mercoledì 24 luglio 2019

IPAZIA FA ANCORA DISCUTERE, di Francesco Cuccaro



IPAZIA  FA ANCORA DISCUTERE
 
di Francesco Cuccaro
 
              
          
 
Mi sembra che il film “Agorà”, di pregevole fattura tecnica e scenografica, del regista cileno-spagnolo Alejandro Amenàbar sia una dovuta rievocazione della figura della scienziata e filosofa alessandrina Hypatia. Ma non convince il pregiudizio del summenzionato cineasta con il quale si é voluta ricostruire la vicenda del deplorevole delitto del 415 d.Cr. ad opera di fanatici ed esagitati monaci cristiani, prestandosi ad un’ennesima strumentalizzazione e provocazione da parte di un laicismo e di un anticlericalismo tanto beceri quanto privi di rispetto per l’oggettività storica.

Non credo che un cattolico degno di tanto nome non sia altrettanto onesto da non riconoscere tanto la statura morale ed intellettuale di questo insigne personaggio, quanto la persistenza di un acceso e violento fanatismo religioso tipico di certo estremismo cristiano.
Ma l’attribuzione di paternità dell’omicidio della filosofa neoplatonica -addirittura della qualifica di mandante materiale- al patriarca San Cirillo di Alessandria, secondo le argomentazioni abbastanza tendenziose del cristiano Socrate Scolastico e dei pagani Pallada e Damascio -ultimo scolarca dell’Accademia Platonica, fatta chiudere dall’imperatore Giustiniano nel 529 d.Cr.- ed avvalorate, nel XVIII secolo e in piena temperie illuministica, dal filosofo irlandese John Toland e dallo storico inglese Edward Gibbon ( autore de La decadenza e la caduta dell’Impero romano,  anche a causa del Cristianesimo ) e dai massoni degli ultimi tre secoli, non poggia su fondamenta storiche sicure.

Un delitto così ripugnante avrebbe facilmente compromesso l’onorabilità e la santità di vita di Cirillo agli occhi delle Chiese orientali non cattoliche e della stessa Chiesa di Roma, assieme alle accuse relative ad una sua corruzione venale durante il Concilio di Efeso del 431 d.Cr. E’ innegabile, tuttavia, il suo influsso decisivo nelle agitazioni popolari che interessarono Alessandria d’Egitto nei primi decenni del V secolo d.Cr.. Ma va pure detto che i cristiani ( che erano la maggioranza degli abitanti a quell’epoca ) furono provocati dagli ebrei ( che costituivano una plurisecolare e numerosa colonia )  e dai pagani. E, come se non bastasse, la Chiesa di Alessandria era travagliata al proprio interno dalle divisioni dottrinali. Non mancarono le tensioni socioeconomiche a causa del rapace ed oppressivo fiscalismo esercitato da Costantinopoli ai danni delle province dell’Impero romano d’Oriente, alimentando le tendenze regionalistiche e separatistiche dell’Egitto che nel VII sec. d.Cr. avrebbero favorito la conquista araba e la conversione in massa della popolazione all’Islam.  Si agitava, inoltre, anche lo spettro delle invasioni barbariche : intorno al 415 d.Cr. i Vandali erano già padroni dei territori meridionali della Penisola iberica, giungendo a minacciare le coste nordafricane.

Cirillo fu uno dei campioni dell’ortodossìa con un eccessivo zelo -occorre riconoscerlo- ma fu anche il salvatore della civiltà cristiana e della sua integrità in quei tempi di crisi. Strano a dirsi, nonostante che il Cristianesimo niceno fosse religione di stato con l’Editto di Tessalonica del 380 d.Cr., in alcune regioni del Mediterraneo, i seguaci della nuova fede erano ancora apertamente discriminati. Le tendenze cesaropapiste degli imperatori bizantini e dei loro funzionari non solo non permisero la sottomissione -nella sua parte orientale- dell’Impero alla Chiesa, ma non furono sufficienti a garantire a quest’ultima una totale indipendenza dal primo, per la quale si batteva il vescovo Cirillo. I cristiani ortodossi alessandrini ( o copti ) si sentirono “assediati”, all’interno, dagli eretici e, all’esterno, dai pagani e dagli ebrei. Cirillo adottò la linea di dura intransigenza nella difesa a tutti i costi della propria Chiesa, non esimendo dal richiedere le debite riparazioni per i danni subiti dalla sua comunità, non perseguendo, però, disegni di distruzione né dell’ebraismo né del paganesimo in se medesimi.

E’ innegabile asserire che, certamente, queste tensioni politiche, sociali, economiche, e anche religiose, costituissero il retroterra psicologico perché avesse luogo l’omicidio di Ipazia, ed é ragionevole supporre che questo fatto di sangue rientrasse nel contesto della controversia che oppose il santo vescovo al prefetto augustale d’Egitto di nome Oreste, anch’egli cristiano e del quale la filosofa fu amica e confidente. Il motivo occasionale dell’uccisione di Ipazia, come riferito da Socrate Scolastico, fu la morte sotto tortura di un monaco di nome Ammonio che aveva ferito il prefetto con una pietra. Cirillo considerò questo religioso alla stregua di un martire, e le agitazioni dei confratelli della Nitria, noti anche come “parabolani” per le loro stravaganze ed eccentricità di vita ascetica, nonché desiderosi di “martirio”, furono incontrollabili. Alcuni di essi, guidati da un lettore di nome Pietro, assalirono la povera donna e la uccisero con i cocci, facendola poi a pezzi e bruciandone i resti nel Cinerone.

Ipazia  fu  ravvisata  come l’interprete più efficace ( non tanto della libertà di pensiero, come  vorrebbe  farci  intendere Amenàbar )  dell’odiato paganesimo;  ma anche considerata,  a  torto  o  a  ragione,  come l’ostacolo politico alla riconciliazione tra il prefetto augustale e il patriarca di Alessandria d’Egitto  (  questo fu il senso del suo sacrificio cruento  ).  Senza neanche immaginare lontanamente come le differenze tra il Cristianesimo e il Neoplatonismo potessero venire smussate nel nome di un riscoperto monoteismo.   Non si spiegherebbe, altrimenti, la presenza nel suo cenacolo di alunni che ricoprirono incarichi ufficiali nella Chiesa, come Sinesio di Cirene che divenne vescovo di Tolemaide, ma propenso ad un Cristianesimo di tipo gnostico.

Ipazia fu la figlia del matematico Teone, ultimo direttore del Museo di Alessandria, alla quale viene attribuita l’invenzione dell’astrolabio; studiosa di Platone, di Plotino e di del matematico Diofanto,  oltre che interprete del geocentrismo tolemaico.
Fu - come Giuliano l’Apostata e altri intellettuali pagani della cerchia dell’imperatore che parlavano di “res publica exinanita” ( “lo Stato stremato” ) - un’adoratrice del Sole Invitto, in quanto ritenuto sede della ‘psiché’, plotinianamente intesa come Anima del Mondo.

“A sentire L. Rougier, moderno ammiratore di Celso, un antico polemista pagano, i cristiani sarebbero stati responsabili di questo terremoto strutturale : le vere cause delle persecuzioni furono motivi di ordine sociale. I cristiani stavano in rapporto alle classi raffinate della società pagana come, sotto la rivoluzione, i giacobini  stavano alle vecchie monarchie europee e, ai nostri giorni, come i bolscevichi stanno alle società capitalistiche : una genìa esecrabile formata da una lega di tutti i nemici del genere umano; accozzaglia di schiavi, di poveracci, di scontenti, di gente senz’arte né parte, che contestano l’ordine stabilito, disertano il servizio militare, fuggono gli incarichi pubblici, fanno propaganda per il celibato, maledicono le dolcezze della vita, gettano l’anatema su tutta la cultura pagana, profetizzano la fine del mondo, a dispetto degli auguri che predicevano a Roma un destino eterno” (1).

Il Cristianesimo antico si era configurato proprio in questo modo, come rifiuto del mondo?     Non mancarono certamente gli scontenti, i disertori, gli encratìti, gli escatologisti allarmisti,  coloro  che ( come Taziano e Tertulliano ) rifiutavano la cultura greca : per fortuna furono espressione di correnti minoritarie ed integraliste. Il Magistero della Chiesa, invece, accettò sempre quanto di positivo il mondo pagano potesse offrire, integrandolo con la sua visione cristiana di Dio, della vita e dell’uomo.

L’errore di Giuliano l’Apostata,  di  Gemisto  Pletone, di Gibbon,  di Rougier, di  Mazzarino e di tanti storici dei nostri “gloriosi” atenei statali ( compresi quelli che per anni hanno imposto cinque programmi di esame per i non-frequentanti, facendo distinzione tra studenti di serie “a” e studenti di serie “b”, condizionandone, vergognosamente, a priori il voto )  consisteva nell’idealizzare un paganesimo di fantasia che malcelava “una realtà assai meno splendida che traspare, d’altronde, nelle espressioni di disprezzo rivolte indistintamente a barbari, donne, schiavi, plebei” (2). “Nelle classi superiori si trovavano, senz’altro, esempi di virtù ( e Ipazia fu uno di questi ), ma anche un grande scetticismo e una inquietudine confusa che spingevano sia verso le religioni orientali, sia verso la dissolutezza dei costumi” (3)

Ma anche il Cristianesimo, nei secoli, non dimenticò Ipazia e seppe restituire giustizia a questa donna eccezionale e sfortunata, con il celebre dipinto “La Scuola di Atene”  di Raffaello Sanzio, conservato nelle Stanze Vaticane, dove la studiosa venne messa in risalto e alla pari di altri prestigiosi sapienti dell’antichità.
 
 
 

 
NOTE :
 
(1)        AA.VV. “Cento punti caldi della storia della Chiesa”, Paoline 1983, pp.55-56;
(2)        op. cit., p. 56;
(3)        op. cit., p. 56.





 


Fonte : scritti e appunti del teologo Francesco Cuccaro , e-mail  cuccarof@alice.it  .














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