giovedì 25 luglio 2019

Lo "Zoomorfismo" in Apocalisse , simbolica per l'esegesi, di Alessio Varisco



Lo "Zoomorfismo" in Apocalisse , simbolica per l'esegesi
di Alessio Varisco
 

 

Albrecht Durer - I quattro cavalieri dell'Apocalisse
 
Non me ne vogliano i docenti di lettere antiche, ma in ambito esegetico si analizzano determinati aspetti della simbolica che nel settore analitico dell’Apocalisse si definisce “simbolismo teriomorfo”. Lo studio di questo risvolto dello scritto giovanneo è estremamente ricco di significati che aiutano a comprendere la “Rivelazione di Gesù Cristo”, meglio conosciuta dai più “Apocalisse di San Giovanni Evangelista”.
Il testo è letteralmente popolato da innumerevoli animali: animali domestici o feroci, reali o chimerici, animali volanti, camminanti, striscianti sulla terra o viventi nel fondo delle acque e che rimandano a scenari veterotestamentari (si pensi allo Sheol).
«È un quadro impressionante per la sua vastità che non trova riscontro, neppure lontanamente in nessun scritto del Nuovo Testamento» [Ugo Vanni, Apocalisse, 1988, p.38]
Orbene in Apocalisse gli animali desiderano manifestare i recessi della realtà.
«Prescindendo dal significato dei singoli animali, l’animale rappresenta generalmente come archetipo la profondità dell’inconscio e dell’istinto, inoltre le forze cosmiche materiali e spirituali. Gli animali toccano i tre piani dell’universo: inferno, terra e cielo» [GERD HEINZ-MOHR, op. cit., p. 44.]
A tratti possiamo notare che gli animali nel contesto dell’Apocalisse si comportano come le persone. Addirittura come individui che paiono avere un dominio sull’uomo: lo combattono, lo intimano, , lo perseguitano. Mentre «nella Bibbia gli animali sono subordinati all’uomo che dà loro un nome e con questo autentica la sua pretesa a dominarli» [Gerd Heinz Mohr, op cit., p.45], qui si verifica l’opposto. Qui le bestie si presentano
«a un livello di realtà eterogeneo, oscuramente superiore rispetto al livello degli uomini [...]. Gli animali protagonisti, sia di segno positivo che negativo, si comportano secondo modalità sempre sorprendenti, spesso umanamente inesplicabili. La loro azione preme sugli uomini e sulla storia, ma è sempre sotto il controllo di Dio» [78 UGo vANNI, op. cit., 1988, p. 39]
 
La presenza dell’animale nell’Apocalisse ci dice che la storia sta vivendo un complesso di forze in atto che si scontrano e rispetto alle quali l’uomo non può far nulla, se non affidarsi a Dio, il solo capace di dominarle.
L’animale inviato da Dio, l’agnello, il più mite di essi, vincerà gli altri animali e sarà l’unico a non scomparire, anzi ad entrare come sposo e re, nella Gerusalemme Celeste.
Senza dubbio la massiccia presenza del mondo animale nell’Apocalisse costituisce per l’illustratore incisore uno dei punti di maggior fascino di questo testo. Ritraendo queste bestie egli si riallaccia al genere figurativo dei “bestiari” che così grande fortuna ha avuto presso l’arte incisoria; non solo, l’illustratore può sbizzarrirsi liberando le sue interne pulsioni, dando libero sfogo a quelle forze che dominano il suo spirito come quello di ogni altro uomo.
Accostiamo ora il “simbolismo antropologico” che si attua quando «i vari elementi riguardanti l’uomo subiscono quello spostamento di identità tipico del simbolo» [Ibidern, p. 42]
L’uomo, con tutta la sua complessa vita, nella gioia e nel dolore, in festa o al lavoro, è presente nell’Apocalisse. Ma, in ogni ambito del suo vivere, su di lui viene operato uno spostamento di significato in direzione dì un superamento escatologico.
«L’autore, attento all’uomo e a tutto il quadro che lo riguarda, lo vede e lo sente, senza farsi mai illusioni nei suoi riguardi e senza accettare i suoi limiti, nella completezza che raggiungerà. C’è un più, un meglio che preme e incalza, passando per tutti i dettagli del quadro antropologico» [80 Ibidern, p. 49.]
La veste dell’uomo è il suo modo di essere, spiritualmente e moralmente davanti agli altri; la donna è la prostituta, il popoio che tradisce Dio, ma anche la sposa fedele dell’agnello; la città è l’ambito in cui l’uomo vive orgoglioso nel suo peccato (Babilonia), ma è anche il luogo dell’abbraccio con il Signore (Gerusalemme Celeste). E così i particolari del corpo umano: i denti, i capelli, la voce. Particolari fisici ma anche altrettante forze che si sprigionano dall’uomo verso Dio. Come i gesti: l’atto di mangiare è anche l’atto del coinvolgimento totale con la realtà ingoiata.
Abbiamo parlato, nel paragrafo precedente, di centralità strutturale della figura di Gesù Cristo nell’Apocalisse; a questa centralità, come il ricco simbolismo antropologico ci dimostra, segue, diretta conseguenza, la centralità dell’uomo. L’illustrazione dell’Apocalisse è dunque rappresentazione della vicenda umana.
“Simbolismo cromatico” e “simbolismo numerico” si accompagnano nell’Apocalisse agli altri simbolismi, specificandoli.
I colori dell’Apocalisse sono soprattutto il bianco, il rosso, il verde e il nero. Questi quattro colori ricorrenti sono anche quelli dei quattro cavalli di Apocalisse, presentati al capitolo sesto, nell’atto di de-sigillazione dei primi quattro sigilli; si evince da ciò quanto l’aspetto del “simbolismo cromatico” sia accompagnato, quasi simbioticamente con il già nominato “simbolismo teriomorfo”.
 
Se in questo lavoro trattassimo dell’illustrazione pittorica del testo dovremmo dare certamente grande spazio all’analisi di questo simbolismo. Comunque anche in uno studio dell’illustrazione incisoria è significativo fare alcune osservazioni. Il bianco, di gran lunga la nota cromatica predominante, è il colore della trascendenza: ciò significa che l’Apocalisse è il libro della Resurrezione di Cristo, della luce. Solo secondariamente vengono il rosso, il colore della crudeltà e della potenza, della lotta; il verde, il colore che esprime la caducità del mondo naturale; il nero, l’assenza di luce e di bene, il tono oscuro della storia. I numeri nell’Apocalisse sono sempre simbolici:
«Essi hanno tutti valore simbolico e sarebbe tempo sprecato perdersi a loro riguardo in calcoli aritmetici. Il numero tre ha evidentemente un carattere divino; il quattro, che richiama i quattro angoli della terra o i quattro venti del cielo, avrà spesso un significato cosmico; il sette indica una pienezza o una perfezione e poiché contiene il tre e il quattro, che hanno un significato particolare, l’Autore si compiacerà di dividere i suoi settenari in due serie rispettivamente composte di tre e di quattro numeri. [...] Anche il dodici indica una pienezza e pare sia adoperato dal nostro autore particolarmente per indicare la Chiesa» [81H.MFÉRETOPCit., p25.]
Nella terza parte del capitolo dedicato alla simbologia dell’Apocalisse, il Vanni tratta delle varie immagini allegoriche non più prese singolarmente ma collocate in una struttura: di volta in volta infatti sono le complesse, e spesso surrealistiche combinazioni tra i vari simboli, ad indicare il significato dei diversi quadri.
Non vi è un’unica forma di struttura simbolica nell’Apocalisse.
Si presentano casi in cui, una volta individuato il significato simbolico dei singoli elementi, questi possono, collegati fra loro, fornire una narrazione compatta e lineare. Altre volte invece la struttura simbolica del discorso si produce a strappi.
«L’autore non si preoccupa, più di quanto si siano preoccupati i suoi precursori giudei, della coerenza delle immagini o delle similitudini che adopera. Voler cercare questa coerenza sarebbe vano, come il voler calcolare le proporzioni espresse dai numeri. La stessa realtà o lo stesso insegnamento potrà essere espresso con due metafore, talora a breve distanza l’una dall’altra ma che non hanno nessuna relazione tra loro» [Ibem, p. 26].
Concorde con il Féret il Vanni, che comunque non estende questo tipo di strutturazione a tutta l’Apocalisse, denomina tale impianto simbolico «struttura a ritmo spezzato» e la considera la più connaturale allo stile dell’autore apocalittico.
«Si ha un accumulo di simboli tutti dotati di una grande capacità evocativa, ma che potremmo chiamare “allo stato grezzo”. Ciascuno di essi deve essere decodificato ed elaborato. Tra l’uno e l’altro, data la discontinuità fantastica che presentano, ci sono degli spazi vuoti: si richiede l’interpretazione che media e li riempie. Si richiede anche che, non appena un elemento simbolico è stato interpretato, sia messo in disparte, lasciando nella mente uno spazio disponibile che accolga l’altro materiale che verrà» [ UGO VANNI, op. cit., 1988, p. 58].
Se è già difficile seguir questa linea metodologica in una lettura esegetica del testo (cogliendo anche l’invito del Féret:
«Non cerchiamo dunque la coerenza sul piano delle immagini ma su quello delle idee e degli insegnamenti che esse esprimono!» [H. M. FÉRET, op. cit., p. 27.]
quanto più difficile è per un illustratore organizzare questo materiale simbolico in strutture grafiche, che comunichino il reale significato della pagina apocalittica, quando le varie immagini sembrano contraddirsi a vicenda. È vero che, si pensi all’arte surrealista del xx secolo, ciò che rende affascinante un’opera simbolista è proprio l’apparente incongruenza dei vari particolari rispetto all’insieme del quadro o l’allusiva estraneità degli accostamenti. Ma, se l’illustratore vuole rendere il reale significato teologico del testo, non può abbandonarsi a briglia sciolta a tali inebrianti legami onirici; potrà certo servirsene, proprio per rendere chiaro che si tratta di una raffigurazione simbolica, metafisica, trascendente; ma dovrà anche vigilare per riportare tutto questo complesso mondo allegorico al significato teologico che l’autore dell’Apocalisse ha inteso comunicare.
La sfida a strutturare l’immagine, attraverso complesse figurazioni simboliche, capaci di comunicare il significato globale del testo, senza tralasciare la ricchezza allucinata e contrastante di tutti i simboli presenti, pensiamo sia ciò che ha spinto, più di ogni altra motivazione, gli artisti a volersi cimentare nell’illustrazione dell’Apocalisse.

 

Note conclusive
Apprendiamo dalla “storia dell’esegesi dell’Apocalisse” che questo testo è stato interpretato in tanti modi diversi, secondo differenti chiavi di lettura. Oggi da tutte queste letture cogliamo alcuni punti fondamentali per una corretta esegesi del libro: l’Apocalisse è rivelazione di Gesù alla Chiesa per tutta la storia, non è profezia di eventi precisi ma comprensione teologica di ogni evento umano.
Dall’esame della “struttura dell’Apocalisse” ricaviamo l’idea di un testo architettonicamente complesso, difficilmente organizzato in una strutturazione chiara e ben delimitata, ma nello stesso tempo per nulla casuale nel suo svolgersi. Rivelazione di Gesù, tramite Giovanni, alla Chiesa, la struttura dell’Apocalisse è dialogica. È anche testo compatto e unitario. Tutto il libro è ricapitolato nel primo settenario (quello delle lettere): i settenari seguenti, strettamente concatenati tra loro, ne sono lo sviluppo. Prologo ed Epilogo delimitano il testo nella sua inviolabile compiutezza.
Dalla “simbologia dell’Apocalisse” riceviamo la conferma che il testo è storia umana letta come segno: la sua comprensione è Cristo. Il simbolismo dell’Apocalisse ci dice che questo libro esige coinvolgimento personale per essere compreso e che, in sé oscuro, può essere decodificato da chi, in ogni tempo, lo rilegge incarnandolo nella propria storia.
Da questi tre punti deduciamo anche alcune fondamentali indicazioni per l’illustrazione dell’Apocalisse.
Al centro dell’illustrazione deve sorgere chiara la presenza di Cristo, fulcro della vicenda. Ogni altro motivo, per quanto accattivante, non può usurparne il titolo.
L’illustrazione, pur divisa in tavole, deve dare l’impressione di unitarietà; lo sviluppo da tavola a tavola più che aggiungere temi nuovi dovrà approfondire il tema principale, la signoria di Dio sulla storia.
L’illustrazione dell’Apocalisse, parola di Cristo alla Chiesa, cercherà di rendere la struttura dialogica del testo attraverso contrapposizioni di piani e di linee, contrappunto di chiari e scuri, o altri espedienti compositivi. L’illustrazione dell’Apocalisse sarà infine opera d’arte simbolica e in ogni modo, con qualsiasi mezzo, l’immagine grafica dovrà rendere l’idea che la visione della tavola non è visione solo fisica o solo storica, ma metafisica e metastorica.
Per raggiungere il suo scopo l’illustratore incisore ha mezzi limitati, all’apparenza persino troppo poveri: egli si esprime con due sole note cromatiche, il bianco ed il nero; egli è inoltre obbligato a suddividere il proprio racconto in un certo numero di tavole.
Per quanto riguarda la povertà cromatica essa non permette certo la resa del vasto simbolismo coloristico del libro. Può però essere funzionale alla resa della struttura dialogica dell’Apocalisse e alla rappresentazione dello scontro tra bene e male, luce e tenebra, grande tema del libro.
La suddivisione dell’opera incisoria in tavole è svantaggiata, rispetto all’opera filmica, o al risultato di una serie di affreschi, per quanto riguarda la rappresentazione unitaria del magmatico fluire del racconto apocalittico. Tale svantaggio è però in parte compensato dal fatto che la narrazione dell’Apocalisse si produce “a strappi” e quindi, se sapientemente congegnate, le varie tavole possono rendere il contorto e drammatico sviluppo della vicenda che, torniamo a ripetere, è approfondimento del nucleo iniziale e non attesa di successivi, estranei, eventi.
Legate al libro, queste tavole, sono inoltre perfettamente in linea con quel carattere di scrittura, cui l’uso del segno grafico e dell’inchiostro le consegna; sono quindi in linea col testo: «L’Apocalisse è un libro da leggersi» [Ugo Vanni, op. cit., 1980, p. 115] ice infatti il Vanni, mettendo in luce tutta la «“libertà” — per così dire — dell’opera» [Ibidern ].


        



Fonte :   scritti del prof. Alessio Varisco , Técne Art Studio , sito web www.alessiovarisco.it .
Fonte foto :   http://www.apocalipsis.org/artwork/durer.html 








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