giovedì 25 luglio 2019

L'AGNELLO PASQUALE, di Padre Felice Artuso



L'AGNELLO  PASQUALE
di Padre Felice Artuso 
                           
 
 
 
(Es 12,1-14)
Nel periodo invernale i pastori interrompono gli spostamenti e li riprendono all’inizio della primavera. I pastori mediorientali compivano un rito sacrificale, quando intraprendevano la transumanza. Uccidevano un giovane agnello. Aspergevano gli stipiti delle tende con il suo sangue, per impedire agli spiriti maligni di avvicinarsi al loro accampamento. Supplicavano quindi gli dèi di rendere fecondo il loro gregge. Arrostivano infine l’agnello immolato e lo mangiavano in piedi con alcune erbe selvatiche e con una schiacciata di pane cotto su piastre di selce.
Prima di uscire dall'Egitto, Mosè ordina al suo popolo di ripetere il rito dei pastori. Prescrive che ogni capo famiglia al tramonto del sole prenda un agnello o un capretto primogenito senza difetto e nato nell’anno, lo sgozzi, asperga con il suo sangue gli stipiti esterni delle tende, lo arrostisca senza spezzargli alcun osso e ne mangi la carne in piedi.
Durante il cammino dell’esodo gli ebrei rinnovano annualmente il rito dei pastori, nel quale ricordano che Dio sta conducendoli con interventi prodigiosi verso la terra promessa: «Questo giorno sarà per voi il memoriale; lo celebrerete come festa del Signore di generazione in generazione, lo celebrerete come rito perenne» (Es 12,14). Insediatisi nella Palestina, commemorano familiarmente l’esodo dei loro padri e ringraziano Dio per averli riscattati dall’Egitto: «Il primo mese, il quattordicesimo giorno del mese, sull'imbrunire, sarà la Pasqua del Signore» (Lv 23,5).
Il re Ezechia conferisce un carattere nazionale al culto e invita i suoi sudditi a celebrare la Pasqua a Gerusalemme. Il tempio della Città santa diventa quindi il luogo dei sacrifici quotidiani (Es 29,39-56) e dell'incontro personale con Dio, misericordioso e fedele (Dt 12,2-12; 2 Cr 30,16-17; 35,11). Giosia, successore di Ezechia, obbliga tutti i connazionali a celebrare le feste nella capitale. Unisce inoltre la solennità pasquale alla festa degli azzimi d’origine cananea (Re 23,21-23; Dt 16,1-8). Gli adulti, vincolati alla legge del culto, osservano la sua disposizione. Negli orari prescritti partecipano alle preghiere liturgiche del tempio. Al crepuscolo si ritirano in una casa o in una tenda, dove commemorano i maggiori interventi salvifici di Dio e mangiano l’agnello.assieme alle erbe amare e al pane azzimo (Es 6,2-7; Dt 26,5-10).
Nel periodo della restaurazione dall’esilio babilonese e dall’ellenismo danno alla celebrazione pasquale una dimensione d’espiazione (Ez 45,21-23). I capi famiglia consegnano ai sacerdoti i primogeniti degli animali, perché li sacrifichino nel tempio e spargano il loro sangue sull'altare degli olocausti (Esd 6,19-20; Lv 7,1-2). Conferiscono alla cena pasquale un aspetto comunitario e gioioso. Ospitano i poveri e i forestieri circoncisi, che desiderano parteciparvi (Es 12,47-49). Eseguono un minuzioso rituale, composto da tante generazioni. Ornano la stanza conviviale e la tavola da pranzo con oggetti idonei al rito. Pranzano distesi sul pavimento, caratteristica delle persone libere. Leggono per intero il Cantico dei Cantici, poema che elogia l'amore di Dio per Israele. In tenuta di viaggio mangiano l'agnello con il pane azzimo, le erbe amare (sedano intinto nell'aceto), le uova, le lattughe, le patate, la macedonia e il succo di limone. Inseriscono nel pasto evocazioni, narrazioni, esortazioni, canti, ritornelli e preghiere. Rivivendo il loro passato, si proiettano verso gli ultimi tempi, in cui Dio imbandirà un banchetto per tutti i popoli (Is 25,6) e invierà il Messia che, accompagnato dal profeta Elia, assicurerà a tutti una vita più degna (Is 10,27;.40,1-2; Sir 36,10-13). Terminato il rito, chiedono a Dio che conceda loro di celebrare le altre feste annuali, di sperimentare un nuovo esodo spirituale, di risalire nuovamente a Gerusalemme e di rimanervi stabilmente.
L’agnello pasquale, immagine della giovinezza, docilità e innocenza, raffigura Gesù, messia paziente, affettuoso e mediatore di una nuova alleanza (Ger 11,19-20; Is 53,7-8). Giovanni Battista, lo vede, lo scruta e, illuminato dallo Spirito Santo, lo segnala ai suoi discepoli, dicendo: «Ecco l’Agnello di Dio… che toglie il peccato del mondo» (Gv 1,29). Attenendosi alla sua indicazione, alcuni di loro iniziano a seguirlo e ad intrattenersi con lui (Gv 1,30-34).
Nell’ultima cena egli commemora con suoi discepoli gli aspetti salienti della Pasqua ebraica. Sdraiato sui cuscini, si identifica con l’agnello pasquale ed istituisce l’Eucaristia, memoriale del suo esodo e pegno della salvezza universale (1 Cor 11,24). Il giorno seguente muore dissanguato, mentre nel tempio s'immolano gli agnelli pasquali (Gv 18,28). Si rivela il perfetto agnello prefigurato nel rito pasquale (Es 12, 46; Gv 19,36) e suggella la nuova alleanza.
Convinto che Gesù è il nuovo agnello pasquale, san Pietro scrive ai neofiti: «Voi siete stati riscattati mediante il sangue prezioso dell’Agnello senza difetto e senza macchia» (1 Pt 1,19). L'apostolo Paolo ricava quest’applicazione morale per la commemorazione pasquale: «Cristo nostra pasqua si è immolato! Celebriamo dunque la festa non con il lievito vecchio, né con il lievito di malizia e di perversità, ma con azzimi di sincerità e di verità» (1 Cor 5,7). L'Apocalisse procede oltre. Contempla Gesù, che come agnello immolato sta ritto presso Dio, mentre i redenti lo adorano e lo lodano per la sua opera redentrice: «Poi vidi ritto al trono circondato dai quattro esseri viventi e dai vegliardi un Agnello, come immolato… E prese il libro dalla destra di Colui che era seduto sul trono. E quando l’ebbe preso, i quattro esseri viventi e i ventiquattro vegliardi si prostrarono davanti all’Agnello» (Ap 5,6-8).
Nella veglia pasquale i primi cristiani si radunano nelle loro comunità, leggono il capitolo 12 dell'Esodo e lo applicano a Gesù, servo sofferente, glorioso e meta ultima dell’umanità (At 8,32-35).
I Padri della Chiesa sviluppano l’interpretazione tipologica, iniziata da Gesù e dai suoi discepoli. San Giustino, filosofo e teologo palestinese, scrive a questo proposito: «Ordunque, il mistero dell'agnello, che Dio ordinò di immolare come pasqua, era figura di Cristo… Il fatto che fosse ordinato che dovesse essere completamente arrostito era simbolo della passione di croce che Cristo doveva patire. Infatti l'agnello che viene arrostito si cuoce in una posizione simile alla forma di croce» . In un’omelia pasquale il vescovo, Melitone di Sardi, attesta che Gesù è «come agnello portato via, come un agnello sgozzato ci riscattò dalla schiavitù del mondo come da una terra di Egitto e ci strappò dal laccio del demonio come dalle mani del faraone e contrassegnò le nostre anime con il sigillo del suo spirito e le membra del nostro corpo con il sigillo del suo sangue. (Egli) è la pasqua della nostra salvezza fra tanti uomini soffrì tanti dolori. (Egli) è l’agnello muto, l’agnello sgozzato, il figlio di Maria, il grazioso agnello. Fu tolto dal branco, condotto a morte, a sera immolato e di notte sepolto. Non fu annientato sulla croce, non fu corrotto sotto terra, risuscitò dai morti e portò l'uomo dal profondo della terra nel più alto dei cieli» . In un sermone pasquale Proclo, vescovo di Costantinopoli, asserisce: «Là, si immola un agnello del gregge, secondo l’ordine della legge; qui il Cristo in persona si offre come agnello di Dio. Là, una bestia del gregge, qui non più un agnello, ma il buon pastore, che dà la vita per le sue pecore. Là, come segno, il sangue di una bestia è sparso sulle porte; qui, il sangue prezioso di Cristo cade perché il mondo sia sollevato ed ottenga il perdono dei peccati» .
Riflettendo sul senso etimologico della Pasqua, sant’Ambrogio deduce: «Che cosa è più importante del fatto che il popolo dei Giudei passò attraverso il mare, per parlare adesso del battesimo? Tuttavia i Giudei, che lo attraversarono, morirono tutti nel deserto. Invece, chi passa da questo fonte, cioè dalle cose terrene a quelle celesti - questo, infatti, è un passaggio, cioè la Pasqua, cioè il suo passaggio, il passaggio dal peccato alla vita, dalla colpa alla grazia, dall'impurità alla santificazione -, chi passa attraverso questo fonte non muore, ma risorge» . Sant'Agostino, più sintetico, afferma che la Pasqua è passaggio faticoso verso Dio. Gesù ha adempiuto il suo passaggio, ora deve adempierlo ogni credente: «Il Signore nostro Gesù Cristo ha già fatto la sua Pasqua: dove Pasqua significa passaggio. … Pasqua è un termine ebraico, e non significa passione, ma passaggio. Attraverso la passione infatti il Signore passò dalla morte alla vita, e a noi che crediamo nella sua risurrezione egli ha aperto la via per la quale anche noi passiamo dalla morte alla vita» .
La liturgia esplicita l’insegnamento della tradizione. Infatti, ai vesperi del martedì della Settimana Santa un inno orientale presenta questa lode al Signore: «Tu sei la nostra Pasqua, tu, immolato per tutti, come agnello e vittima e riscatto dei peccati, la tua divina passione noi esaltiamo, o Cristo, per tutti i secoli» . Nella sequenza pasquale del rito romano un solista proclama tra l’altro: «Alla vittima pasquale s’innalzi oggi il sacrificio di lode. L’Agnello ha redento il suo gregge, Cristo innocente ha riconciliato noi peccatori con il Padre» . Nel prefazio pasquale il presidente dell’Eucaristia attesta che Gesù «è il vero Agnello che ha tolto i peccati del mondo: è lui che morendo ha distrutto la morte e risorgendo ha dato a noi la vita» . Ad ogni messa prima della comunione sacramentale alza l’ostia ed acclama: «Ecco l'Agnello di Dio che toglie i peccati del mondo». L’assemblea a sua volta si prepara a ricevere il Signore con la triplice invocazione: «Agnello di Dio che togli i peccati del mondo, abbi pietà di noi». Canta inoltre nell'inno dei vesperi pasquali: «Mite agnello immolato, Cristo è la nostra Pasqua, il suo corpo adorabile è il vero pane azzimo» .
La prima arte cristiana conferma la teologia patristica. Rappresenta Gesù sofferente nell’immagine dell’agnello sgozzato, che ha una croce sul dorso o su un fianco. Nel 692 il Concilio di Tralli vieta questa raffigurazione simbolica, perché è compresa da pochi. Pertanto gli artisti sostituiscono gradualmente l’agnello immolato con la rappresentazione di Gesù crocifisso. 
 



 
 
 
 


Fonte : scritti e appunti di Padre Felice Artuso (religioso Passionista)








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