Luchino dal Campo, "Viaggio
del marchese Nicolò d’Este al Santo Sepolcro (1413)"
(Biblioteca della Rivista di
storia e letteratura religiosa. Testi e documenti, 24). Edizione e
commento a cura di C. Brandoli, presentazione di F. Cardini, Firenze, Leo S.
Olschki Ed., 2011, pp. 326, ISBN 978 88 222 6061 1
Recensione di Rosa Conte
Il volume che ha
attirato la nostra attenzione è un itinerario di viaggio dato alle stampe
recentemente1.
Nello specifico, si tratta della cronaca di uno dei pellegrinaggi intrapresi da
un personaggio di alto lignaggio e cioè dal marchese di Ferrara Nicolò III
d’Este (1383-1441), che nel 1413 si recava in Terrasanta. Lo scritto è però
redatto dal cancelliere Luchino dal Campo, un personaggio la cui identità è
«ancora quasi del tutto oscura» (almeno nell’opinione dell’insigne medievista
Franco Cardini)2,
e che era uno dei cinquanta uomini del seguito del nostro gentiluomo.
Il volume, che è
l’elaborazione di un lungo percorso di ricerca culminato nella tesi di dottorato
in «Filologia italiana» (Università di Ferrara) di Caterina Brandoli (1978-),
dopo la Presentazione a cura di Franco Cardini [p. V], e le
Abbreviazioni e Segni speciali [p. XII], si articola in tre capitoli.
Il primo che
funge da Introduzione è articolato in cinque paragrafi: 1. Note
biografiche su Nicolò III d’Este [p. 1]; 2. La tradizione del
pellegrinaggio nel ’300-’400 [p. 8]; 3. L’itinerario del pellegrinaggio
in Terrasanta (1413) [p. 12]; 4. Struttura e contenuti del testo [p.
19]; 5. Una (prevedibile) “fonte” del viaggio: le Peregrinationes totius
Terrae Sanctae [p. 30].
Il secondo, dal
titolo «Nota al Testo», si articola in quattro paragrafi: 1. I testimoni di
tradizione diretta [p. 55]; 2. I testimoni di tradizione indiretta
[p. 66]; 3. I rapporti tra i testimoni [p. 67], 3.1 La stampa G e il ms.
F [p. 67], 3.2 Relazione tra i testimoni A B F [p. 76]; 3.3 L’archetipo [p.
102]; 3.4 Ipotesi di stemma codicum; 4. Criteri di edizione e apparato
[p. 107].
Il terzo
capitolo costituisce l’edizione vera e propria del nostro diario e si intitola:
Il Testo. [Luchino dal Campo], Viaggio del Marchese Nicolò d’Este al
Santo Sepolcro [p. 113].
Seguono
«Appendici» [p. 267], «Appendice fotografica» [p. 285], «Bibliografia» [p. 287],
«Indici dei toponimi menzionati nel testo» [p. 311], «Indice dei nomi» [p. 315].
Ciò detto è il
caso di evidenziare come lo studio condotto sia notevole, la descrizione dei
testimoni estremamente puntigliosa e la Bibliografia utilizzata, articolata in
«Fonti» e «Studi» notevolmente ricca. In definitiva, si tratta di una edizione
fortemente “contestualizzata”, un utile punto di riferimento per successivi
studi di genere.
*****
Nicolò III, per
ottemperare a un voto fatto, nel 1413 intraprende il cammino che lo porterà in
visita ai Loca Sancta. Partito da Ferrara il 6 aprile, prima raggiunge
Francolino, località da dove si imbarca per Loreto, da qui raggiunge Venezia,
dove trascorrerà alcuni giorni in attesa dell’imbarco definitivo (7 aprile). La
nobile comitiva raggiunge il porto di Giaffa, dopo aver effettuato numerose
soste (Pola, Zara, Corfù, Modone, Rodi, Cipro…) il 14 maggio, pochissimi giorni
per visitare Rama, Gerusalemme, Betlemme, quindi il ritorno che comincia il 24
maggio (anche in questo caso numerose soste), il 5 luglio l’attracco a Venezia e
il giorno dopo l’arrivo a Ferrara. In effetti, il viaggio fu assai breve (84
gg.) e ciò a causa della delicata situazione politica ferrarese che non avrebbe
consentito lunghe assenze al nostro marchese. Il racconto del viaggio diventa
così motivo di esaltazione della figura del principe e degli uomini che
costituiscono il suo numeroso seguito, una sorta di piccola corte, e così non
resta molto spazio per particolari geografici3,
storici, o di altro genere.
Da una lettura
appena superficiale ci si rende immediatamente conto che le motivazioni che
spinsero la comitiva al seguito di Nicolò d’Este al pellegrinaggio non erano
prettamente di tipo devozionale perché il redattore del diario focalizza la sua
attenzione su eventi di natura mondana ai quali dà ampio spazio: banchetti,
cerimonie cortesi, e giostre che servono a esaltare la fama di questo signore di
Ferrara, e del suo casato.
Pochissimi sono
i giorni trascorsi dal gruppo in Palestina (4 gg.), altrettanto scarsi i
riferimenti alle reliquie descritte dai numerosi pellegrini e fruibili nei
Loca Sancta4,
o nelle varie tappe del percorso seguito generalmente dai penitenti o dai
semplici viaggiatori che intendevano raggiungere la Terrasanta. Per esempio,
nonostante Nicolò d’Este si sia fermato a Venezia almeno nove giorni, e abbia
partecipato a vari eventi mondani, nulla dei luoghi sacri o delle numerose
reliquie custodite nei molti edifici sacri di quelle regioni è stato appuntato.
Incredibilmente,
il nostro cancelliere ricorda un corpo santo custodito in Croazia:
«E poi andorno
vedere il corpo di santo Simeone, bellissima reliquia et molto degna; et questo
fu quello Simeone il quale compose “Nunc dimittis”» [77-78 (ed. 2007); III, 21
(ed. 2011)].
In tal senso,
costituisce una delle poche eccezioni il ricordo della Sacra Cintola custodita
presso il Duomo di Prato5,
una reliquia molto più che familiare al nostro redattore, e che forse sarebbe
stato molto difficile non menzionare:
«Poi andamo al
luogo dove san Thomaso, vedendo Nostra Donna esser portata in cielo, ge adimandò
che lei ge lasesse qualche segno in memoria, et li gittò la cintura, la quale è
a Prato in Thoscana» [238 (ed. 2007); III, 98 (ed. 2011)].
Da segnalare lo
spunto interessante, nonostante le stringate notizie offerte dal nostro diario,
costituito dalle informazioni relative a Giacomo Maggiore:
«Poi andamo al luogo dove s. Jacobo
fu decollato, e qui è facta una bellissima giesia la qual è guardata per li
Armeni» [279 (ed. 2007); III, 130 (ed. 2011)].
La morte per
decollazione di Giacomo il Maggiore - figlio di Zebedeo e fratello di Gesù - è
descritta da poche fonti, ma questi è l’apostolo cui si vorrebbe attribuire una
missione evangelizzatrice in Spagna, tuttavia, la presenza in quei luoghi del
corpo di questo apostolo, o di parte di esso, è evidenziata da numerose fonti,
tutte piuttosto tarde6.
È possibile che
nel 1414 Nicolò d’Este abbia peregrinato in Galizia7,
sebbene alcuni autori ritengano che egli non abbia mai raggiunto Santiago de
Compostela e si sia fermato nel Delfinato, lasciando incompleto il cammino
jacopeo. Si può ragionevolmente supporre che l’informazione relativa a Giacomo
possa essere stata acquisita con facilità, dal momento che Nicolò d’Este, e
dunque il suo cancelliere, esprime più volte il desiderio di raggiungere «San
Jacomo di Galizia», già nel nostro diario di viaggio [e.g. 325, 521 (ed.
2007); III, 159, 339 (ed. 2011)]. In effetti, la curatrice dell’edizione che
stiamo analizzando fa notare come il particolare degli Armeni a custodia della
chiesa di S. Giacomo Maggiore sia riscontrabile solo nella fonte classificata
come Peregrinationes C (1457), di cui riporta l’originale latino [pp.
179-80].
Qualcosa di
molto simile è riferita dal pellegrino inglese William Key (1406-1476) nel suo
Itinerarium Peregrinacionis (1458)8.
Questo canonico, nel resoconto relativo al suo primo viaggio in Terrasanta,
ricorda una chiesa custodita dagli Armeni sul luogo che vide il martirio di
questo Giacomo (diversi sono i personaggi neotestamentari - tre, forse quattro o
cinque - conosciuti con questo nome):
«Postea transeundo a Monte Syon
versus Ierusalem, in dextra parte vie est ecclesia Armenorum, in cuius latere
orientali est parva capella, ubi erat decollatus sanctus Iacobus apostolus,
frater sancti Iohannis evangeliste ab Herode» [Peregrinaciones montis Syon,
fol. 41v].
Qualche decennio
più tardi, dal diario di viaggio in Italia e in Oriente effettuato da Anselmo
Adorno (1424-1483), ma redatto dal figlio Giovanni (1444-1511), dal titolo:
Anselmi Adurni equitis Hierosolymitani ordinis Scotici et Cypriae, Iacobi III,
Scotorum regis et Caroli Burgundici ducis consiliarii, baronis in Corthuy et
Eilekins, domini in Ronsele et Ghendbrugge, Itinerarium Hierosolymitanum et
Sinaicum, si evincono le stesse informazioni9:
«Estque in Jherusalem […] et ecclesia
Sancti Jacobis Majoris in qua videtur sanctus locus ille in quo decollatus fuit
et est pulcherrima ecclesia habens turrim in summitate latam, rotundum et latum
foramen habentem, que ab Armenis regitur et posseditur» [De locis sanctis in
Jherusalem existentibus, 98 a].
Nel «primo libro
illustrato di viaggi» ad opera del chierico tedesco Bernhard von Breydenbach
(1440?-1497)10
- figura di rilievo nella vita culturale di Magonza - ma di cui si hanno scarse
informazioni, invece, una fonte pressoché contemporanea, gli Armeni vengono
sostituiti dai Giacobiti:
«31… Lungo
la strada per tornare al nostro ospizio entrammo in una chiesa officiata dai
Giacobiti, nel luogo dove Erode fece tagliare la testa a s. Giacomo Maggiore.
Anche qui c’è indulgenza di 7 anni e altrettante quarantene…».
A questo gruppo:
«Giacobiti o Giacobini», ovvero i seguaci di Giacomo Baradeo (ca.490-578),
grande organizzatore della Chiesa monofisita, la nostra fonte dedica un intero
paragrafetto: «101 I Giacobiti e i loro errori»11.
È evidente che se davvero l’ufficio liturgico di un luogo tanto importante
veniva affidato a questo gruppo eretico, il che pare assai strano, ciò può
essere avvenuto solo dal VI sec. in poi, e non prima.
Nessun
riferimento è dato, per esempio, da Burcardo del Monte Sion, un domenicano
attivo nel XIII sec. e redattore di una Descriptio Terrae Sanctae, diario
di un viaggio compiuto tra il 1282 e il 1285. Questo scritto, una delle più
ricche descrizioni occidentali della
Palestina
e del Vicino Oriente, ricorda il martirio di questo personaggio ma non lo
connette ad alcun luogo di culto:
«Inde procedendo contra turrim Dauid
et montem Sion est locus, ubi ab Herode Agrippa fuit beatus Iacobus
decollatus»12.
Interessante è
anche un volgarizzamento del resoconto di Riccoldo da Montecroce, di cui si è
detto, operato da Jean Le Long d’Ypres (?-1383), monaco e poi abate dell’abbazia
benedettina di Saint-Bertin, nei pressi di Saint-Omer - Dip. Pas-de-Calais. Il
passo che ci interessa, e che non sembra trovare corrispondenza nell’originale
latino consultato, fornisce qualche particolare in più:
«Poi si trovamo il luogo nel quale fu
decollato santo Iacomo Magiore, nel quale ora si è la chiesa, e nella chiesa si
è il detto luogo della dicollazione, e ivi anche si mostra il marmo tutto rosso
e insanguinato del sangue di san Iacopo detto»13.
così come la testimonianza del
toscano Lionardo di Niccolò Frescobaldi (1344?-1413?) che si limita a riportare
semplicemente:
«… Dipoi v’è la
chiesa di Santo Jacopo, e appresso a questo luogo gli fu tagliata la testa»14.
In effetti,
sarebbe interessante ricostruire il primo testimone di queste catene di
informazione e i motivi delle varianti, perché le fonti selezionate sembrano
aver visto de visu i luoghi descritti. È altamente probabile che nella
redazione ogni trasmettitore possa aver tenuto conto della letteratura
precedente, sebbene gli excèrpta citati, ordinati più o meno
cronologicamente, non sembrano dipendere da un archètipo comune al quale si
possano ricondurre riferimenti a specifici altri gruppi, incaricati della
liturgia.
È perciò
evidente che la fruibilità di un simile scritto potrà essere molto utile
nonostante il carattere fortemente archivistico, infarcito qua e là di elementi
fantastici dato al resoconto dal suo redattore che, in qualche caso, sembra
dipendere da fonti apparentemente poco diffuse.
Rosa
Conte
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Note :
1
Cfr. Luchino dal Campo, Viaggio del marchese Nicolò d’Este al Santo
Sepolcro (1413), a cura e con introduzione di C. Brandoli, Edizioni
digitali del cisva, 2007.
2
Luchino dal Campo, Viaggio del marchese Nicolò d’Este al Santo Sepolcro
(1413) [ed. 2011], p. 21.
3
Costituiscono una eccezione la ricostruzione della costa dalmata (antica
Schiavonia), e la registrazione dei nomi delle isole greche toccate nel
corso della navigazione.
4
A tal proposito, per esempio: G. Loche, “Il Templum Domini e le sue
tradizioni secondo le fonti scritte in epoca crociata”, Liber Annuus
[Jerusalem], LIX (2009), pp. 281-99.
5
Sulla storia di questa reliquia e sul suo arrivo a Prato nel 1141, secondo
la data fissata dalla «tradizione più diffusa»: La Sacra Cintola nel
Duomo di Prato, Prato, Cl. Martini ed., 1995, p. 17A. Cfr. M. Frati, “Il
culto delle reliquie gerosolimitane in Toscana e le modifiche spaziali degli
organismi architettonici medievali”, Rivista di storia e letteratura
religiosa [Firenze], XXXVII/2 (2001), p. 210 ss.
6
Sulla questione si veda: R. Conte, “Rivisitazione delle fonti relative alla
tradizione jacopea in Spagna”, Annali. Sez. Romanza [Napoli], LII/1-2
(2010), pp. 59-96.
7
Luchino dal Campo, Viaggio del marchese Nicolò d’Este al Santo Sepolcro
1413) [ed. 2011], p. 24.
8
William Key, Itinerarium Peregrinacionis (1458), ed. e intr. a cura
di P. Porcasi. Edizioni digitali del cisva, 2010.
9
Anselmo Adorno,
Itinéraire d’Anselme Adorno en Terre Sainte (1470-1471), texte édité,
traduit et annoté par J. Heers - G. de Groer, Paris, Éd. du Centre National
de la Recherche Scientifique, 1978 (testo latino e trad. francese a fronte),
pp. 262-63.
10 Bernhard von Breydenbach, Peregrinationes: Un viaggiatore del
quattrocento a Gerusalemme e in Egitto, Ristampa anastatica
dell’incunabolo (ed. Petrum Drack, 1490), trad. italiana a cura di G.
Bartolini - G. Caporali, Roma, Roma nel Rinascimento; Manziana, Vecchiarelli
ed., 1999 (testo gotico a fronte).
11 In precedenza, già Riccoldo Pennini, un domenicano che assunse il
nome da Montecroce (ca.1243-1320), dedica un lungo capitolo del suo
Itinerarium a questo gruppo: Peregrinatores medii aevi quatuor:
Burchardus de Monte Sion, Ricoldus de Monte Crucis, Odoricus de Foro Julii,
Wilbrandus de Oldenborg / quorum duos nunc primum edidit, duos ad fidem
librorum manuscriptorum recensuit J.C.M. Laurent, Lipsiae, J.C. Hinrichs,
1864 [pp. 105-141], pp. 124-26. Erroneamente, Anselmo Adorno, di cui si è
detto, riferisce: «Jacobite sunt cristiani a sancto Jacobo conversi» [De
locis sanctis in Jherusalem existentibus, 101 a].
12 Peregrinatores medii aevi quatuor: Burchardus
de Monte Sion, Ricoldus de Monte Crucis, Odoricus de Foro Julii, Wilbrandus
de Oldenborg, cit. [pp. 17-94], p. 72, l. 11.
13 Jean Le Long d’Ypres, Viaggio in Terra Santa di fra Riccoldo da
Monte di Croce, volgarizzamento del secolo XIV, secondo un manoscritto
della Biblioteca imperiale di Parigi, Siena, A. Mucci, 1864, p. 9.
14 Lionardo Frescobaldi, Viaggi in Terrasanta (Il timone,
1), a cura di E. Emanuelli, Novara, Istituto Geografico De Agostini, 1961,
p. 55 s.
Fonte : scritti della
prof.essa Rosa Conte ( e-mail:
rositaconte@msn.com ).
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