IL GIUSTO PERSEGUITATO NEL
LIBRO DELLA SAPIENZA
di Padre Felice Artuso
Il giusto perseguitato nel libro della Sapienza
(Sap 2,12-20; 5,1-7)
Intorno al 100 avanti Cristo un pio giudeo, residente in Alessandria d’Egitto,
scrive il libro della Sapienza. Adotta la lingua greca e il genere letterario
dell’oratoria classica. Dimostra di possedere una distinta concezione di Dio,
una precisa conoscenza della storia d’Israele, un’ampia cultura ellenistica e un
perspicace spirito di
osservazione. Dedica il suo scritto ai connazionali della diaspora che, lontani
dalla patria, sottovalutano l’importanza dell’elezione ad essere il popolo di
Dio, trasgrediscono la sua Legge, privilegiano gli interessi personali, ignorano
i diritti della minoranza e omettono di testimoniare la fede dei loro padri agli
stranieri. Denuncia il loro comune scetticismo sui fondamenti della rivelazione
divina, il quale genera una serie di intollerabili errori e di ripugnanti
atteggiamenti come l’intolleranza religiosa, l’apostasia, l’idolatria, la
ritualità magica, il malcostume, l’arroganza e il sarcasmo.
Riflettendo sulla storia dei
discendenti di Giacobbe, chiamato poi Israele, colui che combatte con Dio (Es
32,29), insegna ai suoi lettori che solo l’assidua fedeltà all'alleanza del
Sinai procura benessere e salvezza integrale, Afferma che Dio onnipotente,
sorgente d’ogni bene, ama le sue creature e specialmente il suo popolo. Si
rammarica, quando gli ebrei ignorano la sua Parola, lo abbandonano, si
allontanano da lui, si degradano e muoiono prematuramente . Seguendo la traccia
del quarto poema di Isaia (Is 53), elogia il giusto che si dichiara figlio di
Dio, osserva fedelmente l’alleanza divina, evoca agli empi l’elevatezza della
fede monoteistica e l’educazione morale, ricevuta fin dalla giovinezza; richiama
i valori della verità rivelata, raccomanda a tutti di astenersi dal male e
biasima la loro condotta idolatra (Sap 2,12-20). Osserva che il giusto con la
sua fedeltà all’alleanza inquieta e intimorisce i trasgressori della Legge; li
accusa di incoerenza, corruzione, protervia e opposizione al progetto salvifico
di Dio.
Non riuscendo a sopportare la presenza del giusto, dimorato di Dio, gli empi lo
calunniano e tentano di indurlo all’apostasia, ma non ottengono gli effetti
sperati. Troncano allora ogni rapporto con lui, lo condannano ad una morte
crudele e brigano di ridurlo ad un rigido cadavere, per dimostrare che la sua
fede in Dio salvatore è davvero illusoria: «Vediamo se le sue parole sono vere;
proviamo ciò che gli accadrà alla fine. Se il giusto è figlio di Dio, egli
l’assisterà, e lo libererà dalle mani dei suoi avversari» (Sap 2,17-18).
Perseguitato dagli empi, il giusto rinuncia alla legittima autodifesa. Lascia
che essi lo aggrediscano e gli tolgano la vita. Affronta il doloroso martirio,
confidando in Dio, che difende, libera dall’oscurità della morte e introduce
nella pace eterna. Il suo sereno atteggiamento di fronte all’imminente venuta
della morte li stupisce e confonde. Propugna a loro di pentirsi del proprio
peccato e di mutare condotta: «Allora il giusto starà con grande fiducia di
fronte a quanti lo hanno oppresso e a quanti hanno disprezzato le sue
sofferenze. Costoro vedendolo saranno presi da terribile spavento, saranno presi
da stupore per la sua salvezza inattesa» (Sap 5,1-2).
Gesù Cristo è dall'eternità perfetta immagine del Dio invisibile. Assieme al
Padre e allo Spirito progetta l'universo, lo crea, lo conserva nella sua
funzione e vi pone la sua dimora Possiede una completa conoscenza della volontà
di Dio. Racconta parabole in cui lascia trasparire la sua sapienza divina e la
sua comprensione per ogni minima sofferenza. Ai dubbiosi chiede di aprirsi a
Dio, di confidare nella sua benevola azione e di rendergli una convincente
testimonianza. Si autodefinisce "più di Salomone" (Mt 12,24), perché ha una
sapienza superiore a quella dei grandi dotti. Dichiara beati quelli che
ascoltano il suo annuncio e vi danno un’incondizionata adesione: «Beati i vostri
occhi perché vedono e i vostri orecchi perché sentono. In verità vi dico: molti
profeti e giusti hanno desiderato vedere ciò che voi vedete, e non lo videro, e
ascoltare ciò che voi ascoltate, e non l'udirono!» (Mt 13,16-17).
Vivendo da giusto, persevera nella fedeltà a Dio e nell’adempimento della sua
missione. Straniero e pellegrino infastidisce i malvagi, tuttavia non si ritrae
mai dal suo mandato. Durante la silenziosa agonia della croce subisce lo scherno
dei suoi oppositori e rivive la drammatica esperienza dei giusti della diaspora:
«Ha confidato in Dio; lo liberi lui ora, se gli vuol bene. Ha detto infatti
detto: Sono Figlio di Dio!» (Mt 27,43). Nella sofferenza unisce a sé i
perseguitati di tutti i tempi e nella risurrezione realizza le grandi promesse
divine. Testimonia che Dio difende il giusto, dimostra la radicale stoltezza
dell’orgoglio umano e proclama la sua vittoria sulle conseguenze del peccato.
Nella liturgia romana il testo che abbiamo presentato è inserito nella messa del
venerdì della IV settimana di Quaresima, perché esso è adatto ad introdurci nel
mistero della passione del Signore e ci ricorda che la storia di Gesù si ripete
in noi. Viviamo in un periodo di crisi fede, percepibile in tutti i settori
della vita religiosa e sociale. Siamo tentati di ignorare l’insegnamento
cristiano, ricevuto dall’infanzia. Tendiamo di uniformarci all’andazzo comune,
per evitare la persecuzione e il pericolo della morte violenta. La Chiesa
odierna ci esorta a riprendere l’ascolto della parola di Dio. Ci assoceremo
allora alla passione redentrice di Gesù Cristo, saremo sempre irreprensibili
nella nostra condotta, trasmetteremo la nostra fede agli altri, bisognosi di
essere orientati verso il destino finale della vita. A sua volta il Signore,
nostro difensore, ci proteggerà da ogni eventuale insidia e ci libererà dal
timore della morte, spesso raffigurata da un minaccioso scheletro allato che
regge una falce. Al termine del nostro pellegrinaggio terreno c’introdurrà
quindi nella gloria eterna.
Fonte : scritti e
appunti di Padre Felice Artuso (religioso Passionista)
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