L'INCISIONE , LA STAMPA E IL LIBRO ILLUSTRATO
di Alessio Varisco
In questo
capitolo ci occuperemo di definire cos’è l’incisione, di
delinearne sinteticamente la storia e di spiegarne brevemente le varie
tecniche.
Vedremo il
rapporto che lega l’incisione alla stampa nel corso dei secoli.
Dopo il
tentativo di definire il termine “illustrazione”, ci
soffermeremo sulla sua relazione con l’incisione.
Termineremo il
capitolo con l’esame della specificità stilistica del mezzo incisorio, per
poter comprendere la scelta di una analisi
sull’Apocalisse illustrata da
questa forma espressiva. Con una riflessione sulla storia dell’incisione,
motiveremo il taglio del presente studio, che privilegia l’illustrazione
rinascimentale dell’Apocalisse su quella di altri periodi.
1.
CHE
cos’È L’INCISIONE?
Alla ricerca di una definizione di che cosa
sia l’incisione, ci appelleremo a due autori: a
Francesco Milizia che, per la sua sinteticità e chiarezza è
citato dal Massari
nella sua opera sull’arte dell’incisione
[1], e
a Jean Bersier che
ricorre a due proposte etimologiche del termine per farci capire tutta la
ricchezza espressiva e culturale di quest’arte.
«L’incisione si può definire un’arte che per mezzo
del disegno e dei tratti delineati e incavati su materie dure
imita le forme, le ombre, i lumi degli oggetti
visibili e può moltiplicarne gli impronti per mezzo dell’impressione»
[2]
Così dunque
il Milizia, che mette l’accento su una
particolarità dell’incisione, quella di essere un’arte che produce dei
multipli. Questo punto è di fondamentale importanza, tanto che molti autori,
fra i quali proprio il Massari, mettono in massima
luce tale aspetto e legano l’invenzione dell’incisione
«alla richiesta di una sempre più larga utenza
privata, che poneva il problema della moltiplicazione in gran numero
di esemplari del prodotto d’arte figurativa»
[3]
Per
Jean Bersier invece il
problema è più complesso:
«Dès
sa naissance l’art du graveur est donc un art de nécessité intérieure, un art
qui porte en lui-mème sa satisfaction, un art
majeur au premier chef et non pas, comme d’aucuns l’ont prétendu, un simple
procédé chargé de reproduire en plusieurs exemplaires un dessin ou le
facsimilé dune peinture»
[4]
Esamineremo più
avanti, delineando una sintesi dello sviluppo della
storia dell’incisione, e forse più ancora nel paragrafo che tratta delle
possibilità stilistiche di questo mezzo, il significato di tale “necessità
interiore” che sta all’origine di un’opera d’arte incisoria; ora vediamo
invece le due radici etimologiche del termine, poste dal
Bersier all’inizio del suo discorso sulla grafica.
«Deux
étymologies du mot “graver” nous sont proposées, la première le fait dériver
du mot grec “graphein” qui signifie écrire, la
seconde, que nous adopterons, lui donne pour parrain l’ancien mot
haut-allemand de “grabau”
(graben) qui signifie creuser»
[5]
Dire che l’atto
di incidere è vicino alla scrittura ha una valenza molto particolare perché ci
fa capire quanto poi è stato dimostrato dalla storia, che l’incisione ha un
rapporto privilegiato con il libro; dire che l’atto di incidere è vicino a
quello di scavare, significa in definitiva porre l’incisione in uno spazio
tutto suo, tra disegno e scultura.
Bastano queste
due radici etimologiche del termine, a farci intuire tutta la complessità del
mezzo artistico in esame; complessità che, unita
alle due definizioni precedenti, già rivela quanto l’incisione significa per
la cultura occidentale.
2. OssERvAzioNi SULLA STORIA DELL’INCISIONE E SULLE SUE VARIE MODALITÀ
TECNICHE
Se è vero che
le prime incisioni risalgono al XIV sec., sarebbe
errato fissare la nascita della tecnica incisoria a questo periodo.
«Qu’y
a-t-il de plus proche de certains de nos burinistes contemporains que les
admirables artistes qui gravèrent en les rehaussant d’ocre rouge et de noir
les bisons d’Altamira, les rennes et les chevaux de telle plaque dos ou de
corne?»[6]
Certamente
l’arte di incidere materiali diversi per consegnare ai posteri un
documento di carattere storico o rituale è antichissima.
Ciò che separa questo momento da quello dell’incisione
vera e propria è lo sfruttamento di questa superficie come matrice per
imprimere tramite inchiostri le figurazioni su altri materiali ben più morbidi.
«Aux Indes, en Perse, puis à
Venise et à Gènes, les grandes bois gravés servirent à imprimer les étoffes,
les “indiennes” [...]. Les Phéniciens et les Egyptiens fabriquaient par le
mêmes procédés des étoffes peintes et Tyr, Damas, Antioche, Alexandrie en
produisirent jusqu’au IX siècle de notre ère»
[7].
È questo un
ulteriore passaggio verso l’incisione, così come la
conosciamo oggi. Ciò che separa questa seconda fase dell’incisione su stoffa
dalla grafica moderna è un fatto semplicissimo e
fondamentale: l’invenzione della carta.
«Ceci
se passa chez nous vers la fin du XIV siècle. A peine le papier a-t-il paru
que nos premières estampes naissent à leur tour. La mme phénomène s’était
produit à notre insu en Chine, vers le IX siècle, lors de l’invention du
papier d’écorce de mûrier»
[8]
Eccoci
finalmente all’invenzione dell’incisione su carta. Da questo punto in poi lo
sviluppo di quest’arte si legherà all’invenzione di
altre tecnologie che ne segneranno il destino.
Parlando di
nascita dell’incisione noi ci riferiamo alla xilografia, impressione su
materiale cartaceo da una matrice scavata nel legno.
«Les
premières estampes remontent sans doute à la fin du xiv
siècle, et il est universellement admis aujourd’hui que la gravure en relief
précéda la gravure en creux»
[9]
Ora questa
matrice di legno è, all’inizio, legno di filo,
ricavato tagliando l’albero parallelamente alle fibre. Ciò non permette segni
sottili, ma consente immagini chiare e sintetiche.
La
Pallottino cita Firmin-Didot
per definire questa tecnica.
«Arte di ritagliare in una tavoletta di legno il
disegno tracciato sulla sua superficie, in modo che ciascun tratto di questo
disegno, messo in rilievo dal coltello o dalla punta dell’incisore, possa
venire riprodotto sulla carta, quando la superficie
del legno sia stata spalmata con inchiostro tipografico. Questa impronta in
origine si otteneva attraverso la pressione operata da una spazzola o dallo
sfregamento di un brunitoio»[10]
È ancora
un’invenzione, quella del torchio tipografico o verticale, a sveltire il
procedimento di stampa della xilografia e quindi a contribuire alla sua enorme
diffusione.
Arriviamo al XV
secolo, quando nuove matrici appaiono all’orizzonte, insieme all’invenzione di
un altro torchio, quello calcografico.
«C’est en Allemagne et en Fiandre
qu’apparaissaient les premières gravures sur cuivre, gravures au burin et cela
un peu avant la fameuse Paix de Finiguerra. Un jeu de cartes sans doute de
Haute-Allemegne précède de peu la
Passion du Cabinet de Berlin datée
de 1446. A partir de ce moment il est possible de distinguer des différences
de sinon de personnes du moins d’écoles et d’ateliers parmi les nombreuses
estampes encore anonymes»[11].
Il bulino è
all’inizio uno strumento usato dagli orefici e in particolare dagli artigiani
del niello, arte d’intagliare una lastra d’argento secondo un qualsivoglia
disegno, per poi riempirlo di una lega capace di far risaltare il segno
inciso. Con l’invenzione del torchio calcografico, che sembra risalire a
Martin Schongauer di
Colmar, tali solchi, riempiti di inchiostro,
imprimono sulla carta il prezioso disegno che la punta a becco del bulino ha
saputo ricavare sulla matrice, solitamente di rame. Proprio in ragione di
questa maggior finezza stilistica gli artisti, una volta scoperte le
possibilità del bulino, abbandonano in parte la xilografia, che rimane
comunque tecnica di tutto rispetto perché permette
tirature sterminate a confronto delle relativamente poche copie che si
riescono a ricavare con le tecniche calcografiche.
Accanto al bulino
«il metodo, forse già tentato da
Durer, di coprire le lastre con una vernice,
intagliar quelle e corrodere con acidi i punti rimasti scoperti, incontrò
favore»
[12]
siamo
così giunti all’invenzione dell’acquaforte
«che si esegue tramite morsura prodotta da una
soluzione acida (acido nitrico o acquaforte) nei solchi graffiati
quanto basta a mettere a nudo il metallo
preventivamente coperto di vernice»
[13]
Con l’acquaforte si moltiplicano le
possibilità tecniche del mezzo incisorio anche se,
sempre per quanto riguarda la tiratura, la xilografia rimane insuperata. Non
meraviglia quindi l’enorme succeso della
xilografia su legno di testa che, nel XVIII secolo, portò una vera e propria
rivoluzione nel campo dell’incisione.
«Nella seconda metà del Settecento, l’incisore
Thomas Bewieck
(1753-1828) introduce in Europa una maniera di incidere il
legno destinata a rivoluzionare l’editoria, utilizzando tavolette non
più tagliate parallelamente alle fibre: xilografia in legno di filo, ma
perpendicolarmente: xilografia in legno di testa o
bois-debout, sulle quali l’incisione, effettuata con sottili punte o
bulini, consentiva finezze ed incroci di segni, altrimenti impossibili»[14]
Questa nuova
forma di xilografia univa dunque finezza di disegno
a tirature altissime. Per tutto il secolo XIX questa tecnica sarà davvero
egemone. Quasi contemporaneamente però un altro procedimento viene ad occupare
un posto di primissimo piano: quello della litografia.
«La litografia, dal greco
lithos,
pietra, è l’unica di cui meglio si conoscono i tempi, le modalità
di nascita, dovuta al cecosclovacco
Aloys Senefelder
(1771-1834) che nel 1796 scoprì la proprietà delle pietre calcaree tratte
dalle cave bavaresi di Solehofer e di
Kolheim di assorbire grassi,
resine e saponi allo stato asciutto e di rifiutarli quando venivano
bagnate con soluzioni acido-gommose. Disegnando con una speciale matita grassa
o litografica direttamente sulla pietra asciutta, dopo averla “lavata” con
soluzioni acide, la si inchiostra con un rullo. La
reazione sarà quella di fare aderire l’inchiostro solo sulle parti disegnate
che risulteranno pronte per la stampa. [...].
Ulteriore evoluzione del processo fu il superamento
dell’ingombro costituito dalla pietra, presto sostituita con lastre metalliche
di zinco o di alluminio opportunamente trattate e in seguito l’introduzione di
una speciale carta granulata, detta carta da riporto»
[15].
Questa tecnica,
fra tutte la meno “incisoria”, si serve di una matrice piana; l’artista
infatti disegna sulla lastra, e il risultato è ben più vicino al
disegno che all’incisione. Ma, come sottolinea la
Pallottino, essa era
«nata come processo sostitutivo
dell’incisione per l’incontestabile vantaggio offerto dalla sua
economicità e maggiore velocità esecutiva rispetto
alle altre tecniche»[16].
Fin qui la
storia dell’incisione è proceduta, attraverso alcune svolte, con una certa
linearità; che dire ora della rivoluzione suscitata in questo campo
dall’avvento della fotografia con le sue applicazioni alla grafica?
Davvero epica,
con una punta di ironia francese, è la descrizione
del fenomeno fatta da Jean
Laran.
«On
ne saurait davantage considérer comme un fait nouveau ce qui, plus que les
victoires et les désastres militaires, plus que l’avance ou le recul des
frontières, le renversement des trònes et les
boulversements sociaux, domine aujourd’hui
l’histoire de l’estampe et conditionne son avenir, nous voulons dire la marche
envahissante de la photographie. Depuis cent ans déjà, avec tout son
cartège d’applications à l’imprimerie, que nous
grouperons, pour abréger, sous le nom de photogravure, nous l’avons vue
supplanter peu à peu dessinateurs, graveurs et lithographes dans le portrait,
le paysage et l’illustration documentaire, l’information, l’actualité»
[17]
Si parlò, da
parte di alcuni, di “morte dell’incisione”: nientemeno!
A metà
del XIX secolo iniziarono le prime ricerche per una
fotoincisione: come, attraverso la fotografia, riprodurre un’immagine su carta
non soltanto fotosensibile?
«La soluzione
del problema sarebbe stata una delle più rivoluzionarie invenzioni
del XIX sec. ovvero la messa a punto del retino
tipografico.
Il retino, altrimenti detto reticolo, è uno
schermo di cristallo finemente quadrettato, il quale, posto fra l’obiettivo e
la lastra sensibile, scompone l’immagine da riprodurre (fotografia, disegno,
ecc...) in migliaia di punti, le cui dimensioni
sono determinate dal maggiore o minore passaggio di luce attraverso ciascun
quadretto del retino, e la somma della cui intensità, dopo l’incisione chimica
sul metallo del cliché, che in questo caso è
denominato a “mezzatinta”, fondendosi allo sguardo all’atto della stampa, è in
grado di restituire l’intera gamma delle sfumature dei grigi»[18].
Si può parlare
per la fotoincisione, per la fotocalcografia e per
la fotolito (procedimenti tutti che attraverso il
retino si servono della fotografia per imprimere un’immagine su di una
matrice), di incisione? O
l’incisione è solo quella manuale? Quella tradizionale?
Certamente se
si pensa al ruolo che ha la manualità dell’operatore che scava da sé la
lastra, inchiostrando da sé la matrice, si può comprendere quale differenza
esiste fra i due processi. Senza nulla togliere all’enorme portata di
questa invenzione che ha rivoluzionato la cultura
dell’immagine, possiamo concordare con Jean
Laran quando afferma:
«Ce
qui reste donc au graveur, c’est tout ce que l’estampe est capable d’ajouter
au dessin par la magie des beaux outils et des belles matières. Et si l’on
admet avec nous que ce fut de tout temps l’essentiel, on doit penser que ce
qui a fait vraiment la gioire des
maitres graveurs et lithographes reste hors de
l’atteinte du photograveur»[19]
Per specificare
meglio questo “quid” stilistico che l’incisione possiede rispetto ad altro
tipo d’immagine avremo però maggior spazio in
seguito.
3. RAPPORTO FRA STAMPA E
INCISIONE
Nel paragrafo
precedente abbiamo parlato della nascita e degli sviluppi della tecnica
dell’incisione. Ora accenneremo ad un’altra
invenzione che ha segnato l’inizio dell’era moderna: la stampa a caratteri
mobili.
«Attribuita all’orafo Johann
Gensfleisch von
Gutenberg di Magonza (1394/99-1468) che la definì
appunto “Afentur
und Kunst” (un’avventura e un’arte), e
comunque originata in Germania, la stampa a
caratteri mobili che si diffonde in tutta Europa a partire dalla metà del XV
secolo, oltre a rappresentare uno dei più grandiosi “agenti di mutamento”
dello storico passaggio “dall’orecchio all’occhio”, costituisce uno dei più
affascinantì capitoli della storia del pensiero e
della cultura materiale dell’occidente»
[20]
Sul ruolo di
primo piano che la stampa svolse nell’Europa del rinascimento nell’ambito
culturale, politico, religioso, torneremo a parlare nel terzo capitolo di
questa tesi, ciò che ora vogliamo sottolineare è un
altro aspetto essenziale al nostro studio: il rapporto tra stampa ed
incisione.
Se è vero che
nel XV secolo
«a seguito della dieta di Magonza, i
prototipografi tedeschi si stavano espandendo per
tutta l’Europa in cerca di fortuna [...]
come menestrelli presso le principali corti e
università europee, a “suonare” quel precario strumento rappresentato dal
torchio tipografico, con la determinazione di impiantarvi le prime officine»[21];
se
è altrettanto vero che
«il primo libro a caratteri mobili, la Bibbia a 42
linee di Gutenberg, venne
stampato a Magonza intorno al 1456»
[22];
è
parimenti innegabile un altro fatto: che già l’invenzione della xilografia,
all’inizio del XV sec., aveva dato origine a dei “protolibri”
[23],
tabellari o chiroxilografici.
Jean
Bersier parla in questi termini della nascita
ditali libri: nel XIV sec., il papa
Avigonese Clemente VI, nei dieci anni del suo
pontificato, cercò di regolamentare la pratica delle indulgenze.
«L’image pieuse, accompagnée d’un texte succinct et manuscrit selon
l’acquéreur et sa pénitence, était la chose la plus pratique à échanger contre
une somme plus ou moins légère destinée à assurer une réduction des peines
éternelles [...]. Les peintres des couvents ne suffirent plus à contenter une
clientèle devenue innombrable et ce sont les grands ordres monastiques qui
eurent recours à la gravure comme succédané du dessin enluminé»
[24]
Fin qui siamo
ancora nell’ambito figurativo, più precisamente nel momento di passaggio
dall’immagine miniata a quella xilografica, più rozza forse, ma magnificamente
eloquente; ma la storia prosegue:
«Ce
ne furent pas seulement des images de piété de petits formats, faciles à
coudre sur la robe du pénitent, du pèlerin, mais bien des livres ou du moins
des cahiers qui sortirent à la même époque des couvents. Ces cahiers étaient
formés de feuilles sur lesquelles figuraient, au recto seulement, saints et
inscriptions édifiantes, le plus souvent enluminées. Ces apparences de
manuscrits étaient en réalité des estampes de bois gravés»[25]
Il passaggio
dalla miniatura alla xilografia aquerellata
precedeva dunque di poco il passaggio dal manoscritto al libro xilografico.
«Il
est difficile de savoir si les xilographies, ce
terme étant spécialement réservé à ces premiers livres, commencèrent par des
figures ou par des textes»
[26]
È
indubbio invece
che «c’est à ces planches gravées où la légende
accompagne l’image que nous devons les premières pages imprimées»
[27].
Parlare di stampa e
di incisione in termini separati, soprattutto
all’inizio della loro storia, ci sembra dunque un’impresa impossibile o
altamente fuorviante.
«Si l’estampe à ses débuts servit
de livre aux illettrés, comme l’avait fait avant elle la sculpture de nos
cathédrales, elle s’accompagna très vite d’inscriptions»[28]
continua il Bersier.
Non solo:
quando ormai la stampa a caratteri mobili è un fatto certo e sempre più si
configura come il mezzo di comunicazione per eccellenza della nuova era,
comune all’incisione e alla stampa è il problema di affrancarsi dal libro
miniato.
«L’estampe ainsi obtenue fut un certain temps repeinte, rehaussée d’or et de
rouge, afin de donner l’illusion du manuscrit; mais bientôt le graveur et
l’imprimeur prirent conscience de la beauté de leur oeuvre dans sa pureté, ils
connurent les premières joies de la typographie, celles que donne le jeu des
noirs et des blancs. L’image prit sa place sur la page, et sa valeur
s’équilibra avec celle du texte, elle participa à l’architecture de l’ouvrage:
le livre illustré était né»
[29].
Questo nuovo libro illustrato nasce da un vero e
proprio accordo tra xilografia e stampa. Se la stampa a caratteri mobili «è
di origine orafa e non nasce nei laboratori
xilografici, bensì in quelli specialisti del metallo»[30],
è anche vero che
«la
gravure sur bois est l’empreinte typographique par
exellence. [...]. Son trait s’accorde à la perfection avec celui des
caractères typographiques qui sont eux-mmes une
gravure en relief»
[31]
Per questa concordanza tecnico-stilistica, il
sodalizio stampa tipograficaxilografia continuerà
privilegiato nei secoli; soprattutto nel secolo XIX, quando la xilografia su
legno di testa «per la possibilità di venire
stampata direttamente insieme alla composizione tipografica»[32]
faciliterà ulteriormente l’unione dei due mezzi.
Più complesso
il rapporto tra la stampa e le altre tecniche incisorie.
Soprattutto per la calcografia: a causa della sua tiratura limitata, e svolta
a parte, con «fogli inseribili nel libro solo all’atto della legatura»[33]
essa è meno adatta ad accompagnare il testo stampato. Un diverso tipo di
torchio, quello orizzontale rispetto a quello
verticale tipografico e un diverso tipo di carta la rendono poco agevole per
una quotidiana illustrazione di libri. La calcografia sarà allora riservata ad
opere più rare, a volumi di particolare pregio artistico.
Che
cosa aggiungere, a conclusione di questo paragrafo?
Una breve osservazione: se stampa ed incisione
sono nate insieme e se insieme hanno poi vissuto
per lungo tempo con esiti tanto proficui, ciò significa che esiste, anche se
non “unica”[34],
un’anima tipografica nell’arte dell’incisione; questo ci conduce direttamente
al prossimo paragrafo che tratta dell’incisione come illustrazione.
4.
DEFINIzIoNE DI ILLUSTRAZIONE E
SUO RAPPORTO CON L’INCISIONE
Paola
Pallottino, nella sua introduzione alla
Storia dell’illustrazione italiana,
cerca di penetrare più a fondo di quanto si sia soliti
fare nel campo della definizione del termine “illustrazione” e sul ruolo che
ad essa è stato storicamente assegnato da quel complesso di fattori culturali
e sociali che compongono il panorama artistico dell’occidente. L’autrice parte
da una premessa:
«Va preliminarmente dichiarato che d’ora in avanti
per “illustrazione” si intenderà solo ed
esclusivamente ogni multiplo ottenuto tramite la riproduzione a stampa di un
artefatto di natura grafico-pittorica,
commissionato dall’industria editoriale, e pertanto reperibile nei relativi
prodotti come libri e periodici»
[35]
Questa
puntualizzazione è essenziale dal momento che, a voler essere precisi,
illustrazione è anche ogni forma di opera
figurativa che rimandi ad un insieme di concetti, fatti, narrazioni non
necessariamente legati ad un testo scritto ma anche tramandati oralmente dal
mito o dall’epica. Illuminante in tal senso è, a nostro parere, l’intervento
di Luzzati riportato sempre dalla
Pallottino più avanti.
«Credo che il mestiere dell’illustratore sia il
più antico del mondo: già nell’età della pietra gli uomini delle caverne
graffiavano sui muri storie di caccia e di guerra; [...]
poi ad un certo punto, credo soprattutto a causa
dell’invenzione della stampa, il pittore ha cessato di raccontare storie per
raccontare di più se stesso, mentre l’illustratore si è dedicato soprattutto
alla pagina per commentare col disegno un testo scritto»
[36].
Per
Luzzati è dunque l’avvento della stampa a far
nascere una distinzione fra arte figurativa e illustrazione.
Ma il termine “illustrazione” nasce solo più tardi,
nel 1817, in Inghilterra. Da quella data in poi tutta una serie di studi volti
a delimitare il campo entro cui una figurazione può essere ritenuta
“illustrazione”, si sono susseguiti. A conclusione di queste ricerche la
Pallottino richiama alla nostra attenzione la
definizione del Dizionario Enciclopedico
Italiano, corredandola di una spiegazione che riteniamo ricca di
spunti utili al nostro lavoro.
«Per
ricapitolare il termine “illustrazione”, dal latino: illustrare, derivato da
illustris,
illustre; vuole dire 1. illuminare,
render chiaro; 2. rendere illustre e glorioso; 3.
dichiarare, commentare e descrivere.
E infine: 4. corredare
di figure un testo per agevolarne la comprensione e, aggiunge il
Dizionario Enciclopedico, per
renderlo più attraente.
Questa accezione, largamente popolare e
ufficializzata dall’uso comune, è quella che più ci
interessa perché sembra voler riassumere le prime tre, nel senso di attribuire
al genere di commento affidato all’illustrazione, anche una specifica funzione
di segno positivo, in una sorta di sottintesa complicità, sostegno, promozione
o, in qualche modo, di amplificazione del testo»
[37]
Assolto il
compito di definire il termine illustrazione, occorre ora esaminare il
rapporto che lega l’incisione all’illustrazione.
Se nel paragrafo precedente è stato dimostrato lo
stretto legame fra incisione e libro stampato, se ora abbiamo appena visto
definire l’illustrazione quale estensione figurativa di un testo all’interno
del libro, non potrà che risaltare chiaro il fatto che l’operazione
dell’illustratore è in un certo senso indissolubile, almeno fino
al XIX secolo, con quella dell’incisore. Infatti,
fino a tutto il
XIX secolo, prima dell’avvento della fotoincisione, dire
illustrazione di un libro significava parlare di xilografia, litografia o, più
raramente, di calcografia. Tant’è vero che nel
1869, Tommaseo, nel suo
Nuovo Dizionario, definisce le
illustrazioni come «incisioni di rame o in legno che adornano libri e
giornali» 38[38],
Certamente questo legame tra illustrazione ed incisione è dovuto alla comune caratteristica di essere “multiplo”:
Certamente questo legame tra illustrazione ed incisione è dovuto alla comune caratteristica di essere “multiplo”:
«Accanto alla sua natura di merce — l’attività
dell’illustratore è comunque legata alla
committenza editoriale — [l’illustrazione ha una] sua peculiare caratteristica
di multiplo, che la separa anni luce dalla miniatura, che costituisce sempre
un esemplare unico»[39].
Ma, a nostro
avviso, il legame tra le due arti è ancora più stretto e per capirlo occorre
ancora una volta risalire alla nascita dell’incisione, a quella famosa
Bibbia dei poveri che, libro
tabellare o proto-libro,
assolve allo stesso tempo la funzione di esprimere con parole e con
figure, unite, un messaggio.
«La
Bible des Pauvres architecture
dès l’abord d’une faon magistrale la page typographiée.
Le texte, admirablement composé est aussi decoratif
que les images compartimentées qu’il souligne, les banderoles sur lesquelles
les mots essentiels s’inscrivent relient les scènes de l’Ancien et du Nouveau
Testament [...]. L’illetré
pourrait y lire
aisément la
Sainte Ecriture»[40]
In quei primi
tabellari, nei quali assistiamo ad un vero e
proprio scambio di ruoli, con un testo-decorazione e una figurazione-messaggio
letterario, è l’origine dell’incisione ma è anche
l’origine del suo essere illustrazione. Nasce una domanda: quanto tale
compenetrazione di parola e immagine influirà sullo
stile dell’incisione successiva, quando essa si staccherà da un legame tanto
stretto col messaggio verbale? Certamente molto. Ma
capire meglio questo “molto” è compito del prossimo paragrafo e in parte di
tutta questa tesi.
5. Lo STILE DELL’INCISIONE
Jean
Laran parte dall’indagine sul passaggio dal libro
miniato al libro tipografico illustrato per
proporre una propria considerazione sulla reciproca influenza tra stampa e
stile dell’incisione.
«Le
jour était venu où la presse avait permis une multiplication telle des
exemplaires que l’enluminure, méme sommaire, était
devenue un travail trop lent. Dans les vingt dernières années du XV siècle, le
grand public devra se contenter de plus en plus d’exemplaires en noir. Alors,
comme il arrivera plus d’une fois dans l’histoire des arts graphiques, du
besoin d’économiser le temps et la maind’c
uvre est sortie une heureuse révolution
esthétique: l’artiste eut vite fait de s’apercevoir que le coloriage n’était
pas seulemente superflu, que, dans le livre
d’abord, dans l’estampe isolée ensuite, c’était un contresens d’attenter à la
beauté supérieure du blanc et du noir»[41]
Una “felice
rivoluzione estetica”: così definisce Laran il
passaggio dal mondo colorato dei codici miniati, al mondo
in bianco e nero del libro illustrato dall’incisione. Secondo lo
studioso la capacità di questo mezzo espressivo di
mettere in moto l’immaginazione dell’osservatore che deve a suo modo,
soggettivamente completare con un “colore” solo evocato l’immagine,
costituisce un grande punto di forza. Più avara di connotazioni, l’immagine in
bianco e nero che l’incisione ci porge, rende più libera la fantasia di chi la
osserva.
Ma
l’ineguagliabile energia della xilografia scaturisce anche dal suo tratto
semplice, che si staglia nero sullo sfondo bianco del foglio:
«L’ère des incunables n’est pas dose que des couvres de valeur ont déjà
démontré l’incomparable force de suggestion et d’évocation du trait le plus
sobre, pourvu qu’il soit juste, fortement conçu, délibérément taillé dans le
bois et fermement appliqué en noir par la presse sur la surface vierge du
papier»
[42]
Jean
Bersier approfondisce il discorso sulla specialità
stilistica dell’incisione, partendo da una domanda solo apparentemente lontana
dal nostro discorso: perché l’incisione nasce, si sviluppa, dà gran parte dei
suoi massimi risultati in Germania?
«L’Allemand
trouva dans cet art le moyen le plus adéquat à ses possibilités de participer
au mouvement esthétique de la Renaissance, malgré son manque de dons naturels;
il ne possède pas le sens de la beauté plastique, il ne saurait donc
s’exprimer par la sculpture»
[43]
L’artista
tedesco per il Bersier non conosce il senso
armonioso della bellezza plastica, frutto di un mondo, quello mediterraneo,
dove la luce avvolge armoniosamente gli oggetti.
Ma
non solo:
«Il
n’est pas non plus peintre, se complaisant aux spéculations fuligineuses, il
vit trop le regard plongé en lui-même pour saisir le jeu des couleurs, animant
la vie extérieure; d’ailleurs son pays est ingrat sous la lumière
parcimonieuse»
[44]
Anche
la pittura è negata, nella sua pienezza, all’artista tedesco, che non trova
fuori di sé colori dolci e brillanti. Allora egli si ripiega in se stesso; ma
dentro di sé non trova colore: le idee amano il bianco e nero
della tesi e dell’antitesi. A questo punto la
volontà di esprimere sé stessa fa approdare la cultura tedesca all’incisione.
«C’est dans sa volonté de puissance qu’elle trouvera son style; pas dessus
l’incertitude de sa plastique, elle gravera, aigu, tendu, anguleux le contour
qui lui donnera l’illusion de la fermeté, mais se laissant trop souvent
dominer par le doute lancinât de ne pas être comprise suffisamment. Pourtant
cette lutte incessante et cruelle conférera à la gravure allemande une grande
beauté plus intellectuelle que sensible, certes, mais émouvante par le désir
d’humanité qu’elle exprime sans jamais réussir à le combler»[45]
Il bianco e il nero sono contrastanti fra loro,
l’incisione nasce dunque da una lotta; essa nasce
anche come chiarificazione di un’idea. A nostro avviso questa sua
caratteristica è strettamente legata alla funzione “illustrativa”, se come
dice il Chiggio, illustrare «è rendere informativa
e comunicante quella parte del pensiero che non può essere espressa con le
parole»[46].
A conclusione
di questo discorso sullo stile dell’incisione rispetto alle altre forme
di espressione artistica una nota di
Marcel Brion riassume
quanto detto finora, aggiungendovi un’osservazione che può servirci a
comprendere già qui il perché tanto potente si riveli questo mezzo espressivo
quando sia posto ad illustrare il testo
dell’Apocalisse.
«Arte maggiore, l’incisione è al servizio di
chiunque si stanchi di interrogare gli oggetti rivestiti dei loro colori di
tutti i giorni, e utilizzi i prestigi inesauribili e infinitamente vari di
quel bianco e nero sospettato di povertà e che gode invece di una maggiore
opulenza, che non si ritrova tra i più ricchi coloristi»[47]
La scelta del
bianco e nero conferisce all’incisione la capacità di cogliere l’anima delle
cose, andando oltre al loro colore naturale per ritrovare il
loro “colore” soprannaturale. Questa è un’idea che
risente di un certo platonismo; ma, se i colori
nell’Apocalisse svolgono, come
vedremo, una funzione simbolica, non è forse paradossalmente più atta a
“descriverli” una tecnica che li esclude?
Il contrasto
fra bianco e nero, comune a tutta l’incisione, è reso diversamente nelle varie
tecniche incisorie. Per esaminare questa continuità e diversità tra le diverse
modalità grafiche, illuminanti sono le osservazioni di
Robert Bonfils che non solo si occupa di
chiarire la specificità stilistica di ogni mezzo,
ma la collega in certo modo anche all’utilizzazione tipografica
dell’incisione, essendo egli stato da un lato artista incisore, dall’altro
insegnante all’Ecole
Estienne, scuola di ricerca nel campo
dell’arte del libro.
Iniziamo questa
carrellata dalla xilografia, prima in ordine di tempo, prima anche
in ordine al suo legame con il libro stampato.
«Les
blancs en gravure sur bois vibrent particulièrement. Etant déterminés par les
parties creusées, c’est-à-dire vides de la planche de bois, le papier n’est
pas écrasé et conserve son grain qu’accroche la lumière frisante»
[48]
La particolare
lucentezza e pulizia dei bianchi rende i neri
xilografici più intensi per contrasto; il rapporto tra i due valori ne risulta
semplificato: non sono possibili, soprattutto per quanto riguarda la
xilografia su legno di filo, sfumature. Il disegno xilografico giunge
immediato, sintetico: il concetto che si vuol esprimere arriva con
straordinaria chiarezza all’osservatore.
Se passiamo
dalla rilievografia alla calcografia il discorso si
fa più complesso.
«Le métier sur cuivre est à
l’opposé de celui du graveur sur bois. Le noir ne s’obtient pas avec les
parties en relief de la plaque de métal mais par le trait creusé: la taille
Dans la taille-douce, l’opposition dune matière résistant à la poussée du
burin n’autorise jamais les lignes larges et les aplats noirs. Tout le travail
sera exprimé par les tailles fines et franchement coupées, exécutées avec
sûreté. Les teintes par des lignes parallèles plus au moins serrées droites ou
courbes expliquant les formes, quelquefois surcoupées si l’on veut une
intensité plus grande dans les noirs»[49].
Più vicina alla scrittura, quella del bulino
è tecnica un po’ “cerebrale”:
«Cette technique convient peu à l’improvisation, demande une préparation
réfléchie dont les conséquences sont parfois une certaine froideur
d’expression»[50].
Essa deriva dall’oreficeria di cui conserva
tutta la preziosità. Il rapporto tra bianchi e neri si fa in
essa più mediato, meno caldo e intenso, perciò più
complesso.
Sempre nel’ambito
della calcografia il discorso cambia radicalmente quando
dal bulino si passa a parlare di “acquaforte”:
«L’eau-forte est d’un métier plus souple. C’est la
spontaneité qui lui convient souvent. La morsure à l’acide donne à la
taille un bord inégalement rougé, la rendant plus
vivante aux yeux. Comme elle est souvent plus profonde qu’au burin,
cile se charge de beaucoup
pius d’encre et devient très variée dans son intensité.
Par
les remorsures et en ajoutant des travaux du burin
et de pointe-sèche, le graveur obtient des noirs veloutés et profonds
qu’aucune autre technique ne peut offrir»[51].
La differenza
tra bulino e acquaforte è, stilisticamente
parlando, enorme: come quella tra Dürer e Rembrandt, i due autori che vengono
in mente quando si confrontano tra loro queste due tecniche.
L’acquaforte
ha, nella profondità delle sue ombre, uno spessore che non
riusciamo a trovare in nessun’altra
tecnica; la gamma tra il bianco del foglio e gli abissi più neri
dell’inchiostro può essere sterminata.
Tra l’artista
che incide la cera di cui la lastra è coperta e il risultato finale
dell’incisione, si pone la morsura dell’acido che, con il suo margine
di imprevedibilità, richiede all’artista di
ritornare sui suo lavoro più volte: l’acquaforte è un’arte “vissuta”,
ripensata; anche per questo essa è una tecnica ricca di calore e di emozioni.
La litografia è
fra tutte la tecnica più recente. La sua matrice
pianografica la assimila più al disegno vero e
proprio che all’incisione: dire grande litografo
significa dire grande disegnatore: un esempio fra i tanti,
Daumier.
Per quanto
riguarda la litografia il discorso sul chiaro-scuro
passa in secondo piano: ciò che fa grande una litografia è, lo ripetiamo,
l’immediatezza e l’abilità nel fissare l’idea.
A conclusione
di questo paragrafo ci siamo riservati di parlare di una tecnica che, se di
rapporto tra bianco e nero si vuoi discutere per presentare lo stile
incisorio, è sicuramente una tecnica emblematica;
mi riferisco alla “maniera nera”.
Inventata nel
1611 dal tedesco Luigi Siegen, per
essa si procede in tal modo:
«Si prepara una lastra di rame in modo che, se si
stampasse, ne risulterebbe sul foglio una tinta
nera uniforme, quindi si raschia o si schiaccia col brunitoio la granitura nei
campi che devono rimanere bianchi e si ottiene così per differenze di
chiaro-scuro il disegno desiderato»[52].
La “maniera nera”, con il suo richiamare alla
luce la forma voluta, ricorda ben da vicino il
procedimento scultoreo teorizzato da Michelangelo e, con esso, riprende il
neoplatonismo, cui già prima avevamo fatto riferimento parlando dell’antitesi
bianco-nero come di una ricerca di idea più che di realtà fenomenica. Qui però
il discorso si approfondisce, con la chiara affermazione di una lotta tra luce
e tenebre, profondità ed emersione. Questa lotta ben riflette, a nostro
parere, lo scontro tra Bene e Male, motivo conduttore
dell’Apocalisse.
6.
L’INCISIONE E
L‘ILLUSTRAZIONE DELL’APOCALISSE
I quattro cavalieri dell'Apocalisse di A. Dürer (Ap 6,2-8) - Tav. IV
A conclusione
del capitolo cerchiamo di motivare su due fronti, quello storico e quello
stilistico, la nostra scelta di una tesi sull’illustrazione dell’Apocalisse
nell’incisione.
Ritornando alla
nascita della xilografia si troverà subito un accostamento privilegiato tra i
due termini: Apocalisse e
xilografia.
«Posséder une
Apocalypse illustrée fut longtemps
le privilège des grands et des maisons religieuses bien dotées; seul les
princes et les très grandes dames avaient les moyens de se procurer un
manuscrit luxueusement enluminé»
[53].
Così
Van der
Meer, che continua parlando del vero e proprio
colpo di grazia dato dall’invenzione della xilografia alla miniatura con il
conseguente accesso di un pubblico più vasto al libro illustrato:
«Désormais le magistrat, le bourgeois, le curé, le simple clerc pouvaient
s’offrir une belle estampe et méme une série de
gravure»[54].
Come i ricchi committenti del libro miniato, anche
questi borghesi, ceto meno abbiente ma molto più numeroso e soprattutto ceto
“emergente”, richiede all’artista delle Apocalissi figurate:
«Un des
premiers livres
xilographiques fut 1’Apocalypse»[55].
Motivazioni
storiche e culturali stanno dietro a questa richiesta, come vedremo di
approfondire in seguito. Segnaliamo invece un altro fatto
significativo: quarantadue anni dopo la pubblicazione del primo libro a
caratteri mobili, la Bibbia stampata a Magonza nel 1456, appena ventisettenne
Dürer pubblica la sua prima opera di rilievo, l’illustrazione proprio
dell’Apocalisse. Tutto ciò a dimostrare l’interesse tutto
particolare del tardo-Medioevo e del Rinascimento per l’ultimo libro del Nuovo
Testamento.
Ma se
illustrazione nel Rinascimento significa incisione, se l’Apocalisse è
richiesta e illustrata nel Rinascimento soprattutto, comprendiamo subito come
il binomio incisione-Apocalisse sia molto stretto,
proprio a partire da fattori culturali e storici. Per quanto riguarda l’altro
fronte, quello stilistico, come già abbiamo accennato alla fine del paragrafo
precedente, è all’interno dell’apparente povertà del mezzo incisorio che deve
essere trovata una particolare consonanza tra
Apocalisse e incisione.
L’Apocalisse
è
stata definita «libro inafferrabile». Una figurazione
sintetica, povera, capace più di evocare che di descrivere, quale
risulta essere l’incisione, bene rispecchia a nostro parere questo senso di
“inafferrabilità”. Se inoltre si considera che, tra i tanti libri della
Bibbia, l’Apocalisse ha sopra tutti la caratteristica
particolare di essere Parola, Rivelazione, Rotolo, Libro insomma,
proprio il mezzo incisorio, storicamente e stilisticamente così strettamente
legato al volume a stampa, può a nostro avviso rispondere al compito di
illustrarla in modo particolarmente significativo.
[1]
MASSARI, NEGRI ARNOLDI, Arte e scienza
dell’incisione, La Nuova Italia Scientifica, Roma
1987
[2]
Ibidem, p.
13.
[3]
Ibidem..
[4]
JEAN E. BERSIER, La gravure,
La Table Ronde, Paris 1947, p. 3.
«Dalla sua nascita I arte dell’incisione è dunque
un’arte che nasce da una necessità interiore, un’arte che ha in sé stessa la
sua soddisfazione, un’arte maggiore di primordine
e non certo, come alcuni hanno preteso asserire, un semplice procedimento
incaricato di riprodurre in più esemplari un disegno o il facsimile di una
pittura».
[5]
Ibidem, p. 13.
«Ci
vengono proposte due etimologie della parole “graver”,
la prima Io fa derivare dal termine greco “graphein”
che significa scrivere, la seconda, che noi adotteremo, gli dà per padrino
lantico termine alto- tedesco “grabau”
(graben) che significa incidere».
[6]
Ibidem.
«Chi è più vicino ai nostri burinisti d’oggi dei
mirabili artisti che incisero con un arnese dosso o di corno, riempiendo i
solchi d’ocra rossa e di nero, i bisonti di
Altamira?»
[7]
7lbidcm, p. 14.
«In
India, in Persia, poi a Venezia e a Genova, i grandi legni incisi servirono
a imprimere le stoffe; le “indiennes”
[…] I fenici e gli egizi fabbricavano con gli stessi procedimenti delle
stoffe dipinte e Tiro, Damasco, Antiochia, Alessandria ne produssero fino al
IX secolo della nostra era».
[8]
Ibidem,,
p. 85.
«Questo avvenne da noi verso la fine del XIV
secolo. Appena la carta appare, le nostre prime stampe nascono a loro volta.
Lo stesso fenomeno si era prodotto a nostra insaputa in Cina, verso
il IX secolo, con l’invenzione della carta di
scorza di mûrier».
[9]
«Le prime stampe risalgono senza dubbio alla fine del
xiv secolo, e oggi è
universalmente riconosciuto che l’incisione in rilievo ha preceduto
l’incisone calcografica».
[10]
FIRMIN-DIDOT, citato in PAOLA PALLOTTINO,
Storia dell’illustrazione italiana,
Zanichelli, Bologna 1988, p.20.
[11]
JEAN E. BERSIER, op.
cit., p97.
«Le
prime incisioni a bulino su rame apparvero in Germania e nelle Fiandre, un
po’ prima della famosa Pace di Finiguerra. Un
gioco di carte, senza dubbio della Germania
settentrionale, precede di poco la
Passione del
Cabirietto di Berlino del 1446. A partire da
questo momento è possibile notare delle differenze, se non di singoli
artisti almeno di alcune scuole o botteghe fra le
stampe ancora anonime».
[12]
12 P. A. GARIAZZO, La stampa incisa,
Lattes, Torino 1907, p. 16.
[13]
PAOLA PALLOTTINO,
op.cit.,
p.22.
[14]
Ibidem.
[15]
Ibidem, p.23.
[16]
Ibidem.
[17]
JEAN LARAN,
L’estampe,
Presses Universitaires de France, Paris 1952, p242.
«Non si saprebbe maggiormente considerare come un fatto nuovo ciò che, più
che le vittorie e i disastri militari, più che l’allargarsi o il
restringersi dei confini di uno stato, la caduta dei troni e le rivoluzioni
sociali, domina o$gi la storia della stampa e
condiziona il suo avvenire, cioè l’invadente
avanzata della fotografia. Ormai da cent’anni,
con tutte le sue applicazioni alla stampa, che noi raggrupperemo, per
brevità, sotto il nome di fotoincisione, noi l’abbiamo vista soppiantare
poco alla volta disegnatori, incisori e litografi
nel ritratto, nelle vedute e nell’illustrazione documentaristica nel
giornalismo per l’informazione e l’attualità».
[18]
18 PAOLA PALLOTINO,
op.cit.,
p. 152.
[19]
19 JEANLARAN,
op.cit., p. 242.
«Ciò che dunque rimane all’incisore, è tutto ciò che l’incisione è capace di
aggiungere al disegno con la magia della capacità tecnica e della preziosità
dei materiali. E se si
è d’accordo con noi che questo è
stato, in ogni tempo, l’essenziale, si deve pensare che ciò che ha
costituito la vera gloria dei maestri dell’incisione e dei litografi resta
fuori della portata della fotoincisione».
[20]
PAOLA PALLOTTINO, op.
cit., p.
24.
[21]
Ibidem, p. 19.
[22]
Ibidem, p. 19
[23]
Ibidem, p. 9.
[24]
E. BERSIER, op. cit.,
p. 88.
«L’immagine sacra, accompagnata da un testo sintetico e manoscritto secondo
la condizione dell’acquirente e della sua pena, era l’oggetto di scambio più
pratico per una somma più o meno piccola destinata ad assicurare una
riduzione delle pene eterne […]. I pittori dei conventi non
erano più sufficienti ad accontentare una clientela
divenuta sterminata, sono quindi i grandi ordini monastici a
ricorrere all’incisione come sostituto della miniatura».
[25]
Ibidem, p. 89.
«Non furono soltanto le immaginette sacre,
facili ad essere cucite sugli abiti del penitente, del pellegrino, ma anche
libri o per lo meno quaderni ad uscire nella
stessa epoca dai conventi. Questi quaderni erano formati da fogli sui quali
figuravano, solamente sul recto, santi ed iscrizioni
edificanti, il ,più delle volte dipinte. Questi apparenti manoscritti
erano in realtà delle stampe xilografiche».
[26]
Ibidem.
«è
difficile sapere se le xilografie, termine riservato specialmente a questi
libri, furono prima figura e testo».
[27]
Ibidem.
«A
queste tavole dove l’iscrizione accompagna l’immagine, dobbiamo le prime
pagine a stampa».
[28]
Ibidem p. 18.
«Se l’incisione ai suoi esordi servì da libro agli illetterati, come prima di lei aveva fatto la scultura nelle cattedrali, essa si accompagnò ben presto a c[elle iscrizioni».
«Se l’incisione ai suoi esordi servì da libro agli illetterati, come prima di lei aveva fatto la scultura nelle cattedrali, essa si accompagnò ben presto a c[elle iscrizioni».
[29]
Ibidem. «La stampa così
ottenuta fu per un certo periodo dipinta, messa
in risalto con oro e rosso, per dare l’illusione del manoscritto, ma ben
presto l’incisore e l’editore presero coscienza della bellezza della loro
opera nella purezza del suo stile, conobbero le prime gioie della
tipografia, quelle che dona il gioco dei contrasti fra neri e bianchi.
L’immagine prese il suo posto sulla pagina; il suo
valore si pose in equilibrio con quello del testo, essa prese a partecipare
all’architettura dell’opera: il libro illustrato era nato».
[30]
30PAOLAPALLOTTTNO,
op.cit., p.
25.
[31]
ROBERT BONFILS, initiation à la Gravure,
Librairie d’Art R. Ducher, Paris
1939, p. 10.
«L’incisione su legno è l’incisione tipografica per eccellenza.[...]. Il suo tratto si accorda alla perfezione con quello dei caratteri tipografici che sono essi stessi un’incisione a rilievo».
«L’incisione su legno è l’incisione tipografica per eccellenza.[...]. Il suo tratto si accorda alla perfezione con quello dei caratteri tipografici che sono essi stessi un’incisione a rilievo».
[32]
PAOLA PALLOTTINO,
op.cit.,
p. 22.
[33]
Ibidem.
[34]
JEANE. BERSIER,
op.cit., p.
18.
[35]
PAOLA PALLOTTINO,
Op.Cit.,
p. 9.
[36]
LUZZATI cit. in PAoLA PALLOTTINO,
op.cit.,
p. 12.
[37]
PAOLA PALLOTTINO,
opcit.,
p. 11.
[38]
NICOLÒ TOMMASEO, cit. in PAOLA PALLOTTINO,
op.cit.,
p. 11.
[39]
Ibidem.
[40]
JEANE. BERSIER,Op.Cit., p. 91.
La
Biblia
Pauperurn
costruisce dall’inizio in modo mirabile la
pagina tipografica. Il testo, mirabilmente composto, è decorativo quanto le
immagini strutturate che egli sottolinea; le
bande sulle quali le frasi essenziali s’inscrivono incorniciano le scene
dell’Antico e del Nuovo Testamento [...]. L’illetterato può leggervi in modo
esauriente la Sacra Scrittura».
[41]
JEAN LARAN, op. cit.,
p. 20.
«Era giunto il giorno
in cui il torchio permetteva una moltiplicazione tale di
esemplari che colorarli, anche se sommariamente, era diventato un
lavoro troppo lungo. Negli ultimi ventanni
del XV secolo, il grande pubblico dovrà
accontentarsi sempre di più di esemplari in nero. Allora, come succederà più
di una volta nella storia delle arti grafiche, dal bisogno di risparmiare
tempo e mano d’opera nacque una felice rivoluzione estetica: l’artista fece
in fretta ad accorgersi che il colore non solamente era superfluo, ma che,
nel libro prima, nella stampa isolata poi, era u
controsenso attentare alla superiore bellezza del bianco e del nero».
[42]
42 Ibidem.
«L’era degli incunaboli
non è ancora conclusa che delle opere di valore hanno già dimostrato
l’incomparabile forza di suggestione e di
evocazione del tratto il più sobrio, purché sia esatto, fortemente
concepito, deliberatamente tagliato nel legno e fermamente stampato in nero
dal torchio sulla faccia vergine della carta».
[43]
JEAN BERSIER, op.
cit., p98.
«Il
tedesco trovò in quest’arte il mezzo più adeguato alle proprie possibilità
di partecipare al movimento estetico del Rinascimento,
malgrado la sua mancanza di doni naturali; egli non possiede il senso
della bellezza plastica, egli non saprébbe dunque esprimersi attraverso la
scultura».
[44]
Ibidem.
«Egli non è maggiormente pittore, compiacendosi di speculazioni oscure, egli
vive troppo con lo sguardo immerso in se stesso per afferrare il gioco dei
colori che anima la vita esterna; d’altra parte il suo paese è ingrato sotto
la luce parsimoniosa».
[45]
Ibidem.
«Nella sua volontà di potenza essa troverà il suo stile; nell’incertezza
della sua arte plastica essa inciderà, acuto,
teso, angoloso il contorno che gli darà l’illusione della stabilità ma
lasciandosi troppo spesso dominare dal dubbio lancinante di non essere
compreso a sufficienza. Proprio questa lotta incessante
e crudele conferirà all’incisione tedesca una grande bellezza più
intellettuale che sensibile, certamente, ma emozionante per l’anelito di
umanità che essa esprime senza mai riuscire a colmarlo».
[46]
CHIGGI0 citato in PAOLA PALLOTTINO,
op.cit.,
p. 11.
[47]
47MARCEL BRI0N, introduzione a Quattro
secoli di surrealismo, Belfond, Paris
1973 - ed. italiana Milano libri Edizioni, 1974, p. 11.
[48]
ROBERT BONFILS, op.
cit., p. 10.
«I bianchi nell’incisione su legno vibrano particolarmente . Essendo determinati dalle parti scavate, cioè vuote della tavola di legno, la carta non è schiacciata e conserva la sua granitura che attira la luce radente».
«I bianchi nell’incisione su legno vibrano particolarmente . Essendo determinati dalle parti scavate, cioè vuote della tavola di legno, la carta non è schiacciata e conserva la sua granitura che attira la luce radente».
[49]
Ibidem.
«Il
lavoro su rame è l’opposto di quello dell’incisore su legno. Il nero non si
ottiene con le parti in rilievo della lastra di metallo ma con il tratto
scavato: la “taille”. Nella ‘taille-douce’,
l’opposizione di una materia resistente alla forza del bulino non autorizza
mai le linee larghe e le campiture nere. Tutto il lavoro si esprimerà in
tratti fini e tagliati con franchezza, eseguiti con sicurezza.
Le tinte attraverso delle linee parallele più o meno
serrate, diritte o curve che manifestano le forme, qualche volta sovrapposte
se si vuole un’intensità più forte nei neri».
[50]
50 Ibidem.
«Questa tecnica conviene poco all’improvvisazione, richiede una preparazione
meditata le cui conseguenze sono a volte una certa freddezza
di espressione».
[51]
51 lbiL’em.
«L’acquaforte è un mezzo più duttile. Spesso gli si confà la spontaneità. La morsura dell’acido dona al segno inciso un bordo irregolarmente scavato, rendendola più viva agli occhi. Essendo esso sovente più profondo che quello ottenuto al bulino, si carica di molto più inchiostro e diventa molto variato nei suoi toni.
Attraverso morsure successive e con l’intervento di tratti a burino e di punta secca, l’incisore ottiene dei neri vellutati e profondi che nessun’altra tecnica può offrire».
«L’acquaforte è un mezzo più duttile. Spesso gli si confà la spontaneità. La morsura dell’acido dona al segno inciso un bordo irregolarmente scavato, rendendola più viva agli occhi. Essendo esso sovente più profondo che quello ottenuto al bulino, si carica di molto più inchiostro e diventa molto variato nei suoi toni.
Attraverso morsure successive e con l’intervento di tratti a burino e di punta secca, l’incisore ottiene dei neri vellutati e profondi che nessun’altra tecnica può offrire».
[52]
A. GARIAZZO, op.
cit.,
p. 141.
[53]
F. VAN DER MEER,
L’Apocalypse
dans
l’art, Chêne,
Anvers 1978, p. 273.
«Possedere una
Apocalisse illustrata fu per
lungo tempo il privilegio dei potenti e degli istituti religiosi ben dotati;
solo i principi e le grandissime dame avevano i mezzi per procurarsi un
manoscritto lussuosamente miniato».
[54]
Ibidem.
«Ormai il magistrato, il borghese, il curato, il semplice clero
potevano permettersi una bella stampa e anche una
serie di incisioni».
[55]
Ibidem.
«Uno dei primi libri xilografici fu l’Apocalisse».
Fonte : scritti dell'artista prof. Alessio Varisco , Técne Art Studio .
Prof. ALESSIO VARISCO
Designer - Magister Artium
Art Director Técne Art Studio
http://www.alessiovarisco.it
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