mercoledì 24 luglio 2019

Luchino dal Campo, "Viaggio del marchese Nicolò d’Este al Santo Sepolcro (1413)", Recensione di Rosa Conte



Luchino dal Campo, "Viaggio del marchese Nicolò d’Este al Santo Sepolcro (1413)"
(Biblioteca della Rivista di storia e letteratura religiosa. Testi e documenti, 24). Edizione e commento a cura di C. Brandoli, presentazione di F. Cardini, Firenze, Leo S. Olschki Ed., 2011, pp. 326, ISBN 978 88 222 6061 1
 
Recensione di Rosa Conte 
 


 
Il volume che ha attirato la nostra attenzione è un itinerario di viaggio dato alle stampe recentemente1. Nello specifico, si tratta della cronaca di uno dei pellegrinaggi intrapresi da un personaggio di alto lignaggio e cioè dal marchese di Ferrara Nicolò III d’Este (1383-1441), che nel 1413 si recava in Terrasanta. Lo scritto è però redatto dal cancelliere Luchino dal Campo, un personaggio la cui identità è «ancora quasi del tutto oscura» (almeno nell’opinione dell’insigne medievista Franco Cardini)2, e che era uno dei cinquanta uomini del seguito del nostro gentiluomo.
Il volume, che è l’elaborazione di un lungo percorso di ricerca culminato nella tesi di dottorato in «Filologia italiana» (Università di Ferrara) di Caterina Brandoli (1978-), dopo la Presentazione a cura di Franco Cardini [p. V], e le Abbreviazioni e Segni speciali [p. XII], si articola in tre capitoli.
Il primo che funge da Introduzione è articolato in cinque paragrafi: 1. Note biografiche su Nicolò III d’Este [p. 1]; 2. La tradizione del pellegrinaggio nel ’300-’400 [p. 8]; 3. L’itinerario del pellegrinaggio in Terrasanta (1413) [p. 12]; 4. Struttura e contenuti del testo [p. 19]; 5. Una (prevedibile) “fonte” del viaggio: le Peregrinationes totius Terrae Sanctae [p. 30].
Il secondo, dal titolo «Nota al Testo», si articola in quattro paragrafi: 1. I testimoni di tradizione diretta [p. 55]; 2. I testimoni di tradizione indiretta [p. 66]; 3. I rapporti tra i testimoni [p. 67], 3.1 La stampa G e il ms. F [p. 67], 3.2 Relazione tra i testimoni A B F [p. 76]; 3.3 L’archetipo [p. 102]; 3.4 Ipotesi di stemma codicum; 4. Criteri di edizione e apparato [p. 107].
Il terzo capitolo costituisce l’edizione vera e propria del nostro diario e si intitola: Il Testo. [Luchino dal Campo], Viaggio del Marchese Nicolò d’Este al Santo Sepolcro [p. 113].
Seguono «Appendici» [p. 267], «Appendice fotografica» [p. 285], «Bibliografia» [p. 287], «Indici dei toponimi menzionati nel testo» [p. 311], «Indice dei nomi» [p. 315].
Ciò detto è il caso di evidenziare come lo studio condotto sia notevole, la descrizione dei testimoni estremamente puntigliosa e la Bibliografia utilizzata, articolata in «Fonti» e «Studi» notevolmente ricca. In definitiva, si tratta di una edizione fortemente “contestualizzata”, un utile punto di riferimento per successivi studi di genere.

*****

Nicolò III, per ottemperare a un voto fatto, nel 1413 intraprende il cammino che lo porterà in visita ai Loca Sancta. Partito da Ferrara il 6 aprile, prima raggiunge Francolino, località da dove si imbarca per Loreto, da qui raggiunge Venezia, dove trascorrerà alcuni giorni in attesa dell’imbarco definitivo (7 aprile). La nobile comitiva raggiunge il porto di Giaffa, dopo aver effettuato numerose soste (Pola, Zara, Corfù, Modone, Rodi, Cipro…) il 14 maggio, pochissimi giorni per visitare Rama, Gerusalemme, Betlemme, quindi il ritorno che comincia il 24 maggio (anche in questo caso numerose soste), il 5 luglio l’attracco a Venezia e il giorno dopo l’arrivo a Ferrara. In effetti, il viaggio fu assai breve (84 gg.) e ciò a causa della delicata situazione politica ferrarese che non avrebbe consentito lunghe assenze al nostro marchese. Il racconto del viaggio diventa così motivo di esaltazione della figura del principe e degli uomini che costituiscono il suo numeroso seguito, una sorta di piccola corte, e così non resta molto spazio per particolari geografici3, storici, o di altro genere.
Da una lettura appena superficiale ci si rende immediatamente conto che le motivazioni che spinsero la comitiva al seguito di Nicolò d’Este al pellegrinaggio non erano prettamente di tipo devozionale perché il redattore del diario focalizza la sua attenzione su eventi di natura mondana ai quali dà ampio spazio: banchetti, cerimonie cortesi, e giostre che servono a esaltare la fama di questo signore di Ferrara, e del suo casato.
Pochissimi sono i giorni trascorsi dal gruppo in Palestina (4 gg.), altrettanto scarsi i riferimenti alle reliquie descritte dai numerosi pellegrini e fruibili nei Loca Sancta4, o nelle varie tappe del percorso seguito generalmente dai penitenti o dai semplici viaggiatori che intendevano raggiungere la Terrasanta. Per esempio, nonostante Nicolò d’Este si sia fermato a Venezia almeno nove giorni, e abbia partecipato a vari eventi mondani, nulla dei luoghi sacri o delle numerose reliquie custodite nei molti edifici sacri di quelle regioni è stato appuntato.
Incredibilmente, il nostro cancelliere ricorda un corpo santo custodito in Croazia:

«E poi andorno vedere il corpo di santo Simeone, bellissima reliquia et molto degna; et questo fu quello Simeone il quale compose “Nunc dimittis”» [77-78 (ed. 2007); III, 21 (ed. 2011)].

In tal senso, costituisce una delle poche eccezioni il ricordo della Sacra Cintola custodita presso il Duomo di Prato5, una reliquia molto più che familiare al nostro redattore, e che forse sarebbe stato molto difficile non menzionare:

«Poi andamo al luogo dove san Thomaso, vedendo Nostra Donna esser portata in cielo, ge adimandò che lei ge lasesse qualche segno in memoria, et li gittò la cintura, la quale è a Prato in Thoscana» [238 (ed. 2007); III, 98 (ed. 2011)].

Da segnalare lo spunto interessante, nonostante le stringate notizie offerte dal nostro diario, costituito dalle informazioni relative a Giacomo Maggiore:

«Poi andamo al luogo dove s. Jacobo fu decollato, e qui è facta una bellissima giesia la qual è guardata per li Armeni» [279 (ed. 2007); III, 130 (ed. 2011)].

La morte per decollazione di Giacomo il Maggiore - figlio di Zebedeo e fratello di Gesù - è descritta da poche fonti, ma questi è l’apostolo cui si vorrebbe attribuire una missione evangelizzatrice in Spagna, tuttavia, la presenza in quei luoghi del corpo di questo apostolo, o di parte di esso, è evidenziata da numerose fonti, tutte piuttosto tarde6.
È possibile che nel 1414 Nicolò d’Este abbia peregrinato in Galizia7, sebbene alcuni autori ritengano che egli non abbia mai raggiunto Santiago de Compostela e si sia fermato nel Delfinato, lasciando incompleto il cammino jacopeo. Si può ragionevolmente supporre che l’informazione relativa a Giacomo possa essere stata acquisita con facilità, dal momento che Nicolò d’Este, e dunque il suo cancelliere, esprime più volte il desiderio di raggiungere «San Jacomo di Galizia», già nel nostro diario di viaggio [e.g. 325, 521 (ed. 2007); III, 159, 339 (ed. 2011)]. In effetti, la curatrice dell’edizione che stiamo analizzando fa notare come il particolare degli Armeni a custodia della chiesa di S. Giacomo Maggiore sia riscontrabile solo nella fonte classificata come Peregrinationes C (1457), di cui riporta l’originale latino [pp. 179-80].
Qualcosa di molto simile è riferita dal pellegrino inglese William Key (1406-1476) nel suo Itinerarium Peregrinacionis (1458)8. Questo canonico, nel resoconto relativo al suo primo viaggio in Terrasanta, ricorda una chiesa custodita dagli Armeni sul luogo che vide il martirio di questo Giacomo (diversi sono i personaggi neotestamentari - tre, forse quattro o cinque - conosciuti con questo nome):

«Postea transeundo a Monte Syon versus Ierusalem, in dextra parte vie est ecclesia Armenorum, in cuius latere orientali est parva capella, ubi erat decollatus sanctus Iacobus apostolus, frater sancti Iohannis evangeliste ab Herode» [Peregrinaciones montis Syon, fol. 41v].

Qualche decennio più tardi, dal diario di viaggio in Italia e in Oriente effettuato da Anselmo Adorno (1424-1483), ma redatto dal figlio Giovanni (1444-1511), dal titolo: Anselmi Adurni equitis Hierosolymitani ordinis Scotici et Cypriae, Iacobi III, Scotorum regis et Caroli Burgundici ducis consiliarii, baronis in Corthuy et Eilekins, domini in Ronsele et Ghendbrugge, Itinerarium Hierosolymitanum et Sinaicum, si evincono le stesse informazioni9:

«Estque in Jherusalem […] et ecclesia Sancti Jacobis Majoris in qua videtur sanctus locus ille in quo decollatus fuit et est pulcherrima ecclesia habens turrim in summitate latam, rotundum et latum foramen habentem, que ab Armenis regitur et posseditur» [De locis sanctis in Jherusalem existentibus, 98 a].

Nel «primo libro illustrato di viaggi» ad opera del chierico tedesco Bernhard von Breydenbach (1440?-1497)10 - figura di rilievo nella vita culturale di Magonza - ma di cui si hanno scarse informazioni, invece, una fonte pressoché contemporanea, gli Armeni vengono sostituiti dai Giacobiti:

«31… Lungo la strada per tornare al nostro ospizio entrammo in una chiesa officiata dai Giacobiti, nel luogo dove Erode fece tagliare la testa a s. Giacomo Maggiore. Anche qui c’è indulgenza di 7 anni e altrettante quarantene…».

A questo gruppo: «Giacobiti o Giacobini», ovvero i seguaci di Giacomo Baradeo (ca.490-578), grande organizzatore della Chiesa monofisita, la nostra fonte dedica un intero paragrafetto: «101 I Giacobiti e i loro errori»11. È evidente che se davvero l’ufficio liturgico di un luogo tanto importante veniva affidato a questo gruppo eretico, il che pare assai strano, ciò può essere avvenuto solo dal VI sec. in poi, e non prima.
Nessun riferimento è dato, per esempio, da Burcardo del Monte Sion, un domenicano attivo nel XIII sec. e redattore di una Descriptio Terrae Sanctae, diario di un viaggio compiuto tra il 1282 e il 1285. Questo scritto, una delle più ricche descrizioni occidentali della Palestina e del Vicino Oriente, ricorda il martirio di questo personaggio ma non lo connette ad alcun luogo di culto:

«Inde procedendo contra turrim Dauid et montem Sion est locus, ubi ab Herode Agrippa fuit beatus Iacobus decollatus»12.

Interessante è anche un volgarizzamento del resoconto di Riccoldo da Montecroce, di cui si è detto, operato da Jean Le Long d’Ypres (?-1383), monaco e poi abate dell’abbazia benedettina di Saint-Bertin, nei pressi di Saint-Omer - Dip. Pas-de-Calais. Il passo che ci interessa, e che non sembra trovare corrispondenza nell’originale latino consultato, fornisce qualche particolare in più:

«Poi si trovamo il luogo nel quale fu decollato santo Iacomo Magiore, nel quale ora si è la chiesa, e nella chiesa si è il detto luogo della dicollazione, e ivi anche si mostra il marmo tutto rosso e insanguinato del sangue di san Iacopo detto»13.

così come la testimonianza del toscano Lionardo di Niccolò Frescobaldi (1344?-1413?) che si limita a riportare semplicemente:

«… Dipoi v’è la chiesa di Santo Jacopo, e appresso a questo luogo gli fu tagliata la testa»14.

In effetti, sarebbe interessante ricostruire il primo testimone di queste catene di informazione e i motivi delle varianti, perché le fonti selezionate sembrano aver visto de visu i luoghi descritti. È altamente probabile che nella redazione ogni trasmettitore possa aver tenuto conto della letteratura precedente, sebbene gli excèrpta citati, ordinati più o meno cronologicamente, non sembrano dipendere da un archètipo comune al quale si possano ricondurre riferimenti a specifici altri gruppi, incaricati della liturgia.
È perciò evidente che la fruibilità di un simile scritto potrà essere molto utile nonostante il carattere fortemente archivistico, infarcito qua e là di elementi fantastici dato al resoconto dal suo redattore che, in qualche caso, sembra dipendere da fonti apparentemente poco diffuse.

 
 Rosa Conte




------------------------------------- 
Note :
 
1 Cfr. Luchino dal Campo, Viaggio del marchese Nicolò d’Este al Santo Sepolcro (1413), a cura e con introduzione di C. Brandoli, Edizioni digitali del cisva, 2007.

2 Luchino dal Campo, Viaggio del marchese Nicolò d’Este al Santo Sepolcro (1413) [ed. 2011], p. 21.

3 Costituiscono una eccezione la ricostruzione della costa dalmata (antica Schiavonia), e la registrazione dei nomi delle isole greche toccate nel corso della navigazione.

4 A tal proposito, per esempio: G. Loche, “Il Templum Domini e le sue tradizioni secondo le fonti scritte in epoca crociata”, Liber Annuus [Jerusalem], LIX (2009), pp. 281-99.

5 Sulla storia di questa reliquia e sul suo arrivo a Prato nel 1141, secondo la data fissata dalla «tradizione più diffusa»: La Sacra Cintola nel Duomo di Prato, Prato, Cl. Martini ed., 1995, p. 17A. Cfr. M. Frati, “Il culto delle reliquie gerosolimitane in Toscana e le modifiche spaziali degli organismi architettonici medievali”, Rivista di storia e letteratura religiosa [Firenze], XXXVII/2 (2001), p. 210 ss.

6 Sulla questione si veda: R. Conte, “Rivisitazione delle fonti relative alla tradizione jacopea in Spagna”, Annali. Sez. Romanza [Napoli], LII/1-2 (2010), pp. 59-96.

7 Luchino dal Campo, Viaggio del marchese Nicolò d’Este al Santo Sepolcro 1413) [ed. 2011], p. 24.

8 William Key, Itinerarium Peregrinacionis (1458), ed. e intr. a cura di P. Porcasi. Edizioni digitali del cisva, 2010.

9 Anselmo Adorno, Itinéraire d’Anselme Adorno en Terre Sainte (1470-1471), texte édité, traduit et annoté par J. Heers - G. de Groer, Paris, Éd. du Centre National de la Recherche Scientifique, 1978 (testo latino e trad. francese a fronte), pp. 262-63.

10 Bernhard von Breydenbach, Peregrinationes: Un viaggiatore del quattrocento a Gerusalemme e in Egitto, Ristampa anastatica dell’incunabolo (ed. Petrum Drack, 1490), trad. italiana a cura di G. Bartolini - G. Caporali, Roma, Roma nel Rinascimento; Manziana, Vecchiarelli ed., 1999 (testo gotico a fronte).

11 In precedenza, già Riccoldo Pennini, un domenicano che assunse il nome da Montecroce (ca.1243-1320), dedica un lungo capitolo del suo Itinerarium a questo gruppo: Peregrinatores medii aevi quatuor: Burchardus de Monte Sion, Ricoldus de Monte Crucis, Odoricus de Foro Julii, Wilbrandus de Oldenborg / quorum duos nunc primum edidit, duos ad fidem librorum manuscriptorum recensuit J.C.M. Laurent, Lipsiae, J.C. Hinrichs, 1864 [pp. 105-141], pp. 124-26. Erroneamente, Anselmo Adorno, di cui si è detto, riferisce: «Jacobite sunt cristiani a sancto Jacobo conversi» [De locis sanctis in Jherusalem existentibus, 101 a].

12 Peregrinatores medii aevi quatuor: Burchardus de Monte Sion, Ricoldus de Monte Crucis, Odoricus de Foro Julii, Wilbrandus de Oldenborg, cit. [pp. 17-94], p. 72, l. 11.

13 Jean Le Long d’Ypres, Viaggio in Terra Santa di fra Riccoldo da Monte di Croce, volgarizzamento del secolo XIV, secondo un manoscritto della Biblioteca imperiale di Parigi, Siena, A. Mucci, 1864, p. 9.

14 Lionardo Frescobaldi, Viaggi in Terrasanta (Il timone, 1), a cura di E. Emanuelli, Novara, Istituto Geografico De Agostini, 1961, p. 55 s.






Fonte : scritti della prof.essa Rosa Conte ( e-mail: rositaconte@msn.com ).














Nessun commento:

Posta un commento

Post più popolari negli ultimi 30 giorni