PAOLO DI TARSO :
riflessioni sulla Lettera ai
Romani Cap.3, 21-26
di Lucia Cecca
Paolo Rm 3, 21-26
Paolo è a Corinto (inverno 57-58)
quando scrive la lettera.
La lettera ai Romani costituisce uno
spazio intellettuale di Paolo che , con tutta la sua preparazione del Vecchio
Testamento e una esperienza cristiana maturata, affronta i problemi più
caratteristici del cristianesimo in un dialogo ideale con la comunità composita
(giudei e romani) di Roma.
Il peccato, trasgressione,
attaccamento, viene visto nella sua dimensione individuale e psicologica, in
quella sociale e collettiva ed in quella storica ed esistenziale.
Cristo è venuto per giustificare
l’uomo. La giustificazione è il pareggio realizzato tra la misura dell’uomo
stabilita da Dio e la sua attualizzazione concreta, di Dio nel senso che è Lui
la causa efficiente della sua realizzazione.
Tutta la scrittura nel suo complesso
esprime l’azione rettificante di Dio nei vari tipi di intervento nel mondo.
Giustificazione per mezzo della fede in Cristo: l’azione giustificante richiede
l’apertura della fede nel senso che Cristo annunciato nel vangelo costituisce il
contenuto della fede, ciò che si accetta credendo.
Gli uomini sono tutti sullo stesso
piano, solo se si crede si può essere giustificati e partecipare della gloria di
Dio.
La gloria è il valore che si
manifesta e si partecipa, ed è una partecipazione di quello che Dio è.
Dio prende l’iniziativa di questa
partecipazione (movimento discendente della gloria) e l’uomo se ne rende conto,
reagisce accettando, glorifica Dio esprimendo quanto ha ricevuto nel suo
comportamento in forme diverse che costituiscono il movimento ascendente.
Il cristiano in conseguenza del
peccato si trova in una situazione di chiusura che finché rimane non può
partecipare alla gloria. Il cristiano vede in Cristo il luogo dove avviene
l’incontro riconciliativo, dove si manifesta e si realizza la bontà di Dio
tendente a superare il male del peccato.
L’uomo fatto ad immagine di Dio
proprio come tale costituisce una manifestazione di quello che Dio è: siamo
quindi nell’ambito teologico della gloria che l’immagine esprime e concretizza.
Il cristiano privo dell’accettazione
e della gloria di Dio non realizza la formula ideale escogitata per lui: essere
Sua immagine.
La fede deve invadere tutta la
persona, dopo l’ apertura iniziale al contenuto del Vangelo, Gesù morto e
risorto, diventa la struttura portante del cristiano.
L’azione giustificante di Dio
mediante questa disponibilità continua dell’uomo ad esprimere Cristo acquista
una dimensione positiva: il “pareggio” realizzato permette alla creatura di
riconoscere una nuova luce, la luce della grazia; la grazia è la nascita ad una
nuova vita, quella dello spirito, che è propria dei figli di Dio.
La Grazia è un concetto bipolare, in
Paolo indica la benevolenza attiva da parte di Dio e l’effetto dell’uomo che
essa produce.
La redenzione liberatrice nei riguardi dell’uomo
da giustificare, produce il passaggio dalla non appartenenza alla sottomissione
amorosa di Cristo che appaga nell’uomo la nostalgia del Padre.
Fonte : scritti e
appunti di Lucia Cecca, Laureata in Scienze Religiose presso la Pontificia
Università Gregoriana. E-mail:
lucia.cecca@maurarte.com
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