ARTE E SPIRITUALITA' NELLA
POESIA DEL RINASCIMENTO
di Antonia Chimenti
ISABELLA MORRA TRA ARTE E FEDE - CANZONE ALLA VERGINE
Commento di Antonia Chimenti
Isabella Morra, Canzone
alla Vergine
Quel che gli giorni a dietro
Noiava questa gravosa salma,
Di star tra queste selve erme ed oscure
Or sol diletta l'alma;
Quel che gli giorni a dietro
Noiava questa gravosa salma,
Di star tra queste selve erme ed oscure
Or sol diletta l'alma;
Che' da Dio, sua merce', tal grazia impetro,
Che scorger ben mi fa le vie secure
Di gire alui fuor de le inique cure.
Or, rivolta la mente a la Reina
Del ciel, con vera altissima umiltade,
Per le solinghe strade
Senza intrico mortal l'alma camina
Gia' verso il suo riposo,
Che ad altra parte il pensier non inclina
Fuggendo il tristo secol si' noioso,
Lieta e contenta in questo bosco ombroso.
Quando da l'oriente
Spunta l'aurora col vermiglio raggio
E ne s'annuncia da le squille il giorno,
Allora al gran messaggio
De la nostra salute alzo la mente
E lo contemplo d'alte glorie adorno
Nel basso tetto, dove fea soggiorno
La gran Madre di Dio ch'or regna in Cielo.
Cosi', godendo nel mio petto umile,
A lei drizzo il mio stile,
E 'l fral mio vel di roze veste velo,
E sol di servir lei,
Non d'altra cura, al cor mi giunge zelo
Seguendo le vestigia di colei
Che dal deserto accolta fu tra i Dei.
Quando da poi fuor sorge
Febo, che fa nel mar la strada d'oro,
Tutto m'interna e l'allegrezza immensa
Ch'ebbe del suo tesoro
Quella che tanta grazia or a me porge;
Ch'io la riveggio con la mente intensa
Mirare il figlio in caritate accensa,
Nato fra gli animai, con pio sembiante:
E del sangue che manda al petto il core
Nodrire il suo Signore:
E scerno il duce de l'eterno amante
Sotto povere veste
Spregiar le pompe del vulgo arrogante,
Colui che sol pregio' l'aspre foreste
E fu fatto da Dio tromba celeste
Poi che 'l suo chiaro volto
Alzando da le valli scaccia l'ombra
Il biondo Apollo col suo altero sguardo,
Un bel pensier m'ingombra:
Parmi veder Gesu' nel tempio, involto
Fra Saggi, disputar con parlar tardo,
E lei, per ch'io d'amor m'infiammo ed ardo,
Versar dagli occhi, per letizia, pianto.
Questi conforti in contra i duri oltraggi
M'apportan questi faggi,
Lungi schivando di sirene il canto:
Che' per solinghe vie
Il bel gioven, a Dio diletto tanto,
Con le sue caste voglie e sante e pie
Vide il sentier de l'alte ierarchie.
Alzato a mezzo il polo
Il gran pianeta co' bollenti rai,
Ch'uccide i fiori in grembo a primavera,
S'alcuno vide mai
Crucciato il padre contro il rio figliolo,
Cosi' contemplo Cristo, in voce altera
Predicando, ammonir la plebe fera
E col cenno del qual l'Inferno pave,
Romper le porte d'ogni duro core,
Che scorger ben mi fa le vie secure
Di gire alui fuor de le inique cure.
Or, rivolta la mente a la Reina
Del ciel, con vera altissima umiltade,
Per le solinghe strade
Senza intrico mortal l'alma camina
Gia' verso il suo riposo,
Che ad altra parte il pensier non inclina
Fuggendo il tristo secol si' noioso,
Lieta e contenta in questo bosco ombroso.
Quando da l'oriente
Spunta l'aurora col vermiglio raggio
E ne s'annuncia da le squille il giorno,
Allora al gran messaggio
De la nostra salute alzo la mente
E lo contemplo d'alte glorie adorno
Nel basso tetto, dove fea soggiorno
La gran Madre di Dio ch'or regna in Cielo.
Cosi', godendo nel mio petto umile,
A lei drizzo il mio stile,
E 'l fral mio vel di roze veste velo,
E sol di servir lei,
Non d'altra cura, al cor mi giunge zelo
Seguendo le vestigia di colei
Che dal deserto accolta fu tra i Dei.
Quando da poi fuor sorge
Febo, che fa nel mar la strada d'oro,
Tutto m'interna e l'allegrezza immensa
Ch'ebbe del suo tesoro
Quella che tanta grazia or a me porge;
Ch'io la riveggio con la mente intensa
Mirare il figlio in caritate accensa,
Nato fra gli animai, con pio sembiante:
E del sangue che manda al petto il core
Nodrire il suo Signore:
E scerno il duce de l'eterno amante
Sotto povere veste
Spregiar le pompe del vulgo arrogante,
Colui che sol pregio' l'aspre foreste
E fu fatto da Dio tromba celeste
Poi che 'l suo chiaro volto
Alzando da le valli scaccia l'ombra
Il biondo Apollo col suo altero sguardo,
Un bel pensier m'ingombra:
Parmi veder Gesu' nel tempio, involto
Fra Saggi, disputar con parlar tardo,
E lei, per ch'io d'amor m'infiammo ed ardo,
Versar dagli occhi, per letizia, pianto.
Questi conforti in contra i duri oltraggi
M'apportan questi faggi,
Lungi schivando di sirene il canto:
Che' per solinghe vie
Il bel gioven, a Dio diletto tanto,
Con le sue caste voglie e sante e pie
Vide il sentier de l'alte ierarchie.
Alzato a mezzo il polo
Il gran pianeta co' bollenti rai,
Ch'uccide i fiori in grembo a primavera,
S'alcuno vide mai
Crucciato il padre contro il rio figliolo,
Cosi' contemplo Cristo, in voce altera
Predicando, ammonir la plebe fera
E col cenno del qual l'Inferno pave,
Romper le porte d'ogni duro core,
Cacciando il vizio fore,
Quanto ti fu a vedere, o Dea soave
Gli error conversi in cenere
Del caro figlio in abito si' grave!
Quanto beata fu chi le sue tenere
Membra a Dio consacro', sacrate a Venere!
E se l'eterno foco
Giunge tant'altoch'al calar rimira,
Ti scorgo, o Signor mio, fra i tuoi fratelli
Senza minaccie od ira
Del tuo amor infiammargli a poco a poco
E co' leggiadri detti e gravi e belli
Render beati e pien di grazia quelli,
Lor rammentando pur la santa pace
La gioia del mio cor, ch'amo ed adoro,
Contemplo fra coloro
Che i santi esempi tuoi raccoglie e tace.
O via dolce e spedita,
Trovata gia' nel vil secol fallace:
E chi 'l primiero fu dal Ciel m'addita
Sol de l'eremo la tranquilla vita!
Per voi grotta felice
Boschi intricati e rovinati sassi,
Sinno veloce, chiare fonti e rivi,
Erbe che d'altrui passi
Segnate a me vedere unqua non lice,
Compagna son di quelli spirti divi,
E nel solare e glorioso lembo
De la madre, del padre e del suo Dio
Speo vedermi anch'io
Sgombrata tutta del terrestre nembo,
E tra l'alme beate
Ogni mio bel pensier riporle in grembo,
O mie rimote e fortunate strate,
Donde adopra il Signor la sua pietate!
Quanto discovre e scalda il charo sole,
Canzon,e' nulla ad un guardo di lei,
Ch'e' Reina del Ciel, Dea degli dei.
Quanto ti fu a vedere, o Dea soave
Gli error conversi in cenere
Del caro figlio in abito si' grave!
Quanto beata fu chi le sue tenere
Membra a Dio consacro', sacrate a Venere!
E se l'eterno foco
Giunge tant'altoch'al calar rimira,
Ti scorgo, o Signor mio, fra i tuoi fratelli
Senza minaccie od ira
Del tuo amor infiammargli a poco a poco
E co' leggiadri detti e gravi e belli
Render beati e pien di grazia quelli,
Lor rammentando pur la santa pace
La gioia del mio cor, ch'amo ed adoro,
Contemplo fra coloro
Che i santi esempi tuoi raccoglie e tace.
O via dolce e spedita,
Trovata gia' nel vil secol fallace:
E chi 'l primiero fu dal Ciel m'addita
Sol de l'eremo la tranquilla vita!
Per voi grotta felice
Boschi intricati e rovinati sassi,
Sinno veloce, chiare fonti e rivi,
Erbe che d'altrui passi
Segnate a me vedere unqua non lice,
Compagna son di quelli spirti divi,
E nel solare e glorioso lembo
De la madre, del padre e del suo Dio
Speo vedermi anch'io
Sgombrata tutta del terrestre nembo,
E tra l'alme beate
Ogni mio bel pensier riporle in grembo,
O mie rimote e fortunate strate,
Donde adopra il Signor la sua pietate!
Quanto discovre e scalda il charo sole,
Canzon,e' nulla ad un guardo di lei,
Ch'e' Reina del Ciel, Dea degli dei.
Nella Canzone alla Vergine, posta a conclusione della sua esigua raccolta di Rime, Isabella Morra invoca da Dio la quiete dell'anima.
Con la mente rivolta alla Madonna la poetessa evoca episodi e personaggi significativi del Vangelo e della Cristianità.
Il tratteggio incisivo e lapidario è scandito dalle diverse fasi del volger del sole, nello spazio di un giorno, dall'alba al tramonto.
Quella di Isabella Morra è una religiosità che ha attraversato il duro cimento del dolore; è frutto di conquista, è prova di maturità
psicologica, spirituale, culturale, artistica.
L'affermazione della priorità dei valori dello spirito si traduce, in arte, in una creatività dove prevalgono gli elementi descrittivi di personaggi, sentimenti e comportamenti, in una simmetrica architettura di strofe di quindici versi ciascuna.
Le visioni si intrecciano, la fantasia si accende, ma stabile permane la logica rigorosa di una Fede che procede "per aspera ad astra", e che trae ora motivo di elevazione per l'anima da ciò che prima opprimeva il corpo.
I modelli di ispirazione sono molteplici, sono evidenti, facilmente reperibili stilemi danteschi e petrarcheschi ( "selve erme ed oscure"), echi di poesia classica ("lungi schivando di sirene il canto", "Dea degli dei"), ma la voce personalissima di questa giovane donna del Rinascimento imprime vita ad un paesaggio geografico realmente esistente, che fa da riflesso al paesaggio reale dell'anima, nel suo percorso di ascesi.
L'estatica visione delle anime, che accolgono in silenzio il messaggio di Cristo, come già durante la sua vita terrena si accesero d'amore per lui i suoi seguaci, lo schiudersi di una speranza di Paradiso, la Fede nella pietà divina, l'immedesimarsi nello sguardo della Santa Vergine, Regina del cielo, consentono di trascendere la realtà terrena, giudicata inconsistente, "nulla".
L'impegno di testimonianza artistica, non si smentisce sino alla fine.
Cambiano i contenuti. La confessione di una situazione dolorosa, che imprimeva un tono tragico ai versi precedenti, si sublima in un canto di Fede e di Speranza, dove il paesaggio circostante diventa strumentale e viene considerato come il luogo privilegiato da Dio per elevare un'anima a sé.
E permane salda la Fede nell'Arte.
Quel vocativo, " Canzon", con cui si conclude la composizione poetica, rispetta ovviamente il codice convenzionale dell'"invio", ma esprime pure una fiduciosa conferma di un patto d'amore con la Poesia, che solo la violenta morte in età precoce avrà il potere di interrompere.*
* Per il testo della Canzone e per la biografia di Isabella Morra, cfr. A.CHIMENTI, Isabella Morra, IMD Lucana, Pisticci 2005.
VERONICA GAMBARA, TRE
POESIE TEOLOGICHE
Commento di Antonia Chimenti
Commento di Antonia Chimenti
Scelse da tutta la futura gente
Gli eletti suoi l'alta bonta' infinita
Predestinati alla futura vita
Sol per voler de la divina mente.
Questi tali poi chiama, e dolcemente
Seco gli unisce, ed a ben far gl'invita,
Non per opra di lor saggia e gradita,
Ma per voler di lui troppo clemente.
Chiamando li fa giusti, e giusti poi
Gli esalta si' che a l'unico suo Figlio
Li fa conformi, e poco men ch'eguali.
Qual dunque potra' mai danno o periglio
Ne l'ultimo de gli altri estremi mali
Da Cristo separar gli eletti suoi?
Stabilire se il contenuto di questa poesia sia più o meno ai margini dell'ortodossia cattolica è questione di secondaria importanza rispetto al problema - per noi prioritario - di verificare un profondo senso religioso, la genuinità di una fede che non si pone tanto il problema di sminuire il valore delle opere quanto quello di ancorarsi saldamente a Cristo nella sua azione salvifica, che non si smentirà mai sino alla fine.
La grazia divina accompagnerà gli eletti e li salverà anche " ne l'ultimo de gli estremi mali", cioè nella morte.
O gran misterio e sol per fede inteso!
Fatto e' 'l bel corpo tuo tempio di Dio,
Vergine Santa, e in quello umile e pio
E per propria virtu' dal ciel disceso.
Fu de l'umilta' tua si' forte acceso
Che tanto di salvarne ebbe desio,
Che in te si chiuse, e di te fuor usci'
Non tocco il virginal chiostro, od offeso.
Creossi in te, come nel bianco vello
La celeste rugiada, arida essendo
La terra, ed egli sol d'acqua ripieno.
Questo l'effetto fu, fu il segno quello,
Pero' teco cantiamo oggi dicendo:
Gloria al Signor non mai lodato appieno.
Studiosa di Teologia, appassionata lettrice delle Sacre Scritture nonché di testi di Patristica, Veronica Gambara non si addentra nei meandri delle questioni dottrinali di Mariologia e Cristologia, che dividevano teologi francescani e domenicani.
Prima ancora che la Chiesa cattolica si pronunciasse ufficialmente sulla verginità di Maria attraverso il Dogma di Fede - stabilito da Papa Pio I nella Bolla Ineffabilis, l'8 dicembre 1854 - Veronica Gambara contemplava questo mistero, cui aderiva per fede, in atteggiamento di filiale ed amorevole devozione, rivolgendosi confidenzialmente alla Madonna come in una preghiera.
Oggi per mezzo tuo, Vergine pura,
Si mostra in terra si' mirabil cosa,
Che, piena di stupor, resta pensosa
Mirando l'opra, e cede la natura.
Fatto uomo e' Dio, e sotto umana cura,
Vestito di mortal carne nojosa,
Resto' qual era, e la divina ascosa
Sua essenza tenne in pueril figura.
Misto non fu, ne' fu diviso mai,
Ma sempre Dio e sempre uomo verace
Quanto possente in ciel, tanto nel mondo.
Volgi dunque ver me, Vergin, i rai
De la tua grazia e 'l senso mio capace
Fa di questo misterio alto e profondo.
In questo sonetto l'impianto razionale e' più evidente.
Non si nota alcuna concessione al sentimento, alla commozione; prevale l'intento ben riuscito di rielaborare - nella rigida e geometrica struttura del sonetto - elevati concetti di Teologia, che solo la grazia illuminante può permettere alla limitatezza dell'intelletto umano di accogliere al suo interno.
Si spiega così il motivo ispiratore della preghiera conclusiva.
Fonte: A. CHIMENTI, Veronica Gambara Gentildonna del Rinascimento - Un intreccio di Poesia e Storia, Magis Books, Reggio Emilia, 1994 e 1995.
GESU', LUCE DEL MONDO, IN
UN SONETTO DI SIMON GOULART, POETA DEL RINASCIMENTO FRANCESE
Commento di Antonia Chimenti
Commento di Antonia Chimenti
Alors qu'en plain midi l'oeil du monde regarde
Tout ce qui tient enclos la cauite' des cieux;
Ses effets sont diuers, et toujours de ses yeux
Un rayon different sur les hommes il darde
La terre il fait secher et de secher la garde,
Il attire et dechasse un brouillas pluuieux,
La force il oste a' l'homme et le rend vigoreux,
Et courant vistement sa carriere il retarde.
Ainsi fait de ses raiz Christ des ames Soleil,
L'un vit et l'autre meurt approchant de son oeil
En deschassant les uns, les autres il attire.
Sa force soustient l'un et les autres confond:
Car l'homme humble il esleue, et d'enfer iusqu'au fond
Renuerse l'orgueilleux rebelle a' son empire.*
La misteriosa realtà della dannazione e della salvezza eterna ( il motivo della dannazione è però maggiormente accentuato, soprattutto nel sintetico ed efficace verso finale: " Renuerse l'orgueilleux rebelle a' son empire") e' visualizzata nella maggiore o minore intensità degli effetti del sole.
La struttura binaria del sonetto e' perfettamente rispettata: i due termini di paragone ( " l'oeil du monde'' "Christ") sono disposti rispettivamente nelle quartine e nelle terzine.
La seconda quartina sviluppa e amplifica il tema annunciato nel quarto verso ( "Un rayon different su les hommes il darde"). L'opposizione fondamentale tra salvezza e dannazione suggerisce al poeta una successione di dualità contrastanti all'interno dei singoli versi (" La terre il fait secher/ et de secher la garde; il attire// et dechasse; la force il oste a' l'homme//et le rend vigoreux; l'un vit// et l'autre meurt; en deschassant les uns// les autres il attire; sa force soutient l'un// et les autres confond') e tra un verso e l'altro ( "[...] l'homme humble il esleue [...]// Renuerse l'orgueilleux [...]").
Il contrasto è accentuato, nelle terzine, dall'opposizione ( " un// autre") ripetuta tre volte ( vv. X, XI, XII ).
* L'ortografia rispetta quella dell'edizione cinquecentesca dei sonetti e delle odi di Simon Goulart. L'immagine del Sole non è, ovviamente, originale. La si trova nelle Sacre Scritture, nella Mitologia pagana e nella Letteratura cristiana.
Fonte: ANTONIA CHIMENTI, Le Imitations Chrestiennes di Simon Goulart, "Rivista di Storia e Letteratura Religiosa", Anno XI,n.2, Firenze, Leo S. Olschki Editore, 1975, p.226.
Fonte : scritti e
appunti della prof.ssa Antonia Chimenti. E-mail:
a.chimenti@email.it
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