giovedì 25 luglio 2019

GLI ACCENNI DELLE SOFFERENZE DI DIO PER I SUOI FIGLI , di Padre Felice Artuso



GLI ACCENNI DELLE SOFFERENZE DI DIO PER I SUOI FIGLI
di Padre Felice Artuso 
                           
 
 
 
 
 
1 La prima fase della storia salvifica

I filosofi avvertono che il linguaggio antropomorfico su Dio sminuisce le comuni cognizioni sulla sua misteriosa essenza. Osservano che esso fomenterebbe nei semplici degli atteggiamenti sconvenienti, superstiziosi e idolatri. Attestano che Dio, totalmente diverso da noi, è esente dalle passioni e dai sentimenti umani. Converrebbe quindi parlare di lui con un lessico più appropriato alla sua natura. I nostri ragionamenti e le nostre raffigurazioni su Dio dipendono ovviamente dalla rivelazione, che parla del Creatore con termini trascendenti e umani. Nella Bibbia egli si manifesta infatti all’umanità in una pluralità di forme e di iniziative. Palesa a qualsiasi di possedere una perfetta beatitudine. Sacrifica tuttavia se stesso, creando le meraviglie dell’universo e conservandole attive mediante il suo Santo Spirito (Sap.1,7). Prova sentimenti di collera, irritazione, ripugnanza e dispiacere, notando che gli uomini nelle tappe della loro storia peccano sempre più gravemente, attratti dai falsi miraggi. Vorrebbe castigarli severamente e sterminare tutta la creazione. «Eccelso tra le genti, eccelso sulla terra» (Sal 45,11), non li abbandona mai alla totale degradazione, dissipazione e rovina. Blocca bensì la diffusione del loro male. Nei suoi interventi si addossa le loro colpe, li compassiona, li perdona, li giustifica e li rende capaci di migliorarsi. Si prepara inoltre un ambiente, dove potrà insediarsi, stabilire un’alleanza con loro, vincolarli al suo amore misericordioso, costituirli suoi collaboratori, introdurli nella via della perfezione e attuare il suo progetto di definitiva salvezza (Gn 6,5-6).
Accetta i doni di Noè, figlio del sanguinario Lamech e inventore del vino che inebria (Gn 5,30; 9,20-21). Acconsente che costui gli eriga un altare, offra a lui gli olocausti e lo ringrazi per aver impedito che il nostro globo terrestre fosse completamente devastato dal diluvio (Gn 8,18-21). Risponde al suo ringraziamento, concedendogli la stessa benedizione, elargita ad Adamo e ad Eva (Gn 1,28). Costituisce quindi Noè, capostipite di una umanità feconda, dignitosa, dinamica e unita . Nei bellissimi colori dell’arcobaleno, che simboleggiano la piena intesa tra creatore e creatura, sancisce una perpetua alleanza con questo patriarca, con i suoi discendenti, con le future nazioni, con gli esseri viventi e con tutto il cosmo. Senza porre particolari condizioni, assicura di liberare gli uomini dalla violenza, di proteggerli, di introdurli ad un cammino di conversione a lui e di progressiva elevazione spirituale. Nella stabilità dell’ordine e degli episodi naturali li prepara alle successive alleanze che culmineranno con gli straordinari eventi dell’Incarnazione e della Pasqua del Figlio prediletto.
I discendenti di Noé sperimentano che Dio li ama, li accompagna incessantemente, li induce ad osservare un codice etico, li redime dalle loro caducità, li prepara ad un’indelebile beatitudine e trae sempre il bene dal male. Imparano a rendere abitabile il creato, a impedire che ritorni nel caos, a ripopolarlo, a perfezionare la qualità della loro vita, ad apprezzare le alleanze successive e ad accogliere con gratitudine i suoi interventi (Gn 9,8-17; Sir 44,17-18). Non sempre obbediscono alle sue norme etiche, né corrispondono i suoi benefici. Anzi ripetono sovente lo stesso errore di Adamo ed Eva. Escludono Dio da se stessi, immaginando che senza di lui possono affermarsi, realizzarsi, farsi un nome, procurarsi il benessere e assicurarsi una vita paradisiaca. Compiono i peccati che si chiamano prepotenza, orgoglio e autosufficienza. Senza accorgersi diventano ipocriti, tiranni, oppressori e omicidi. Perdono la capacità di comprendersi, di amarsi e di collaborare. Falliscono completamente nei loro progetti e aspirazioni (Gn 11,1-9). Introducono modi di vivere in cui non si intendono più, si differenziano e si oppongono a vicenda. Sperimentano tuttavia, che Dio nell’eccelsa sede dall’universo, li scruta attentamente e domina su di loro . Potrebbe limitare la sua pazienza e castigarli, ma rispetta ancora la loro libertà e le loro scelte. Elargisce dunque a tutti comprensione, compassione e misericordia. Grande nell’amore, non smette mai di accondiscendere ai loro bisogni, di aiutarli e di attirarli a sé .



2 La prima fase della storia salvifica

Dio infonde negli uomini il desiderio di conferire un senso alle loro opere e alla loro vita quotidiana. Resta parzialmente presente a loro, divisi e lontani gli uni dagli altri per aver molto peccato. Tramite la sua presenza li conduce gradualmente ad un cambiamento, ad uno sviluppo progressivo e a una realizzazione, che avrà il suo culmine alla fine dei secoli. Concentra maggiormente la sua azione su alcune persone, rivelandosi ad Abramo e ai suoi numerosi discendenti. Promette a loro di benedirli, di proteggerli, di riempirli di ogni bene e di attendere un confortevole futuro (Gn 15,1-5; 35,10-12). Entrato nella loro storia, manifesta a Mosè la sua infinita trascendenza e la sua attiva presenza (Es 3,14). Guarda gli ebrei schiavizzati, maltrattati, afflitti, umiliati e in attesa di essere redenti dal male (Gn 50,24). Ascolta le loro insistenti implorazioni, condivide le loro svariate sofferenze (Sal 34,19).
Adattandosi alla mentalità pagana, che coglie il passaggio delle divinità nei potenti fenomeni della natura, offre a loro molteplici segni del suo incessante dinamismo. Si manifesta particolarmente ai poveri fuggiaschi nel segno della nube diurna, del fuoco notturna, del vento impetuoso, del tuono scrollante e del silenzio impressionante . Sulle aride pendici del Sinai statuisce con loro un’alleanza, perché, osservandola, mantengano la loro identità, vivano nella libertà dal male e si santifichino (Es 20,1-17). Per un breve periodo sosta alla porta della tenda del convegno e sotto i due cherubini, che sormontano gli estremi dell’arca dell’alleanza . Favorisce con interventi opportuni per il loro insediamento nella terra promessa, ricca di risorse naturali. Li redime dalle idolatre dei popoli circonvicini (Es 17,15; Gs 10,10-12) e li sollecita a diffondere la conoscenza del suo nome
Adotta un linguaggio umano, per entrare più efficacemente in relazione con loro e per prepararli a comprendere con adeguatezza il grande evento dell’incarnazione, che gli permetterà di abitare in mezzo agli uomini. Intanto si identifica con il pastore, che raduna, protegge, provvede, predilige e accompagna il suo gregge (Is 40,11; Ger 31,10-11). Educa Israele a conservare l’unità nazionale, osservando l’alleanza e affidandosi alla sua paterna provvidenza . Senza stancarsi, stimola il suo popolo ad estirpare il male, esercitando la compassione con i deboli, i poveri e i bisognosi . Nonostante le palesi defezioni all’alleanza, lo ama con un amore elettivo, fedele, misericordioso, ricreativo ed eterno. Chiede ad ognuno di credere con fermezza alla sua grazia e a corrispondervi senza tentennamenti. Assicura che, adeguandosi alla sua volontà, si dimostreranno un popolo santo, distinto e umano: «Se toglierai di mezzo a te l’oppressione, lo stendere il dito e il parlare empio, se offrirai il pane all’affamato, se sazierai la persona digiuna, allora brillerà fra le tenebre la tua luce, la tua tenebra sarà come il meriggio. La tua gente riedificherà le antiche rovine, ricostruirai le fondamenta di epoche lontane. Ti chiameranno riparatore di brecce, restauratore di case in rovina per abitarvi» (Is 58,9.10.12). Colpito dai frequenti ripiegamenti, ingratitudini ed orrori d’Israele (Es 32,9-10), rimane sempre fedele all’alleanza bilaterale del Sinai. Conoscendo le sue fragilità, lo perdona e lo esorta ad osservare il decalogo, per vivere in pace .
Potente sovrano, padre di tutti i viventi e memore dell’alleanza conclusa con Noè, non trascura nemmeno gli altri popoli della terra. Non stermina i gentili, che compiono violenze e non si rendono conto di essere sempre oggetto del suo amore. Condanna apertamente i loro abomini e le raffigurazioni che elaborano su di lui. Vedendo quello che c’è nel loro intimo, li ammonisce e li soccorre. Spinto dalla sua ineffabile compassione, interviene per liberarli dalle loro schiavitù (Am 9,7) e per cambiare la loro condotta (Pr 16,9). Aspetta il tempo in cui si rivelerà anche a loro mediante Gesù, nostro Signore. Allora rimuoverà i grandi e i piccoli, i potenti e i miseri. Li distoglierà dalle idolatrie, li risanerà e li riunirà (Is 19,21-25). Abolirà ogni distinzione di classe e effonderà il suo Santo Spirito su tutte le persone (Gl.3,1-2). Al che esse stabiliranno la loro abitazione nel suo santuario cosmico, riconosceranno la bellezza dei suoi doni, lo serviranno e lo ringrazieranno (Sof 3,9).
 
 
 
 
3 La dimora di Dio nel tempio di Gerusalemme

Senza perdere la propria trascendenza, Dio posa il suo nome sui cherubini, che sostengono l’Arca dell’Alleanza. Fissa poi nel tempio di Gerusalemme la sua gloria. Si inserisce così nella vita personale e collettiva dei discendenti di Abramo . Mediante la testimonianza dei profeti comunica a loro la sua Parola creatrice e rassicurante. Ascolta le preghiere, che essi gli elevano. Condivide le loro afflizioni, li unisce a sé e li santifica incessantemente .
Prova sentimenti di compassione per le loro defezioni, miserie e tentativi di uniformarsi alla mentalità degli altri popoli. S'infuria, s’adira e non si pacifica, vedendo tante vittime innocenti (Es 15,1ss). Ansima come una partoriente e geme come una colomba per la perdita della loro identità . Ricorda a loro di averli glorificati e di essere stato ricambiato con ingratitudini: «Ho allevato e fatto crescere figli, ma essi si sono ribellati contro di me» (Is 1,2); «Ha mai un popolo cambiato dèi? Eppure quelli non sono dèi! Ma il mio popolo ha cambiato colui che è la sua gloria con un essere inutile e vano» (Ger 2,11-12). Li avverte che si danneggiano, stravolgendo la verità conosciuta: «Guai a coloro che chiamano bene il male e male il bene, che cambiano le tenebre in luce e la luce in tenebre» (Is 2,20). Li sollecita a fornirgli una risposta sul loro ingrato e irritante comportamento: «Popolo mio, che cosa ti ho fatto? In che cosa ti ho stancato? Rispondimi» (Mic 6,3).
Non smette mai di compassionarli, di perdonarli, di rinnovarli, di indicare a loro la via della salvezza. e di ricordare che li ha eletti per distinguerli dalle altre nazioni . Offre a loro il tempo di riparare i propri peccati e di compiere il bene . Abbandona momentaneamente il tempio, ridotto ad un cumulo di macerie. Resta tuttavia vicino ai deportati in Babilonia e al loro rientro in patria li accompagna. Quindi si asside ancora sul trono del suo nuovo santuario, dove conta di rimanervi stabilmente: «Figlio dell’uomo, questo è il luogo del mio trono e il luogo dove posano i miei piedi, dove io abiterò in mezzo agli Israeliti, per sempre» (Ez 43,7). Dalla sua sede li raduna (Ez 37,21; 43,4) e li rinvigorisce, comunicando a loro una tenerezza amicale e sponsale . Si comporta come un padre che si stringe il suo bambino tra le braccia . Assume l'affettuoso atteggiamento della mamma nei confronti del suo tenero bambino (Os 11,8; Is 49,15). Adotta il ruolo del buon pastore che accompagna dolcemente le pecore deboli ed ammalate (Ez 34,11ss).
Domanda a loro di convertirsi a lui, fonte di bene (Is 63.9), di prediligere l’amore fraterno ai sacrifici (Os 6,6), di corrispondere alla grazia della sua Legge (2 Re 17,13-15; Os 11,4) e di essere premurosi ed caritatevoli con qualsiasi persona . Affida a loro la missione di dargli testimonianza, perché le genti possano conoscerlo, amarlo e adorarlo . Ritorna ad adirarsi, ad angustiarsi e trepidare, quando ripetono le precedenti trasgressioni . Prova lo stesso rammarico dello sposo tradito dalla moglie e soffre il dolore del padre, respinto dai figli ingrati (Os 1,2-9; 2,4-7).
Costatando la presenza di Dio, essi riconoscono la loro debolezza, infedeltà e inconsistenza, simile all’erba del campo (Is 40,6). Capiscono che la loro storia ha una stretta correlazione con gli assidui e potenti interventi di Dio (Es 24,7; Is 44,24-28). Non potendo vivere separati da lui, imparano ad ascoltarlo e a fidarsi di lui (Dt 32,45-47). Ammettono di appartenere a lui santo e misericordioso (Sal 100). Credono che egli sta accanto «a chi ha il cuore ferito (e) salva gli spiriti affranti» (Sal 14,19) ed ascolta «quanti lo invocano con cuore sincero» (Sal 145,18, cf Tb 34,16). Riconoscono che li libera dal male e li risana: «Non forzarti all'insensibilità, perché tu sei nostro padre… da sempre ti chiami nostro redentore» (Is 63,15-16). Sapendo che «sono carne, un soffio che va e non ritorna» (Sal 78,39), attestano: «Buono e pietoso è il Signore, lento all’ira e grande nell’amore. Come un padre ha pietà dei suoi figli, così il Signore ha pietà di quanti lo temono» (Sal 103,8.13). Aspettano che egli raduni tutti i popoli e li benefichi (Is 56,7). Si augurano che con la venuta del Messia la giustizia germini, si sviluppi e scompaia tutto quello che turba l’uomo (Is 45,8). Gesù è il segno della presenza di Dio nel mondo. Elargisce agli uomini il suo amore, che li rigenera in ogni crisi quotidiana. Incrementa in loro il bene, la libertà, la speranza e la giustizia.
 
 
 
 
La sofferenza del Figlio di Dio nell’incarnazione (Lc 1,26-38)

I giudei hanno sempre indagato sulla trascendenza di Dio, sulla creazione del mondo e sulla natura umana. Il cabalista Isacco Luria, nato nel 1534, espose un’idea originale e discutibile sul creato. Asserì che Dio si è imposto un atto di rinuncia, di lacerazione e di sofferenza volontaria. Si è ritratto in se stesso, per lasciare uno spazio alla creazione, di cui gli scienziati indagano l’età approssimativa e le leggi, che ne regolano il processo di evoluzione ed espansione . Alcuni cristiani hanno condiviso l’opinione di Luria. Pertanto hanno asserito che l‘auto-limitazione di Dio sarebbe la sua prima umiliazione.
L’incarnazione è il culmine della creazione e di tutta la storia della nostra salvezza. Costituisce la premessa del compimento pasquale di Gesù e della nostra glorificazione. Segna l’inizio della passione di Dio nella carne ed è una delle più grandi opere della santissima Trinità. Prima di creare l’umanità, Dio Padre aveva progettato di conformarla al Figlio prediletto. Inviandolo nel mondo, compie un grande gesto di generosità, perché dona tutto se stesso agli uomini. Lo incarica quindi di liberarli dalle schiavitù del peccato, di rigenerarli alla vita divina e accompagnarli verso le realtà celesti. In altre parole autorizza il Figlio ad assumere l’umanità, conformarla perfettamente alla sua divinità e condurre tutto l’universo alla piena redenzione . Mediante l’unico Figlio, che da sempre s’immola sull’altare del cielo (Ap 5,6; 13,8), assicura la sua dinamica presenza tra gli uomini.
A sua volta il Figlio, totalmente consenziente al progetto salvifico del Padre, rinuncia ai diritti di assoluta potenza, trascendenza e gloria. Lascia liberamente l'amato Padre, entra nella transitorietà del nostro tempo e si innesta nella nostra storia. Tramite il libero consenso di Maria e l’azione dello Spirito Santo assume la nostra carne con i suoi limiti e fragilità. Vi infonde l’anima, l’elemento spirituale che qualifica la persona (Gv 1,14). Annulla l’infinita distanza, che lo separa dall’universo. Passa dalla posizione di superiorità alla situazione d’inferiorità. Stabilisce un nuovo rapporto con il mondo, di cui aveva mantenuto un attivo contatto fin dagli inizi della creazione (Gn 1,1). Congiunge le sue perfezioni divine alle nostre deficienze e contraddizioni. Associa la sua grandezza alla nostra limitatezza, l’onnipotenza alla debolezza, la trascendenza all’immanenza, l’armonia al disordine, l'immortalità alla mortalità.
Nella piccola Nazaret stabilisce la sua prima dimora in Maria sempre vergine e sposa di Giuseppe. Acconsente che il santo grembo di sua madre influenzi le condizioni della sua vita umana e gli funga sia da stanza nuziale sia da sepolcro. Conservando integra la propria divinità, qui comincia un cammino di svuotamento, dipendenza, debolezza, annullamento e abbassamento. Per intrecciare con noi relazioni più incisive, si fa schiavo (doulos) (Fil 2, 7), Accetta la condizione di una persona, che non può rivendicare alcun diritto civile. Si unisce «in un certo modo ad ogni uomo»; diventa «veramente uno di noi, in tutto simile a noi fuorché nel peccato» (GS 22). Acconsente di nascere, crescere, donarsi, soffrire e morire da vero uomo. Rende così visibile, tangibile, trasparente, comprensibile, narrabile, ammirabile e adorabile il misterioso volto del Padre. Cammina assieme agli uomini come fratello, amico, sposo e confidente. Percepisce le nostre necessità fisiche e spirituali. Sperimenta le nostre sofferenze e condivide le nostre attese. S’interessa dei nostri fallimenti e deturpamenti. Termina il suo lungo percorso di discesa, di umiliazione e di allontanamento da Dio con la crocifissione, la morte e la sepoltura. Il primo uomo aveva tentato di elevarsi fino a Dio. Gesù Cristo si abbassa fino alla morte di croce. Risorgendo dai morti, passa alla sopra-esaltazione e alla glorificazione. Compie un cammino contrapposto al precedente (Fil 2,6-11). Nell’abbassamento educa gli uomini a comportarsi secondo l’ordine originario, stabilito da Dio. Nell’innalzamento eleva la creazione e l’umanità alla perfezione finale. Conduce entrambe dentro la realtà divina. Conferisce particolarmente a noi la dignità di figli adottivi e ci costituisce eredi della gloria eterna. Agisce ora all’interno delle nostre coscienze, della nostra storia e dell’intera creazione, perché «Tutte le cose sono state create per mezzo di lui e in vista di lui» (Col 1,16).
La liturgia cristiana ricorda con insistenza che il Figlio dell’eterno Padre ha assunto la natura umana da Maria vergine, è realmente nato da lei, è morto crocifisso, è risorto, vive glorioso e ci attira al Padre con la forza del suo Santo Spirito. Riferendosi al mistero dell’incarnazione divina, un autore medioevale osserva: «Non noi ci siamo mossi verso Dio e siamo saliti a lui, è lui che è venuto e disceso a noi. Noi non abbiamo cercato, ma siamo stati cercati» . Tramite l’incarnazione «gli uomini diventano dèi e figli di Dio, la nostra natura è onorata con l‘onore dovuto a Dio, la polvere è innalzata a tal grado di gloria da essere ormai eguale in onore e deità alla divina natura» . Un altro autore, P. Luigi Chardon, spiega: «L’incarnazione non significa altra cosa che una crocifissione nella carne; e Dio incarnato significa dire Dio crocifisso nella carne o attaccato ad una croce di carne» .
Nel viaggio d'andata e di ritorno al Padre, il Figlio ci manifesta l’amore che Dio ha per noi e aspetta che collaboriamo con lui, per condurre l’universo al suo destino finale. Rigettiamo la nostra superbia, dimoriamo stabilmente nel Signore Gesù e percorriamo il movimento di abbassamento ed innalzamento che egli ci ha tracciato. Glorificheremo allora il Padre e il Padre mediante il suo Spirito glorificherà noi, conformando i nostri corpi mortali ad immagine del Figlio diletto (1 Gv 3,2). Nel corso dei secoli molti intellettuali hanno rifiutato l’annuncio che il Figlio di Dio si è fatto uomo e ha condiviso le sofferenze umane per rendere accessibile agli uomini la sua vita divina. Bloccati dalla loro ideologia, ritennero impossibile l’incarnazione, la passione, la morte e risurrezione del Figlio di Dio. Convinciamoci che questo loro rifiuto distacca noi dagli elementi essenziali e fondamenti della fede cristiana.






 
 
 
 


Fonte : scritti e appunti di Padre Felice Artuso (religioso Passionista)








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