giovedì 25 luglio 2019

LA SCALA DI GIACOBBE E LA CROCE , di Padre Felice Artuso



LA SCALA DI GIACOBBE E LA CROCE
di Padre Felice Artuso 
                           
 
 
 
Talora i fratelli litigano ad oltranza, se non si accordano sulla spartizione dell’eredità. La Bibbia racconta diverse contese tra fratelli. Giacobbe, figlio di Isacco è un giovane intelligente, astuto, egoista e sleale. Brama dominare Esaù, suo fratello primogenito, robusto ed abile cacciatore (Gn 25,22). Si dedica all’agricola, attività ritenuta migliore della cacciagione. Inventa uno stratagemma su consiglio di Rebecca, sua madre. Inganna Isacco, cieco, goloso e decrepito, per ottenere da lui la benedizione che spetta al primogenito (Gn 28,3). Conosciuto il furbesco trucco, Esaù s’infuria con il fratello (Gn 27,40). Comincia a odiarlo e decide di ucciderlo, per ristabilire il diritto della supremazia. Giacobbe se ne accorge. Alla prima luce del mattino fugge dalla casa paterna. Si dirige verso Carrai, dove spera di trovare una giovane, sposarla e avere da lei tanti figli (Gn 17-19). Arriva stanco e afflitto presso Luz, un villaggio del futuro regno di Samaria. Al tramonto del sole si distende su un terreno, dove i cananei venerano una loro divinità. Adagia la testa su una pietra e si addormenta. Durante il riposo sogna una scalinata, simile alle torri della Mesopotamia (Gn 11,4), che s’elevano maestose verso il cielo. Vede degli angeli, che senza sosta vi salgono e vi scendono. Ode anche un oracolo nel quale Dio gli rinnova la benedizione: «La tua discendenza sarà come polvere della terra e ti estenderai a occidente ed a oriente, a settentrione e a mezzogiorno. E saranno benedette per te e per la tua discendenza tutte le nazioni della terra. Ecco io sono con te e ti proteggerò dovunque tu andrai; poi ti farò ritornare in questo paese, perché non ti abbandonerò senza aver fatto quello che ho detto» (Gn 28,14-15).
Risvegliatosi, Giacobbe esamina il sogno notturno. Intuisce che Dio è sceso dal cielo e gli ha parlato per la prima volta. Riconosce che gli ha chiesto di rinunciare ai suoi atteggiamenti egoistici e di fidarsi maggiormente di lui. Pertanto qui erige la pietra, che gli era servita da cuscino. Ungendola con l’olio, la consacra, perché sia un perenne memoriale della rivelazione ricevuta. Muta poi il nome alla città di Luz e la chiama Betel, casa di Dio.
Giacobbe riprende il viaggio, giunge a Carrai presso lo zio Labano e vi trascorre alcuni anni. Ritorna quindi nella sua terra, dove si riconcilia con Esaù e a Betel costruisce un altare per offrire a Dio dei sacrifici (Gn 35,1-4). Betel, che dista pochi chilometri dall’odierna Ramallah, diviene un centro di culto dei patriarchi e un luogo di consultazione delle tribù ebraiche (Giud 20,18). Geroboamo, primo sovrano del regno del nord, vi edifica un tempio, colloca un vitello d’oro sopra il suo altare e costituisce una casta sacerdotale, destinata al culto (1 Re 12,28-33).
Gli ebrei, lontani da Gerusalemme, frequentano il tempio di Betel, dove adorano Dio e gli offrono sacrifici. Confondono tuttavia il Dio dei padri con la maggiore divinità dei cananei, figurata da un vitello. Senza accorgersi, praticano la vietata idolatria (Es 20,2-4) e il culto erotico, comune in tutti i templi dell’epoca.
I profeti condannano la loro defezione, causa di decadenza morale e sociale. Dichiarano che Betel è il tempio dell’obbrobrio, del peccato, della ribellione, dell’interesse egoistico e dell’ingiustizia. Distrutto nel periodo dell’invasione assira, raccomandano ai loro coetanei di recarsi nel tempio di Gerusalemme, dove il re Goisia ha centralizzato il culto, per conservare l’unità e l’integrità della fede .
Nel corso della storia la visione di Giacobbe ha avuto molteplici interpretazioni. L’autore del libro della Sapienza deduce che Dio dona a Giacobbe «la conoscenza delle cose sante» (Sap 10,10). I rabbini scorgono nella scala una figura del monte Sinai, dove Dio si rivela a Mosè e conferma la sua presenza nel mondo (Es 19,9). Vedono nella rampa su cui gli angeli salgono e scendono la prefigurazione dei sovrani, chiamati a mantenersi in una costante relazione con Dio e incaricati a governare con giustizia le nazioni del mondo.
Capostipite del nuovo popolo di Dio, Gesù s’identifica con la visione di Giacobbe. Lasciato il cielo, discende sulla terra, s’incarna nel grembo di Maria, annuncia agli uomini il Vangelo e promette ai suoi discepoli, che vedranno il compimento della sua missione salvifica: «Vedrete i cieli aperti e gli angeli salire e scendere sul Figlio dell’uomo» (Gv 1,51). Rivela a loro di essere la pietra angolare del nuovo edificio spirituale, l’Unto dallo Spirito Santo, l’incontro degli opposti e il luogo che unisce il cielo alla terra. In lui ebrei e pagani raggiungono Dio.
I Padri della Chiesa e i santi ravvisano nel sogno di Giacobbe un annuncio dell’incarnazione, della morte e della risurrezione di Gesù. Negli angeli che salgono e scendono sulla scala scorgono anche l’immagine dei cristiani, che lottano contro la potenza del male. Accostano perciò Betel al Calvario e le lampade mortuarie alla croce.
Ippolito di Roma, uno dei più antichi testimoni della tradizione occidentale, attesta che la croce «è mio angusto sentiero, mia strada stretta. È la scala di Giacobbe, la via degli angeli e alla cima si appoggia il Signore. Immenso come il firmamento il mio albero si innalza dalla terra al cielo e il suo tronco immortale si eleva fra cielo e terra» . San Zenone di Verona commenta: «La scala col suo nome proprio si chiama croce, perché per suo mezzo il Signore Gesù Cristo, operando e compiendo tutti i misteri, ha ricondotto Adamo al Padre ed ha aperto a tutti i suoi seguaci la strada verso il cielo» . Cromazio di Aquileia asserisce: «La scala fissata dalla terra al cielo è la croce di Cristo, mediante la quale ci è dato l’accesso al cielo. Su questa scala sono fissati molti gradini di virtù attraverso i quali ci eleviamo al cielo» . Sant’Agostino afferma che chi ascende sulla scala delle virtù si unisce alle perfezione di Dio, mentre chi vi discende, si separa da lui e regredisce nella vita interiore. San Leone Magno sostiene che il Verbo del Padre, assumendo la natura umana, è divenuto «la nostra scala, di modo che possiamo salire a lui per mezzo di lui stesso» . Osserva inoltre che «la passione di Cristo racchiude una significazione sacra ed efficace della nostra salvezza; e la potenza del Redentore trasformò gli attrezzi patibolari in una scala per salire alla gloria» .
San Benedetto abate vede nella scala di Giacobbe un’immagine della vita contemplativa e ascetica. Ritiene che chi discende sui gradini dell’umiltà, raggiunge Dio è esaltato da lui (Lc 14,11; 18,14). Scrive: «Fratelli miei, se vogliamo raggiungere la vetta più eccelsa dell’umiltà e arrivare rapidamente a quella glorificazione celeste, a cui si ascende attraverso l’umiliazione della vita presente, bisogna che con il nostro esercizio ascetico innalziamo la scala che apparve in sogno a Giacobbe e lungo la quale questi vide scendere e salire gli angeli. Non c’è dubbio che per noi quella discesa e quella salita possono essere interpretate solo nel senso che con la superbia si scende e con l’umiltà si sale» .
Nell’elogio al legno della croce san Paolino di Nola si rivolge a Dio e tra l’altro gli dice: «Sei diventato la scala su cui l’uomo sale al cielo» . San Giovanni Climaco, abate del monastero di Raihtu, situato nel centro della penisola del Sinai, pensa che le virtù cristiane rassomigliano alla scala sognata da Giacobbe. Esse distaccano dalla terra, elevano verso il cielo e conducono alla vetta del Paradiso. Chi se n’appropria, abbandona la vita licenziosa, si dedica alla contemplazione, sale sui gradini della perfezione, raggiunge la massima carità e s’incontra con Dio. Chi le trascura, si distacca da Dio, si abbandona ad una vita viziosa e fallisce nei suoi intenti .
Il francescano san Bonaventura vede nella scala di Giacobbe il simbolo della povertà che apre ai poveri e conforma a Gesù crocifisso ed esaltato . Il teologo ortodosso Cabasilas pensa che l’incarnazione costituisce una discesa per Gesù. Pertanto il suo abbassamento è il nostro punto di partenza, per ascendere alla vetta del cielo . Santa Caterina da Siena traccia il cammino ascensionale delle persone, che desiderano la perfezione e la piena comunione con Dio. Immagina che il corpo di Gesù formi da tre gradini e funga da ponte tra il cielo e la terra. Le persone, che si distaccano dal peccato, salgono nel primo gradino, dove ci sono i piedi trafitti di Gesù. Le persone, che praticano le virtù, arrivano al secondo gradino. Penetrano nel cuore squarciato di Gesù e partecipano del suo amore misericordioso. Le persone, che si nutrono alla mensa della Parola e dell'Eucaristia, giungono al terzo gradino, dove si trova la bocca di Gesù, amareggiata dal fiele e dall'aceto. Qui terminano la loro ascesa mistica, godono una pace inesprimibile e attendono di entrare nella beatitudine eterna . In una lettera Caterina scrive che Gesù le aveva comandato: «Lèvati su, figliola, lèvati sopra di te e sali in me. E acciò che tu possa salire Io t’ò fatta la scala, essendo chiavellato in croce» .
Santa Rosa da Lima, giovane mistica domenicana, proferisce quest’espressione, che è stata inserita nel Catechismo della Chiesa Cattolica: «Al di fuori della croce non vi è altra scala per salire al cielo» (CCC 618).
San Giovanni della Croce s'ispira alla scala di Giacobbe nel trattato sulla perfezione e sulla conformazione a Dio. San Francesco di Sales dà quest’indicazione ascetica: «Considera la scala di Giacobbe, che è il vero ritratto della vita devota: i due staggi, tra i quali si sale e nei quali sono incastrati gli scalini, rappresentano l'orazione che impetra l'amor di Dio ed i sacramenti che lo conferiscono; gli scalini non sono altro che i diversi gradi di carità per i quali si procede di virtù in virtù, sia discendendo a soccorrere ed a sollevare il prossimo, sia salendo con la contemplazione fino all'amorosa unione con Dio» .
Santa Bernardette Soubirous, giovane veggente di Lourdes, usa queste immagini nelle sue suppliche: «Croce del mio Salvatore, croce santa, croce adorabile, in voi sola io pongo la mia forza, la mia speranza e la mia gioia. Voi siete l’albero della vita, la scala misteriosa che unisce la terra al cielo e l’altare sul quale voglio sacrificarmi, morendo per Gesù» . 



 
 
 
 


Fonte : scritti e appunti di Padre Felice Artuso (religioso Passionista)







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