mercoledì 24 luglio 2019

L'AGONIA DI GESU' NEL GETSEMANI , di Francesco Cuccaro



L'AGONIA DI GESU' NEL GETSEMANI
 
di Francesco Cuccaro
 
 
 
 
“Allora Gesù andò con loro in in podere chiamato Getsèmani e disse ai discepoli : ‘Sedetevi qui mentre io vado là a pregare’. E presi con sé Pietro e i due figli di Zebedeo, cominciò a provare tristezza e angoscia. Disse loro : ‘La mia anima é triste fino alla morte; restate qui e vegliate con me’. E, avanzatosi un poco, si prostrò con la faccia a terra e pregava dicendo : ‘Padre mio, se é possibile, passi da me questo calice ! Però non come voglio io ma come vuoi tu !’. Poi tornò dai discepoli e li trovò che dormivano : ‘Così non siete stati capaci di vegliare un’ora sola con me ? Vegliate e pregate per non cadere in tentazione. Lo spirito é pronto ma la carne é debole’. E di nuovo allontanatosi, pregava dicendo : ‘Padre mio, se questo calice non può passare da me senza che io lo beva, sia fatta la tua volontà’. E tornato di nuovo, trovò i suoi che dormivano, perché gli occhi loro si erano appesantiti. E, lasciabili, si allontanò di nuovo e pregò per la terza volta, ripetendo le stesse parole. Poi si avvicinò ai suoi discepoli e disse loro : ‘Dormite ormai e riposate ! Ecco, é giunta l’ora nella quale il Figlio dell’uomo sarà consegnato in mano ai peccatori. Alzatevi, andiamo : ecco colui che mi tradisce si avvicina’” ( Mt. 26,36-46 ).
“Giunsero intanto a un podere chiamato Getsèmani, ed egli disse ai suoi discepoli : ‘Sedetevi qui, mentre io prego’. Prese con sé Pietro, Giacomo e Giovanni e cominciò a sentire paura e angoscia. Gesù disse loro : ‘La mia anima é triste fino alla morte. Restate qui e vegliate’. Poi andato un po’ innanzi, si gettò a terra e pregava che, se fosse possibile, passasse da lui quell’ora. E diceva : ‘Abbà, Padre ! Tutto é possibile a te , allontana da me questo calice ! Però non ciò che io voglio, ma ciò che vuoi tu’. Tornato indietro, li trovò addormentati e disse a Pietro : ‘Simone, dormi ? Non sei riuscito a vegliare un’ora sola ? Vegliate e pregate per non cadere in tentazione; lo spirito é pronto ma la carne é debole. Allontanatosi di nuovo, pregava dicendo le medesime parole. Ritornato li trovò addormentati, perché i loro occhi si erano appesantiti e non sapevano cosa rispondergli. Venne la terza volta e disse loro : ‘Dormite ormai e riposatevi ! Basta, é venuta l’ora : ecco il Figlio dell’uomo viene consegnato nelle mani dei peccatori. Alzatevi, andiamo ! Ecco, colui che mi tradisce é vicino’” ( Mc. 14,32-42 ).
“Uscito se ne andò, come al solito, al monte degli Ulivi; anche i discepoli lo seguirono. Giunto sul luogo, disse loro : ‘Pregate per non entrare in tentazione’. Poi si allontanò da loro quasi un tiro di sasso e, inginocchiatosi, pregava : ‘Padre, se vuoi, allontana da me questo calice ! Tuttavia non sia fatta la mia, ma la tua volontà’. Gli apparve allora un angelo dal cielo a confortarlo. In preda all’angoscia, pregava più intensamente; e il suo sudore diventò come gocce di sangue che cadevano a terra. Poi, rialzatosi dalla preghiera, andò dai discepoli e li trovò che dormivano per la tristezza. E disse loro : ‘Perché dormite ? Alzatevi e pregate per non entrare in tentazione’” ( Lc. 22,39-46 ).
“Detto questo, Gesù uscì con i suoi discepoli e andò di là dal torrente Cedron, dove c’era un giardino nel quale entrò con i suoi discepoli. Anche Giuda, il traditore, conosceva quel posto, perché Gesù si ritirava spesso con i suoi discepoli. Giuda dunque, preso un distaccamento di soldati e delle guardie fornite dai sommi sacerdoti e dai farisei, si recò là con lanterne, torce e armi. Gesù allora, conoscendo tutto quello che gli doveva accadere, si fece avanti e disse loro : ‘Chi cercate ?’. Gli risposero : ‘Gesù il Nazareno’. Disse loro Gesù : ‘Sono io !’. Vi era con loro anche Giuda il traditore ( Gv. 18,1-5 ).
Questo episodio, noto come l’agonia di Gesù nel Getsémani o Orto degli Ulivi, é riportato dai Sinottici. Giovanni attesta solo la presenza di Gesù e dei suoi discepoli in un “giardino” ( neanche meglio specificato ) al momento della cattura. Si tratta di un evento tra quelli più imbarazzanti della vicenda terrena del Maestro galileo, e di quelli più curiosi che mettono così in evidenza la paradossalità della ‘legge della Incarnazione’. Questo personaggio -così “potente in parole e opere” ( Lc. 24,19 )- si rivela essere un uomo come tutti gli altri, con le proprie passioni e i propri limiti. L’umanità di Gesù é vera, reale, concreta, a dispetto di qualsiasi interpretazione docetica, così come vere, reali e concrete sono state la sua passione e la sua morte.
L’agonia del Nazareno é un evento imbarazzante tanto per il cristiano quanto per il non credente e, a maggior ragione, lo é per gli Apostoli, vale a dire i principali comprimari della vicenda. La polemica anticristiana dei primi secoli ha giocato molto su una pretesa “debolezza” del Messia al fine di screditarlo assieme ai suoi seguaci.
Pur tuttavia, i Sinottici narrano il “Getsémani” non nascondendo queste preoccupazioni di fondo, per dovere della verità. Secondo una linea interpretativa che intende sottolineare come la Passione di Gesù vada inserita in una angolatura regale e trionfale, la tradizione giovannea omette volutamente l’episodio dei “dolori psicologici” del Messia, per soffermarsi solo sulla consumazione del tradimento dell’Iscariota e sulla cattura da parte delle Guardie del Tempio.
Da una lettura riduttiva dei brani dei Sinottici si perverrebbe alla constatazione di una profonda insicurezza e di un radicale cedimento vissuti dal Nostro in rapporto alla sua missione redentrice. Un’analisi più attenta, invece, dimostra un aspetto complesso del racconto, perché da quest’ultimo si evincono la consapevolezza e la determinazione di Gesù di andare fino in fondo al proprio destino dopo una ‘agonia’, vale a dire dopo una spaventosa e spossante ‘lotta interiore’. Il Maestro preannuncia più volte la propria morte violenta e le relative sofferenze, accettando la propria sorte non a cuor leggero.
Mt., Mc. e Lc. insistono sulla perfetta coincidenza delle due libertà, quella di un uomo e quella di Dio in relazione al Nostro : in quanto uomo, non é obbligato a forza a morire sulla croce. Può scegliere di dare alla propria esistenza terrena un altro orientamento o un altro percorso. Optando pure per la “via crucis”, può ritardare o anticipare la sua uccisione. I Vangeli canonici sottolineano, invece, il libero arbitrio di un uomo sulle diverse prospettive da realizzare : o il ‘sacrificio’ o la ‘lotta armata’ o la ‘fuga’. Da non misconoscere anche un contesto ambientale ed interpersonale con il quale si confronta una tale libertà : Gesù é un personaggio pubblico che si afferma in relazione ai propri discepoli, alle folle, ai capi religiosi del suo popolo, ai Gentili, alle autorità civili costituite…..
Consideriamo attentamente queste tre prospettive.
Con la scelta della fuga, la sconfessione del suo programma di redenzione ( d’Israele e/o di tutto il genere umano ? ) apparirebbe subito un’assurdità totale. Con l’esercizio della violenza Gesù vanificherebbe tutta la sua attività di pace e di amore fraterno ed universale, e i relativi insegnamenti. Indipendentemente dalla facoltà di compiere i miracoli, potrebbe sostenere, assieme ai suoi seguaci, il confronto armato con le ingenti forze dei suoi avversari e con la potente macchina militare straniera ? Noi lo escludiamo apertamente. Del resto, Gesù fa anche questa constatazione davanti a Pilato ( Gv. 18,36 ). E’ vero che il Messia galileo, negli anni 29-30 EV, raggiunge un livello di grande popolarità nel suo territorio di origine e a Gerusalemme. Ma gli entusiasmi intorno alla sua figura cominciano a scemare in modo vertiginoso, soprattutto in proporzione al suo rifiuto di assumere una leadership politica. Non é questo il tipo di fede in lui che Gesù ricerca dai suoi contemporanei e, soprattutto, dai suoi discepoli. Il Quarto Vangelo insiste nel sottolineare che “molti non credettero in lui” ( Gv. 12.37 ), indicando non solo quelli che sottovalutano il suo messaggio salvifico e il suo ministero pubblico, ma anche gli altri, dominati da facili entusiasmi, che hanno del suo messaggio e del suo ministero una convinzione imprecisa o, addirittura, fallace.
Rimane da considerare l’ultima prospettiva.
Ed é quella che Gesù pone in atto : il sacrificio della propria vita terrena. Si tratta di una eventualità che può dare e dà l’unico senso compiuto a tutta la sua vicenda storica, ma solo in relazione ai fatti futuri, in primo luogo la Resurrezione, in una linea di continuità con le profezie messianiche dell’A.T. e con la sua attività, permettendo così l’esplicitazione di tale senso. Un sacrificio come questo risulta essere incomprensibile a prescindere dal duplice riferimento alle profezie e alla Resurrezione. La morte violenta di Cristo, in tutta la sua distruttiva serietà, esercita un tremendo impatto emotivo sui suoi discepoli, tale da far rivelare quasi subito “l’assurdità” della loro ‘sequela’. Il Nostro rimarrebbe un semplice maestro dei buoni costumi e dei buoni sentimenti e niente più : la sua morte segnerebbe il trionfo della cattiveria e l’amara sconfitta del giusto; ma, agli occhi dei suoi seguaci più stretti, apparirebbe come la più chiara e sconsolante conferma della sua colossale “ingenuità”.

I Vangeli canonici puntualizzano pure il mistero del perfetto equilibrio ( anche se vissuto nella sofferenza ) tra la libertà dell’uomo Gesù e la libertà del Padre. Dio ha predestinato -si badi bene- dall’eternità la ‘crocifissione del Figlio’.
Poniamoci un interrogativo : si poteva evitare un evento così terribile come questo ?
Da parte di Gesù uomo sì : con la fuga e il nascondimento, oppure con la lotta armata.

E da parte degli altri comprimari della Passione ?
Pensiamo  a  Giuda  Iscariota  e  al suo tradimento e riflettiamo sulla sua possibilità anche di non metterlo in atto. Oppure a Pilato nell’eventualità di prendere sul serio la giustizia e di rinunciare ai suoi propositi opportunistici.
Certo, un sano libero arbitrio, non indebolito dal peccato e dall’egoismo, potrebbe scongiurare una tale vicenda ( diciamo “potrebbe”, perché il peccato originale della prima coppia umana rimane pur sempre un mistero ). Ma il sacrificio della propria esistenza per salvare un’altra, per giunta riconosciuta innocente, non é un’idea allettante per il debole Prefectus Judeae, mentre il Nuovo Testamento, per paradosso, é imperniato proprio attorno al sacrificio di una vita innocente per una moltitudine di vite colpevoli. Un sano libero  arbitrio, orientato al bene e fondato sulla obbedienza a Dio e ai suoi comandamenti come quello di Gesù, asseconda in ogni modo il volere divino.
L’inevitabilità della ‘crocifissione di Cristo’ si fonda sul peccato dell’uomo e sui limiti dell’essere creaturale, rientrando quindi nella ‘legge della Incarnazione’ come indispensabile rimedio al ‘mysterium iniquitatis’. Inoltre, l'‘Incarnazione’ riveste il carattere di un ‘processo ontoteodrammatico’. Tutta la vicenda terrena di Gesù di Nazareth ruota attorno alla categoria dell’estremo sacrificio di sé da parte di un uomo puro ed innocente affinché si realizzino la ‘comunione’ e l’unità dell’uomo stesso con Dio.

Non sono mai mancate ( e forse mai mancheranno ) persone che offrono la propria esistenza fino alla morte per la patria, per certi ideali collettivi, per la dignità della ragione umana, per la libertà di un popolo. Ma il sacrificio di Cristo ha un carattere unico per la liberazione collettiva da uno stato di peccato che comporta una separazione permanente e profonda tra gli uomini e la Divinità intesa come Bene supremo. Ad esso si associano le offerte della propria esistenza da parte dei veri credenti per la salvezza degli altri. Il nostro pensiero va ad alcuni santi ecclesiastici, come padre Damien de Veuster che ha compiuto una totale rinuncia di sé per i propri simili, condividendo con loro speranze di guarigione e di riscatto, sofferenze psicofisiche e realizzando la più totale solidarietà con i bisognosi e gli svantaggiati. E pensiamo pure, all’incontrario, a quanti ecclesiastici non disposti a sacrificare neanche un giorno o un minuto della loro vita o alle proprie “comodità” ( neanche una “telefonata”……) per venire incontro ad una minima domanda di giustizia e/o di carità ( oppure a non mantenere un impegno promesso ed assunto ) avanzata dai loro fratelli in difficoltà. Bella incoerenza !
Dio ha voluto insegnare alla creatura la via della ‘umiliazione di sé’, della ‘spoliazione’, dello ‘svuotamento’ ( Fil. 2,7 ), indicata dalla parola greca ‘kenosis’, perché si realizzasse questa ‘unità’ ( “perché siano una cosa sola come noi……”, attesta Gv. 17,20 ). Dio ha rinunciato alle sue prerogative per diventare e vivere anche come uomo in Gesù, accettando una condizione limitata e decaduta, caratterizzata dalla sofferenza e dalla morte, e tornando a Sé attraverso questo processo teodrammatico.
Questo voto di ‘martyrion’, maturato durante il suo breve ministero pubblico, trova la sua solennità proprio in questo giardino chiamato ‘Getsémani’ prima della cattura. Ma si tratta di una determinazione non facile, generata ( sarebbe meglio dire “rigenerata” visto che Gesù, in diversi momenti, ha accennato spesso alla sua Passione ) attraverso un’intensa sofferenza psicosomatica.
La categoria della ‘agonia’ designa tradizionalmente l’episodio dell’Orto degli Ulivi (anche se gli Evangelisti non ricorrono in modo esplicito a questo termine), e che significa ‘lotta’*.

*Nell’etimo originario dell’antica Grecia essa fa riferimento ad una competizione sportiva dura e snervante svolgentesi nell’agone, vale a dire in una palestra. Con il tempo assume una valenza metaforica per denotare uno sforzo mentale e fisico nel padroneggiare una malattia o un evento spiacevole.
L’agonia di Gesù nel Getsémani si qualifica come una lotta interiore tra un Io razionale e un Io carnale nella corrispondenza al disegno divino, come dire tra il principio di realtà e l’istinto di conservazione e di sopravvivenza. Gli Evangelisti, con le loro narrazioni, mostrano non un Cristo etereo, ma un soggetto che esiste in una condizione di ‘basàr’, di umanità fragile e decaduta, soggetta alle passioni, anche a quelle che possono apparire più grossolane e banali, come ‘paura’, ‘angoscia’, ‘tristezza’.
Smarrimento ?    Confusione ?    Estrema solitudine ?   Può darsi. E’ in atto l’ultimo agguato di Satana ( Lc. 3,13 allude retrospettivamente all’evento del Getsémani quando afferma : “Dopo aver esaurito ogni specie di tentazione, il diavolo si allontanò da lui per tornare al tempo fissato” ) che, facilmente, ha la meglio sui suoi Apostoli ( si cfr. il caso di Giuda ), ma difficilmente sul Messia galileo, del quale cerca di sconvolgere le facoltà mentali.

Il Nostro rimane perplesso di fronte a questo violentissimo e vile attacco del Demonio che non tanto agisce sullo ‘spirito’ quanto sulla ‘carne’, proprio sull’elementare istinto di conservazione dell’uomo. Ecco che le parole del Maestro, “lo spirito é pronto, ma la carne é debole”, non sono rivolte solo ai suoi discepoli. Egli si trova a vivere il suo ‘momento assoluto’ ( la sua ‘ora’ ) che non si riduce solamente all’avvenimento del Getsémani, ma si estende fino alla morte sulla croce, nel quale deve solennizzare il “sì” ( il “fiat” ) al Padre, e dove comincia ad avvertire in se medesimo un dualismo di atteggiamenti, di orientamenti, di fini, che nessuno ha notato in lui in precedenza. Atteggiamenti che finiscono, però, per assumere una forma di contrasto.
Insomma : Gesù sa –in forza della sua natura divina- che il disegno eterno del Padre deve passare attraverso la ‘via crucis’. Allora : vuole o non vuole la morte violenta nel modo più raccapricciante ? “Padre, tutto é possibile a te, allontana da me questo calice ?” ( ). L’io carnale del Maestro desidera e non desidera una tale morte. Sarebbe sciocco pensare che un uomo voglia togliersi la vita gratuitamente se non ci fosse una motivazione di fondo ( e anche i folli hanno le loro motivazioni ). Ogni coscienza vivente, sia animale che umana, ha un orrore istintivo del suo contrario che é la morte : ciò é segno che si é creati per vivere. E allora perché la morte ? E’ un discorso che ci porterebbe lontano dal nostro argomento e, pertanto, non lo affrontiamo. Gesù desidera una tale fine quando dice “passi da me quest’ora” ( ), quasi a dire in modo spontaneo ed affrettato “presto, facciamola finita !”, ma anche “passi da me il pensiero ossessivo della mia morte atroce”, “passino……le tentazioni”. Il Galileo viene provato per l’ennesima volta da Satana che non demorde con una spossante tortura psicologica che é anche un aspetto della pena della dannazione eterna. E’ da notare che il peccato non consiste nella tentazione di violare un comandamento divino, ma nel compiere volontariamente una trasgressione. E’ importante sottolineare che, nel proprio travaglio emotivo, Gesù non dà l’assenso neanche ad un minimo pensiero infausto che si affaccia nella sua mente. Nel Getsémani può provare nel proprio intimo la ‘tristezza’, la ‘paura’, l‘angoscia’ ma senza lasciarsi dominare da queste. Se avvenisse il contrario, le conseguenze sarebbero la disperazione, la contraddizione, la messa in discussione della sua attività e, in ultimo, la resistenza o la fuga.
E’ inutile negare l’affezione della paura, da parte di Gesù, verso un oggetto pericoloso, esistente e determinato. In forza della sua natura divina riesce a prevedere ciò cui andrà incontro : tradimento di Giuda, cattura nell’Orto, dileggio davanti ai Sinedriti, consegna a Pilato, flagellazione, salita al Golgotha, crocifissione, morte, trafissione del costato…..Ma a questa emozione –é da notare- non si associa mai una sola volta la disperazione.
Uno spettacolo penoso e raccapricciante glielo offre la ‘angoscia’, uno stato d’animo che si prova nei confronti dell’imprevedibile. Gesù é partecipe di una duplice natura e di una duplice volontà : sa, ma anche non sa. Conosce gli eventi liberi nella misura in cui glieli rivela il Padre; ma come uomo pur integro dal peccato ha la stessa ( o quanto meno simile ) limitatezza degli angeli. Di fronte al ‘silenzio del Padre’ ( una categoria teologica che sembra essere la più ricorrente, se pensiamo alle contingenze tragiche nella vita quotidiana di ognuno di noi ) anche il Figlio si arresta, si turba, si disorienta, e dove si interrompe in lui “l’orizzonte”……Mio Padre non mi si rivela più ?……Non ritiene più positiva la mia missione ?…..Questa ha preso una direzione inaspettata ?…...L’ho deluso ?…..Il mio compito é fallito ?……Non ce la sto facendo ?…..Sono debole ?......La mia crocifissione sopporterà il carico di iniquità creaturale ?.....Un tale carico non merita questo mio sacrificio ?......E la perdizione di Giuda ?…..Il desiderio di aiutarlo a difendersi contro se stesso ?......Ma questo costerebbe a Gesù la rinuncia al piano divino di salvezza. Interrogativi senza risposta, alimentati dall’azione di Satana, che lo angosciano. Il Padre non gli risponderà più fino alla Resurrezione e il Figlio sembra perdere la sicurezza posseduta in precedenza : una profonda inquietudine gli travolge l’anima, e le passioni si fanno sempre più pressanti. Gesù avverte la solitudine che si fa estrema, ma anche il desiderio di lenirla, magari attraverso un conforto e un minimo di intimità offertigli dagli Apostoli, anch’essi oppressi dal commiato definitivo del loro Maestro (senza sapere dove va), ignari completamente dell’eterogenesi dei fini e spossati*.
*Un’osservazione ci é lecito farla. Le espressioni che utilizzano gli Evangelisti, anche nel racconto di quest’episodio, si prestano ad avere dei sensi doppi. La scena dell’Agonia si svolge effettivamente in un giardino di Gerusalemme ( che Gesù conosce e dove é solito radunarsi con i suoi discepoli, come ci attesta Gv. 18, 1-2 ), di notte, durante un preciso giorno della settimana pasquale. Vengono utilizzate le parole ‘vegliare’, ‘dormienti’ e ‘notte’, per designare condizioni fisiologiche e un contesto temporale, ma é chiaro che Gesù, nello sconforto, attribuisce ai primi due termini un altro significato. Viene sottintesa anche un’altra immagine che non viene citata : la ‘luce’. La notte suggerisce il “dis-orientamento”, spesso un senso di oppressione e di abbandono, la solitudine……Notte della fede…notte dell’anima…notte delle passioni…
La ‘veglia’ suggerisce la piena avvertenza di quello che sta succedendo, il controllo cosciente del proprio rapporto con il mondo circostante, l’equilibrio tra l’interiorità e l’esteriorità, l’integrità del proprio essere, la determinazione ad operare sempre per il meglio in perfetta sintonia con i nostri simili, ma anche la dimensione della ‘conoscenza’ e della ‘verità’. Quindi, “lo spirito é pronto”. La ‘dialettica spirito-carne’ contraddistingue tutto il Nuovo Testamento. Paolo puntualizza : “la carne ha desideri contrari allo spirito e lo spirito ha desideri contrari alla carne” ( Gal. 5,17 ). Non si tratta di una contrapposizione di tipo platonico tra l’anima e il corpo, ma tra due dimensioni morali dell’uomo, due atteggiamenti esistenziali che caratterizzano chi si lascia animare dallo ‘spirito di Dio’ e chi segue le inclinazioni, il più delle volte disordinate, alle cose esteriori; quest’ultimo atteggiamento espresso, metaforicamente, dal termine ‘dormire’, tipico di chi si lascia condizionare dall’ignoranza ( che é sempre colpevole ), da un attaccamento esagerato ai beni terreni, dai “pregiudizi” ( come bene ha evidenziato Eraclito che squalificava come “dormienti” quei suoi concittadini efesini come “schiavi dell’opinione dei più” ), ecc.
Nei Sinottici ricorre la citazione “pregate per non cadere in tentazione”, a voler dire che la forza della ‘preghiera’ può prevenire, contrastare efficacemente e perfino vincere, anche i più spaventosi atteggiamenti emotivi che possono interessare la mente di una persona. Gesù si affida totalmente al Padre : “se questa é la tua volontà, io l’accetto in pienezza ! La mia vita é tua ! Sai quello che é il bene per me e per gli altri !”. Cristo sa che il disegno del Padre ha un senso compiuto che a lui uomo può sfuggire, ma sa pure che é un progetto di vita eterna che deve passare paradossalmente per il suo contrario. Le Sacre Scritture non possono fallire e il Figlio ne é consapevole : “Di questo gioisce il mio cuore, esulta la mia anima; anche il mio corpo riposa al sicuro perché non abbandonerai la mia vita nel sepolcro, né lascerai che il tuo Santo veda la corruzione !” ( Sal. 16,9-10 ). Ormai egli ha la consapevolezza di dovere e di poter risorgere.
La ‘preghiera’ esprime un ‘rapporto di fiducia, di speranza e di totale sottomissione alla iniziativa del Padre’. E sarà questa forza che lo aiuterà a superare queste terribili tentazioni e a corroborare la decisione di andare incontro ad un destino violento ma produttore di benefici incommensurabili.
 
 
 
 


 


Fonte : scritti e appunti di Francesco Cuccaro , e-mail  cuccarof@alice.it  .













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