giovedì 25 luglio 2019

L'INCISIONE , LA STAMPA E IL LIBRO ILLUSTRATO, di Alessio Varisco



L'INCISIONE , LA STAMPA E IL LIBRO ILLUSTRATO
di Alessio Varisco



In questo capitolo ci occuperemo di definire cos’è l’incisione, di delinearne sinteticamente la storia e di spiegarne brevemente le varie tecniche.
Vedremo il rapporto che lega l’incisione alla stampa nel corso dei secoli.
Dopo il tentativo di definire il termine “illustrazione”, ci soffermeremo sulla sua relazione con l’incisione.
Termineremo il capitolo con l’esame della specificità stilistica del mezzo incisorio, per poter comprendere la scelta di una analisi sull’Apocalisse illustrata da questa forma espressiva. Con una riflessione sulla storia dell’incisione, motiveremo il taglio del presente studio, che privilegia l’illustrazione rinascimentale dell’Apocalisse su quella di altri periodi.

 

1. CHE cos’È L’INCISIONE?
Alla ricerca di una definizione di che cosa sia l’incisione, ci appelleremo a due autori: a Francesco Milizia che, per la sua sinteticità e chiarezza è citato dal Massari nella sua opera sull’arte dell’incisione [1], e a Jean Bersier che ricorre a due proposte etimologiche del termine per farci capire tutta la ricchezza espressiva e culturale di quest’arte.
«L’incisione si può definire un’arte che per mezzo del disegno e dei tratti delineati e incavati su materie dure imita le forme, le ombre, i lumi degli oggetti visibili e può moltiplicarne gli impronti per mezzo dell’impressione» [2]
Così dunque il Milizia, che mette l’accento su una particolarità dell’incisione, quella di essere un’arte che produce dei multipli. Questo punto è di fondamentale importanza, tanto che molti autori, fra i quali proprio il Massari, mettono in massima luce tale aspetto e legano l’invenzione dell’incisione
«alla richiesta di una sempre più larga utenza privata, che poneva il problema della moltiplicazione in gran numero di esemplari del prodotto d’arte figurativa» [3]
Per Jean Bersier invece il problema è più complesso:
«Dès sa naissance l’art du graveur est donc un art de nécessité intérieure, un art qui porte en lui-mème sa satisfaction, un art majeur au premier chef et non pas, comme d’aucuns l’ont prétendu, un simple procédé chargé de reproduire en plusieurs exemplaires un dessin ou le facsimilé dune peinture» [4]
Esamineremo più avanti, delineando una sintesi dello sviluppo della storia dell’incisione, e forse più ancora nel paragrafo che tratta delle possibilità stilistiche di questo mezzo, il significato di tale “necessità interiore” che sta all’origine di un’opera d’arte incisoria; ora vediamo invece le due radici etimologiche del termine, poste dal Bersier all’inizio del suo discorso sulla grafica.
«Deux étymologies du mot “graver” nous sont proposées, la première le fait dériver du mot grec “graphein” qui signifie écrire, la seconde, que nous adopterons, lui donne pour parrain l’ancien mot haut-allemand de “grabau” (graben) qui signifie creuser» [5]
Dire che l’atto di incidere è vicino alla scrittura ha una valenza molto particolare perché ci fa capire quanto poi è stato dimostrato dalla storia, che l’incisione ha un rapporto privilegiato con il libro; dire che l’atto di incidere è vicino a quello di scavare, significa in definitiva porre l’incisione in uno spazio tutto suo, tra disegno e scultura.
Bastano queste due radici etimologiche del termine, a farci intuire tutta la complessità del mezzo artistico in esame; complessità che, unita alle due definizioni precedenti, già rivela quanto l’incisione significa per la cultura occidentale.
 

 

2. OssERvAzioNi SULLA STORIA DELL’INCISIONE E SULLE SUE VARIE MODALITÀ TECNICHE
Se è vero che le prime incisioni risalgono al XIV sec., sarebbe errato fissare la nascita della tecnica incisoria a questo periodo.
«Qu’y a-t-il de plus proche de certains de nos burinistes contemporains que les admirables artistes qui gravèrent en les rehaussant d’ocre rouge et de noir les bisons d’Altamira, les rennes et les chevaux de telle plaque dos ou de corne?»[6]
Certamente l’arte di incidere materiali diversi per consegnare ai posteri un documento di carattere storico o rituale è antichissima. Ciò che separa questo momento da quello dell’incisione vera e propria è lo sfruttamento di questa superficie come matrice per imprimere tramite inchiostri le figurazioni su altri materiali ben più morbidi.
«Aux Indes, en Perse, puis à Venise et à Gènes, les grandes bois gravés servirent à imprimer les étoffes, les “indiennes” [...]. Les Phéniciens et les Egyptiens fabriquaient par le mêmes procédés des étoffes peintes et Tyr, Damas, Antioche, Alexandrie en produisirent jusqu’au IX siècle de notre ère» [7].
È questo un ulteriore passaggio verso l’incisione, così come la conosciamo oggi. Ciò che separa questa seconda fase dell’incisione su stoffa dalla grafica moderna è un fatto semplicissimo e fondamentale: l’invenzione della carta.
«Ceci se passa chez nous vers la fin du XIV siècle. A peine le papier a-t-il paru que nos premières estampes naissent à leur tour. La mme phénomène s’était produit à notre insu en Chine, vers le IX siècle, lors de l’invention du papier d’écorce de mûrier» [8]
Eccoci finalmente all’invenzione dell’incisione su carta. Da questo punto in poi lo sviluppo di quest’arte si legherà all’invenzione di altre tecnologie che ne segneranno il destino.
Parlando di nascita dell’incisione noi ci riferiamo alla xilografia, impressione su materiale cartaceo da una matrice scavata nel legno.
«Les premières estampes remontent sans doute à la fin du xiv siècle, et il est universellement admis aujourd’hui que la gravure en relief précéda la gravure en creux» [9]
Ora questa matrice di legno è, all’inizio, legno di filo, ricavato tagliando l’albero parallelamente alle fibre. Ciò non permette segni sottili, ma consente immagini chiare e sintetiche.
La Pallottino cita Firmin-Didot per definire questa tecnica.
«Arte di ritagliare in una tavoletta di legno il disegno tracciato sulla sua superficie, in modo che ciascun tratto di questo disegno, messo in rilievo dal coltello o dalla punta dell’incisore, possa venire riprodotto sulla carta, quando la superficie del legno sia stata spalmata con inchiostro tipografico. Questa impronta in origine si otteneva attraverso la pressione operata da una spazzola o dallo sfregamento di un brunitoio»[10]
È ancora un’invenzione, quella del torchio tipografico o verticale, a sveltire il procedimento di stampa della xilografia e quindi a contribuire alla sua enorme diffusione.
Arriviamo al XV secolo, quando nuove matrici appaiono all’orizzonte, insieme all’invenzione di un altro torchio, quello calcografico.
«C’est en Allemagne et en Fiandre qu’apparaissaient les premières gravures sur cuivre, gravures au burin et cela un peu avant la fameuse Paix de Finiguerra. Un jeu de cartes sans doute de Haute-Allemegne précède de peu la Passion du Cabinet de Berlin datée de 1446. A partir de ce moment il est possible de distinguer des différences de sinon de personnes du moins d’écoles et d’ateliers parmi les nombreuses estampes encore anonymes»[11].
Il bulino è all’inizio uno strumento usato dagli orefici e in particolare dagli artigiani del niello, arte d’intagliare una lastra d’argento secondo un qualsivoglia disegno, per poi riempirlo di una lega capace di far risaltare il segno inciso. Con l’invenzione del torchio calcografico, che sembra risalire a Martin Schongauer di Colmar, tali solchi, riempiti di inchiostro, imprimono sulla carta il prezioso disegno che la punta a becco del bulino ha saputo ricavare sulla matrice, solitamente di rame. Proprio in ragione di questa maggior finezza stilistica gli artisti, una volta scoperte le possibilità del bulino, abbandonano in parte la xilografia, che rimane comunque tecnica di tutto rispetto perché permette tirature sterminate a confronto delle relativamente poche copie che si riescono a ricavare con le tecniche calcografiche.
Accanto al bulino
«il metodo, forse già tentato da Durer, di coprire le lastre con una vernice, intagliar quelle e corrodere con acidi i punti rimasti scoperti, incontrò favore» [12]
siamo così giunti all’invenzione dell’acquaforte
«che si esegue tramite morsura prodotta da una soluzione acida (acido nitrico o acquaforte) nei solchi graffiati quanto basta a mettere a nudo il metallo preventivamente coperto di vernice» [13]
Con l’acquaforte si moltiplicano le possibilità tecniche del mezzo incisorio anche se, sempre per quanto riguarda la tiratura, la xilografia rimane insuperata. Non meraviglia quindi l’enorme succeso della xilografia su legno di testa che, nel XVIII secolo, portò una vera e propria rivoluzione nel campo dell’incisione.
«Nella seconda metà del Settecento, l’incisore Thomas Bewieck (1753-1828) introduce in Europa una maniera di incidere il legno destinata a rivoluzionare l’editoria, utilizzando tavolette non più tagliate parallelamente alle fibre: xilografia in legno di filo, ma perpendicolarmente: xilografia in legno di testa o bois-debout, sulle quali l’incisione, effettuata con sottili punte o bulini, consentiva finezze ed incroci di segni, altrimenti impossibili»[14]
Questa nuova forma di xilografia univa dunque finezza di disegno a tirature altissime. Per tutto il secolo XIX questa tecnica sarà davvero egemone. Quasi contemporaneamente però un altro procedimento viene ad occupare un posto di primissimo piano: quello della litografia.
«La litografia, dal greco lithos, pietra, è l’unica di cui meglio si conoscono i tempi, le modalità di nascita, dovuta al cecosclovacco Aloys Senefelder (1771-1834) che nel 1796 scoprì la proprietà delle pietre calcaree tratte dalle cave bavaresi di Solehofer e di Kolheim di assorbire grassi, resine e saponi allo stato asciutto e di rifiutarli quando venivano bagnate con soluzioni acido-gommose. Disegnando con una speciale matita grassa o litografica direttamente sulla pietra asciutta, dopo averla “lavata” con soluzioni acide, la si inchiostra con un rullo. La reazione sarà quella di fare aderire l’inchiostro solo sulle parti disegnate che risulteranno pronte per la stampa. [...]. Ulteriore evoluzione del processo fu il superamento dell’ingombro costituito dalla pietra, presto sostituita con lastre metalliche di zinco o di alluminio opportunamente trattate e in seguito l’introduzione di una speciale carta granulata, detta carta da riporto» [15].
Questa tecnica, fra tutte la meno “incisoria”, si serve di una matrice piana; l’artista infatti disegna sulla lastra, e il risultato è ben più vicino al disegno che all’incisione. Ma, come sottolinea la Pallottino, essa era
«nata come processo sostitutivo dell’incisione per l’incontestabile vantaggio offerto dalla sua economicità e maggiore velocità esecutiva rispetto alle altre tecniche»[16].
Fin qui la storia dell’incisione è proceduta, attraverso alcune svolte, con una certa linearità; che dire ora della rivoluzione suscitata in questo campo dall’avvento della fotografia con le sue applicazioni alla grafica?
Davvero epica, con una punta di ironia francese, è la descrizione del fenomeno fatta da Jean Laran.
«On ne saurait davantage considérer comme un fait nouveau ce qui, plus que les victoires et les désastres militaires, plus que l’avance ou le recul des frontières, le renversement des trònes et les boulversements sociaux, domine aujourd’hui l’histoire de l’estampe et conditionne son avenir, nous voulons dire la marche envahissante de la photographie. Depuis cent ans déjà, avec tout son cartège d’applications à l’imprimerie, que nous grouperons, pour abréger, sous le nom de photogravure, nous l’avons vue supplanter peu à peu dessinateurs, graveurs et lithographes dans le portrait, le paysage et l’illustration documentaire, l’information, l’actualité» [17]
Si parlò, da parte di alcuni, di “morte dell’incisione”: nientemeno!
A metà del XIX secolo iniziarono le prime ricerche per una fotoincisione: come, attraverso la fotografia, riprodurre un’immagine su carta non soltanto fotosensibile?
«La soluzione del problema sarebbe stata una delle più rivoluzionarie invenzioni del XIX sec. ovvero la messa a punto del retino tipografico.
Il retino, altrimenti detto reticolo, è uno schermo di cristallo finemente quadrettato, il quale, posto fra l’obiettivo e la lastra sensibile, scompone l’immagine da riprodurre (fotografia, disegno, ecc...) in migliaia di punti, le cui dimensioni sono determinate dal maggiore o minore passaggio di luce attraverso ciascun quadretto del retino, e la somma della cui intensità, dopo l’incisione chimica sul metallo del cliché, che in questo caso è denominato a “mezzatinta”, fondendosi allo sguardo all’atto della stampa, è in grado di restituire l’intera gamma delle sfumature dei grigi»[18].
Si può parlare per la fotoincisione, per la fotocalcografia e per la fotolito (procedimenti tutti che attraverso il retino si servono della fotografia per imprimere un’immagine su di una matrice), di incisione? O l’incisione è solo quella manuale? Quella tradizionale?
Certamente se si pensa al ruolo che ha la manualità dell’operatore che scava da sé la lastra, inchiostrando da sé la matrice, si può comprendere quale differenza esiste fra i due processi. Senza nulla togliere all’enorme portata di questa invenzione che ha rivoluzionato la cultura dell’immagine, possiamo concordare con Jean Laran quando afferma:
«Ce qui reste donc au graveur, c’est tout ce que l’estampe est capable d’ajouter au dessin par la magie des beaux outils et des belles matières. Et si l’on admet avec nous que ce fut de tout temps l’essentiel, on doit penser que ce qui a fait vraiment la gioire des maitres graveurs et lithographes reste hors de l’atteinte du photograveur»[19]
Per specificare meglio questo “quid” stilistico che l’incisione possiede rispetto ad altro tipo d’immagine avremo però maggior spazio in seguito.

 

3. RAPPORTO FRA STAMPA E INCISIONE
Nel paragrafo precedente abbiamo parlato della nascita e degli sviluppi della tecnica dell’incisione. Ora accenneremo ad un’altra invenzione che ha segnato l’inizio dell’era moderna: la stampa a caratteri mobili.
«Attribuita all’orafo Johann Gensfleisch von Gutenberg di Magonza (1394/99-1468) che la definì appunto Afentur und Kunst(un’avventura e un’arte), e comunque originata in Germania, la stampa a caratteri mobili che si diffonde in tutta Europa a partire dalla metà del XV secolo, oltre a rappresentare uno dei più grandiosi “agenti di mutamento” dello storico passaggio “dall’orecchio all’occhio”, costituisce uno dei più affascinantì capitoli della storia del pensiero e della cultura materiale dell’occidente» [20]
Sul ruolo di primo piano che la stampa svolse nell’Europa del rinascimento nell’ambito culturale, politico, religioso, torneremo a parlare nel terzo capitolo di questa tesi, ciò che ora vogliamo sottolineare è un altro aspetto essenziale al nostro studio: il rapporto tra stampa ed incisione.
Se è vero che nel XV secolo
«a seguito della dieta di Magonza, i prototipografi tedeschi si stavano espandendo per tutta l’Europa in cerca di fortuna [...] come menestrelli presso le principali corti e università europee, a “suonare” quel precario strumento rappresentato dal torchio tipografico, con la determinazione di impiantarvi le prime officine»[21];
se è altrettanto vero che
«il primo libro a caratteri mobili, la Bibbia a 42 linee di Gutenberg, venne stampato a Magonza intorno al 1456» [22];
è parimenti innegabile un altro fatto: che già l’invenzione della xilografia, all’inizio del XV sec., aveva dato origine a dei “protolibri [23], tabellari o chiroxilografici.
Jean Bersier parla in questi termini della nascita ditali libri: nel XIV sec., il papa Avigonese Clemente VI, nei dieci anni del suo pontificato, cercò di regolamentare la pratica delle indulgenze.
«L’image pieuse, accompagnée d’un texte succinct et manuscrit selon l’acquéreur et sa pénitence, était la chose la plus pratique à échanger contre une somme plus ou moins légère destinée à assurer une réduction des peines éternelles [...]. Les peintres des couvents ne suffirent plus à contenter une clientèle devenue innombrable et ce sont les grands ordres monastiques qui eurent recours à la gravure comme succédané du dessin enluminé» [24]
Fin qui siamo ancora nell’ambito figurativo, più precisamente nel momento di passaggio dall’immagine miniata a quella xilografica, più rozza forse, ma magnificamente eloquente; ma la storia prosegue:
«Ce ne furent pas seulement des images de piété de petits formats, faciles à coudre sur la robe du pénitent, du pèlerin, mais bien des livres ou du moins des cahiers qui sortirent à la même époque des couvents. Ces cahiers étaient formés de feuilles sur lesquelles figuraient, au recto seulement, saints et inscriptions édifiantes, le plus souvent enluminées. Ces apparences de manuscrits étaient en réalité des estampes de bois gravés»[25]
Il passaggio dalla miniatura alla xilografia aquerellata precedeva dunque di poco il passaggio dal manoscritto al libro xilografico.
«Il est difficile de savoir si les xilographies, ce terme étant spécialement réservé à ces premiers livres, commencèrent par des figures ou par des textes» [26]
È indubbio invece che «c’est à ces planches gravées où la légende accompagne l’image que nous devons les premières pages imprimées» [27]. Parlare di stampa e di incisione in termini separati, soprattutto all’inizio della loro storia, ci sembra dunque un’impresa impossibile o altamente fuorviante. «Si l’estampe à ses débuts servit de livre aux illettrés, comme l’avait fait avant elle la sculpture de nos cathédrales, elle s’accompagna très vite d’inscriptions»[28] continua il Bersier.
Non solo: quando ormai la stampa a caratteri mobili è un fatto certo e sempre più si configura come il mezzo di comunicazione per eccellenza della nuova era, comune all’incisione e alla stampa è il problema di affrancarsi dal libro miniato.
«L’estampe ainsi obtenue fut un certain temps repeinte, rehaussée d’or et de rouge, afin de donner l’illusion du manuscrit; mais bientôt le graveur et l’imprimeur prirent conscience de la beauté de leur oeuvre dans sa pureté, ils connurent les premières joies de la typographie, celles que donne le jeu des noirs et des blancs. L’image prit sa place sur la page, et sa valeur s’équilibra avec celle du texte, elle participa à l’architecture de l’ouvrage: le livre illustré était né» [29].
Questo nuovo libro illustrato nasce da un vero e proprio accordo tra xilografia e stampa. Se la stampa a caratteri mobili «è di origine orafa e non nasce nei laboratori xilografici, bensì in quelli specialisti del metallo»[30], è anche vero che
«la gravure sur bois est l’empreinte typographique par exellence. [...]. Son trait s’accorde à la perfection avec celui des caractères typographiques qui sont eux-mmes une gravure en relief» [31]
Per questa concordanza tecnico-stilistica, il sodalizio stampa tipograficaxilografia continuerà privilegiato nei secoli; soprattutto nel secolo XIX, quando la xilografia su legno di testa «per la possibilità di venire stampata direttamente insieme alla composizione tipografica»[32] faciliterà ulteriormente l’unione dei due mezzi.
Più complesso il rapporto tra la stampa e le altre tecniche incisorie. Soprattutto per la calcografia: a causa della sua tiratura limitata, e svolta a parte, con «fogli inseribili nel libro solo all’atto della legatura»[33] essa è meno adatta ad accompagnare il testo stampato. Un diverso tipo di torchio, quello orizzontale rispetto a quello verticale tipografico e un diverso tipo di carta la rendono poco agevole per una quotidiana illustrazione di libri. La calcografia sarà allora riservata ad opere più rare, a volumi di particolare pregio artistico.
Che cosa aggiungere, a conclusione di questo paragrafo?
Una breve osservazione: se stampa ed incisione sono nate insieme e se insieme hanno poi vissuto per lungo tempo con esiti tanto proficui, ciò significa che esiste, anche se non “unica”[34], un’anima tipografica nell’arte dell’incisione; questo ci conduce direttamente al prossimo paragrafo che tratta dell’incisione come illustrazione.
 

 

4. DEFINIzIoNE DI ILLUSTRAZIONE E SUO RAPPORTO CON L’INCISIONE
Paola Pallottino, nella sua introduzione alla Storia dell’illustrazione italiana, cerca di penetrare più a fondo di quanto si sia soliti fare nel campo della definizione del termine “illustrazione” e sul ruolo che ad essa è stato storicamente assegnato da quel complesso di fattori culturali e sociali che compongono il panorama artistico dell’occidente. L’autrice parte da una premessa:
«Va preliminarmente dichiarato che d’ora in avanti per “illustrazione” si intenderà solo ed esclusivamente ogni multiplo ottenuto tramite la riproduzione a stampa di un artefatto di natura grafico-pittorica, commissionato dall’industria editoriale, e pertanto reperibile nei relativi prodotti come libri e periodici» [35]
Questa puntualizzazione è essenziale dal momento che, a voler essere precisi, illustrazione è anche ogni forma di opera figurativa che rimandi ad un insieme di concetti, fatti, narrazioni non necessariamente legati ad un testo scritto ma anche tramandati oralmente dal mito o dall’epica. Illuminante in tal senso è, a nostro parere, l’intervento di Luzzati riportato sempre dalla Pallottino più avanti.
«Credo che il mestiere dell’illustratore sia il più antico del mondo: già nell’età della pietra gli uomini delle caverne graffiavano sui muri storie di caccia e di guerra; [...] poi ad un certo punto, credo soprattutto a causa dell’invenzione della stampa, il pittore ha cessato di raccontare storie per raccontare di più se stesso, mentre l’illustratore si è dedicato soprattutto alla pagina per commentare col disegno un testo scritto» [36].
Per Luzzati è dunque l’avvento della stampa a far nascere una distinzione fra arte figurativa e illustrazione. Ma il termine “illustrazione” nasce solo più tardi, nel 1817, in Inghilterra. Da quella data in poi tutta una serie di studi volti a delimitare il campo entro cui una figurazione può essere ritenuta “illustrazione”, si sono susseguiti. A conclusione di queste ricerche la Pallottino richiama alla nostra attenzione la definizione del Dizionario Enciclopedico Italiano, corredandola di una spiegazione che riteniamo ricca di spunti utili al nostro lavoro.
«Per ricapitolare il termine “illustrazione”, dal latino: illustrare, derivato da illustris, illustre; vuole dire 1. illuminare, render chiaro; 2. rendere illustre e glorioso; 3. dichiarare, commentare e descrivere. E infine: 4. corredare di figure un testo per agevolarne la comprensione e, aggiunge il Dizionario Enciclopedico, per renderlo più attraente.
Questa accezione, largamente popolare e ufficializzata dall’uso comune, è quella che più ci interessa perché sembra voler riassumere le prime tre, nel senso di attribuire al genere di commento affidato all’illustrazione, anche una specifica funzione di segno positivo, in una sorta di sottintesa complicità, sostegno, promozione o, in qualche modo, di amplificazione del testo» [37]
Assolto il compito di definire il termine illustrazione, occorre ora esaminare il rapporto che lega l’incisione all’illustrazione.
Se nel paragrafo precedente è stato dimostrato lo stretto legame fra incisione e libro stampato, se ora abbiamo appena visto definire l’illustrazione quale estensione figurativa di un testo all’interno del libro, non potrà che risaltare chiaro il fatto che l’operazione dell’illustratore è in un certo senso indissolubile, almeno fino al XIX secolo, con quella dell’incisore. Infatti, fino a tutto il XIX secolo, prima dell’avvento della fotoincisione, dire illustrazione di un libro significava parlare di xilografia, litografia o, più raramente, di calcografia. Tant’è vero che nel 1869, Tommaseo, nel suo Nuovo Dizionario, definisce le illustrazioni come «incisioni di rame o in legno che adornano libri e giornali» 38[38],
Certamente questo legame tra illustrazione ed incisione è dovuto alla comune caratteristica di essere “multiplo”:
«Accanto alla sua natura di merce — l’attività dell’illustratore è comunque legata alla committenza editoriale — [l’illustrazione ha una] sua peculiare caratteristica di multiplo, che la separa anni luce dalla miniatura, che costituisce sempre un esemplare unico»[39].
Ma, a nostro avviso, il legame tra le due arti è ancora più stretto e per capirlo occorre ancora una volta risalire alla nascita dell’incisione, a quella famosa Bibbia dei poveri che, libro tabellare o proto-libro, assolve allo stesso tempo la funzione di esprimere con parole e con figure, unite, un messaggio.
«La Bible des Pauvres architecture dès l’abord d’une faon magistrale la page typographiée. Le texte, admirablement composé est aussi decoratif que les images compartimentées qu’il souligne, les banderoles sur lesquelles les mots essentiels s’inscrivent relient les scènes de l’Ancien et du Nouveau Testament [...]. L’illetré pourrait y lire aisément la Sainte Ecriture»[40]
In quei primi tabellari, nei quali assistiamo ad un vero e proprio scambio di ruoli, con un testo-decorazione e una figurazione-messaggio letterario, è l’origine dell’incisione ma è anche l’origine del suo essere illustrazione. Nasce una domanda: quanto tale compenetrazione di parola e immagine influirà sullo stile dell’incisione successiva, quando essa si staccherà da un legame tanto stretto col messaggio verbale? Certamente molto. Ma capire meglio questo “molto” è compito del prossimo paragrafo e in parte di tutta questa tesi.

 

5. Lo STILE DELL’INCISIONE
Jean Laran parte dall’indagine sul passaggio dal libro miniato al libro tipografico illustrato per proporre una propria considerazione sulla reciproca influenza tra stampa e stile dell’incisione.
«Le jour était venu où la presse avait permis une multiplication telle des exemplaires que l’enluminure, méme sommaire, était devenue un travail trop lent. Dans les vingt dernières années du XV siècle, le grand public devra se contenter de plus en plus d’exemplaires en noir. Alors, comme il arrivera plus d’une fois dans l’histoire des arts graphiques, du besoin d’économiser le temps et la maind’c uvre est sortie une heureuse révolution esthétique: l’artiste eut vite fait de s’apercevoir que le coloriage n’était pas seulemente superflu, que, dans le livre d’abord, dans l’estampe isolée ensuite, c’était un contresens d’attenter à la beauté supérieure du blanc et du noir»[41]
Una “felice rivoluzione estetica”: così definisce Laran il passaggio dal mondo colorato dei codici miniati, al mondo in bianco e nero del libro illustrato dall’incisione. Secondo lo studioso la capacità di questo mezzo espressivo di mettere in moto l’immaginazione dell’osservatore che deve a suo modo, soggettivamente completare con un “colore” solo evocato l’immagine, costituisce un grande punto di forza. Più avara di connotazioni, l’immagine in bianco e nero che l’incisione ci porge, rende più libera la fantasia di chi la osserva.
Ma l’ineguagliabile energia della xilografia scaturisce anche dal suo tratto semplice, che si staglia nero sullo sfondo bianco del foglio:
«L’ère des incunables n’est pas dose que des couvres de valeur ont déjà démontré l’incomparable force de suggestion et d’évocation du trait le plus sobre, pourvu qu’il soit juste, fortement conçu, délibérément taillé dans le bois et fermement appliqué en noir par la presse sur la surface vierge du papier» [42]
Jean Bersier approfondisce il discorso sulla specialità stilistica dell’incisione, partendo da una domanda solo apparentemente lontana dal nostro discorso: perché l’incisione nasce, si sviluppa, dà gran parte dei suoi massimi risultati in Germania?
«L’Allemand trouva dans cet art le moyen le plus adéquat à ses possibilités de participer au mouvement esthétique de la Renaissance, malgré son manque de dons naturels; il ne possède pas le sens de la beauté plastique, il ne saurait donc s’exprimer par la sculpture» [43]
L’artista tedesco per il Bersier non conosce il senso armonioso della bellezza plastica, frutto di un mondo, quello mediterraneo, dove la luce avvolge armoniosamente gli oggetti. Ma non solo:
«Il n’est pas non plus peintre, se complaisant aux spéculations fuligineuses, il vit trop le regard plongé en lui-même pour saisir le jeu des couleurs, animant la vie extérieure; d’ailleurs son pays est ingrat sous la lumière parcimonieuse» [44]
Anche la pittura è negata, nella sua pienezza, all’artista tedesco, che non trova fuori di sé colori dolci e brillanti. Allora egli si ripiega in se stesso; ma dentro di sé non trova colore: le idee amano il bianco e nero della tesi e dell’antitesi. A questo punto la volontà di esprimere sé stessa fa approdare la cultura tedesca all’incisione.
«C’est dans sa volonté de puissance qu’elle trouvera son style; pas dessus l’incertitude de sa plastique, elle gravera, aigu, tendu, anguleux le contour qui lui donnera l’illusion de la fermeté, mais se laissant trop souvent dominer par le doute lancinât de ne pas être comprise suffisamment. Pourtant cette lutte incessante et cruelle conférera à la gravure allemande une grande beauté plus intellectuelle que sensible, certes, mais émouvante par le désir d’humanité qu’elle exprime sans jamais réussir à le combler»[45]
Il bianco e il nero sono contrastanti fra loro, l’incisione nasce dunque da una lotta; essa nasce anche come chiarificazione di un’idea. A nostro avviso questa sua caratteristica è strettamente legata alla funzione “illustrativa”, se come dice il Chiggio, illustrare «è rendere informativa e comunicante quella parte del pensiero che non può essere espressa con le parole»[46].
A conclusione di questo discorso sullo stile dell’incisione rispetto alle altre forme di espressione artistica una nota di Marcel Brion riassume quanto detto finora, aggiungendovi un’osservazione che può servirci a comprendere già qui il perché tanto potente si riveli questo mezzo espressivo quando sia posto ad illustrare il testo dell’Apocalisse.
«Arte maggiore, l’incisione è al servizio di chiunque si stanchi di interrogare gli oggetti rivestiti dei loro colori di tutti i giorni, e utilizzi i prestigi inesauribili e infinitamente vari di quel bianco e nero sospettato di povertà e che gode invece di una maggiore opulenza, che non si ritrova tra i più ricchi coloristi»[47]
La scelta del bianco e nero conferisce all’incisione la capacità di cogliere l’anima delle cose, andando oltre al loro colore naturale per ritrovare il loro “colore” soprannaturale. Questa è un’idea che risente di un certo platonismo; ma, se i colori nell’Apocalisse svolgono, come vedremo, una funzione simbolica, non è forse paradossalmente più atta a “descriverli” una tecnica che li esclude?
Il contrasto fra bianco e nero, comune a tutta l’incisione, è reso diversamente nelle varie tecniche incisorie. Per esaminare questa continuità e diversità tra le diverse modalità grafiche, illuminanti sono le osservazioni di Robert Bonfils che non solo si occupa di chiarire la specificità stilistica di ogni mezzo, ma la collega in certo modo anche all’utilizzazione tipografica dell’incisione, essendo egli stato da un lato artista incisore, dall’altro insegnante all’Ecole Estienne, scuola di ricerca nel campo dell’arte del libro.
Iniziamo questa carrellata dalla xilografia, prima in ordine di tempo, prima anche in ordine al suo legame con il libro stampato.
«Les blancs en gravure sur bois vibrent particulièrement. Etant déterminés par les parties creusées, c’est-à-dire vides de la planche de bois, le papier n’est pas écrasé et conserve son grain qu’accroche la lumière frisante» [48]
La particolare lucentezza e pulizia dei bianchi rende i neri xilografici più intensi per contrasto; il rapporto tra i due valori ne risulta semplificato: non sono possibili, soprattutto per quanto riguarda la xilografia su legno di filo, sfumature. Il disegno xilografico giunge immediato, sintetico: il concetto che si vuol esprimere arriva con straordinaria chiarezza all’osservatore.
Se passiamo dalla rilievografia alla calcografia il discorso si fa più complesso.
«Le métier sur cuivre est à l’opposé de celui du graveur sur bois. Le noir ne s’obtient pas avec les parties en relief de la plaque de métal mais par le trait creusé: la taille Dans la taille-douce, l’opposition dune matière résistant à la poussée du burin n’autorise jamais les lignes larges et les aplats noirs. Tout le travail sera exprimé par les tailles fines et franchement coupées, exécutées avec sûreté. Les teintes par des lignes parallèles plus au moins serrées droites ou courbes expliquant les formes, quelquefois surcoupées si l’on veut une intensité plus grande dans les noirs»[49].
Più vicina alla scrittura, quella del bulino è tecnica un po’ “cerebrale”:
«Cette technique convient peu à l’improvisation, demande une préparation réfléchie dont les conséquences sont parfois une certaine froideur d’expression»[50].
Essa deriva dall’oreficeria di cui conserva tutta la preziosità. Il rapporto tra bianchi e neri si fa in essa più mediato, meno caldo e intenso, perciò più complesso.
Sempre nel’ambito della calcografia il discorso cambia radicalmente quando dal bulino si passa a parlare di “acquaforte”:
«L’eau-forte est d’un métier plus souple. C’est la spontaneité qui lui convient souvent. La morsure à l’acide donne à la taille un bord inégalement rougé, la rendant plus vivante aux yeux. Comme elle est souvent plus profonde qu’au burin, cile se charge de beaucoup pius d’encre et devient très variée dans son intensité.
Par les remorsures et en ajoutant des travaux du burin et de pointe-sèche, le graveur obtient des noirs veloutés et profonds qu’aucune autre technique ne peut offrir»[51].
La differenza tra bulino e acquaforte è, stilisticamente parlando, enorme: come quella tra Dürer e Rembrandt, i due autori che vengono in mente quando si confrontano tra loro queste due tecniche.
L’acquaforte ha, nella profondità delle sue ombre, uno spessore che non riusciamo a trovare in nessun’altra tecnica; la gamma tra il bianco del foglio e gli abissi più neri dell’inchiostro può essere sterminata.
Tra l’artista che incide la cera di cui la lastra è coperta e il risultato finale dell’incisione, si pone la morsura dell’acido che, con il suo margine di imprevedibilità, richiede all’artista di ritornare sui suo lavoro più volte: l’acquaforte è un’arte “vissuta”, ripensata; anche per questo essa è una tecnica ricca di calore e di emozioni.
La litografia è fra tutte la tecnica più recente. La sua matrice pianografica la assimila più al disegno vero e proprio che all’incisione: dire grande litografo significa dire grande disegnatore: un esempio fra i tanti, Daumier.
Per quanto riguarda la litografia il discorso sul chiaro-scuro passa in secondo piano: ciò che fa grande una litografia è, lo ripetiamo, l’immediatezza e l’abilità nel fissare l’idea.
A conclusione di questo paragrafo ci siamo riservati di parlare di una tecnica che, se di rapporto tra bianco e nero si vuoi discutere per presentare lo stile incisorio, è sicuramente una tecnica emblematica; mi riferisco alla “maniera nera”.
Inventata nel 1611 dal tedesco Luigi Siegen, per essa si procede in tal modo:
«Si prepara una lastra di rame in modo che, se si stampasse, ne risulterebbe sul foglio una tinta nera uniforme, quindi si raschia o si schiaccia col brunitoio la granitura nei campi che devono rimanere bianchi e si ottiene così per differenze di chiaro-scuro il disegno desiderato»[52].
La “maniera nera”, con il suo richiamare alla luce la forma voluta, ricorda ben da vicino il procedimento scultoreo teorizzato da Michelangelo e, con esso, riprende il neoplatonismo, cui già prima avevamo fatto riferimento parlando dell’antitesi bianco-nero come di una ricerca di idea più che di realtà fenomenica. Qui però il discorso si approfondisce, con la chiara affermazione di una lotta tra luce e tenebre, profondità ed emersione. Questa lotta ben riflette, a nostro parere, lo scontro tra Bene e Male, motivo conduttore dell’Apocalisse.

 

6. L’INCISIONE E L‘ILLUSTRAZIONE DELL’APOCALISSE
  

I quattro cavalieri dell'Apocalisse di A. Dürer (Ap 6,2-8) - Tav. IV
 

A conclusione del capitolo cerchiamo di motivare su due fronti, quello storico e quello stilistico, la nostra scelta di una tesi sull’illustrazione dell’Apocalisse nell’incisione.
Ritornando alla nascita della xilografia si troverà subito un accostamento privilegiato tra i due termini: Apocalisse e xilografia.
«Posséder une Apocalypse illustrée fut longtemps le privilège des grands et des maisons religieuses bien dotées; seul les princes et les très grandes dames avaient les moyens de se procurer un manuscrit luxueusement enluminé» [53].
Così Van der Meer, che continua parlando del vero e proprio colpo di grazia dato dall’invenzione della xilografia alla miniatura con il conseguente accesso di un pubblico più vasto al libro illustrato:
«Désormais le magistrat, le bourgeois, le curé, le simple clerc pouvaient s’offrir une belle estampe et méme une série de gravure»[54].
Come i ricchi committenti del libro miniato, anche questi borghesi, ceto meno abbiente ma molto più numeroso e soprattutto ceto “emergente”, richiede all’artista delle Apocalissi figurate: «Un des premiers livres xilographiques fut 1’Apocalypse»[55].
Motivazioni storiche e culturali stanno dietro a questa richiesta, come vedremo di approfondire in seguito. Segnaliamo invece un altro fatto significativo: quarantadue anni dopo la pubblicazione del primo libro a caratteri mobili, la Bibbia stampata a Magonza nel 1456, appena ventisettenne Dürer pubblica la sua prima opera di rilievo, l’illustrazione proprio dell’Apocalisse. Tutto ciò a dimostrare l’interesse tutto particolare del tardo-Medioevo e del Rinascimento per l’ultimo libro del Nuovo Testamento.
Ma se illustrazione nel Rinascimento significa incisione, se l’Apocalisse è richiesta e illustrata nel Rinascimento soprattutto, comprendiamo subito come il binomio incisione-Apocalisse sia molto stretto, proprio a partire da fattori culturali e storici. Per quanto riguarda l’altro fronte, quello stilistico, come già abbiamo accennato alla fine del paragrafo precedente, è all’interno dell’apparente povertà del mezzo incisorio che deve essere trovata una particolare consonanza tra Apocalisse e incisione.
L’Apocalisse è stata definita «libro inafferrabile». Una figurazione sintetica, povera, capace più di evocare che di descrivere, quale risulta essere l’incisione, bene rispecchia a nostro parere questo senso di “inafferrabilità”. Se inoltre si considera che, tra i tanti libri della Bibbia, l’Apocalisse ha sopra tutti la caratteristica particolare di essere Parola, Rivelazione, Rotolo, Libro insomma, proprio il mezzo incisorio, storicamente e stilisticamente così strettamente legato al volume a stampa, può a nostro avviso rispondere al compito di illustrarla in modo particolarmente significativo.
 
 

 

[1] MASSARI, NEGRI ARNOLDI, Arte e scienza dell’incisione, La Nuova Italia Scientifica, Roma 1987
[2] Ibidem, p. 13.
[3] Ibidem..
[4] JEAN E. BERSIER, La gravure, La Table Ronde, Paris 1947, p. 3.
«Dalla sua nascita I arte dell’incisione è dunque un’arte che nasce da una necessità interiore, un’arte che ha in sé stessa la sua soddisfazione, un’arte maggiore di primordine e non certo, come alcuni hanno preteso asserire, un semplice procedimento incaricato di riprodurre in più esemplari un disegno o il facsimile di una pittura».
[5] Ibidem, p. 13.
«Ci vengono proposte due etimologie della parole “graver”, la prima Io fa derivare dal termine greco “graphein” che significa scrivere, la seconda, che noi adotteremo, gli dà per padrino lantico termine alto- tedesco “grabau” (graben) che significa incidere».
[6] Ibidem.
«Chi è più vicino ai nostri burinisti d’oggi dei mirabili artisti che incisero con un arnese dosso o di corno, riempiendo i solchi d’ocra rossa e di nero, i bisonti di Altamira
[7] 7lbidcm, p. 14.
«In India, in Persia, poi a Venezia e a Genova, i grandi legni incisi servirono a imprimere le stoffe; le “indiennes” […] I fenici e gli egizi fabbricavano con gli stessi procedimenti delle stoffe dipinte e Tiro, Damasco, Antiochia, Alessandria ne produssero fino al IX secolo della nostra era».
[8] Ibidem,, p. 85.
«Questo avvenne da noi verso la fine del XIV secolo. Appena la carta appare, le nostre prime stampe nascono a loro volta. Lo stesso fenomeno si era prodotto a nostra insaputa in Cina, verso il IX secolo, con l’invenzione della carta di scorza di mûrier».
[9] «Le prime stampe risalgono senza dubbio alla fine del xiv secolo, e oggi è universalmente riconosciuto che l’incisione in rilievo ha preceduto l’incisone calcografica».
[10] FIRMIN-DIDOT, citato in PAOLA PALLOTTINO, Storia dell’illustrazione italiana, Zanichelli, Bologna 1988, p.20.
[11] JEAN E. BERSIER, op. cit., p97.
«Le prime incisioni a bulino su rame apparvero in Germania e nelle Fiandre, un po’ prima della famosa Pace di Finiguerra. Un gioco di carte, senza dubbio della Germania settentrionale, precede di poco la Passione del Cabirietto di Berlino del 1446. A partire da questo momento è possibile notare delle differenze, se non di singoli artisti almeno di alcune scuole o botteghe fra le stampe ancora anonime».
[12] 12 P. A. GARIAZZO, La stampa incisa, Lattes, Torino 1907, p. 16.
[13] PAOLA PALLOTTINO, op.cit., p.22.
[14] Ibidem.
[15] Ibidem, p.23.
[16] Ibidem.
[17] JEAN LARAN, L’estampe, Presses Universitaires de France, Paris 1952, p242.
«Non si saprebbe maggiormente considerare come un fatto nuovo ciò che, più che le vittorie e i disastri militari, più che l’allargarsi o il restringersi dei confini di uno stato, la caduta dei troni e le rivoluzioni sociali, domina o$gi la storia della stampa e condiziona il suo avvenire, cioè l’invadente avanzata della fotografia. Ormai da cent’anni, con tutte le sue applicazioni alla stampa, che noi raggrupperemo, per brevità, sotto il nome di fotoincisione, noi l’abbiamo vista soppiantare poco alla volta disegnatori, incisori e litografi nel ritratto, nelle vedute e nell’illustrazione documentaristica nel giornalismo per l’informazione e l’attualità».
[18] 18 PAOLA PALLOTINO, op.cit., p. 152.
[19] 19 JEANLARAN, op.cit., p. 242.
«Ciò che dunque rimane all’incisore, è tutto ciò che l’incisione è capace di aggiungere al disegno con la magia della capacità tecnica e della preziosità dei materiali. E se si è d’accordo con noi che questo è stato, in ogni tempo, l’essenziale, si deve pensare che ciò che ha costituito la vera gloria dei maestri dell’incisione e dei litografi resta fuori della portata della fotoincisione».
[20] PAOLA PALLOTTINO, op. cit., p. 24.
[21] Ibidem, p. 19.
[22] Ibidem, p. 19
[23] Ibidem, p. 9.
[24] E. BERSIER, op. cit., p. 88.
«L’immagine sacra, accompagnata da un testo sintetico e manoscritto secondo la condizione dell’acquirente e della sua pena, era l’oggetto di scambio più pratico per una somma più o meno piccola destinata ad assicurare una riduzione delle pene eterne […]. I pittori dei conventi non erano più sufficienti ad accontentare una clientela divenuta sterminata, sono quindi i grandi ordini monastici a ricorrere all’incisione come sostituto della miniatura».
[25] Ibidem, p. 89.
«Non furono soltanto le immaginette sacre, facili ad essere cucite sugli abiti del penitente, del pellegrino, ma anche libri o per lo meno quaderni ad uscire nella stessa epoca dai conventi. Questi quaderni erano formati da fogli sui quali figuravano, solamente sul recto, santi ed iscrizioni edificanti, il ,più delle volte dipinte. Questi apparenti manoscritti erano in realtà delle stampe xilografiche».
[26] Ibidem.
«è difficile sapere se le xilografie, termine riservato specialmente a questi libri, furono prima figura e testo».
[27] Ibidem.
«A queste tavole dove l’iscrizione accompagna l’immagine, dobbiamo le prime pagine a stampa».
[28] Ibidem p. 18.
«Se l’incisione ai suoi esordi servì da libro agli illetterati, come prima di lei aveva fatto la scultura nelle cattedrali, essa si accompagnò ben presto a c[elle iscrizioni».
[29] Ibidem. «La stampa così ottenuta fu per un certo periodo dipinta, messa in risalto con oro e rosso, per dare l’illusione del manoscritto, ma ben presto l’incisore e l’editore presero coscienza della bellezza della loro opera nella purezza del suo stile, conobbero le prime gioie della tipografia, quelle che dona il gioco dei contrasti fra neri e bianchi. L’immagine prese il suo posto sulla pagina; il suo valore si pose in equilibrio con quello del testo, essa prese a partecipare all’architettura dell’opera: il libro illustrato era nato».
[30] 30PAOLAPALLOTTTNO, op.cit., p. 25.
[31] ROBERT BONFILS, initiation à la Gravure, Librairie d’Art R. Ducher, Paris 1939, p. 10.
«L’incisione su legno è l’incisione tipografica per eccellenza.[...]. Il suo tratto si accorda alla perfezione con quello dei caratteri tipografici che sono essi stessi un’incisione a rilievo».
[32] PAOLA PALLOTTINO, op.cit., p. 22.
[33] Ibidem.
[34] JEANE. BERSIER, op.cit., p. 18.
[35] PAOLA PALLOTTINO, Op.Cit., p. 9.
[36] LUZZATI cit. in PAoLA PALLOTTINO, op.cit., p. 12.
[37] PAOLA PALLOTTINO, opcit., p. 11.
[38] NICOLÒ TOMMASEO, cit. in PAOLA PALLOTTINO, op.cit., p. 11.
[39] Ibidem.
[40] JEANE. BERSIER,Op.Cit., p. 91.
La Biblia Pauperurn costruisce dall’inizio in modo mirabile la pagina tipografica. Il testo, mirabilmente composto, è decorativo quanto le immagini strutturate che egli sottolinea; le bande sulle quali le frasi essenziali s’inscrivono incorniciano le scene dell’Antico e del Nuovo Testamento [...]. L’illetterato può leggervi in modo esauriente la Sacra Scrittura».
[41] JEAN LARAN, op. cit., p. 20.
«Era giunto il giorno in cui il torchio permetteva una moltiplicazione tale di esemplari che colorarli, anche se sommariamente, era diventato un lavoro troppo lungo. Negli ultimi ventanni del XV secolo, il grande pubblico dovrà accontentarsi sempre di più di esemplari in nero. Allora, come succederà più di una volta nella storia delle arti grafiche, dal bisogno di risparmiare tempo e mano d’opera nacque una felice rivoluzione estetica: l’artista fece in fretta ad accorgersi che il colore non solamente era superfluo, ma che, nel libro prima, nella stampa isolata poi, era u controsenso attentare alla superiore bellezza del bianco e del nero».
[42] 42 Ibidem.
«L’era degli incunaboli non è ancora conclusa che delle opere di valore hanno già dimostrato l’incomparabile forza di suggestione e di evocazione del tratto il più sobrio, purché sia esatto, fortemente concepito, deliberatamente tagliato nel legno e fermamente stampato in nero dal torchio sulla faccia vergine della carta».
[43] JEAN BERSIER, op. cit., p98.
«Il tedesco trovò in quest’arte il mezzo più adeguato alle proprie possibilità di partecipare al movimento estetico del Rinascimento, malgrado la sua mancanza di doni naturali; egli non possiede il senso della bellezza plastica, egli non saprébbe dunque esprimersi attraverso la scultura».
[44] Ibidem.
«Egli non è maggiormente pittore, compiacendosi di speculazioni oscure, egli vive troppo con lo sguardo immerso in se stesso per afferrare il gioco dei colori che anima la vita esterna; d’altra parte il suo paese è ingrato sotto la luce parsimoniosa».
[45] Ibidem.
«Nella sua volontà di potenza essa troverà il suo stile; nell’incertezza della sua arte plastica essa inciderà, acuto, teso, angoloso il contorno che gli darà l’illusione della stabilità ma lasciandosi troppo spesso dominare dal dubbio lancinante di non essere compreso a sufficienza. Proprio questa lotta incessante e crudele conferirà all’incisione tedesca una grande bellezza più intellettuale che sensibile, certamente, ma emozionante per l’anelito di umanità che essa esprime senza mai riuscire a colmarlo».
[46] CHIGGI0 citato in PAOLA PALLOTTINO, op.cit., p. 11.
[47] 47MARCEL BRI0N, introduzione a Quattro secoli di surrealismo, Belfond, Paris 1973 - ed. italiana Milano libri Edizioni, 1974, p. 11.
[48] ROBERT BONFILS, op. cit., p. 10.
«I bianchi nell’incisione su legno vibrano particolarmente . Essendo determinati dalle parti scavate, cioè vuote della tavola di legno, la carta non è schiacciata e conserva la sua granitura che attira la luce radente».
[49] Ibidem.
«Il lavoro su rame è l’opposto di quello dell’incisore su legno. Il nero non si ottiene con le parti in rilievo della lastra di metallo ma con il tratto scavato: la “taille”. Nella ‘taille-douce’, l’opposizione di una materia resistente alla forza del bulino non autorizza mai le linee larghe e le campiture nere. Tutto il lavoro si esprimerà in tratti fini e tagliati con franchezza, eseguiti con sicurezza. Le tinte attraverso delle linee parallele più o meno serrate, diritte o curve che manifestano le forme, qualche volta sovrapposte se si vuole un’intensità più forte nei neri».
[50] 50 Ibidem.
«Questa tecnica conviene poco all’improvvisazione, richiede una preparazione meditata le cui conseguenze sono a volte una certa freddezza di espressione».
[51] 51 lbiL’em.
«L’acquaforte è un mezzo più duttile. Spesso gli si confà la spontaneità. La morsura dell’acido dona al segno inciso un bordo irregolarmente scavato, rendendola più viva agli occhi. Essendo esso sovente più profondo che quello ottenuto al bulino, si carica di molto più inchiostro e diventa molto variato nei suoi toni.
Attraverso morsure successive e con l’intervento di tratti a burino e di punta secca, l’incisore ottiene dei neri vellutati e profondi che nessun’altra tecnica può offrire».
[52] A. GARIAZZO, op. cit., p. 141.
[53] F. VAN DER MEER, L’Apocalypse dans l’art, Chêne, Anvers 1978, p. 273.
«Possedere una Apocalisse illustrata fu per lungo tempo il privilegio dei potenti e degli istituti religiosi ben dotati; solo i principi e le grandissime dame avevano i mezzi per procurarsi un manoscritto lussuosamente miniato».
[54] Ibidem.
«Ormai il magistrato, il borghese, il curato, il semplice clero potevano permettersi una bella stampa e anche una serie di incisioni».
[55] Ibidem.
«Uno dei primi libri xilografici fu l’Apocalisse».




Fonte :   scritti dell'artista prof. Alessio Varisco , Técne Art Studio .
Prof. ALESSIO VARISCO
Designer - Magister Artium
Art Director Técne Art Studio

http://www.alessiovarisco.it










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