavole possono rendere il contorto e
drammatico sviluppo della vicenda che, torniamo a ripetere, è approfondimento
del nucleo iniziale e non attesa di successivi, estranei, eventi.
Legate al libro,
queste tavole, sono inoltre perfettamente in linea con quel carattere di
scrittura, cui l’uso del segno grafico e dell’inchiostro le
consegna; sono quindi in linea col testo: «L’Apocalisse è un libro da
leggersi» [Ugo Vanni,
op. cit.,
1980, p. 115] ice
infatti il Vanni, mettendo in luce tutta la «“libertà” — per così dire —
dell’opera» [Ibidern
].
Fonte : scritti del prof. Alessio Varisco , Técne Art Studio , sito web www.alessiovarisco.it .
Fonte foto : http://www.apocalipsis.org/artwork/durer.html
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