IPAZIA FA ANCORA
DISCUTERE
di Francesco Cuccaro
Mi sembra che il film “Agorà”, di pregevole fattura
tecnica e scenografica, del regista cileno-spagnolo Alejandro Amenàbar
sia una dovuta rievocazione della figura della scienziata e filosofa
alessandrina Hypatia. Ma non convince il pregiudizio del summenzionato
cineasta con il quale si é voluta ricostruire la vicenda del deplorevole
delitto del 415 d.Cr. ad opera di fanatici ed esagitati monaci
cristiani, prestandosi ad un’ennesima strumentalizzazione e provocazione
da parte di un laicismo e di un anticlericalismo tanto beceri quanto
privi di rispetto per l’oggettività storica.
Non credo che un cattolico degno di tanto nome non sia
altrettanto onesto da non riconoscere tanto la statura morale ed
intellettuale di questo insigne personaggio, quanto la persistenza di un
acceso e violento fanatismo religioso tipico di certo estremismo
cristiano.
Ma l’attribuzione di paternità dell’omicidio della
filosofa neoplatonica -addirittura della qualifica di mandante
materiale- al patriarca San Cirillo di Alessandria, secondo le
argomentazioni abbastanza tendenziose del cristiano Socrate Scolastico e
dei pagani Pallada e Damascio -ultimo scolarca dell’Accademia Platonica,
fatta chiudere dall’imperatore Giustiniano nel 529 d.Cr.- ed avvalorate,
nel XVIII secolo e in piena temperie illuministica, dal filosofo
irlandese John Toland e dallo storico inglese Edward Gibbon ( autore de
La decadenza e la caduta dell’Impero romano, anche a
causa del Cristianesimo ) e dai massoni degli ultimi tre secoli, non
poggia su fondamenta storiche sicure.
Un delitto così ripugnante avrebbe facilmente compromesso
l’onorabilità e la santità di vita di Cirillo agli occhi delle Chiese
orientali non cattoliche e della stessa Chiesa di Roma, assieme alle
accuse relative ad una sua corruzione venale durante il Concilio di
Efeso del 431 d.Cr. E’ innegabile, tuttavia, il suo influsso decisivo
nelle agitazioni popolari che interessarono Alessandria d’Egitto nei
primi decenni del V secolo d.Cr.. Ma va pure detto che i cristiani ( che
erano la maggioranza degli abitanti a quell’epoca ) furono provocati
dagli ebrei ( che costituivano una plurisecolare e numerosa colonia ) e
dai pagani. E, come se non bastasse, la Chiesa di Alessandria era
travagliata al proprio interno dalle divisioni dottrinali. Non mancarono
le tensioni socioeconomiche a causa del rapace ed oppressivo fiscalismo
esercitato da Costantinopoli ai danni delle province dell’Impero romano
d’Oriente, alimentando le tendenze regionalistiche e separatistiche
dell’Egitto che nel VII sec. d.Cr. avrebbero favorito la conquista araba
e la conversione in massa della popolazione all’Islam. Si agitava,
inoltre, anche lo spettro delle invasioni barbariche : intorno al 415
d.Cr. i Vandali erano già padroni dei territori meridionali della
Penisola iberica, giungendo a minacciare le coste nordafricane.
Cirillo fu uno dei campioni dell’ortodossìa con un
eccessivo zelo -occorre riconoscerlo- ma fu anche il salvatore della
civiltà cristiana e della sua integrità in quei tempi di crisi. Strano a
dirsi, nonostante che il Cristianesimo niceno fosse religione di stato
con l’Editto di Tessalonica del 380 d.Cr., in alcune regioni del
Mediterraneo, i seguaci della nuova fede erano ancora apertamente
discriminati. Le tendenze cesaropapiste degli imperatori bizantini e dei
loro funzionari non solo non permisero la sottomissione -nella sua parte
orientale- dell’Impero alla Chiesa, ma non furono sufficienti a
garantire a quest’ultima una totale indipendenza dal primo, per la quale
si batteva il vescovo Cirillo. I cristiani ortodossi alessandrini ( o
copti ) si sentirono “assediati”, all’interno, dagli eretici e,
all’esterno, dai pagani e dagli ebrei. Cirillo adottò la linea di dura
intransigenza nella difesa a tutti i costi della propria Chiesa, non
esimendo dal richiedere le debite riparazioni per i danni subiti dalla
sua comunità, non perseguendo, però, disegni di distruzione né
dell’ebraismo né del paganesimo in se medesimi.
E’ innegabile asserire che, certamente, queste tensioni
politiche, sociali, economiche, e anche religiose, costituissero il
retroterra psicologico perché avesse luogo l’omicidio di Ipazia, ed é
ragionevole supporre che questo fatto di sangue rientrasse nel contesto
della controversia che oppose il santo vescovo al prefetto augustale
d’Egitto di nome Oreste, anch’egli cristiano e del quale la filosofa fu
amica e confidente. Il motivo occasionale dell’uccisione di Ipazia, come
riferito da Socrate Scolastico, fu la morte sotto tortura di un monaco
di nome Ammonio che aveva ferito il prefetto con una pietra. Cirillo
considerò questo religioso alla stregua di un martire, e le agitazioni
dei confratelli della Nitria, noti anche come “parabolani” per le loro
stravaganze ed eccentricità di vita ascetica, nonché desiderosi di
“martirio”, furono incontrollabili. Alcuni di essi, guidati da un
lettore di nome Pietro, assalirono la povera donna e la uccisero con i
cocci, facendola poi a pezzi e bruciandone i resti nel Cinerone.
Ipazia fu ravvisata come l’interprete più efficace (
non tanto della libertà di pensiero, come vorrebbe farci intendere
Amenàbar ) dell’odiato paganesimo; ma anche considerata, a torto o
a ragione, come l’ostacolo politico alla riconciliazione tra il
prefetto augustale e il patriarca di Alessandria d’Egitto ( questo fu
il senso del suo sacrificio cruento ). Senza neanche immaginare
lontanamente come le differenze tra il Cristianesimo e il Neoplatonismo
potessero venire smussate nel nome di un riscoperto monoteismo. Non si
spiegherebbe, altrimenti, la presenza nel suo cenacolo di alunni che
ricoprirono incarichi ufficiali nella Chiesa, come Sinesio di Cirene che
divenne vescovo di Tolemaide, ma propenso ad un Cristianesimo di tipo
gnostico.
Ipazia fu la figlia del matematico Teone, ultimo
direttore del Museo di Alessandria, alla quale viene attribuita
l’invenzione dell’astrolabio; studiosa di Platone, di Plotino e di del
matematico Diofanto, oltre che interprete del geocentrismo tolemaico.
Fu - come Giuliano l’Apostata e altri intellettuali
pagani della cerchia dell’imperatore che parlavano di “res publica
exinanita” ( “lo Stato stremato” ) - un’adoratrice del Sole Invitto, in
quanto ritenuto sede della ‘psiché’, plotinianamente intesa come Anima
del Mondo.
“A sentire L. Rougier, moderno ammiratore di Celso, un
antico polemista pagano, i cristiani sarebbero stati responsabili di
questo terremoto strutturale : le vere cause delle persecuzioni furono
motivi di ordine sociale. I cristiani stavano in rapporto alle classi
raffinate della società pagana come, sotto la rivoluzione, i giacobini
stavano alle vecchie monarchie europee e, ai nostri giorni, come i
bolscevichi stanno alle società capitalistiche : una genìa esecrabile
formata da una lega di tutti i nemici del genere umano; accozzaglia di
schiavi, di poveracci, di scontenti, di gente senz’arte né parte, che
contestano l’ordine stabilito, disertano il servizio militare, fuggono
gli incarichi pubblici, fanno propaganda per il celibato, maledicono le
dolcezze della vita, gettano l’anatema su tutta la cultura pagana,
profetizzano la fine del mondo, a dispetto degli auguri che predicevano
a Roma un destino eterno” (1).
Il Cristianesimo antico si era configurato proprio in
questo modo, come rifiuto del mondo? Non mancarono certamente gli
scontenti, i disertori, gli encratìti, gli escatologisti allarmisti,
coloro che ( come Taziano e Tertulliano ) rifiutavano la cultura greca
: per fortuna furono espressione di correnti minoritarie ed
integraliste. Il Magistero della Chiesa, invece, accettò sempre quanto
di positivo il mondo pagano potesse offrire, integrandolo con la sua
visione cristiana di Dio, della vita e dell’uomo.
L’errore di Giuliano l’Apostata, di Gemisto Pletone,
di Gibbon, di Rougier, di Mazzarino e di tanti storici dei nostri
“gloriosi” atenei statali ( compresi quelli che per anni hanno imposto
cinque programmi di esame per i non-frequentanti, facendo distinzione
tra studenti di serie “a” e studenti di serie “b”, condizionandone,
vergognosamente, a priori il voto ) consisteva nell’idealizzare un
paganesimo di fantasia che malcelava “una realtà assai meno splendida
che traspare, d’altronde, nelle espressioni di disprezzo rivolte
indistintamente a barbari, donne, schiavi, plebei” (2). “Nelle classi
superiori si trovavano, senz’altro, esempi di virtù ( e Ipazia fu uno di
questi ), ma anche un grande scetticismo e una inquietudine confusa che
spingevano sia verso le religioni orientali, sia verso la dissolutezza
dei costumi” (3)
Ma anche il Cristianesimo, nei secoli, non dimenticò
Ipazia e seppe restituire giustizia a questa donna eccezionale e
sfortunata, con il celebre dipinto “La Scuola di Atene” di Raffaello
Sanzio, conservato nelle Stanze Vaticane, dove la studiosa venne messa
in risalto e alla pari di altri prestigiosi sapienti dell’antichità.
NOTE :
(1) AA.VV. “Cento punti caldi della storia della
Chiesa”, Paoline 1983, pp.55-56;
(2) op. cit., p. 56;
(3) op. cit., p. 56.
Fonte : scritti e
appunti del teologo Francesco Cuccaro , e-mail
cuccarof@alice.it .
Fonte foto:
http://www.ilculturista.it/cultura/?p=2492
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