LA SCALA DI GIACOBBE E LA
CROCE
di Padre Felice Artuso
Talora i fratelli litigano ad oltranza, se non si
accordano sulla spartizione dell’eredità. La Bibbia racconta diverse contese tra
fratelli. Giacobbe, figlio di Isacco è un giovane intelligente, astuto, egoista
e sleale. Brama dominare Esaù, suo fratello primogenito, robusto ed abile
cacciatore (Gn 25,22). Si dedica all’agricola, attività ritenuta migliore della
cacciagione. Inventa uno stratagemma su consiglio di Rebecca, sua madre. Inganna
Isacco, cieco, goloso e decrepito, per ottenere da lui la benedizione che spetta
al primogenito (Gn 28,3). Conosciuto il furbesco trucco, Esaù s’infuria con il
fratello (Gn 27,40). Comincia a odiarlo e decide di ucciderlo, per ristabilire
il diritto della supremazia. Giacobbe se ne accorge. Alla prima luce del mattino
fugge dalla casa paterna. Si dirige verso Carrai, dove spera di trovare una
giovane, sposarla e avere da lei tanti figli (Gn 17-19). Arriva stanco e
afflitto presso Luz, un villaggio del futuro regno di Samaria. Al tramonto del
sole si distende su un terreno, dove i cananei venerano una loro divinità.
Adagia la testa su una pietra e si addormenta. Durante il riposo sogna una
scalinata, simile alle torri della Mesopotamia (Gn 11,4), che s’elevano maestose
verso il cielo. Vede degli angeli, che senza sosta vi salgono e vi scendono. Ode
anche un oracolo nel quale Dio gli rinnova la benedizione: «La tua discendenza
sarà come polvere della terra e ti estenderai a occidente ed a oriente, a
settentrione e a mezzogiorno. E saranno benedette per te e per la tua
discendenza tutte le nazioni della terra. Ecco io sono con te e ti proteggerò
dovunque tu andrai; poi ti farò ritornare in questo paese, perché non ti
abbandonerò senza aver fatto quello che ho detto» (Gn 28,14-15).
Risvegliatosi, Giacobbe esamina il sogno notturno. Intuisce che Dio è sceso dal
cielo e gli ha parlato per la prima volta. Riconosce che gli ha chiesto di
rinunciare ai suoi atteggiamenti egoistici e di fidarsi maggiormente di lui.
Pertanto qui erige la pietra, che gli era servita da cuscino. Ungendola con
l’olio, la consacra, perché sia un perenne memoriale della rivelazione ricevuta.
Muta poi il nome alla città di Luz e la chiama Betel, casa di Dio.
Giacobbe riprende il viaggio, giunge a Carrai presso lo zio Labano e vi
trascorre alcuni anni. Ritorna quindi nella sua terra, dove si riconcilia con
Esaù e a Betel costruisce un altare per offrire a Dio dei sacrifici (Gn 35,1-4).
Betel, che dista pochi chilometri dall’odierna Ramallah, diviene un centro di
culto dei patriarchi e un luogo di consultazione delle tribù ebraiche (Giud
20,18). Geroboamo, primo sovrano del regno del nord, vi edifica un tempio,
colloca un vitello d’oro sopra il suo altare e costituisce una casta
sacerdotale, destinata al culto (1 Re 12,28-33).
Gli ebrei, lontani da Gerusalemme, frequentano il tempio di Betel, dove adorano
Dio e gli offrono sacrifici. Confondono tuttavia il Dio dei padri con la
maggiore divinità dei cananei, figurata da un vitello. Senza accorgersi,
praticano la vietata idolatria (Es 20,2-4) e il culto erotico, comune in tutti i
templi dell’epoca.
I profeti condannano la loro defezione, causa di decadenza morale e sociale.
Dichiarano che Betel è il tempio dell’obbrobrio, del peccato, della ribellione,
dell’interesse egoistico e dell’ingiustizia. Distrutto nel periodo
dell’invasione assira, raccomandano ai loro coetanei di recarsi nel tempio di
Gerusalemme, dove il re Goisia ha centralizzato il culto, per conservare l’unità
e l’integrità della fede .
Nel corso della storia la visione di Giacobbe ha avuto molteplici
interpretazioni. L’autore del libro della Sapienza deduce che Dio dona a
Giacobbe «la conoscenza delle cose sante» (Sap 10,10). I rabbini scorgono nella
scala una figura del monte Sinai, dove Dio si rivela a Mosè e conferma la sua
presenza nel mondo (Es 19,9). Vedono nella rampa su cui gli angeli salgono e
scendono la prefigurazione dei sovrani, chiamati a mantenersi in una costante
relazione con Dio e incaricati a governare con giustizia le nazioni del mondo.
Capostipite del nuovo popolo di Dio, Gesù s’identifica con la visione di
Giacobbe. Lasciato il cielo, discende sulla terra, s’incarna nel grembo di
Maria, annuncia agli uomini il Vangelo e promette ai suoi discepoli, che
vedranno il compimento della sua missione salvifica: «Vedrete i cieli aperti e
gli angeli salire e scendere sul Figlio dell’uomo» (Gv 1,51). Rivela a loro di
essere la pietra angolare del nuovo edificio spirituale, l’Unto dallo Spirito
Santo, l’incontro degli opposti e il luogo che unisce il cielo alla terra. In
lui ebrei e pagani raggiungono Dio.
I Padri della Chiesa e i santi ravvisano nel sogno di Giacobbe un annuncio
dell’incarnazione, della morte e della risurrezione di Gesù. Negli angeli che
salgono e scendono sulla scala scorgono anche l’immagine dei cristiani, che
lottano contro la potenza del male. Accostano perciò Betel al Calvario e le
lampade mortuarie alla croce.
Ippolito di Roma, uno dei più antichi testimoni della tradizione occidentale,
attesta che la croce «è mio angusto sentiero, mia strada stretta. È la scala di
Giacobbe, la via degli angeli e alla cima si appoggia il Signore. Immenso come
il firmamento il mio albero si innalza dalla terra al cielo e il suo tronco
immortale si eleva fra cielo e terra» . San Zenone di Verona commenta: «La scala
col suo nome proprio si chiama croce, perché per suo mezzo il Signore Gesù
Cristo, operando e compiendo tutti i misteri, ha ricondotto Adamo al Padre ed ha
aperto a tutti i suoi seguaci la strada verso il cielo» . Cromazio di Aquileia
asserisce: «La scala fissata dalla terra al cielo è la croce di Cristo, mediante
la quale ci è dato l’accesso al cielo. Su questa scala sono fissati molti
gradini di virtù attraverso i quali ci eleviamo al cielo» . Sant’Agostino
afferma che chi ascende sulla scala delle virtù si unisce alle perfezione di
Dio, mentre chi vi discende, si separa da lui e regredisce nella vita interiore.
San Leone Magno sostiene che il Verbo del Padre, assumendo la natura umana, è
divenuto «la nostra scala, di modo che possiamo salire a lui per mezzo di lui
stesso» . Osserva inoltre che «la passione di Cristo racchiude una
significazione sacra ed efficace della nostra salvezza; e la potenza del
Redentore trasformò gli attrezzi patibolari in una scala per salire alla gloria»
.
San Benedetto abate vede nella scala di Giacobbe un’immagine della vita
contemplativa e ascetica. Ritiene che chi discende sui gradini dell’umiltà,
raggiunge Dio è esaltato da lui (Lc 14,11; 18,14). Scrive: «Fratelli miei, se
vogliamo raggiungere la vetta più eccelsa dell’umiltà e arrivare rapidamente a
quella glorificazione celeste, a cui si ascende attraverso l’umiliazione della
vita presente, bisogna che con il nostro esercizio ascetico innalziamo la scala
che apparve in sogno a Giacobbe e lungo la quale questi vide scendere e salire
gli angeli. Non c’è dubbio che per noi quella discesa e quella salita possono
essere interpretate solo nel senso che con la superbia si scende e con l’umiltà
si sale» .
Nell’elogio al legno della croce san Paolino di Nola si rivolge a Dio e tra
l’altro gli dice: «Sei diventato la scala su cui l’uomo sale al cielo» . San
Giovanni Climaco, abate del monastero di Raihtu, situato nel centro della
penisola del Sinai, pensa che le virtù cristiane rassomigliano alla scala
sognata da Giacobbe. Esse distaccano dalla terra, elevano verso il cielo e
conducono alla vetta del Paradiso. Chi se n’appropria, abbandona la vita
licenziosa, si dedica alla contemplazione, sale sui gradini della perfezione,
raggiunge la massima carità e s’incontra con Dio. Chi le trascura, si distacca
da Dio, si abbandona ad una vita viziosa e fallisce nei suoi intenti .
Il francescano san Bonaventura vede nella scala di Giacobbe il simbolo della
povertà che apre ai poveri e conforma a Gesù crocifisso ed esaltato . Il teologo
ortodosso Cabasilas pensa che l’incarnazione costituisce una discesa per Gesù.
Pertanto il suo abbassamento è il nostro punto di partenza, per ascendere alla
vetta del cielo . Santa Caterina da Siena traccia il cammino ascensionale delle
persone, che desiderano la perfezione e la piena comunione con Dio. Immagina che
il corpo di Gesù formi da tre gradini e funga da ponte tra il cielo e la terra.
Le persone, che si distaccano dal peccato, salgono nel primo gradino, dove ci
sono i piedi trafitti di Gesù. Le persone, che praticano le virtù, arrivano al
secondo gradino. Penetrano nel cuore squarciato di Gesù e partecipano del suo
amore misericordioso. Le persone, che si nutrono alla mensa della Parola e
dell'Eucaristia, giungono al terzo gradino, dove si trova la bocca di Gesù,
amareggiata dal fiele e dall'aceto. Qui terminano la loro ascesa mistica, godono
una pace inesprimibile e attendono di entrare nella beatitudine eterna . In una
lettera Caterina scrive che Gesù le aveva comandato: «Lèvati su, figliola,
lèvati sopra di te e sali in me. E acciò che tu possa salire Io t’ò fatta la
scala, essendo chiavellato in croce» .
Santa Rosa da Lima, giovane mistica domenicana, proferisce quest’espressione,
che è stata inserita nel Catechismo della Chiesa Cattolica: «Al di fuori della
croce non vi è altra scala per salire al cielo» (CCC 618).
San Giovanni della Croce s'ispira alla scala di
Giacobbe nel trattato sulla perfezione e sulla conformazione a Dio. San
Francesco di Sales dà quest’indicazione ascetica: «Considera la scala di
Giacobbe, che è il vero ritratto della vita devota: i due staggi, tra i quali si
sale e nei quali sono incastrati gli scalini, rappresentano l'orazione che
impetra l'amor di Dio ed i sacramenti che lo conferiscono; gli scalini non sono
altro che i diversi gradi di carità per i quali si procede di virtù in virtù,
sia discendendo a soccorrere ed a sollevare il prossimo, sia salendo con la
contemplazione fino all'amorosa unione con Dio» .
Santa Bernardette Soubirous, giovane veggente di
Lourdes, usa queste immagini nelle sue suppliche: «Croce del mio Salvatore,
croce santa, croce adorabile, in voi sola io pongo la mia forza, la mia speranza
e la mia gioia. Voi siete l’albero della vita, la scala misteriosa che unisce la
terra al cielo e l’altare sul quale voglio sacrificarmi, morendo per Gesù» .
Fonte : scritti e
appunti di Padre Felice Artuso (religioso Passionista)
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