PONTIFICIO CONSIGLIO DELLA
CULTURA
LA VIA PULCHRITUDINIS ,
cammino privilegiato di
evangelizzazione e di dialogo
ASSEMBLEA PLENARIA 2006
LA VIA PULCHRITUDINIS, CAMMINO DI
EVANGELIZZAZIONE E DI DIALOGO
DOCUMENTO CONCLUSIVO
I. Una sfida cruciale
II. La Chiesa propone una risposta: La via pulchritudinis
II.1 Accettare la sfida.
II.2 In che modo la via
pulchritudinis può essere una risposta?
II.3 La via pulchritudinis, via
verso la Verità e la Bontà.
III.
Le vie della bellezza
III.1 La bellezza della creazione.
A)
La meraviglia davanti alla bellezza della creazione.
B)
Dalla creazione alla ricreazione.
C)
La creazione, utilizzata o idolatrata.
Proposte pastorali.
III.2 La bellezza delle arti.
A)
La bellezza suscitata dalla fede.
B)
Imparare ad accogliere questa bellezza.
C)
L’arte sacra, strumento di evangelizzazione e di catechesi.
Proposte pastorali.
III.3 La bellezza di Cristo, modello e
prototipo della santità cristiana.
A)
In cammino verso la bellezza di Cristo.
B)
La bellezza luminosa di Cristo e il suo riflesso nella santità cristiana.
C)
La bellezza della liturgia
Proposte pastorali.
Conclusione
«Non vi è niente di più bello che essere
raggiunti, sorpresi dal Vangelo, da Cristo. Non vi è niente di più bello che
conoscere Lui e comunicare agli altri l’amicizia con Lui. Il compito del
pastore, del pescatore di uomini può spesso apparire faticoso. Ma è bello e
grande, perché in definitiva è un servizio alla gioia, alla gioia di Dio che
vuol fare il suo ingresso nel mondo».
Benedetto XVI
Omelia durante la S .Messa per l’inizio del Pontificato
24 aprile 2005
Omelia durante la S .Messa per l’inizio del Pontificato
24 aprile 2005
Il tema scelto per l’Assemblea plenaria del
Pontificio Consiglio della Cultura, che si è tenuta dal 27 al 28 marzo 2006,
è in continuità con le precedenti assemblee, e in armonia con la missione del
Dicastero che è quella di aiutare la Chiesa a trasmettere la fede in Cristo
mediante una pastorale che risponda alle sfide della cultura contemporanea,
specialmente all’indifferenza religiosa e alla non credenza (Motu proprio
Inde a Pontificatus). Con progetti e proposte concrete, questo Consiglio
desidera aiutare i pastori, seguendo la via pulchritudinis, come cammino
di evangelizzazione delle culture e di dialogo con i non credenti, a condurre a
Cristo, che è «la Via, la verità e la vita» (Gv 14, 6).
La Plenaria del 2002 sul tema «Trasmettere la
fede nel cuore delle culture, novo millennio ineunte»[1],
e quella del 2004 su «La fede cristiana all’alba del nuovo millennio e la
sfida della non credenza e dell’indifferenza religiosa»[2]
hanno sottolineato l’urgenza di un nuovo slancio apostolico della Chiesa per
evangelizzare le culture, attraverso una inculturazione effettiva del Vangelo.
1. La cultura segnata da una visione materialistica
e atea caratteristica delle società secolarizzate, suscita un vero e proprio
allontanamento, e talvolta una messa sotto accusa della religione, in
particolare del cristianesimo e soprattutto un nuovo anti-cattolicesimo[3].
Molti vivono come se Dio non esistesse (Etsi Deus non daretur), come se
la sua presenza e la sua parola non potessero influenzare in alcun modo la vita
concreta delle persone e delle società. Essi hanno difficoltà ad affermare
chiaramente la loro appartenenza religiosa: quest’ultima rientrerebbe
esclusivamente nell’ambito della vita privata. L’esperienza religiosa, di
conseguenza, è dissociata spesso da una chiara appartenenza ad una istituzione
ecclesiale: alcuni credono senza appartenere, mentre altri appartengono senza
dare segni visibili del loro credere.
2. Il fenomeno della nuova religiosità e le
spiritualità emergenti, che si diffondono nel mondo, si ergono come una
grande sfida per la nuova evangelizzazione: esse pretendono di rispondere meglio
della Chiesa – o, comunque, meglio delle forme religiose tradizionali – alle
attese spirituali, emotive e psicologiche dei nostri contemporanei e, attraverso
riti sincretistici e pratiche esoteriche, esse toccano nel vivo l’emotività
delle persone in una dinamica comunitaria pseudo-religiosa che, spesso, le
soffoca, privandole addirittura della loro libertà e della loro dignità[4].
3. Se in alcuni paesi storicamente cristiani i
praticanti non costituiscono più, come in un recente passato, la maggioranza
della popolazione, essi rimangono una forza viva capace di testimoniare, con
discernimento e coraggio, nel cuore di una cultura neopagana. Le Giornate
mondiali della Gioventù, i grandi raduni in occasione dei Congressi eucaristici
nonché nei santuari mariani, il proliferare dei luoghi di risveglio spirituale e
il bisogno sempre più forte di soggiorni silenziosi nelle foresterie dei
monasteri, la riscoperta delle antiche vie di pellegrinaggio e il fiorire di una
moltitudine di nuovi movimenti religiosi che raggiungono giovani e adulti, le
folle immense che si sono accalcate a Roma alla morte di Giovanni Paolo II e
all’elezione di Benedetto XVI, sono altrettanti segni di speranza: «Sì, la
Chiesa è viva - testimoniava il Santo Padre nella sua omelia per la messa
d’inizio del Pontificato - questa è la meravigliosa esperienza di questi
giorni. Proprio nei tristi giorni della malattia e della morte del Papa
[Giovanni Paolo II] questo si è manifestato in modo meraviglioso ai nostri
occhi: che la Chiesa è viva. E la Chiesa è giovane. Essa porta in sé il futuro
del mondo e perciò mostra anche a ciascuno di noi la via verso il futuro. La
Chiesa è viva e noi lo vediamo: noi sperimentiamo la gioia che il Risorto ha
promesso ai suoi»[5]
.
II.1 Accettare la sfida.
Di fronte alle sfide storiche, sociali, culturali e
religiose raccolte nelle due precedenti Assemblee plenarie, quali aspetti della
pastorale la Chiesa è chiamata a privilegiare nel suo dialogo apostolico con gli
uomini e le donne del nostro tempo, specialmente i non credenti e gli
indifferenti?
La Chiesa compie la sua missione che è quella di
portare gli uomini a Cristo Salvatore mediante la condivisione della Parola di
Dio e il dono dei Sacramenti della Grazia. Per meglio raggiungerli, attraverso
una pastorale della cultura, adattata alla luce del Cristo contemplato
nel mistero della sua Incarnazione (cf. Gaudium et spes, n. 22), essa
scruta i segni dei tempi e vi trova preziose indicazioni per gettare
«ponti» che permettano di incontrare il Dio di Gesù Cristo attraverso un
itinerario di amicizia in un dialogo di verità.
In tale prospettiva, la Via pulchritudinis si
presenta come un itinerario privilegiato per raggiungere molti di coloro che
hanno grandi difficoltà a ricevere l’insegnamento, soprattutto morale, della
Chiesa. Troppo spesso, in questi ultimi decenni, la verità ha risentito
del fatto di essere strumentalizzata dall’ideologia e la bontà di essere
«orizzontalizzata», ridotta ad essere unicamente un atto sociale, come se la
carità verso il prossimo potesse fare a meno di attingere la propria forza
all’amore di Dio. Il relativismo, che trova nel pensiero debole una delle
sue espressioni più forti, contribuisce, peraltro, a rendere difficile un
confronto vero, serio e ragionevole.
La Via della bellezza, a partire
dall’esperienza semplicissima dell’incontro con la bellezza che suscita stupore,
può aprire la strada della ricerca di Dio e disporre il cuore e la mente
all’incontro col Cristo, Bellezza della Santità Incarnata offerta da Dio agli
uomini per la loro Salvezza. Essa invita i nuovi Agostino del nostro tempo,
cercatori insaziabili d’amore, di verità e di bellezza, ad elevarsi dalla
bellezza sensibile alla Bellezza eterna e a scoprire con fervore il Dio Santo
Artefice di ogni bellezza.
Non tutte le culture sono in ugual misura aperte al
Trascendente e ad accogliere la rivelazione cristiana. Allo stesso modo, tutte
le espressioni del bello – o di ciò che ritiene di esserlo – sono lungi dal
favorire l’accoglienza del messaggio di Cristo e l’intuizione della sua divina
bellezza. Le culture, come le espressioni artistiche e le manifestazioni
estetiche, sono segnate dal peccato e possono attirare, perfino catturare
l’attenzione fino a farla ripiegare su se stessa suscitando nuove forme di
idolatria. Non siamo troppo spesso messi di fronte a fenomeni di vera decadenza
in cui l’arte e la cultura si snaturano fino a ferire l’uomo nella sua dignità?
Il bello non può essere ridotto ad un semplice piacere dei sensi: sarebbe
rifiutarsi di avere piena coscienza della sua universalità, del suo valore
supremo, altamente trascendente. La sua percezione richiede un’educazione,
poiché la bellezza non è autentica se non nel suo rapporto con la verità –
d’altronde, di che cosa sarebbe lo splendore, se non della verità? – ed essa è,
al tempo stesso, «l’espressione visibile del bene, come il bene è la
condizione metafisica della bellezza»
[6] - «Il bello non è forse la
strada più sicura per raggiungere il bene? », si chiedeva Max Jacob.
Ampiamente accessibile a tutti, la Via della bellezza non è, tuttavia,
priva di ambiguità e di deviazioni. Sempre dipendente dalla soggettività umana,
essa può essere ridotta ad un estetismo effimero, lasciarsi strumentalizzare ed
asservire dalle mode attraenti della società dei consumi. Da ciò nasce l’urgente
missione di educare a discernere tra “uti” e “frui”, cioè tra un
rapporto con le cose e le persone fondato unicamente sulla funzionalità – uti
-, e la relazione credibile e affidabile – frui -, radicata
coraggiosamente sulla bellezza della gratuità, memori di quanto scrive Agostino
nel suo “De catechizandis rudibus”: “Nulla est enim maior ad amorem
invitatio quam praevenire amando” – Non c’è invito più grande all’amore che
precedere amando (Lib. I, 4.7, 26).
Perciò, è necessario chiarire che cos’è e
in che consiste la Via pulchritudinis: di quale bellezza si tratta,
che permetta di trasmettere la fede mediante la sua capacità di raggiungere il
cuore delle persone, di esprimere il mistero di Dio e dell’uomo, di presentarsi
come un autentico «ponte», spazio libero per camminare con gli uomini e le donne
del nostro tempo che sanno o imparano ad apprezzare il bello, e aiutarli ad
incontrare la bellezza del Vangelo di Cristo che la Chiesa deve, per sua
missione, annunciare a tutti gli uomini di buona volontà.
II.2 In che modo la via pulchritudinis può
essere una risposta della Chiesa alle sfide del nostro tempo?
Il Papa Giovanni Paolo II, instancabile indagatore
dei segni dei tempi, indica la via nella sua Enciclica Fides et ratio: «Mentre
non mi stanco di richiamare l’urgenza di una nuova evangelizzazione, mi appello
ai filosofi perché sappiano approfondire le dimensioni del vero, del buono e del
bello, a cui la parola di Dio dà accesso. Ciò diventa tanto più urgente, se si
considerano le sfide che il nuovo millennio sembra portare con sé: esse
investono in modo particolare le regioni e le culture di antica tradizione
cristiana. Anche questa attenzione deve considerarsi come un apporto
fondamentale e originale sulla strada della nuova evangelizzazione»[7].
Questo appello ai filosofi può sorprendere, ma la
via pulchritudinis non è forse una via veritatis sulla quale l’uomo
si impegna per scoprire la bonitas del Dio d’amore, fonte di ogni
bellezza, di ogni verità e di ogni bontà? Il bello, come pure il vero o il bene,
ci conduce a Dio, Verità prima, Bene supremo e Bellezza stessa. Ma il bello dice
più del vero o del bene. Dire di un essere che è bello non significa solo
riconoscergli una intelligibilità che lo rende amabile. E’ dire, nello stesso
tempo, che specificando la nostra conoscenza, esso ci attira, anzi ci cattura
attraverso un influsso capace di suscitare meraviglia. Se esso esprime un certo
potere di attrazione, ancor più, forse, il bello esprime la realtà stessa nella
perfezione della sua forma. Esso ne è l’epifania. Esso la manifesta esprimendo
la sua intima chiarezza
[8]. Se il bene esprime il
desiderabile, il bello esprime ancor più lo splendore e la luce di una
perfezione che si manifesta
[9] .
La via pulchritudinis è una via pastorale
che non si può ridurre ad un approccio filosofico. Ma lo sguardo del metafisico
ci aiuta a capire perché la bellezza è una via regale per condurre a Dio. Nel
suggerirci chi Egli è, essa suscita in noi il desiderio di goderne nella pace
della contemplazione, non soltanto perché Lui solo può soddisfare le nostre
intelligenze e i nostri cuori, ma anche perché Egli contiene in se stesso la
perfezione dell’Essere, fonte armoniosa e inesauribile di chiarezza e di luce.
Per giungervi, è importante saper compiere il passaggio «dal fenomeno al
fondamento». E’ di nuovo l’appello del papa filosofo: «Ovunque l’uomo
scopre la presenza di un richiamo all’assoluto e al trascendente, lì gli si apre
uno spiraglio verso la dimensione metafisica del reale: nella verità, nella
bellezza, nei valori morali, nella persona altrui, nell’essere stesso, in Dio.
Una grande sfida che ci aspetta al termine di questo millennio è quella di saper
compiere il passaggio, tanto necessario quanto urgente, dal fenomeno al
fondamento. Non è possibile fermarsi alla sola esperienza; anche quando
questa esprime e rende manifesta l’interiorità dell’uomo e la sua spiritualità,
è necessario che la riflessione speculativa raggiunga la sostanza spirituale e
il fondamento che la sorregge »
[10] .
Questo passaggio dal fenomeno al
fondamento non avviene spontaneamente per chi non sia in grado di passare
dal visibile all’invisibile perché una certa abitudine alla bruttezza, al
cattivo gusto, alla volgarità, si vede promossa sia dalla pubblicità sia da
alcuni «artisti folli» che fanno dell’immondo e del brutto un valore, al
fine di suscitare scandalo. I fiori capziosi del male affascinano: «Vieni
dal cielo profondo o esci dall’abisso, o Bellezza?», si chiede Baudelaire. E
Dmitrij Karamazov confida a suo fratello Alëša: «La Bellezza è una cosa
terribile. E’ la lotta tra Dio e Satana e il campo di battaglia è il mio cuore».
Se la bellezza è l’immagine di Dio creatore, essa è anche figlia di Adamo ed Eva
e, sulla loro scia, segnata dal peccato. L’uomo spesso rischia di lasciarsi
intrappolare dalla bellezza presa in se stessa, icona divenuta idolo, mezzo che
inghiottisce il fine, verità che imprigiona, trappola in cui cade un gran numero
di persone, per mancanza di un’adeguata formazione della sensibilità e di una
corretta educazione alla bellezza.
Percorrere la Via pulchritudinis implica
impegnarsi a educare i giovani alla bellezza, aiutarli sviluppare uno spirito
critico di fronte all’offerta della cultura mediatica, e a plasmare la loro
sensibilità e il loro carattere per elevarli e condurli ad una reale maturità.
La «cultura kitsch» non è caratteristica di una certa paura di sentirsi spinto
ad una profonda trasformazione? Dopo aver a lungo rifiutato questa «passione»,
Sant’Agostino ricorda la trasformazione profonda dell’anima grazie all’incontro
con la bellezza di Dio: nelle Confessioni egli ripensa con tristezza e
amarezza al tempo perduto e alle occasioni mancate e, in pagine indimenticabili,
rivede il suo percorso tormentato alla ricerca della verità e di Dio. Ma, in una
specie di illuminazione nell’evidenza, egli ritrova Dio e lo coglie come «la
Verità in persona» (X, 24), fonte di gioia pura e di autentica felicità: «Tardi
t’amai, bellezza così antica, così nuova, tardi t’amai! Ed ecco, tu eri dentro
di me ed io fuori di me ti cercavo e mi gettavo deforme sulle belle forme della
tua creazione… Tu hai chiamato e gridato, hai spezzato la mia sordità, hai
brillato e balenato, hai dissipato la mia cecità, hai sparso la tua fragranza ed
io respirai, ed ora anelo verso di te; ti ho gustata ed ora ho fame e sete, mi
hai toccato, ed io arsi nel desiderio della tua pace»[11].
Quest’esperienza dell’incontro con il Dio della Bellezza è un avvenimento
vissuto nella totalità dell’essere e non solo nella sensibilità. Di qui la
confessione del De musica (6, 13, 38): «Num possumus amare nisi
pulchra? – Che altro si può amare se non le cose belle?».
II.3 La Via pulchritudinis,
via verso la Verità e la Bontà.
Proponendo un’estetica teologica, Hans Urs von
Balthasar intendeva aprire gli orizzonti del pensiero alla meditazione e alla
contemplazione della bellezza di Dio, del suo mistero e del Cristo in cui Egli
si rivela. Nell’introduzione al primo volume della sua opera magistrale,
Gloria, il teologo cita la parola bellezza «che per noi sarà la prima»
e ne esprime la portata in rapporto al bene che «anche ha perduto la sua
forza di attrazione» e in cui «gli argomenti in favore della verità hanno
esaurito la loro forza di conclusione logica»
[12].
Parallelamente, con altre preoccupazioni, Aleksandr I. Solženicyn nota con
accento profetico, nel suo Discorso per la consegna del Premio Nobel per la
Letteratura: «Questa antica triunità della Verità, del Bene e della
Bellezza non è semplicemente una caduca formula da parata, come ci era sembrato
ai tempi della nostra presuntuosa giovinezza materialistica. Se, come dicevano i
sapienti, le cime di questi tre alberi si riuniscono, mentre i germogli della
Verità e del Bene, troppo precoci e indifesi, vengono schiacciati, strappati e
non giungono a maturazione, forse strani, imprevisti, inattesi saranno i
germogli della Bellezza a spuntare e crescere nello stesso posto e saranno loro
in tal modo a compiere il lavoro per tutti e tre»[13].
Così, ben lungi dal rinunciare a proporre la
Verità e il Bene che sono nel cuore del Vangelo, bisogna seguire una
via che permetta ad essi di raggiungere il cuore dell’uomo e delle culture[14].
Il mondo ne ha urgente bisogno, come sottolineava Papa Paolo VI nel suo vibrante
Messaggio agli Artisti dell’8 dicembre 1965, alla chiusura del Concilio
Ecumenico Vaticano II: «Questo mondo nel quale noi viviamo ha bisogno di
bellezza per non cadere nella disperazione. La bellezza, come la verità, mette
la gioia nel cuore degli uomini ed è un frutto prezioso che resiste al logorio
del tempo, che unisce le generazioni e le fa comunicare nell’ammirazione»[15].
Contemplata con animo puro, la bellezza parla direttamente al cuore, eleva
interiormente dallo stupore alla meraviglia, dall’ammirazione alla gratitudine,
dalla felicità alla contemplazione. Perciò, crea un terreno fertile per
l’ascolto e il dialogo con l’uomo e per afferrarlo interamente, mente e cuore,
intelligenza e ragione, capacità creatrice e immaginazione. Essa, infatti,
difficilmente lascia indifferenti: suscita emozioni, mette in moto un dinamismo
di profonda trasformazione interiore che genera gioia, sentimento di pienezza,
desiderio di partecipare gratuitamente a questa stessa bellezza, di
appropriarsene interiorizzandola e inserendola nella propria concreta esistenza.
La via della bellezza risponde all’intimo desiderio
di felicità che alberga nel cuore di ogni uomo. Essa apre orizzonti infiniti,
che spingono l’essere umano ad uscire da se stesso, dalla routine e
dall’effimero istante che passa, ad aprirsi al Trascendente e al Mistero, a
desiderare, come scopo ultimo del suo desiderio di felicità e della sua
nostalgia di assoluto, questa Bellezza originale che è Dio stesso, Creatore di
ogni bellezza creata. Molti Padri hanno fatto riferimento a ciò durante il
Sinodo dei Vescovi sull’Eucaristia, nell’ottobre 2005. L’uomo nel suo intimo
desiderio di felicità, può trovarsi messo di fronte al male della sofferenza e
della morte. Allo stesso modo, le culture sono talvolta messe di fronte a dei
fenomeni analoghi di ferite, che possono condurre fino alla loro scomparsa. La
voce della bellezza aiuta ad aprirsi alla luce della verità, e illumina così la
condizione umana aiutandola a cogliere il significato del dolore. In questo
modo, essa favorisce la guarigione di queste ferite.
Tre sviluppi si offrono a noi come vie privilegiate
della Via pulchritudinis, per dialogare con le culture contemporanee:
III.1 La bellezza della creazione
III.2 La bellezza delle arti
III.3 La bellezza di Cristo, modello e prototipo
della santità cristiana
La Bellezza di Dio, rivelata dalla bellezza
singolare di suo Figlio, costituisce l’origine e il fine di tutto il creato. Se
è possibile partire dal grado più elementare, per poi risalire, secondo un
dinamismo inscritto nelle Sacre Scritture, dalla bellezza sensibile della natura
alla Bellezza del Creatore, quest’ultima risplende in maniera unica sul volto di
Cristo e su quello di sua Madre e dei santi. Per il cristiano «creazione» è
inseparabile da «ricreazione», poiché se Dio ha giudicato buona e bella l’opera
dei sei giorni (cf. Gn 1), il peccato, con il disordine, ha introdotto la
bruttezza della morte e del male. «Felice colpa, che meritò di avere un così
grande Redentore!», canta la liturgia di Pasqua: la Grazia, che si riversa
sul mondo dal costato aperto di Cristo Salvatore, purifica e introduce in
tutt’altra bellezza il mondo salvato che attende gemendo l’ora della
trasformazione finale (Rm 8, 22).
III.1 La bellezza della creazione.
La Scrittura sottolinea il valore simbolico della
bellezza del mondo che ci circonda: «Davvero stolti per natura tutti gli
uomini che vivevano nell’ignoranza di Dio, e dai beni visibili non riconobbero
colui che è, non riconobbero l’artefice, pur considerandone le opere…Se…li hanno
presi per dèi, pensino quanto è superiore il loro Signore, perché li ha creati
lo stesso autore della bellezza» (Sap 13, 1.3). C’è, tuttavia, un
abisso tra la bellezza ineffabile di Dio e le sue vestigia nella creazione,
pertanto l’autore sacro non ritiene inutile precisare il quadro di tale
«dialettica ascendente»: «…dalla grandezza e bellezza delle creature
per analogia si conosce l’autore » (v. 5). Occorre, perciò, superare le
forme visibili delle cose della natura, per risalire fino al loro Autore
invisibile, il Tutt’Altro, che noi professiamo nel Credo: «Credo
in un solo Dio, Padre onnipotente, creatore del cielo e della terra».
A)
La meraviglia davanti alla bellezza della creazione. «La natura è
un tempio in cui dei pilastri vivi lasciano talvolta uscire confuse parole…»
Se i poeti sono, con Baudelaire[16],
particolarmente sensibili alle bellezze della creazione e al loro misterioso
linguaggio, è perché dalla contemplazione di un paesaggio al tramonto, delle
cime dei monti innevate sotto il cielo stellato, dei campi coperti di fiori
inondati di luce, del rigoglio delle piante e delle specie animali nasce una
varietà di sentimenti che ci invitano a «leggere dall’interno – intus-legere»,
per raggiungere dal visibile l’invisibile e dare risposta alle domande: chi è
questo artefice dall’immaginazione così potente all’origine di tanta bellezza e
grandezza, di una simile profusione di esseri nel cielo e sulla terra?
[17].
Nello stesso tempo la contemplazione delle bellezze
della creazione suscita la pace interiore e affina il senso dell’armonia e il
desiderio di una vita bella. Nell’uomo religioso, lo stupore e l’ammirazione si
trasformano in atteggiamenti interiori più spirituali: l’adorazione, la lode e
l’azione di grazie verso l’Autore di tali bellezze. Così il salmista: «Se
guardo il tuo cielo, opera delle tue dita, la luna e le stelle che tu hai
fissate, che cosa è l’uomo perché te ne ricordi e il figlio dell’uomo perché te
ne curi? Eppure l’hai fatto poco meno degli angeli, di gloria e di onore lo hai
coronato: gli hai dato potere sulle opere delle tue mani, tutto hai posto sotto
i suoi piedi… O Signore, nostro Dio, quanto è grande il tuo nome su tutta la
terra!» (Sal 8, 4-7.10). La tradizione francescana, con san
Bonaventura e Giovanni Scoto Eriugena[18],
riconosce una dimensione «sacramentale» alla creazione, che porta in se stessa
le tracce delle sue origini. Inoltre, la natura stessa è considerata come
un’allegoria, e ogni realtà creata simbolo del suo Creatore
B)
Dalla creazione alla ricreazione. Tra le creature ce n’è una che
presenta una certa somiglianza con Dio: l’uomo, creato «a sua immagine e
somiglianza». Con la sua anima spirituale, egli porta in sé un «germe
d’eternità irriducibile alla sola materia» (Gaudium et spes, 18). Ma
l’immagine è stata alterata dal primo peccato, veleno che indebolisce la volontà
nel suo orientamento verso il bene e, quindi, offusca l’intelligenza e vizia la
sensibilità. La bellezza dell’anima, assetata di verità e slancio verso il
beneamato, perde il suo splendore e diventa capace di operare il male, il
brutto: un bambino testimone di un’azione cattiva non dice spontaneamente: «Non
è bello»? Così la bruttezza – e dunque a fortiori il bene – appare
nel campo della morale e si riflette sull’uomo, suo soggetto. Con il peccato,
questi ha perso la sua bellezza e si vede nudo fino a provarne vergogna. La
venuta del Redentore lo riporta alla sua bellezza originaria, anzi lo riveste di
una bellezza nuova: la bellezza inimmaginabile della creatura elevata alla
filiazione divina, la trasfigurazione promessa dell’anima redenta ed innalzata
dalla grazia, lo splendore in tutte le fibre del suo corpo chiamato a
resuscitare.
Se Cristo, Nuovo Adamo, «svela pienamente l’uomo
all’uomo e gli fa nota la sua altissima vocazione» (Gaudium et spes,
22), lo sguardo cristiano sulla bellezza della creazione trova il suo compimento
nella sconvolgente notizia della ricreazione: il Cristo, rappresentazione
perfetta della gloria del Padre, comunica all’uomo la sua pienezza di grazia.
Egli lo rende «grazioso» vale a dire bello e gradito a Dio. L’Incarnazione è il
centro focale, la giusta prospettiva in cui la bellezza assume il suo
significato ultimo.:«”Immagine del Dio invisibile” (Col 1, 15), Cristo
Signore è l’uomo perfetto, che ha restituito ai figli di Adamo la somiglianza
con Dio, resa deforme già subito agli inizi a causa del peccato. Poiché in lui
la natura umana è stata assunta, senza per questo venire annientata, per ciò
stesso essa è stata anche in noi innalzata ad una dignità sublime. Con
l’incarnazione il Figlio di Dio si è unito in certo modo ad ogni uomo».
Torneremo ancora su questo argomento, la bellezza della santità che emana
dall’uomo conformato a Cristo, sotto il soffio dello Spirito Santo, è una delle
più belle testimonianze in grado di scuotere i più indifferenti e di far sentire
loro il passaggio di Dio nella vita degli uomini.
In un’azione di grazie continua, il cristiano loda
il Cristo che gli ha ridato vita e si lascia trasfigurare da questo dono
glorioso che gli viene fatto. I nostri occhi avidi di bellezza si lasciano
attrarre dal Nuovo Adamo, vera icona del Padre eterno, «irradiazione della
sua gloria e impronta della sua sostanza» (Eb 1, 3). Ai «puri di
cuore» ai quali è stato promesso che vedranno Dio faccia a faccia, Cristo
concede già di intravedere la luce della gloria nel cuore stesso della notte
della fede.
C)
La creazione, utilizzata o idolatrata. Sono, tuttavia, numerosi
gli uomini e le donne che vedono la natura e il cosmo solo nella loro
materialità visibile, universo muto che avrebbe il solo destino di obbedire alle
fredde e immutabili leggi fisiche, senza evocare nessun’altra bellezza, ancor
meno un Creatore. In una cultura in cui lo scientismo impone i limiti del suo
metodo di osservazione fino a farne il criterio esclusivo di conoscenza, il
cosmo viene ridotto ad essere soltanto un immenso serbatoio al quale l’uomo
attinge fino ad esaurirlo, in funzione dei suoi bisogni crescenti, smisurati.
Il Libro della Sapienza mette in guardia
contro tale miopia che San Paolo denuncia come un «peccato di orgoglio e di
presunzione» (Rm 1, 20-23). Del resto, la creazione non è muta: i
fenomeni naturali straordinari, talvolta tragici, registrati in questi ultimi
anni, e i disastri ecologici che si moltiplicano senza tregua, determinano una
nuova comprensione della natura, delle sue leggi, della sua armonia. Risulta
sempre più evidente, per molti dei nostri contemporanei, che la natura non può
né deve essere manipolata senza rispetto.
Non bisogna, però, fare della natura un assoluto,
addirittura un idolo, come avviene in alcuni gruppi neopagani: il suo valore non
può oltrepassare la dignità dell’uomo chiamato ad esserne il custode.
Proposte pastorali.
Una particolare attenzione alla natura aiuta a
scoprire in essa lo specchio della bellezza di Dio. Pertanto è urgente
promuovere una maggiore attenzione nei confronti della creazione e della sua
bellezza, sia nella formazione umana sia in quella cristiana, evitando di
ridurla a semplice ecologismo, addirittura ad una visione panteista. Alcuni
movimenti – scoutismo, Azione Cattolica Ragazzi (ACR) – si impegnano ad educare
all’osservazione della natura e a sensibilizzare alla sua protezione. Essi
aiutano i giovani a scoprire il progetto creatore di Dio, nel momento in cui
destano in loro i sentimenti legati alla meraviglia, all’adorazione e all’azione
di grazie. Bisognerà essere attenti a metter in luce la duplice dimensione
dell’ascolto
-
ascolto della creazione che narra la gloria di Dio,
-
e ascolto di Dio che ci parla attraverso la sua creazione e si rende
accessibile alla ragione, secondo l’insegnamento del Concilio Vaticano I (Dei
Filius, Ch. 2, can. 1).
La catechesi, nel suo sforzo di formazione dei
bambini e dei giovani, trae vantaggio a sviluppare una pedagogia
dell’osservazione delle bellezze naturali e degli atteggiamenti umani
fondamentali che vi si riferiscono: silenzio, ascolto, ammirazione,
interiorizzazione, pazienza nell’attesa, scoperta dell’armonia, rispetto
dell’equilibrio naturale, senso della gratuità, adorazione e contemplazione.
L’insegnamento di una autentica filosofia della
natura e di una bella teologia della Creazione meriterebbe un nuovo slancio in
una cultura in cui il dialogo tra scienza e fede è di particolare
importanza, in cui gli intellettuali hanno il dovere di possedere un minimo di
conoscenze epistemologiche e gli scienziati misconoscono troppo spesso l’immenso
profitto che si può trarre dalla sapienza cristiana[19].
I pregiudizi scientisti e il fideismo sono ancora troppo spesso presenti nella
mentalità comune, perciò è di fondamentale importanza suscitare a tutti i
livelli – negli Istituti scolastici cattolici, gli Istituti di formazione, le
Università, i Centri Culturali Cattolici, ecc. – occasioni di incontro e di
dialogo tra uomini di scienza e di fede. In questo quadro, il Giubileo degli
Scienziati, celebrato durante il Grande Giubileo del 2000, ha fatto sorgere
nuove iniziative culturali destinate a rinnovare il dialogo tra scienza e
fede
[20]. Tra queste, il progetto STOQ
(Science, Theology and Ontological Quest), promosso dal Pontificio
Consiglio della Cultura in collaborazione con diverse Università pontificie. Per
altro, ogni branca del sapere – filosofia, teologia, scienze umane e sociali,
psicologia – può contribuire allo svelamento della bellezza di Dio e della sua
creazione.
Le azioni in favore della difesa della natura,
dell’habitat naturale, organizzate da comunità cristiane o da famiglie religiose
che si ispirano all’esempio di San Francesco che «contemplava il Bellissimo
nelle cose belle»
[21], hanno una certa eco e
contribuiscono allo sviluppo di una visione meno «idolatrica» della natura. La
Lettera pastorale dei Vescovi Australiani del Queensland dal titolo
suggestivo: Let the Many Coastlands Be Glad! A Pastoral Letter on the Great
Barrier Reef, ne è un esempio. È importante moltiplicare le iniziative per
trasmettere, nella cultura contemporanea, il senso del valore autentico della
natura, della sua bellezza e della sua potenza simbolica e della sua capacità di
far scoprire l’opera creatrice di Dio.
III.2 La bellezza delle arti.
Se la natura e il cosmo sono espressione della
bellezza del Creatore e introducono alla soglia di un silenzio tutto
contemplativo, la creazione artistica possiede la capacità di evocare
l’indicibile del mistero di Dio. L’opera d’arte non è «la bellezza», ma ne è
l’espressione e, se obbedisce a dei canoni per natura fluttuanti: ogni arte è
legata ad una cultura, essa possiede un carattere intrinseco di universalità. La
bellezza artistica suscita emozione interiore, provoca nel silenzio il rapimento
e conduce all’«uscita da sé», all’estasi.
Per il credente, la bellezza trascende l’estetica e
il bello trova il suo archetipo in Dio. La contemplazione di Cristo nel suo
mistero d’Incarnazione e Redenzione è la fonte viva alla quale l’artista
cristiano attinge la propria ispirazione per esprimere il mistero di Dio e il
mistero dell’uomo salvato in Gesù Cristo. Ogni opera d’arte cristiana ha un
senso: essa è, per natura, un «simbolo», una realtà che rimanda al di là di se
stessa, che aiuta ad avanzare sulla via che rivela il senso, l’origine e la meta
del nostro cammino terreno. La sua bellezza è caratterizzata dalla sua capacità
di provocare il passaggio dal «per sé» al «più grande di sé». Tale
passaggio si realizza in Gesù Cristo, che è «la via, la verità e la vita»
(Gv 14, 6), la «Verità tutta intera» (Gv 16, 13).
A)
La bellezza suscitata dalla fede. Le opere d’arte di ispirazione
cristiana, che costituiscono una parte incomparabile del patrimonio artistico e
culturale dell’umanità, sono oggetto di una vera infatuazione da parte di folle
di turisti, credenti o non credenti, agnostici o indifferenti al fatto
religioso. Tale fenomeno è in continuo aumento e raggiunge tutte le categorie
della popolazione, senza distinzione di cultura e di religione. La cultura, nel
senso di «patrimonio spirituale», si è fortemente «democratizzata»: grazie agli
sviluppi straordinari della tecnologia, le opere d’arte si sono avvicinate al
«popolo». Ormai, un minuscolo apparecchio elettronico può contenere tutta
l’opera di Mozart o Bach, come pure sono alla portata di tutti decine di
migliaia di miniature della Biblioteca Vaticana messe su un disco video
digitale.
Il volto di Cristo, nella sua singolare bellezza, le
scene del Vangelo e i grandi avvenimenti profetici dell’Antico Testamento, il
Golgota, la Vergine col Bambino e la Vergine Addolorata hanno rappresentato nel
corso dei secoli una sorgente feconda di ispirazione per gli artisti cristiani.
In una straordinaria ricchezza immaginativa, questi si sforzano, attraverso una
ricerca continua e continuamente rinnovata, di rappresentare la bellezza di Dio
rivelata nel Cristo e di renderla più vicina, quasi tangibile e visibile. In
qualche modo, l’artista prolunga la Rivelazione operando con le forme, le
immagini, i colori o le sonorità. Mostrando quanto è bello Dio, dice quanto egli
lo è per l’uomo, come suo proprio bene e verità ultima della sua esistenza. La
bellezza cristiana è portatrice di una verità più grande del cuore dell’uomo,
verità che supera il linguaggio umano e indica il suo Bene, l’unico essenziale.
I Cardinali di Santa Romana Chiesa non hanno forse
percepito tutta la terribile bellezza del Giudizio Universale di Michelangelo,
nella Cappella Sistina, nell’atto di eleggere il nuovo Romano Pontefice? Le
cattedrali e le chiese d’Oriente e d’Occidente non toccano forse l’apice dello
splendore quando una liturgia rifulgente di bellezza vi è celebrata da tutto un
popolo ivi radunato? E le abbazie e i monasteri non diventano delle oasi di pace
quando vi risuonano le melodie immutabili che, nel corso dei secoli, svolgono la
loro funzione di lode, di supplica e di azione di grazie? Tanti uomini e donne,
di tutte le epoche e di tutte le culture, hanno provato una profonda emozione
fino ad aprire il loro cuore a Dio, contemplando il volto di Cristo in Croce,
come a suo tempo Francesco d’Assisi, ascoltando una Passione o un Te Deum
oppure inginocchiandosi davanti ad una pala d’altare d’oro o ad una icona
bizantina.
Il Papa Giovanni Paolo II, nella sua Lettera agli
artisti, ha chiamato ad una nuova epifania della bellezza e ad un
nuovo dialogo fede e cultura tra la Chiesa e l’arte, sottolineando il
bisogno reciproco dell’una e dell’altra e la fecondità della loro alleanza
millenaria dalla quale scaturisce quella «creazione nella bellezza» di
cui Platone già parlava nel Simposio
[22].
Se l’ambiente culturale condiziona fortemente
l’artista, allora sorge la domanda: come essere custodi della bellezza,
secondo l’auspicio di von Balthasar, in questa cultura artistica contemporanea
in cui la seduzione erotica onnipresente ipertrofizza gli istinti, inquina
l’immaginario e inibisce le facoltà spirituali? In fondo, salvare la bellezza
non è salvare l’uomo? Non è, questo, il ruolo della Chiesa, «esperta in
umanità» ?
B) Imparare ad accogliere questa bellezza. Le
opere d’arte ispirate dalla fede cristiana – pitture e mosaici, sculture e
architetture, avori e argenti, opere di poesia e prosa, opere musicali e
teatrali, cinematografiche e coreografiche e tante altre ancora – hanno un
potenziale enorme, sempre attuale, che non si lascia alterare dal tempo che
passa: esso consente di comunicare in maniera intuitiva e piacevole la grande
esperienza della fede, dell’incontro con Dio in Cristo, nel quale si svela il
mistero dell’amore di Dio e l’identità profonda dell’uomo.
Rivolgendosi agli artisti nella Cappella Sistina, il
7 maggio 1964, il Papa Paolo VI denunciava il «divorzio» tra l’arte e il sacro,
caratteristico del XX secolo, e osservava che oggi numerosi artisti incontrano
grandissime difficoltà a trattare i temi cristiani per mancanza di formazione e
di esperienza riguardo alla fede cristiana
[23].
La bruttezza di certe chiese e delle loro decorazioni, la loro inadattabilità
alla celebrazione liturgica, sono le conseguenze di tale divorzio, di una
lacerazione che richiede una cura perché venga sanata. Perciò, è importante
rimediare all’ignoranza crescente nel campo della cultura religiosa, per
consentire all’arte cristiana del passato e del presente di aprire a tutti la
via pulchritudinis[24].
Per essere pienamente «recepita» e capita, l’opera d’arte cristiana ha bisogno
di essere letta alla luce della Bibbia e dei testi fondamentali della Tradizione
ai quali si riferisce l’esperienza di fede. Se la bellezza va espressa, ne
dobbiamo ancora imparare il particolare linguaggio, che suscita ammirazione,
emozione e conversione. Se esiste un linguaggio della bellezza, quello
dell’opera d’arte cristiana non trasmette soltanto il messaggio dell’artista, ma
la verità del mistero di Dio meditato da una persona che di esso ci dà la sua
propria lettura, non già per glorificarsi, bensì per glorificarne la Sorgente.
L’analfabetismo biblico sterilizza la capacità di comprensione dell’arte
cristiana.
Del resto, uno sforzo congiunto dev’essere fatto per
superare difficoltà dovute ad un certo clima culturale creato da una critica
d’arte ampiamente influenzata da ideologie materialistiche: mettere in evidenza
soltanto l’aspetto estetico-formale delle opere, senza interesse per il loro
contenuto che ha ispirato tanta bellezza, rende sterile l’arte, inaridisce il
flusso vivificante della vita spirituale per rinchiuderla nella sola emozione
sensibile.
C) L’arte sacra, strumento di evangelizzazione e
di catechesi. Il Servo di Dio Giovanni Paolo II definiva il patrimonio
artistico ispirato dalla fede cristiana «un formidabile strumento di
catechesi», fondamentale per «rilanciare il messaggio universale della
bellezza e della bontà» (Ai Vescovi di Toscana, 11 marzo 1991). In
sintonia con lui, il Cardinale Ratzinger, nella sua veste di Presidente della
Commissione speciale preparatoria del Compendio del Catechismo della
Chiesa cattolica, motivava così l’introduzione caratteristica delle immagini in
questa opera: «… anche l’immagine è predicazione evangelica. Gli artisti di
ogni tempo hanno offerto alla contemplazione e allo stupore dei fedeli i fatti
salienti del mistero della salvezza, presentandoli nello splendore del colore e
nella perfezione della bellezza. E’ un indizio questo, di come oggi più che mai,
nella civiltà dell’immagine, l’immagine sacra possa esprimere molto di più
della stessa parola, dal momento che è oltremodo efficace il suo dinamismo di
comunicazione e di trasmissione del messaggio evangelico»
[25].
Il documento del Pontificio Consiglio della Cultura,
Per una pastorale della cultura, auspica «Nella nostra cultura,
contraddistinta da un diluvio di immagini spesso banali e brutali,
quotidianamente riversate dalle televisioni, dai film e dalle videocassette,
un’alleanza feconda tra il Vangelo e l’arte» per «nuove epifanie
di bellezza, nate dalla contemplazione del Cristo, Dio fatto uomo, dalla
meditazione dei suoi misteri, dal loro irraggiamento nella vita della Vergine
Maria e dei santi»(n. 36).
Il forte potere di comunicare, dell’arte sacra,
rende quest’ultima capace di oltrepassare le barriere e i filtri dei pregiudizi
per raggiungere il cuore degli uomini e delle donne di altre culture e
religioni, e dar loro modo di cogliere l’universalità del messaggio di Cristo e
del suo Vangelo. Perciò, quando un’opera d’arte ispirata dalla fede viene
offerta al pubblico nel quadro della sua funzione religiosa, essa si rivela come
una «via», un «cammino di evangelizzazione e di dialogo» che dà la
possibilità di godere del patrimonio vivo del cristianesimo e, nel contempo,
della fede cristiana stessa.
Rileggere le opere d’arte cristiane, grandi o
piccole, artistiche o musicali, e ricollocarle nel loro contesto, approfondendo
i loro vincoli vitali con la vita della Chiesa, in particolare con la liturgia,
vuol dire far «parlare» di nuovo tali opere, consentendo ad esse di trasmettere
il messaggio che ne ha ispirato la creazione. La via pulchritudinis,
prendendo la via delle arti, conduce alla veritas della fede, a Cristo
stesso, divenuto «con l’Incarnazione, icona del Dio invisibile». Giovanni
Paolo II non ha esitato a manifestare la sua «convinzione che, in un certo
senso, l’icona è un sacramento: analogamente, infatti, a quanto avviene
nei Sacramenti, essa rende presente il mistero dell’Incarnazione nell’uno o
nell’altro suo aspetto»
[26].
Le opere d’arte cristiane offrono al credente un
tema di riflessione e un aiuto per entrare in contemplazione in una preghiera
intensa, attraverso un momento di catechesi, come anche di confronto con la
Storia Sacra. I capolavori ispirati dalla fede sono vere “Bibbie dei poveri”,
“scale di Giacobbe” che elevano l’anima fino all’Artefice di ogni bellezza e,
con Lui, al mistero di Dio e di coloro che vivono nella sua visione beatifica: «Visio
Dei vita hominis» - «vita dell'uomo é la visione di Dio», professa Sant’Ireneo[27].
Sono le vie privilegiate di una autentica esperienza di fede.
Proposte pastorali.
La Lettera agli artisti di Papa Giovanni
Paolo II, che costituisce un riferimento fondamentale a tale riguardo, trova
larga eco nel documento del Pontificio Consiglio della Cultura, Per una
pastorale della cultura
[28]. Le conferenze episcopali
possono prendere questi due testi come base di partenza per iniziative concrete
[29].
Mediante un’educazione appropriata, bisogna iniziare
al linguaggio della bellezza e sviluppare la capacità di cogliere il messaggio
dell’arte cristiana: ciò che fa belle le opere e, soprattutto, ciò che in esse
favorisce un incontro col mistero di Cristo. In questo campo, si manifesta una
presa di coscienza e si assiste ad una significativa ripresa degli studi
sull’arte sacra cristiana, ormai meglio conosciuta da coloro che hanno il
compito di dare una formazione cristiana[30].
Un importante lavoro di riformulazione teorica dell’insegnamento dell’arte sacra
a partire da un’autentica visione cristiana sembrerebbe particolarmente
necessaria di fronte alle interpretazioni ideologiche e atee largamente diffuse.
Si tratta, inoltre, di creare le condizioni per il
rinnovamento della creazione artistica nella comunità cristiana, e quindi
allacciare legami personali con gli artisti e aiutarli a cogliere ciò che
permette a un’opera d’arte di essere veramente religiosa e degna dell’«arte
sacra». Se molto è stato fatto in questi ultimi decenni in numerose diocesi,
molto resta ancora da fare per valorizzare il ricchissimo patrimonio culturale e
artistico della Chiesa nato dalla fede cristiana, e utilizzarlo come strumento
di evangelizzazione, di catechesi e di dialogo. Non basta costruire dei musei:
bisogna consentire a questo patrimonio di poter esprimere il contenuto del suo
messaggio. Una liturgia veramente bella aiuta a entrare in questo particolare
linguaggio della fede, fatto di simboli e di evocazioni del mistero celebrato.
Alcune iniziative già collaudate e, quindi,
meritevoli di particolare attenzione:
–
Dialogo con gli artisti, pittori, scultori, architetti di chiese da
costruire, restauratori, musicisti, poeti, drammaturghi, ecc., per alimentare il
loro immaginario alle fonti della fede e, nello stesso tempo, rimanere
profondamente radicati nelle diverse culture, per permettere nuove relazioni tra
ciò che la Chiesa commissiona e la produzione degli artisti. L’analfabetismo
liturgico di alcuni artisti scelti per la costruzione di chiese è un vero dramma
largamente diffuso.
–
Formazione alla bellezza del mistero cristiano espresso nell’arte sacra,
in occasione dell’inaugurazione di una nuova chiesa, di un’opera d’arte, di un
concerto, di una liturgia particolare
–
Organizzazione di eventi culturali ed artistici - mostre, concorsi a
premi, concerti, conferenze, festival, ecc. - , per valorizzare l’immenso
patrimonio della Chiesa e il suo messaggio, nonché per favorire una nuova
creatività, in particolare nel campo dell’arte e del canto liturgico.
–
Pubblicazioni locali sotto forma di dépliant turistici, di pagine web o
di riviste più specializzate sul patrimonio, con l’intento pedagogico di mettere
in evidenza l’anima, l’ispirazione e il messaggio delle opere, e con un’analisi
scientifica volta alla comprensione profonda dell’opera.
–
Sensibilizzazione degli operatori pastorali, dei catechisti e degli
insegnanti di religione, ma anche dei seminaristi e del clero, attraverso corsi
di formazione, seminari, incontri a tema, visite guidate. I Musei diocesani e i
Centri culturali cattolici possono svolgere un ruolo importante, specialmente
proponendo lo studio delle opere d’arte locali o regionali, e favorirne
l’impiego nella catechesi.
–
Formazione di guide informate sulla specificità dell’arte di ispirazione
cristiana, creazione di gruppi specializzati per la valorizzazione delle opere e
di Centri culturali che condividono queste stesse finalità.
–
Studio e approfondimento della problematica a livello scolastico e
universitario, con dei master, seminari, laboratori, ecc. Proposta di
borse di studio o sussidi atti a sensibilizzare le istanze educative. Sviluppo a
livello regionale e nazionale di Istituti di Musica sacra, di Liturgia, di
Archeologia, ecc. e creazione di biblioteche specializzate in questo campo.
III. 3. La bellezza di Cristo, modello e
prototipo della santità cristiana.
Se la bellezza della creazione è, secondo Sant’Agostino,
una «confessio» e invita a contemplare la bellezza alla sua fonte,
il «Creatore del cielo e della terra, dell’universo visibile e invisibile»,
e se la bellezza delle opere d’arte ci svela qualcosa della bellezza nella
sua figura, il Figlio che si è fatto carne, «il più bello dei figli
dell’uomo», c’è una terza via fondamentale – la prima per importanza – che
conduce alla scoperta della bellezza nell’icona della santità, opera
dello Spirito che plasma la Chiesa ad immagine di Cristo, modello di perfezione:
è, per il battezzato, la bellezza della testimonianza data mediante una vita
trasformata nella grazia e, per la Chiesa, la bellezza della liturgia che dà
modo di sperimentare Dio, vivo in mezzo al suo popolo, e che attira a Lui chi si
lascia prendere nel suo abbraccio tutto di gioia e d’amore.
L’Ecclesia de caritate testimonia la bellezza
di Cristo. Essa si manifesta come sua Sposa, abbellita dal suo Signore, mentre
compie i suoi atti di carità e le sue scelte preferenziali, si impegna per la
giustizia e l’edificazione della grande casa comune in cui ogni creatura è
chiamata a porre la propria dimora, soprattutto i poveri: pure loro hanno
diritto alla bellezza. Nello stesso tempo, questa testimonianza della bellezza
attraverso la carità e l’impegno al servizio della giustizia e della pace,
annuncia la speranza che non delude. Proporre agli uomini e alle donne di oggi
la vera bellezza, rendere la Chiesa attenta ad annunciare sempre, opportunamente
e inopportunamente, la bellezza che salva, che si sperimenta laddove l’eternità
ha posto la sua tenda nel tempo, significa offrire ragioni di vita e di speranza
a quelle e a quelli che ne sono privi o che rischiano di perderle. Una Chiesa
testimone del senso ultimo della vita, fermento di fiducia nel cuore della
storia umana, appare quindi come il popolo della bellezza che salva, perché essa
anticipa nel tempo penultimo qualcosa della promessa bellezza di Dio tutto in
tutti nell’ultimo tempo. La speranza, anticipazione militante dell’avvenire del
mondo redento, promesso nel Figlio crocifisso e risorto, è annuncio della
bellezza. Il mondo ne ha particolarmente bisogno.
A)
In cammino verso la bellezza di Cristo. La singolare bellezza di
Cristo, come modello di «vita veramente bella», si riflette nella santità
di una vita trasformata dalla grazia. Molti, purtroppo, sentono il cristianesimo
come sottomissione a dei comandamenti fatti di divieti e di limiti alla libertà
personale. Il Papa Benedetto XVI lo ricordava durante un’intervista alla Radio
Vaticana, il 14 agosto 2005, prima di partire per Colonia, per incontrare
giovani provenienti da tutto il mondo riuniti per le Giornate Mondiali della
Gioventù. E diceva tra l’altro: «Io, invece, vorrei far loro capire che
essere sostenuti da un grande Amore e da una rivelazione non è un fardello: ciò
dà delle ali ed è bello essere cristiani. Questa esperienza dà ampiezza… La
gioia di essere cristiani: è bello ed è anche giusto credere»[31].
Dalla bellezza interiore e dalla profonda emozione provocata dall’incontro con
la Bellezza in persona – pensiamo all’esperienza di Sant’Agostino – nasce la
capacità di proporre eventi di bellezza in tutte le dimensioni dell’esistenza e
dell’esperienza di fede.
La pastorale della Chiesa, per portare all’incontro
col Cristo, trova nella presentazione della sua bellezza il mezzo per destare i
cuori a tale scoperta. Nella sua Lettera agli artisti, il Papa Giovanni
Paolo II metteva in rilievo la fecondità della novità dell’Incarnazione: «Facendosi
uomo, infatti, il Figlio di Dio ha introdotto nella storia dell’umanità tutta la
ricchezza evangelica della verità e del bene, e con essa ha svelato anche una
nuova dimensione della bellezza: il messaggio evangelico ne è colmo fino
all’orlo» (n. 5). Questa bellezza, così particolare e unica, del «figlio
dell’uomo» si rivela sia sul volto del «Bel Pastore» che su quello
del Cristo trasfigurato sul Tabor e, nello stesso tempo, su Colui che ha
perduto, sospeso alla Croce, ogni bellezza corporale: L’Uomo dei dolori.
In particolare, il cristiano vede nella deformità del Servo sofferente,
spogliato di ogni bellezza esteriore, la manifestazione dell’amore infinito di
Dio che giunge sino a rivestirsi della bruttura del peccato per elevarci, al di
là dei sensi, alla bellezza divina che supera ogni altra bellezza e mai si
corrompe. L’icona del Crocifisso, dal volto sfigurato, racchiude in sé, per chi
vuole contemplarlo, la misteriosa bellezza di Dio. È la Bellezza che si compie
nel dolore, nel dono di sé senza alcun ritorno per sé. La Bellezza dell’amore,
che è più forte del male e della morte
B) La bellezza luminosa di Cristo e il suo
riflesso nella santità cristiana. Cristo Gesù è la perfetta rappresentazione
della Gloria del Padre. Egli è «Il più bello dei figli dell’uomo», perché
possiede la pienezza della Grazia mediante la quale Dio libera l’uomo dal
peccato, lo strappa alle tenebre del male e lo restituisce alla sua innocenza
originaria. In ogni luogo e in ogni epoca, una moltitudine di uomini e di donne
si è lasciata afferrare da questa bellezza per dedicarsi ad essa. Papa Benedetto
XVI si esprimeva così durante la prima canonizzazione del suo pontificato e la
messa di chiusura della XI Assemblea ordinaria del Sinodo dei Vescovi
sull’Eucaristia: «Il santo è colui che è talmente affascinato dalla bellezza
di Dio e dalla sua perfetta verità da esserne progressivamente trasformato. Per
questa bellezza e verità è pronto a rinunciare a tutto, anche a se stesso»
(23 ottobre 2005).
Se la santità cristiana si configura alla bellezza
del Figlio, l’Immacolata Concezione è la più perfetta illustrazione di questa
«opera di bellezza». La Vergine Maria e i santi sono i riflessi luminosi e i
testimoni attraenti della bellezza singolare di Cristo, bellezza dell’amore
infinito di Dio che si dà e si comunica agli uomini. Essi riflettono, ciascuno a
suo modo, come i prismi del cristallo, le sfaccettature del diamante, i contorni
dell’arcobaleno, la luce e la bellezza originaria del Dio d’amore. La santità
degli uomini è partecipazione alla santità di Dio e, quindi, alla sua bellezza;
questa, accolta pienamente nel cuore e nella mente, illumina e guida la vita
degli uomini e le loro azioni quotidiane.
La bellezza della testimonianza cristiana esprime la
bellezza del cristianesimo e, per di più, la rende visibile. «Come possiamo
essere credibili nel nostro annuncio di una “buona notizia”, se la nostra vita
non riesce a manifestare anche la “bellezza”del vivere?». Dall’incontro di
fede con Cristo nascono così, in un dinamismo interiore sostenuto dalla Grazia,
la santità dei discepoli e la loro capacità di rendere «bella e buona» la loro
vita e quella del loro prossimo. Non è una bellezza esteriore e
superficiale, tutta di facciata, ma una bellezza interiore che si delinea sotto
l’azione dello Spirito Santo. Essa risplende davanti agli uomini: nessuno può
nascondere ciò che è parte essenziale del proprio essere.
Era, questo, l’appello di Giovanni Paolo II ai
consacrati, nell’Esortazione apostolica post-sinodale Vita consecrata: «Ma
è soprattutto a voi, donne e uomini consacrati, che al termine di questa
Esortazione rivolgo il mio appello fiducioso: vivete pienamente la vostra
dedizione a Dio, per non lasciar mancare a questo mondo un raggio della divina
bellezza che illumini il cammino dell’esistenza umana. I cristiani, immersi
nelle occupazioni e nelle preoccupazioni di questo mondo, ma chiamati anch’essi
alla santità, hanno bisogno di trovare in voi cuori purificati che nella fede
“vedono” Dio, persone docili all’azione dello Spirito Santo che camminano
spedite nella fedeltà al carisma della chiamata e della missione» (n. 109).
Dove risplende la carità, lì si manifesta la bellezza che salva, lì è resa
gloria al Padre, lì cresce l’unità dei discepoli di Nostro Signore beneamato.
Pavel Florenskij, cantore russo della bellezza,
martire del XX secolo, così commenta un passo del Vangelo di San Matteo (5, 16):
«I vostri “atti buoni” non vuole affatto dire “atti buoni” in senso
filantropico e moralistico: tà kalà erga vuol dire “atti belli”, rivelazioni
luminose e armoniose della personalità spirituale – soprattutto, un volto
luminoso, bello, di una bellezza per cui si espande all’esterno “l’interna luce”
dell’uomo, e allora vinti dall’irresistibilità di questa luce, gli uomini lodano
il Padre celeste, la cui immagine sulla terra così sfolgora»[32].
Pertanto, la vita cristiana è chiamata a diventare, con la forza della Grazia
donata dal Cristo risorto, un evento di bellezza capace di suscitare
ammirazione, dare origine alla riflessione e incitare alla conversione.
L’incontro con Cristo e con i suoi discepoli, in particolare con Maria sua madre
e con i santi, suoi testimoni, deve poter sempre diventare, in tutte le
circostanze, un evento di bellezza, un momento di gioia, scoperta di una nuova
dimensione dell’esistenza, una esortazione a rimettersi in cammino verso la
Patria Celeste e di godere della visione della «Verità tutta intera»,
della bellezza dell’Amore di Dio: la bellezza è splendore della Verità e
fioritura dell’Amore.
C) La bellezza della liturgia. La bellezza
dell’amore di Cristo viene ogni giorno incontro a noi, non soltanto attraverso
l’esempio dei santi, ma anche nella sacra liturgia, soprattutto nella
celebrazione dell’Eucaristia in cui il Mistero si fa presente e illumina di
senso e di bellezza tutta la nostra esistenza. E’ lo straordinario mezzo col
quale Nostro Signore, morto e risorto, ci trasmette la sua vita, ci unisce al
suo Corpo come sue membra vive e, in tal modo, ci rende partecipi della sua
bellezza.
Florenskij descrive la bellezza della liturgia,
simbolo dei simboli del mondo, come ciò che permette la trasformazione del tempo
e dello spazio «nel tempio santo, misterioso, che brilla di una bellezza
celeste».
In una conferenza al XXIII Congresso eucaristico
nazionale italiano, il Cardinale Ratzinger riprendeva, come introduzione, la
vecchia leggenda relativa alle origini del cristianesimo in Russia: il Principe
Vladimiro di Kiev si sarebbe deciso ad aderire alla Chiesa Ortodossa di
Costantinopoli dopo aver sentito gli emissari che aveva mandato a
Costantinopoli, dove avevano assistito ad una solenne liturgia nella basilica di
Santa Sofia. Essi dissero al Principe: «Non sappiamo se siamo stati in cielo
o sulla terra… abbiamo sperimentato che là Dio abita fra gli uomini». E il
Cardinale teologo traeva da questo racconto il suo fondo di verità: «Infatti
la forza interiore della liturgia ha avuto senza dubbio un ruolo essenziale
nella diffusione del cristianesimo… Ciò che convinse gli inviati del principe
russo della verità della fede celebrata nella liturgia ortodossa non fu una
specie di argomentazione missionaria, le cui motivazioni sarebbero apparse loro
più illuminanti di quelle delle altre religioni. Ciò che li colpì fu invece il
mistero come tale, che proprio andando al di là della discussione fece brillare
alla ragione la potenza della verità»[33].
Come non sottolineare l’importanza dell’arte dell’icona, meravigliosa eredità
dell’Oriente cristiano, che consente di sperimentare ancora oggi qualche cosa
della liturgia della Chiesa indivisa: il suo linguaggio di una grande ricchezza
e così profondo affonda le sue radici nell’esperienza della Chiesa indivisa,
dalle catacombe romane ai mosaici di Roma e di Ravenna come di Bisanzio.
Per il credente, la bellezza trascende l’estetica.
Essa consente il passaggio dal «per sé» al «maggiore di sé». La
liturgia non è bella, e dunque vera, se non disinteressata, priva di ogni altro
motivo che non sia quello della celebrazione di Dio, per Lui, per mezzo di Lui,
con Lui e in Lui. Essa è appunto «disinteressata»: si tratta «di stare
davanti a Dio e di dirigere il proprio sguardo su di lui, che illumina di luce
divina ciò che avviene». È in questa austera semplicità che essa diventa
missionaria, vale a dire capace di testimoniare, agli osservatori che si
lasciano catturare nella sua dinamica, la realtà invisibile che essa dà la
possibilità di assaporare.
Il poeta e drammaturgo francese Paul Claudel
testimonia l’intima forza della liturgia quando narra della sua conversione,
durante il canto dei Vespri, il Magnificat di Natale a Notre-Dame di Parigi: «Ed
è allora che si verificò l’evento che domina tutta la mia vita. In un istante il
mio cuore fu toccato ed io credetti. Io credetti, con una tale forza di
adesione, con una tale elevazione di tutto il mio essere, con una convinzione
così potente, con una certezza che non lasciava posto a nessuna specie di
dubbio, che, in seguito, né i libri, né i ragionamenti, né le circostanze di una
vita agitata, hanno potuto scuotere la mia fede, né, a dire il vero, intaccarla»
[34].
La bellezza della liturgia, momento essenziale
dell’esperienza di fede e del cammino verso una fede adulta, non può ridursi
alla sola bellezza formale. Essa è, anzitutto, la bellezza profonda
dell’incontro col mistero di Dio, presente in mezzo agli uomini tramite suo
Figlio, «Il più bello tra i figli dell’uomo (Ps. 45, 2)», che rinnova
continuamente per noi il suo sacrificio d’amore. Essa esprime la bellezza della
comunione con Lui e con i nostri fratelli, la bellezza di un’armonia che si
traduce in gesti, simboli, parole, immagini e melodie che toccano il cuore e lo
spirito e suscitano l’incanto e il desiderio di incontrare il Signore risorto,
Lui che è la «Porta della Bellezza».
La superficialità, e talvolta perfino la banalità,
addirittura la negligenza di alcune celebrazioni liturgiche non solo non aiutano
il credente a progredire nel suo cammino di fede, ma soprattutto offendono
coloro che ritornano alle celebrazioni cristiane e, in particolare,
all’Eucaristia domenicale. In questi ultimi decenni, alcuni sono arrivati a dare
eccessiva importanza alla dimensione pedagogica e alla volontà di rendere la
liturgia comprensibile perfino agli osservatori esterni, e hanno minimizzato la
sua funzione principale: introdurci con tutto il nostro essere in un mistero che
ci supera totalmente. Celebrazione della fede nell’azione salvifica di Dio nel
Suo Figlio Gesù, e in questo è missionaria. Essenzialmente rivolta verso Dio,
essa è bella quando consente a tutta la bellezza del mistero d’amore e di
comunione di manifestarsi
[35]. La liturgia è bella quando è
«gradita a Dio» e ci introduce nella gioia divina
[36].
Proposte pastorali.
È necessario proporre il messaggio di Cristo in
tutta la sua bellezza, in grado di attirare le menti e i cuori attraverso legami
di amore, nel contempo, bisogna vivere e testimoniare la bellezza della
comunione in un mondo spesso segnato dalla disarmonia e dalla divisione. Si
tratta di trasformare in «avvenimenti di bellezza» tutti i gesti di carità
quotidiana e l’insieme delle attività pastorali ordinarie delle chiese locali.
La bellezza salvatrice di Cristo chiede di essere presentata in modo nuovo per
essere accolta e contemplata non solamente da ogni credente, ma anche da coloro
che si dichiarano poco coinvolti, e addirittura indifferenti. Si tratta
soprattutto di sensibilizzare i pastori e i catecheti affinché le loro
predicazioni e i loro insegnamenti conducano alla bellezza di Cristo. I
cristiani sono chiamati a testimoniare la gioia di sapersi amati da Dio e la
bellezza di una vita trasformata da questo amore che viene dall’Alto.
Per la chiusura del grande Giubileo dell’anno 2000,
Giovanni Paolo II ha indirizzato a tutta la Chiesa la sua Lettera apostolica
Novo millennio ineunte, nella quale invita espressamente a ripartire da
Cristo e ad imparare a contemplare il suo volto. Da questa contemplazione nasce
il desiderio, la necessità e l’urgenza di riscoprire il senso autentico del
mistero e della liturgia cristiana, nella quale si vive concretamente l’incontro
con il Signore morto e risorto
[37].
Per rispondere a questo invito, numerosi vescovi
hanno indirizzato ai loro fedeli delle Lettere pastorali sulla bellezza
della salvezza e sul senso della celebrazione liturgica, sottolineando nel
contempo la bellezza dell’incontro con Cristo, la domenica, giorno a Lui
consacrato e che permette di fare una pausa nei ritmi frenetici delle nostre
società[38].
D’altronde, nel corso degli ultimi decenni, e soprattutto a partire dal discorso
di Paolo VI al VII Congresso Internazionale di Mariologia del 16 maggio 1975, la
Via pulchritudinis è stata ampiamente percorsa in mariologia, con
risultati positivi e promettenti
[39].
E’ importante presentare in un linguaggio che parli
e piaccia ai nostri contemporanei, utilizzando i mezzi più adatti, le preziose
testimonianze date dalla Madre di Dio, dai martiri e dai santi, da tutti coloro
che, in maniera particolarmente «attraente», originale e inventiva, hanno
seguito il Cristo. Si fa molto, nel campo della catechesi, con fumetti, teatro,
pubblicazioni, film, concerti e musicals per far scoprire figure straordinarie
di santi come Francesco d’Assisi e José di Anchieta, Juan Diego e Teresa di
Lisieux, Rosa da Lima e Bakhita, Kisito e Maria Goretti, Padre Kolbe e Madre
Teresa, ecc., che, come constatiamo ancora oggi, esercitano un autentico fascino
sui giovani. I loro esempi lo rammentano: ogni cristiano è un vero pellegrino
sulla via della bellezza, della verità, della bontà, in cammino verso la
Gerusalemme Celeste dove contempleremo la bellezza di Dio, in un’intensa
relazione d’amore, nel «faccia a faccia». «Lì noi ci riposeremo e
vedremo; vedremo e ameremo; ameremo e loderemo. Ecco ciò che sarà alla fine,
senza fine»[40].
Una formazione appropriata aiuterà i fedeli a
progredire verso la preghiera di adorazione e di lode per partecipare in verità
ad una liturgia vissuta nella sua pienezza di bellezza che introduce al mistero
di fede. Pertanto, è necessario ridare alla liturgia il suo vero «splendore»
mediante la riscoperta del senso vero del mistero cristiano. È altresì
necessario, allo stesso tempo, insegnare nuovamente ai fedeli a meravigliarsi
di fronte all’opera che Dio compie nelle nostre vite, restituire alla liturgia
il suo vero «splendore», tutta la sua dignità e la sua incontaminata bellezza,
attraverso la riscoperta del significato autentico del mistero cristiano, e
formare i fedeli al fine di renderli capaci di entrare nel significato e nella
bellezza del mistero celebrato, e a viverlo in modo credibile.
La liturgia non è un facere dell’uomo, ma
un’opera divina. È importante aiutare i fedeli a percepire che l’atto di culto
non è il frutto di una «attività» - un «prodotto», un «merito», un «guadagno» -,
ma l’espressione di un mistero, di qualcosa che non può essere interamente
compreso ma chiede di essere accolto più che razionalizzato. Si tratta di un
atto puramente libero da qualsiasi aspetto di efficienza. L’atteggiamento del
credente nella liturgia è caratterizzato dalla sua capacità di ricevere,
condizione del progresso nella vita spirituale. Un tale modo di porsi non è più
spontaneo in una cultura in cui il razionalismo pretende di dirigere tutto, fino
ai sentimenti più intimi.
Non è meno urgente
favorire la creazione artistica per un’arte sacra idonea ad accompagnare e a
sostenere la celebrazione dei misteri della fede, a ridare la loro bellezza agli
edifici di culto e all’arredo liturgico. Così, le liturgie saranno, sicuramente,
accoglienti, ma soprattutto in grado di comunicare il significato autentico
della liturgia cristiana favorendo la piena partecipazione dei fedeli ai
misteri, secondo l’auspicio espresso a più riprese dai Padri del Sinodo dei
Vescovi sull’Eucaristia.
Certamente, le
chiese devono essere esteticamente belle, ben decorate, le liturgie accompagnate
da bei canti e da pezzi musicali di valore, le celebrazioni degne e le
predicazioni curate, ma non è questo, in definitiva, che rappresenta la via
pulchritudinis e che ci cambia. Queste non sono che le condizioni che
facilitano l’agire della grazia di Dio. Si tratta, dunque, di educare i fedeli a
non lasciare spazio alla sola dimensione estetica, per quanto suggestiva essa
sia, e aiutarli a comprendere che la Liturgia è un atto divino che non si lascia
condizionare da un ambiente, dal clima, neppure dalle rubriche, perché è mistero
della fede celebrato nella chiesa.
Proporre la via pulchritudinis come
cammino di evangelizzazione e di dialogo, vuol dire partire da un
interrogativo urgente, talvolta latente, ma sempre presente nel cuore dell’uomo:
«Che cos’è la bellezza?», per condurre «tutti gli uomini di buona
volontà, nei quali, in modo invisibile agisce la grazia», verso «l’uomo
perfetto» che è «immagine del Dio invisibile» (Col. 1,15)[41].
Questa domanda risale all’alba dei tempi, come se
l’uomo ricercasse disperatamente, dopo la caduta originale, quel mondo di
bellezza ormai fuori dalla sua portata. Essa attraversa la storia sotto
molteplici forme e il gran numero di opere, frutto di bellezza in tutte le
civiltà, non riesce ad estinguerne la sete.
Pilato pone a Cristo la questione della verità.
Cristo non risponde, o meglio la sua risposta è il silenzio: quella verità non
si dice, ma si congiunge senza parole alla parte più intima dell’essere. Gesù si
era rivelato ai suoi discepoli: «Io sono la Via, la Verità e la Vita».
Adesso tace. Poco dopo mostrerà la via, cammino di verità, che porta alla Croce,
mistero di sapienza. Pilato non capisce, ma misteriosamente, egli stesso dà la
risposta alla sua domanda: «Che cos’è la verità?». Davanti al
popolo esclama: «Ecco l’uomo», cioè Cristo, che è la verità.
Se la bellezza è lo splendore della verità, allora
il nostro interrogativo si ricollega a quello di Pilato e la risposta è
identica: Gesù stesso è la Bellezza. Egli si manifesta dal Tabor alla
Croce per illuminare il mistero dell’uomo, sfigurato dal peccato, ma purificato
e ricreato dall’Amore redentore. Gesù non è una via tra le altre, una verità tra
le altre, una bellezza tra le altre. Egli non propone una via tra le altre: Egli
è la via viva che conduce alla verità viva che dà la vita.
Bellezza suprema, splendore di Verità, Gesù è la fonte di ogni bellezza, perché,
Verbo di Dio fatto carne, è la manifestazione del Padre: «Chi ha visto me ha
visto il Padre» (Gv 14, 9).
Il vertice, l’archetipo della bellezza si manifesta
nel volto del Figlio dell’uomo crocifisso sulla Croce dei dolori, rivelazione
dell’amore infinito di Dio che, nella sua misericordia per le proprie creature,
ripristina la bellezza perduta con la colpa originale. «La bellezza salverà
il mondo», perché tale bellezza è Cristo, la sola bellezza che sfida il male
e trionfa sulla morte. Per amore, il «più bello dei figli dell’uomo» si è
fatto «uomo dei dolori», «senza apparenza né bellezza per attirare i
nostri sguardi» (Is 53, 2), e in tal modo ha reso all’uomo, ad ogni
uomo, pienamente la sua bellezza, la sua dignità e la sua vera grandezza. In
Cristo, e solo in Lui, la nostra via Crucis si trasforma nella sua in
via lucis e in via pulchritudinis.
La Chiesa del terzo millennio ricerca continuamente
questa bellezza nell’incontro con il suo Signore e, con Lui, nel dialogo d’amore
degli uomini e delle donne del nostro tempo. Nel cuore delle culture, per
rispondere alle loro angosce, alle loro gioie e alle loro speranze, essa non
cessa di affermare con il Papa Benedetto XVI: «Chi fa entrare Cristo, non
perde nulla, nulla – assolutamente nulla di ciò che rende la vita libera, bella
e grande. No! solo in quest’amicizia si spalancano le porte della vita. Solo in
quest’amicizia si dischiudono realmente le grandi potenzialità della condizione
umana. Solo in quest’amicizia noi sperimentiamo ciò che è bello e ciò che libera»[42].
[1] Cf. Culture e fede,
Città del Vaticano, n° 2, 2002.
[2] Cf. il Documento Dov’è
il tuo Dio?, pubblicato in diverse lingue:
Paul Poupard – Pontificio Consiglio
della Cultura, Dov’è il tuo Dio? Fede cristiana, non credenza e
indifferenza religiosa, in « Religioni e sette nel mondo », 26,
2003-2004; Où est-il ton Dieu ? La foi chrétienne au défi
de l’indifférence religieuse, Salvator, Paris
2004 ; Where Is Your God? Responding to
the Challenge of Unbelief and Religious Indifference Today – Dónde está tu
Dios? La fe cristiana ante la increencia religiosa,
Chicago 2004; Dónde está tu Dios? La fe cristiana ante la increencia
religiosa, Valencia 2005; Gdje je tvoj Bog? Kršćanska vjera pred
izazovom vjerske ravnodušnosti, Sarajevo 2005.
[3] Cf. R.
Remond, Le Christianisme
en accusation, Paris 2000 ; Le nouvel antichristianisme, ibid,
2005.
[4] Oltre ai testi della
Plenaria 2004, cf. il Documento Gesù Cristo portatore dell’acqua viva.
Una riflessione cristiana sul «New Age», Città del Vaticano 2003;
Jésus, porteur d’eau vive. Une réflexion chrétienne sur
le « Nouvel Age»; Jesus Christ the Bearer
of the Water of Life. A Christian reflection
on the «New Age»; Jesucristo portador del agua de la vida. Una reflexión
cristiana sobre la “Nueva Era”; Jesus Christus des Spender lebendigen
Wassers. Überlegungen zu New Age aus christlicher Sicht.
[5]
Benedetto XVI, Omelia
durante la S. Messa di inizio del Pontificato, 24 aprile 2005.
[6]
Giovanni Paolo II, Lettera
agli artisti, 4 aprile 1999, n. 3.
[7]
Giovanni Paolo II, Fides
et ratio, 14 settembre 1998, n. 103.
[8] Secondo San
Tommaso d’Aquino, la
claritas è una delle tre condizioni della bellezza. Nelle questioni
sulla Trinità della Summa Theologiae, egli si interroga sugli
attributi propri di ogni persona divina e collega la bellezza alla persona
del Figlio:«Pulchritudo habet similitudinem cum propriis Filii – La
bellezza presenta una certa somiglianza con ciò che è proprio del Figlio».
Ed indica le tre condizioni della bellezza per applicarle a Cristo: la
integritas sive perfectio, la proportio sive consonantia e
la claritas (Ia, qu. 39, art. 8).
[9] Per una riflessione sulla
filosofia del bello e sull’attività artistica, vedere
M.-D. Philippe, L’activité
artistique. Philosophie du faire, 2 vol., Paris 1969-1970, con
un’importante bibliografia. Per una riflessione teologica, vedere anche B.
Forte, La porta della
Bellezza. Per un’estetica teologica, Brescia 1999; Inquietudini della
trascendenza, cap. 3: “La Bellezza”, Brescia 2005, p. 45-55;
Id., La bellezza di Dio.
Scritti e discorsi 2004-2005, Cinisello Balsamo (Milano) 2006.
[10]
Giovanni Paolo II, Fides
et ratio, op. cit., n. 83. E aggiunge: «Un pensiero filosofico che
rifiutasse ogni apertura metafisica, pertanto, sarebbe radicalmente
inadeguato a svolgere una funzione mediatrice nella comprensione della
Rivelazione».
[11]
Sant’Agostino, Le
Confessioni, X, 27.
[12] H. Urs
von Balthasar, Gloria. Gli
aspetti estetici della Rivelazione. I, Milano 1975, 10-11: «La nostra
parola iniziale si chiama bellezza… La bellezza è l’ultima parola che
l’intelletto pensante può osare di pronunciare, perché essa non fa che
incoronare, quale aureola di splendore inafferrabile, il duplice astro del
vero e del bene e il loro indissolubile rapporto. Essa è la bellezza
disinteressata senza la quale il vecchio mondo era incapace di intendersi,
ma la quale ha preso congedo in punta di piedi dal moderno mondo degli
interessi, per abbandonarlo alla sua cupidità e alla sua tristezza. Essa è
la bellezza che non è più amata e custodita nemmeno dalla religione e che
tuttavia, tolta come una maschera dal proprio viso, mette a nudo i tratti
che minacciano di diventare incomprensibili agli uomini…Chi, al suo nome,
increspa al sorriso le labbra, giudicandola come il ninnolo esotico di un
passato borghese, di costui si può essere sicuri che – segretamente o
apertamente – non è più capace di pregare e, presto, neanche di amare…
In un mondo senza bellezza –
anche se gli uomini non riescono a fare a meno di questa parola e l’hanno
continuamente sulle labbra, equivocandone il senso – in un mondo che non è
forse privo, ma che non è più in grado di vederla, di fare i conti con essa,
anche il bene ha perduto la sua forza di attrazione, l’evidenza del suo
dover-essere-adempiuto… In un mondo che non si crede più capace di affermare
il bello, gli argomenti in favore della verità hanno esaurito la loro forza
di conclusione logica».
[13] Lezione per il Premio
Nobel, in Opere, t. IX, YMCA Press, Vermont-Paris 1981, p. 9.
[14] Padre Turoldo,
cantore della bellezza, riporta questa significativa affermazione di D.
Barsotti: «Il mistero
della bellezza! Finché la verità e il bene non sono divenuti bellezza, la
verità e il bene sembrano rimanere in qualche modo estranei all’uomo,
s’impongono a lui dall’esterno; egli vi aderisce, ma non li possiede;
esigono da lui una obbedienza che in qualche modo lo mortifica».
Quindi trae una chiara conclusione: «Il vero e il bello non sono
sufficienti a creare una cultura, perché non sembrano sufficienti da soli a
creare una comunione, una unità di vita tra gli uomini. E poiché la cultura
è espressione stessa di uno sviluppo individuale, di una certa perfezione
raggiunta, ne viene che la cultura massimamente sembra esprimersi nella
bellezza. La bellezza è il fine di tutte le cose» (“Bellezza” in
Nuovo Dizionario di Mariologia, Ed. Paoline, 1985, p. 222-223).
[15] Il Papa Giovanni
Paolo II ha ripreso questa essenziale affermazione nella Lettera
agli Artisti, n. 11.
[16] Cf. anche San
Giovanni della Croce,
Cantico spirituale, 5: “Mil
gracias derramando / Pasó por estos sotos con presura / Y, yéndolos mirando,
/ Con sola su figura, / Vestidos los dejó de su hermosura” – “Grazie
a mille spargendo / Passò per questi luoghi con sveltezza, e soltanto
effondendo / lo sguardo con mitezza / li lasciò rivestiti di bellezza”,
e G.M. Hopkins: “The world
is charged with the grandeur of God” – “Il mondo è caricato della
grandezza di Dio”.
[17] Aristotele affermava che
«in tutte le cose della natura c’è qualcosa di meraviglioso» (Le
parti degli animali, I, 5). Lo studio della natura e del cosmo ha
giocato un ruolo essenziale nella filosofia, a cominciare da quella
dell’antica Grecia, ed anche in teologia la cosmologia ha costituito un
elemento fondamentale per capire l’opera di Dio e la sua azione nella
storia. Pensiamo, ad esempio, alla visione dello Pseudo-Dionigi Areopagita,
tante volte ripresa nella teologia e nella mistica cristiana, come anche
alla cosmologia aristotelica che si innesta nel pensiero tomista, andando a
costituire una delle cosiddette «prove dell’esistenza di Dio». Anche
Emmanuel Kant riconosceva la bellezza del cosmo e la sua capacità di
provocare stupore, quando affermava, nella Critica della ragion
pratica:«Due cose riempiono l’animo di crescente meraviglia e timore(…): il
cielo stellato sopra di me e la legge morale dentro di me».
[18] Cf. Giovanni Scoto
Eriugena, De divisione naturae 1.3, e San Bonaventura,,
Collationes in Hexaemeron II. 27.
[19] Cf.
Pontificio Consiglio della Cultura,
Per una pastorale della cultura, 1999, n. 35.
[20] Cf.
The Human Search for Truth: Philosophy, Science, Theology. International
Conference on Science and Faith. Vatican City, 23-25 May 2000,
Saint Joseph’s University Press, Philadelphia, USA, 2002; tr. it.
L’uomo alla ricerca della verità. Filosofia, scienza, teologia: prospettive
per il terzo millennio. Conferenza internazionale su scienza e fede,
Città del Vaticano, 23-25 maggio 2000, Vita e Pensiero, Milano, 2005.
[21]
San Bonaventura, Legenda
Maior, IX.
[22]
Giovanni Paolo II,
Lettera agli artisti, n. 12-13.
[23] Cf.
Associazione Arte e Spiritualità,
Sulla via della Bellezza. Paolo VI e gli artisti, quaderno n. 3,
Brescia 2003, p. 71-76.
[24] Cf. D.
Ponnau, in Forme et sens.
Colloque de formation à la dimension religieuse du
patrimoine culturel, École du Louvre, Paris,
1997, p. 20.
[25] Catechismo della
Chiesa cattolica. Compendio. Introduzione. Libreria Editrice
Vaticana, 2005.
[26]
Giovanni Paolo II, Lettera
agli artisti, op. cit., n. 12 e 8.
[27] Sant’Ireneo, Adversus
haereses, IV, 20.7.
[28] Cf. n. 17: Arte e
tempo libero e soprattutto il n. 36: L’arte e gli artisti.
[29] Cf. La Lettera circolare
della Pontificia Commissione per i Beni Culturali della Chiesa, su La
formazione ai beni culturali nei seminari, 15 ottobre 1992; la Nota
pastorale della Conferenza Episcopale Regionale di Toscana: La vita si è
fatta visibile. La comunicazione della fede attraverso l’Arte, del 23
febbraio 1997, e quella dell’Ufficio nazionale per i Beni culturali
ecclesiastici della Conferenza Episcopale Italiana dal titolo: Spirito
Creatore, del 30 novembre 1997.
[30] Si moltiplicano i corsi
di formazione nelle Università cattoliche, come alla Facoltà di Storia della
Chiesa e dei Beni culturali della Pontificia Università Gregoriana o
all’Istituto di Arte Sacra e di Musica liturgica dell’Istitut Catholique di
Parigi; le riviste di ispirazione cristiana affrontano sempre più spesso
questo argomento, come ad esempio Arte Cristiana di Milano,
Humanitas di Santiago del Cile; aumenta il numero dei Musei diocesani,
ideati come veri e propri Centri culturali cattolici. Pubblicazioni recenti
trattano della via pulchritudinis e aiutano il lettore a
familiarizzare col linguaggio dell’arte per una meditazione spirituale: cf.
Maria Gloria Riva, Nell’arte lo stupore di una Presenza, San Paolo,
Milano, 2004.
[31] E.
Bianchi fa eco a queste
parole quando esorta a «saper annunciare la differenza cristiana»
come una vera risposta all’indifferenza: «O il cristianesimo è filocalia,
amore della bellezza, via pulchritudinis, via della bellezza, o
non è! E se è via della bellezza, saprà attirare anche gli altri su quel
cammino che conduce alla vita più forte della morte, saprà essere
sequentia sancti Evangelii per gli uomini e le donne del nostro tempo».
In Perché e come evangelizzare di fronte all’indifferentismo, in
“Vita e pensiero” 2, 2005, p. 92-93.
[32] Le porte regali.
Saggio sull’icona, Milano 1999, 50.
[33] Card. J.
Ratzinger, Eucaristia come
genesi della missione. Conférenza magistrale al XXIII Congresso
Eucaristico di Bologna, 20-28 settembre 1997 in “Il Regno” 1 nov. 1997, n°
19, p. 588-589.
[34] Cit. in F.
Castelli, Volti di Gesù
nella letteratura moderna, II, Paoline 1990, p. 124.
[35] Cf. T.
Verdon, Vedere il mistero.
Il genio artistico della liturgia cattolica, Mondadori 2003.
[36] H. Urs
von Balthasar ha percepito
profondamente «in un paradosso insolubile il mistero della bellezza.
Sempre, infatti, ciò che si manifesta è, nella sua stessa manifestazione,
ciò che non si manifesta… Nella superficie visibile della manifestazione si
coglie la profondità che non si manifesta, e ciò soltanto dà al fenomeno del
bello il suo carattere affascinante e soggiogante, e ciò soltanto assicura
all’essente la sua verità e la sua bontà». Gloria, op. cit.,
p. 373.
[37] Cf. anche l’Esortazione
Apostolica post-sinodale Ecclesia in Europa, del 28 giugno 2003, n.
66-73; l’Enciclica Ecclesia de Eucaristia, del 17 aprile 2003; la
Lettera Apostolica Mane nobiscum, Domine, del 17 ottobre 2004.
G. Vecerrica, Diamo forma
alla bellezza della vita cristiana. Lettera pastorale, Fabriano 2006.
[38] Cf., per esempio,
C. M. Martini, Quale
bellezza salverà il mondo? Lettera pastorale 1999-2000, Milano 1999; B.
Forte, Perché andare a
messa la domenica. L’Eucaristia e la bellezza di Dio, Cinisello Balsamo
2004.
[39] Cf.
Pontificia Accademia Mariana
Internazionale, La madre del Signore. Memoria, presenza, speranza,
Città del Vaticano, 2000, p. 40-42.
[40]
Sant’Agostino, La Città di
Dio, XXII, 30, 5.
[41]
Concilio Vaticano II,
Gaudium et spes, 22.
[42]
Benedetto XVI, Omelia
durante la S.. Messa per l’inizio del Pontificato, 24 aprile 2005.
Fonte : Pontificio
Consiglio della Cultura , www.vatican.va
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