IL MISTERO DEL SEPOLCRO VUOTO
: una prospettiva teologica
di Francesco Cuccaro
“Ora, la
coscienza infelice é in sé pura singolarità pensante, il cui oggetto é
appunto tale pensare puro, e tuttavia la soluzione reciproca fra
singolarità e pensiero non é ancora, a sua volta, puro pensare;
ed ecco perché in questo primo modo, in cui noi la consideriamo come
coscienza pura, essa non si relaziona al suo oggetto pensando,
ma si limita a procedere, per così dire, in direzione del pensare,
ed é devozione. Il suo pensare, in quanto devoto, rimane un suono
indistinto di campane o una calda nebulosità diffusa, un pensare musicale
che non giunge al concetto, il quale invece sarebbe l’unico modo
immanente e oggettivo del pensiero. Tale sentire infinito, puro, interiore
avrà bene un proprio oggetto, ma questo non essendo concettuale,
sopraggiunge come qualcosa di estraneo. Si presenta così come il
movimento interiore dell’animo puro che sente se stesso, ma in modo doloroso
quale scissione; il movimento di una nostalgia infinita,
la cui certezza é di avere a propria essenza un animo puro come
quello, puro pensare che pensa se stesso come singolarità; e di
essere conosciuta e riconosciuta da tale oggetto proprio perché questo si
pensa come singolarità. Nel contempo, però, questa essenza costituisce l’aldilà
irraggiungibile che sfugge –o meglio : che é già da sempre sfuggito-
all’atto con cui si cerca di afferrarlo. E’ già sfuggito : e infatti esso
é da una parte l’immutabile che si pensa come singolarità, e la coscienza
dunque in esso raggiunge immediatamente se stessa – se stessa, ma
come ciò che é opposto all’immutabile. Invece di afferrare
l’essenza, essa la sente soltanto, ed é ricaduta all’indietro entro
di sé; nel raggiungere l’immutabile, la coscienza non può tenere la distanza
che le compete in quanto gli é opposta, per cui essa, lungi dall’aver
afferrato l’essenza, ha colto soltanto l’inessenzialità. Così come, da un
lato, anelando a raggiungere se stessa nell’essenza, essa non afferra
che la propria realtà effettiva separata, dall’altro essa non può afferrare
l’alterità come qualcosa di singolo, ossia di effettivo.
L’altro non può mai trovarsi là dove lo si cerca, poiché esso deve
essere appunto un aldilà, qualcosa che é tale da non poter venire
trovato. Cercato come entità singola, esso non é una singolarità
universale, pensata, non é un concetto, ma un qualcosa di singolo
come oggetto, ossia un che di effettivo; é oggetto della certezza
sensibile immediata; e proprio per questo, non é che qualcosa di già
dileguato” (1).
Secondo Hegel
la coscienza religiosa, anelando al suo oggetto, non lo
risolve in concetto e, pertanto, esso le sopraggiunge come qualcosa
di estraneo. Questa coscienza infelice non é altro che il movimento
di una nostalgia infinita, cioé di un animo puro che sente se stesso ma
pensa se stesso come un oggetto ad esso estraneo in un “aldilà”
irraggiungibile ed immutabile.
Si tratta di
una scissione che é separazione tra sentimento e pensiero, dove tale
coscienza singola -che mira ad afferrare la propria essenza- non attinge se
non la propria realtà effettiva contrapposta, però, ad un Altro
immaginato come una entità singola. Il limite della coscienza religiosa
consiste nel voler cercare questo Altro in un qualcosa
di “effettivo”. Tali considerazioni hegeliane aprono la riflessione
sull’atteggiamento della devozione e sull’importanza dei segni
sensibili della manifestazione divina.
“Alla coscienza
può pertanto farsi presente solamente il sepolcro della sua
vita. Ma poiché anche questo sepolcro é una realtà effettiva, e il
garantire un possesso durevole é contrario a tale natura, ecco che
anche questa presenza del sepolcro é soltanto la lotta per un
impegno che deve necessariamente andare perduto. Tuttavia, avendo
fatto l’esperienza per cui il sepolcro della sua immutabile essenza
effettiva non ha alcuna realtà effettiva, e che la singolarità
adeguata, in quanto dileguata, non é la singolarità vera, la coscienza
smetterà di andare alla ricerca della singolarità immutabile come
effettiva, o di tenerla ferma come dileguata. Solo in questo modo essa
sarà allora capace di trovare la singolarità come veritiera, ossia come
universale” (2).
In quest’altro
brano della sua Fenomenologia dello Spirito ci sembra inoppugnabile
il riferimento di Hegel al Sepolcro di Cristo, vale a dire alla sua
realtà empirica e alla sua profonda valenza simbolica. Nel quadro di una
“storia ideale dell’umanità”, con la fine delle Crociate il filosofo tedesco
intravede una grande svolta epocale tale da far maturare nell’uomo la
consapevolezza di una ulteriore e successiva tappa nel progresso spirituale
della civiltà.
Le spedizioni
guerresche, promosse dalla Cristianità europea nell’Oriente islamico, sono
state da lui ravvisate come il tentativo più estremo, radicale e tormentato,
da parte della “coscienza infelice”, di garantire non tanto l’esistenza del
Sepolcro di Cristo quanto del “sepolcro della sua vita” e in ultima
analisi di garantirsi, in quanto coscienza, la propria durata temporale.
Con la riconquista musulmana della Palestina e con la rinuncia definitiva
alla tomba del Redentore, l’uomo del Medioevo al tramonto cominciava a
maturare l’esperienza che nella singolarità effettiva di questa tomba non
riposasse la verità.
Sebbene questa
concezione hegeliana della “irrealtà del sepolcro vuoto” possa apparirci
azzardata e discutibile, essa ha avuto, pur tuttavia, il merito di
mostrarci la coessenzialità del Sepolcro vuoto alla fede
cristiana, vale a dire la “mancanza di senso” di una così
importante “reliquia” al di fuori della coscienza religiosa.
------------------------------------------------------
Torniamo ora
alle nostre riflessioni sul mistero della tomba vuota.
Nel suo
ultimo volume (3) anche papa Benedetto XVI é intervenuto, di
recente, sull’argomento, facendo propria l’unanime constatazione di come
il sepolcro di Gesù possa essere qualificato come un dato
storico mai disgiunto dalla fede nella sua resurrezione, e non come
causa efficiente e produttrice di tale fede (4).
Occorreranno le
cristofanìe successive al “terzo giorno” -verificate nella loro
oggettività e fisicità- a generarla e a consolidarla.
In questo
nostro “excursus” non esporremo, pertanto, una teologia della
resurrezione, ma cercheremo piuttosto di offrire una prospettiva
storico-teologica intorno alla tomba vuota in rapporto alla
storicità di questo sconvolgente episodio del N.T.
Il primo
itinerario di questa nostra indagine sarà quello di accertare le relative
informazioni fornite dai quattro Vangeli canonici (Mt. 28,1-8; Mc. 16,1-8;
Lc. 24,1-12; Gv. 20,1-10). Successivamente ne evidenzieremo la pregnanza
teologica : una tomba vuota -se non é relativizzata alla passione, morte,
resurrezione, di Cristo- di per sé non suggerisce proprio nulla.
Quindi
l’accertamento serve a provare la storicità della morte di Gesù.
I quattro
Vangeli, nei racconti della Passione, ci sembrano particolarmente attenti a
fornire alcuni dettagli relativi alla sepoltura del Crocifisso e al
rinvenimento della tomba vuota il “terzo giorno”, soprattutto per
sottolineare il radicamento storico della Resurrezione,
anche nel proposito di sconfessare chi interpreta tale episodio,
esclusivamente, in chiave morale o allegorica o spirituale.
Questa
preoccupazione degli autori neotestamentari tiene conto delle incertezze e
delle perplessità della “forma mentis” greca nell’assimilare il dato della
resurrezione corporea di un uomo dalla morte, secondo un’ottica
razionalistica che rifiuta il “miracolo” e il “soprannaturalismo”, i quali
mettono in risalto eventi che superano le leggi naturali.
Preoccupazione
condivisa, tra l’altro, da Paolo di Tarso :
"Ora, se di Cristo si predica che é risorto dai morti,
come mai alcuni fra voi dicono che non c'é la resurrezione dei morti ?
Che se la resurrezione dei morti non c'é, neppure Cristo é risorto. Se
poi Cristo non é risorto, é dunque vana la nostra predicazione ed é vana
anche la vostra fede. Anzi siamo trovati perfino falsi testimoni di Dio,
poiché per Iddio testimoniammo che risuscitò Cristo, che egli invece non
risuscitò, se davvero i morti non risorgono" ( 1 Cor. 15, 12-15 ).
Anche per i credenti di lingua greca il “sepolcro vuoto”
era rimasto pur sempre un mistero e Paolo aveva insistito sulle
cristofanìe, immediatamente successive ai fatti della Passione, che
vedevano coinvolti in occasioni diverse : Pietro e i Dodici ( 1 Cor. 15,5
); Giacomo e altri discepoli ( 1 Cor. 15,7 ); “più di cinquecento fratelli”
( 1 Cor. 15,6 ) che avevano già sperimentato il Gesù prepasquale;
l’Apostolo delle Genti ( “ultimo fra tutti apparve anche a me, come
a un abortivo” in 1 Cor. 15,8 ).
Il radicamento storico dell’evento della Resurrezione
di Cristo, basilare schema delle narrazioni intorno alla sepoltura e al
rinvenimento della tomba vuota, non costituisce solo l’ineludibile impegno
di dover contrastare, per quanto ci atteniamo al tema, un’incipiente
interpretazione di tipo docetico e protognostico, circolante nelle comunità
cristiane dell’Oriente ellenistico, ma anima anche la prospettiva
apologetica della Chiesa primitiva (e, in primo luogo, quella di
Gerusalemme), la quale pone in evidenza, in modo paradossale, il carattere
insolito e sconcertante di una tomba vuota, conosciuta da tutti i comprimari
della vicenda della Passione di Gesù e custodita da parte dei suoi
persecutori con il dispiegamento di un buon numero di uomini armati,
predisponendo il credente a riflettere sul mistero della resurrezione del
Messia in rapporto alla malafede dei Sinedriti e alla relativa pusillanimità
degli Undici riparati da eventuali vessazioni.
___________________
Cerchiamo ora di fondare logicamente la credibilità
dei due racconti : l’uno relativo alla sepoltura di Gesù e
l’altro che riguarda la scoperta della tomba vuota il terzo
giorno.
Per quanto concerne il primo racconto i quattro Vangeli
ci offrono i seguenti dati :
·
Giuseppe di Arimatea quale responsabile della sepoltura del
Crocifisso, attestato dai Sinottici e dal Vangelo secondo Giovanni;
·
Nicodemo quale suo collaboratore nella deposizione dalla croce
( citato solo in Gv. 19,39 come colui che acquista una “mistura di mirra e
d’aloe, quasi cento libbre” );
·
un lenzuolo che avvolge il corpo di Gesù, di colore bianco (
Mt. 27,39 ) , chiamato in greco “syndon”, menzionato dai Sinottici ( il
Quarto Vangelo riferisce, al riguardo, di “bende di lino”, o anche di
“teli”, e del “sudario sul capo di Gesù”, quest’ultimo in Gv. 20,7 );
·
un sepolcro nuovo di proprietà del suddetto Giuseppe, scavato
nella roccia;
·
una grande pietra all’ingresso del sepolcro;
·
tumulazione della salma di Cristo nella tomba vuota il giorno
della Parasceve;
·
Maria di Magdala e “l’altra Maria” assistono alla
tumulazione del corpo di Gesù;
·
disposizione, da parte dei Sinedriti, di un picchetto di guardie a
custodia del sepolcro ben sigillato ( solo Mt. 27,62-66 ).
Per quanto riguarda la seconda narrazione :
·
il primo giorno dopo il sabato;
·
Maria di Magdala e il gruppo delle “pie donne” si recano al sepolcro
per dare una degna sepoltura alla salma del Messia, portando con sé degli
aromi;
·
la pietra all’ingresso del sepolcro é rotolata;
·
lo sbigottimento e il tramortimento delle guardie ( solo in Mt.
28,5 );
·
la scomparsa del corpo di Gesù e lo spavento delle “pie donne” di
fronte allo spettacolo di un giovane ( o di due giovani ) che attestano
l’evento della resurrezione;
·
Maria di Magdala avverte gli Undici;
·
Pietro e il “discepolo prediletto” corrono al sepolcro, ma solo
quest’ultimo, constatando le bende per terra e il sudario in un angolo ben
ripiegato, “vide e credette”, come viene narrato in Gv. 20,8.
Mt. 27,60 attribuisce, esplicitamente, la proprietà del
Sepolcro di Cristo a Giuseppe di Arimatea. Non possediamo fonti
extracristiane che documentino l’esistenza di questo personaggio che assume,
nelle narrazioni evangeliche, il proprio “spessore storico” solo alla luce
della tomba vuota.
Originario forse del villaggio di Rama ( che era anche la
patria del giudice Samuele ) o Ramataim, membro autorevole del Sinedrio,
Giuseppe era noto e stimato per censo e saggezza, oltre a simpatizzare per
il messaggio di Cristo sul Regno di Dio, “ma occulto” (secondo Gv.
19,38) per non pregiudicare la propria posizione all’interno del Gran
Consiglio ebraico. Non aveva approvato la condanna a morte di Gesù e,
durante la vicenda della Passione di quest’ultimo, si era compromesso
pubblicamente, con grande coraggio, di fronte ai suoi colleghi e allo stesso
Pilato, riuscendo a farsi consegnare il cadavere del Crocifisso. La
tradizione cristiana riconosce da sempre in Giuseppe le qualità di una
“Antigone” neotestamentaria che, rivendicando in Cristo la statura di un
uomo fuori dell’ordinario, non aveva inteso per niente rifiutargli una
degna sepoltura, dimostrando in tal modo la non negoziabilità dei valori
della stima, dell’amicizia e della “pietà”.
Il racconto della sepoltura di Gesù é logicamente
credibile. La sua morte sopraggiunta in così poco lasso di tempo, tale da
far meravigliare Pilato ( Mc. 15,44 ), probabilmente per asfissia,
dissanguamento, stremo delle forze, e l’usanza giudaica di inumare i morti
appesi a pali o a croci “per non contaminare la terra durante la notte”,
tanto più alla vigilia di una festività religiosa, appaiono elementi
sufficienti per introdurre il discorso sul sepolcro dell’Arimatea.
Questa preoccupazione poteva giustificare anche il
“crurifragium”, cioé l’accelerazione del decesso, attraverso la rottura
degli arti inferiori, degli altri due condannati.
Si può muovere l’obiezione in base alla quale, secondo
l’usanza romana, i crocifissi dovevano rimanere inchiodati fino alla
decomposizione del cadavere, per essere poi preda degli animali; ma si sa
pure che i Romani rispettavano le consuetudini di un popolo sottomesso,
permettendo l’inumazione dei giustiziati.
L’altra difficoltà, sollevata a suo tempo da Alfred Loisy
(3), concerne la perplessità di una tumulazione di un condannato a morte in
una tomba individuale.
Questa obiezione, che può avere una certa parvenza di
verosimiglianza, è stata radicalmente infirmata dai recenti scavi
archeologici nei pressi di Gerusalemme. Dal reperto di un crocifisso sepolto
che risale pressappoco ai tempi di Gesù risulta che le eccezioni a questa
regola erano assai frequenti. Bastava che i più vicini al giustiziato
chiedessero il corpo per seppellirlo, e questa richiesta spesso veniva
concessa…….Le tombe finora ritrovate nella zona sono nove. Si tratta di
ambienti scavati nella pietra tenera che comprendono camere sepolcrali con
loculi e locali di accesso. Facevano parte di un ampio cimitero giudaico in
uso durante il periodo del secondo tempio ( cioè tra il secolo IV av. Cr. e
il secolo I d.Cr. ) ed erano tombe di famiglia. L’importanza del
ritrovamento é certamente considerevole. Siamo di fronte per la prima volta
a un reperto archeologico che ci documenta in maniera diretta su un
supplizio assai diffuso nell’antichità, la crocifissione, quello stesso che
i Vangeli ci hanno descritto come il supplizio a cui fu condannato Gesù
Cristo (4).
Ci sembra indiscutibile il dato della rimozione dei
crocifissi nel giorno della Parasceve, secondo la richiesta fatta a Pilato
dalla deputazione sinedrita. Ma la prospettiva della sepoltura di uno dei
suppliziati in una tomba individuale potrebbe apparire insolita allo stesso
‘prefectus Judeae’ che tuttavia aveva acconsentito, vista l’eccezionalità
del Maestro galileo o anche per un mal soffocato senso di colpa, o per una
sorta di ripicca nei confronti di Anna e Caifa. Ci sorprende la mancanza
di una reazione ostile da parte del Sinedrio di fronte alla coraggiosa
iniziativa di Giuseppe.
Ci si interroga : perché per Gesù una tomba onorifica,
proprietà di uno degli uomini più in vista del Sinedrio, e non la fossa
comune ? Forse per la sua vicinanza al luogo del supplizio e a causa
della poca disponibilità di tempo e per la distanza dalla fossa comune dei
condannati ? Forse per la pronta determinazione mostrata da Giuseppe nei
confronti di Caifa nell’onorare, anche in questo modo, il Crocifisso ? O
forse anche con il beneplacito, magari misto ad insofferenza, da parte degli
altri Capi religiosi che, pur di veder sconfessate le profezie di Gesù
relative alla sua resurrezione, potevano controllare la situazione
disponendo di un picchetto di guardie a custodia del sepolcro ?
Si tratta di tre ipotesi tutte plausibili ed equivalenti,
ma abbiamo ragione di credere che la salma di Cristo non sarebbe rimasta a
lungo nel sepolcro dell’Arimatea, concepito come una sistemazione
provvisoria. Inoltre, da non trascurare la preoccupazione dei Sinedriti
circa l’eventualità di trasformare quest’ultimo in un luogo della memoria e
di culto da parte dei simpatizzanti del presunto o reale Messia,
circostanza quanto meno da prendere sul serio e neutralizzare. Le
reazioni di stupore di Maria di Magdala e di Pietro, di fronte alla pietra
rimossa e alla sparizione del cadavere, sono spiegabili anche alla luce di
questa congettura :
Ora il P. Benoit ha rilevato, a nostro avviso in modo
convincente, che il ricordo molto più vicino agli eventi del mattino
domenicale si é conservato nella pericope giovannea 20,1ss. Secondo essa é
stata solo Maria di Magdala che si é recata al sepolcro, quando ancora era
buio, per piangervi ( ciò non esclude che altre donne l’hanno seguita più
tardi ). Quando si accorge –si suppone da lontano- che la pietra é stata
ribaltata, torna in fretta per avvertire Pietro : “hanno portato via il
Signore e non sappiamo ( nota il plurale che contrasta con la persona
singola di Maria ) dove l’hanno posto”. Il sospetto che il corpo é stato
trafugato, perché il permesso del Procuratore di dare una sepoltura
onorifica a un bestemmiatore ha potuto irritare alcuni fanatici avversari di
Gesù ( in modo che hanno deciso di trasportarlo al cimitero dei criminali
). Tutto ciò che finora si dice sembra molto normale e privo di qualsiasi
tendenziosità. La notizia di Maria provoca un grande turbamento. Ciò che
avviene in seguito preferiamo desumerlo da Luca., il quale riassume il corso
degli avvenimenti in maniera concisa ed obiettiva : Pietro corre al
sepolcro, constata che il sepolcro é veramente vuoto e che le bende sono
rimaste lì e torna a casa “pieno di stupore per l’accaduto” ( nota bene che
non si parla ancora della fede di Pietro ) (5).
E’ da notare come le narrazioni evangeliche sembrino
giocare molto sul fattore del “turbamento” ma anche su quello dello
“equivoco” di fronte alla scoperta della tomba vuota.
I persecutori di Cristo non sarebbero stati disposti al
“revisionismo”. Per loro “non dovevano esserci” dubbi. Tuttavia non
potevano non manifestare perplessità di fronte ad un tale evento.
L’ipotesi del trafugamento del cadavere senza una violenta colluttazione
con i soldati ( e dove gli intimi di Gesù avrebbero, sicuramente, potuto
avere la peggio ), con il minor tempo possibile per rotolare la pietra, non
apparirebbe sostenibile.
Eppure l’evangelista Matteo aveva messo in luce la
malafede dei Sinedriti e la loro “cecità di mente e di cuore”, nonché il
loro meschino spirito opportunistico che li induceva perfino a corrompere le
guardie che custodivano il sepolcro. Erano ritenuti colpevoli, agli occhi
dei “nuovi credenti”, sia di impugnare la verità conosciuta, sia di
ostinazione a non pentirsi del grave atto delittuoso premeditato e portato a
compimento, nonché di aver subornato i soldati facendo diffondere in mezzo
al popolo una spregevole, ma anche risibile, menzogna. Ma tanto era
bastato a Matteo per mostrare, agli occhi degli Ebrei convertiti al Vangelo,
le autorità religiose di Israele come moralmente delegittimate ad
interpretare l’Alleanza del popolo eletto con Jahveh, esibendo in modo
sfacciato l’insipiente contraddizione in cui erano incorsi :
“Mentre quelle andavano, alcune delle guardie corsero in
città a riferire ai gran Sacerdoti tutto quello che era successo. Ed essi,
dopo essersi radunati con gli Anziani e aver preso consiglio, diedero ai
soldati una forte somma dicendo loro : ‘Dite : i discepoli di lui sono
venuti di notte e l’hanno rubato mentre noi dormivamo’. Se il governatore
viene a saperlo, lo persuaderemo noi e vi libereremo noi da ogni molestia’.
Essi, preso il denaro, fecero come era stato loro detto. E questa diceria si
é divulgata tra i Giudei fino ad oggi” ( Mt. 28,11-15 ).
Ha dell’incredibile immaginare come una diceria tanto
banale abbia persuaso, nei secoli a venire, prestigiosi intellettuali come
il tedesco Reimarus e coloro che al pari di lui si erano fatti paladini
della “lotta contro il pregiudizio” ! Per mettere in luce il paradosso
di Mt. 28,11-15, il relativo commento di S. Agostino di Ippona non sarebbe
sfuggito neanche ai più semplici ( “se vegliavi perché permettesti ? Se
dormivi come lo sapesti ?” ). E’ verosimile pensare che i soldati
dormissero magari tutti quanti ed incuranti del minimo rumore da parte di
estranei ? Si potrà avanzare questa illazione : potevano essere stati
magari storditi con qualche infuso propinato loro da una “pia donna”. Ma
in tal caso, per gli Apostoli sarebbe stata un’arma a doppio taglio, in
quanto i Capi religiosi d’Israele avrebbero diffuso tra le masse, a loro
danno, la notizia di questa controproducente “impresa”. Ammesso pure che
le cose fossero andate in questa direzione, i Sinedriti e i soldati
avrebbero potuto dissimulare questa circostanza per evitare le rappresaglie
di Pilato contro i suoi sottoposti a causa della loro negligenza. Ma una
volta destituito il governatore romano, agli avversari di Gesù sarebbe
rimasto tutto il tempo disponibile a far circolare questa informazione in
mezzo al popolo.
Inoltre, la notizia relativa alla tomba individuale per
Gesù, a causa della possibile contaminazione di un crocifisso a contatto con
altre persone morte per decesso naturale, non risulta essere
inconsistente. Al riguardo Mt. 27,40, Lc. 23,53 e Gv. 19,41 riferiscono
di un “sepolcro nuovo” non ancora utilizzato ( e, secondo Gv. 19,41,
collocato in un orto non molto distante dal luogo dell’esecuzione ).
I discepoli di Cristo risulterebbero essere scagionati
dall’accusa di furto del cadavere in forza di questa riflessione. Se si
fossero effettivamente impossessati della salma del loro Maestro, avrebbero
svolto questa operazione in tempi brevissimi e senza preoccuparsi di
liberarla dai teli e dal sudario, esponendola così alla nudità. Che senso
avrebbe avuto slegarla delle bende prima di allontanarla dal luogo di
sepoltura ?
Nel racconto del rinvenimento della tomba vuota, ci
sorprende l’idea di trovarci di fronte ad un evento incredibile nella sua
realtà concreta ed empiricamente inspiegabile : un orto e un sepolcro
noto ai Sinedriti e alle pie donne ed osservabili da chiunque, il secondo
sigillato e controllato da un buon numero di uomini armati…….Tuttavia
scoperchiato e vuoto all’alba del terzo giorno !
Rimarrebbe l’ultima ipotesi da non sottovalutare : e se
gli Apostoli avessero trafugato il cadavere con l’aiuto e in combutta con i
soldati, magari da essi corrotti ? Si tratta di una debole congettura
che non regge, in quanto, difficilmente, le guardie si sarebbero lasciate
condizionare dalla pietà o dallo scrupolo morale, vista la crudezza con la
quale avevano gestito l’intera vicenda della Passione o, tantomeno, da un
finale “ricredersi” intorno alla statura spirituale di un personaggio da
loro ripetutamente, oltraggiato in quanto “Re dei Giudei”. Se non fosse
stata la pietà o il rimorso ad indurli a collaborare con gli intimi di Gesù,
per quale tornaconto personale, allora, avrebbero permesso il trafugamento
del cadavere del suppliziato ? Questi galilei ormai sconcertati ed
impressionati dai tragici eventi del venerdì santo, privi di reazione e per
giunta nascosti, quale gratificazione avrebbero offerto ai crocifissori ?
L’unico espediente sarebbe stato solo il denaro. Il denaro degli Undici
contro il denaro offerto dai Sinedriti ! Un curioso confronto che noi
crediamo impari e Mt. 28,11-15 non perde tempo ad esibire la disonestà delle
guardie subornate dai Gran Sacerdoti che, al riguardo, avrebbero alzato la
posta in gioco. E come si sa l’opportunismo e il potere regolano di gran
lunga i rapporti umani. Né una “subentrata pietà” e né un “rimorso di
coscienza” dei custodi del sepolcro e, tantomeno, “un’ipotetica capacità di
corruzione” da parte degli Apostoli avrebbero potuto volgere la sorte a
favore di questi ultimi che non potevano, tra l’altro, disporre di un potere
di contrattazione pari o, addirittura, superiore a quello degli avversari di
Gesù, con l’offerta di garanzie di protezione riguardo agli esecutori
materiali della condanna a morte del Nazareno.
Il Vangelo secondo Matteo é l’unico scritto
neotestamentario che riferisce l’episodio della custodia armata del Sepolcro
di Cristo. Gli altri Vangeli lo trascurano. Come mai ? Eppure si
tratta di un dettaglio molto importante anche ai fini della trasparenza del
miracolo della Resurrezione di Gesù.
“Il giorno dopo, che era il giorno dopo la Parasceve, i
Gran Sacerdoti e i Farisei andarono insieme da Pilato e gli dissero :
‘Signore, ci siamo ricordati che quell’impostore, quand’era ancora in vita
disse : Dopo tre giorni risusciterò. Ordina dunque che il sepolcro sia
custodito fino al terzo giorno, affinché non vadano i suoi discepoli a
rubarlo e dicano al popolo : E’ risorto dai morti ! Quest’ultima impostura
sarebbe peggiore della prima’. Disse loro Pilato : ‘Avete un picchetto di
guardie : andate, sorvegliate come volete’. Essi andarono e si
assicurarono del sepolcro, sigillando e mettendovi le guardie” ( Mt.
27,63-66 ).
Si ritiene che questo evento avesse raggiunto troppa
notorietà a Gerusalemme e in tutta la Giudea per essere documentato.
Scrivendo per convertiti dal Giudaismo e dal paganesimo, Mc., Lc. e Gv. si
sentivano motivati da una preoccupazione apologetica di fondo che consisteva
nel non esasperare la malafede e la meschinità dei Capi religiosi d’Israele
e dei loro scherani, a smorzare i toni polemici con il mondo del Giudaismo
palestinese e a non abbassare, secondo una visuale teologica, la figura di
Gesù ad oggetto di un regolamento di conti.
Non disponiamo di fonti extracristiane del I secolo che
possano confermare il duplice episodio della sepoltura e della scoperta
della tomba vuota : ma tutte, in modo implicito, presuppongono che Gesù di
Nazareth sia stato crocifisso sotto Ponzio Pilato e, conseguentemente,
inumato secondo l’usanza dei Giudei.
“Dopo il sabato, all’alba del primo giorno della
settimana, Maria di Magdala e l’altra Maria andarono a vedere il sepolcro.
Ed ecco che ci fu un gran terremoto : un Angelo del Signore, infatti, era
sceso dal cielo e, avvicinatosi, ribaltò la pietra e vi si sedette sopra.
Il suo aspetto era come la folgore e la sua veste candida come la neve.
Per lo spavento che ebbero di lui, sbigottirono le guardie e rimasero come
morte. Ma l’Angelo prese a dire alle donne : ‘Non temete voi : so,
infatti, che cercate Gesù, il crocifisso. Non é qui ! E’ risorto come
aveva detto; venite a vedere il luogo dove era stato deposto. E presto,
andate a dire ai suoi discepoli : E’ risorto dai morti e vi precede in
Galilea : ivi lo vedrete. Ecco io ve l’ho detto’ ” ( Mt. 28,1-7 ).
La narrazione matteana espone due diverse prospettive di
un unico avvenimento che aveva visto come attore principale “l’Angelo del
Signore” che aveva ribaltato la pietra, le guardie e le pie donne come
spettatori, secondo schemi desunti dal genere della letteratura
apocalittica. Presumiamo che il racconto non nasconda altro che due
differenti inquadrature in cui si offre lo scenario del sepolcro vuoto,
considerati dall’Evangelista come coesistenti in un unico processo temporale
dell’episodio. Maria di Magdala e “l’altra Maria” in cammino, all’alba del
primo giorno dopo il sabato, avevano avvertito una grande scossa di
terremoto di pochi istanti. Davanti al sepolcro le guardie si erano
spaventate a causa di questo sommovimento e, allo stesso tempo, avevano
percepito una luminosa presenza umana che aveva fatto ribaltare la pietra
posta all’ingresso della tomba. Una fortissima impressione era stata tale
da provocare la perdita dei sensi. Tuttavia, i soldati non avevano visto
Gesù risorto e le due donne stavano raggiungendo il luogo, constatando,
sbigottite, la presenza di questo personaggio dalla veste candida e
luminosa, e la pietra rotolata per terra.
Gli altri Vangeli parlano chi di “un giovane” chi di “due
giovani”, ma Mt. 28,1 riferisce esplicitamente che si tratta di un “Angelo
del Signore” con un suo sorprendente annuncio a Maria di Magdala e alla sua
compagna “Il Crocifisso é risorto. Non é qui !”.
Nel momento in cui “l’Angelo” si era rivelato alle donne, non vi erano
più i soldati. Questi, tramortiti e una volta ripresa coscienza, non
avevano avvertito più la presenza del “giovane”. Percepita la sparizione
del cadavere del Nazareno, si erano allontanati in fretta tra lo
sbigottimento e la paura. Il Vangelo secondo Matteo induce a capire come
le stesse guardie si trovassero nel ruolo di diretti testimoni di un evento
umanamente inspiegabile, dal quale era escluso a priori l’intervento di
qualsiasi discepolo di Gesù. Ma tutto questo susseguirsi di avvenimenti
non aveva impedito loro di rendersi complici del Sinedrio e propagare la
menzogna del furto del cadavere.
L’aspetto più eclatante delle narrazioni evangeliche
relative alla sepoltura e alla scoperta della tomba vuota, al
di là dello scenario di tipo apocalittico offerto da Mt. 28,1-7 per
descrivere l’evento della Resurrezione, tuttavia non nasconde un certo senso
logico e fa sì che gli stessi Vangeli canonici offrano una “angolatura
sorprendentemente realistica” della vicenda documentata, nella totale
refrattarietà alle trasposizioni mitologiche.
Concludiamo questa relazione riportando l’episodio
giovanneo della visione della tomba vuota da parte del “discepolo
prediletto” e che si riassume nella celebre espressione “vide e credette”
( “eiden kai episteusen” ). Prescindendo da un attento esame filologico dei
termini greci usati dall’Autore, esso esula dal nostro discorso. Ma
presupponendolo, possiamo avanzare questa riflessione.
“Il primo giorno dei sabati, Maria la Maddalena
viene all’alba, mentre era ancora tenebra al sepolcro e guarda la pietra
levata dal sepolcro. Corre allora. E viene presso Simon Pietro e presso
l’altro discepolo del quale Gesù era amico. E dice loro: «Levarono il
Signore dal sepolcro ! E non sappiamo dove lo posero».
Uscì allora Pietro e l’altro discepolo e vengono al sepolcro. Ora, correvano insieme i due, ma l’altro discepolo corse innanzi più veloce di Pietro e venne per primo al sepolcro, e chinatosi, guarda i lini stesi, tuttavia non entrò. Viene allora anche Simon Pietro, seguendo lui. Ed entrò nel sepolcro. E contempla i lini stesi e il sudario che era sulla sua testa, non con i lini, ma separato, avvolto in un determinato luogo. Allora entrò dunque anche l’altro discepolo che venne per primo al sepolcro, e vide e credette. Infatti non avevano ancora capito la Scrittura che bisognava che Lui risorgesse dai morti. Allora se ne andarono di nuovo, ognuno presso di sé, i discepoli” ( Gv. 20,1-10 )
Uscì allora Pietro e l’altro discepolo e vengono al sepolcro. Ora, correvano insieme i due, ma l’altro discepolo corse innanzi più veloce di Pietro e venne per primo al sepolcro, e chinatosi, guarda i lini stesi, tuttavia non entrò. Viene allora anche Simon Pietro, seguendo lui. Ed entrò nel sepolcro. E contempla i lini stesi e il sudario che era sulla sua testa, non con i lini, ma separato, avvolto in un determinato luogo. Allora entrò dunque anche l’altro discepolo che venne per primo al sepolcro, e vide e credette. Infatti non avevano ancora capito la Scrittura che bisognava che Lui risorgesse dai morti. Allora se ne andarono di nuovo, ognuno presso di sé, i discepoli” ( Gv. 20,1-10 )
Il Quarto Vangelo non ci riferisce il nome del “discepolo
che Gesù amava”, ma abbiamo buone ragioni per ritenere quest’ultimo non un
simbolo o un’astrazione “senza carne e ossa”, ma un individuo concreto : con
buona probabilità l’Autore aveva alluso a se stesso, probabilmente, dal
punto di vista anagrafico, più giovane dell’apostolo Pietro.
La Maddalena aveva riferito agli Undici la notizia della
scoperta della tomba vuota. Due di loro, Pietro e il “discepolo che
Gesù amava” avevano lasciato il Cenacolo, percorrendo frettolosamente, con
un misto di preoccupazione ed ansia, l’itinerario che li avrebbe condotti
alla tomba di Gesù. Vi era giunto prima il “discepolo prediletto” che,
fermatosi sulla soglia e senza entrarvi, vi aveva scorto qualcosa dentro.
Pietro, una volta entrato nel sepolcro, Pietro si era messo ad osservare i
teli ( in greco “othonia” ) che avevano avvolto e legato il corpo del suo
Maestro, ma come “giacenti”, mentre il sudario -che ne avvolgeva il capo con
funzione di mentoniera- si trovava ripiegato. Secondo uno studio biblico
più accreditato. Il “sudario” non sarebbe stato posto in un determinato
luogo, bensì in mezzo ai teli.
Anche il “discepolo che Gesù amava” aveva osservato, ma
in modo più prolungato e profondo, lasciandosi catturare da due diverse
prospettive : da un lato, le bende di lino -che avevano legato il cadavere
di Cristo- stavano come afflosciate, avendo perso la loro forza costrittiva;
dall’altro, il sudario si trovava ripiegato, quasi a suggerire l’idea di
un’azione intenzionale da parte di qualcuno.
I biblisti ci informano sull’uso di tre verbi greci per
indicare l’unica azione del vedere (“blepei” al v. 5, “theorèi” al v.
6, “eiden” al v. 7), quasi a sottolineare che prima si era dato un semplice
percepire con il senso della vista da parte del “prediletto”, poi un
semplice osservare di Pietro e, poi ancora, un “vedere più profondo e
coinvolgente” sempre del “prediletto”.
Quest’ultimo aveva beneficiato di una straordinaria
intuizione che, pur impegnando le altre capacità percettive e
riflessive, le superava in una visione profonda della realtà che gli si era
posta davanti. I teli stavano a terra come afflosciati, avendo perso la
loro forza costrittiva, contrastando le stesse leggi fisiche. Pertanto,
escludendo l’intervento intenzionale di qualcuno, tale giacenza appariva
allora ed appare a noi priva di senso. Il sudario stava a parte come
ripiegato, quasi a suggerire l’idea di un messaggio da comunicare, anche con
una forte valenza simbolica in relazione all’A.T. : si presentava come
l’espressione di un soggetto intelligente ed operante che, per essere tale,
doveva risultare a rigor di logica vivente.
Si danno quindi tre diverse prospettive in un quadro di
insieme : l’immediato e convinto rifiuto dell’ipotesi di furto o di
sottrazione, in quanto gli esecutori materiali non si sarebbero minimamente
preoccupati della disposizione delle bende di lino e del sudario; la
giacenza dei teli afflosciati; il sudario ripiegato e deposto ( altrove o in
mezzo ai lini ? ). Questa triplice constatazione faceva sorgere
l’intuizione tradotta in un incipiente atto di fede nella resurrezione di
Gesù, successivamente consolidato e confermato dalle cristofanie successive,
in forza dell’autorità di Gesù medesimo.
Con la citazione “vide e credette” l’evangelista
Giovanni faceva intravedere la consecuzione di due momenti ( secondo un
“prima” e un “poi” ) distinti di un’unica azione, dove il “vedere profondo”
poteva predisporre al “credere”, vale a dire alla incontrovertibile e
accettazione del dato della resurrezione corporea di Cristo.
N O T E :
1) G.W F HEGEL, Fenomenologia dello Spirito,
Piccola Biblioteca Einaudi Filosofia, pp. 148-149;
2) op. cit., p. 149;
3) JOSEPH RATZINGER-BENEDETTO XVI, Gesù di Nazareth.
Dall’ingresso in Gerusalemme fino alla resurrezione, Libreria Editrice
Vaticana, pp. 252-255;
4) op. cit., pp. 252-255;
5) CARLO SKALICKY, Teologia Fondamentale, Istituto
Superiore di Teologia a distanza-Pontificia Università Lateranense, Roma
1980, p. 301;
6) op. cit., p. 301;
7) op. cit., pp. 308-309.
Fonte : scritti e
appunti del teologo Francesco Cuccaro , e-mail
cuccarof@alice.it .
Nessun commento:
Posta un commento