MISTICA SPECULATIVA
Margherita Porete e i
Fratelli del Libero Spirito
di Francesco Cuccaro
EXCURSUS
SOCIO – POLITICO E CULTURALE
Con la fine
dell’Alto Medioevo tutto il Continente europeo risulta essere cristianizzato.
Occorrerà attendere il secondo decennio del XIII secolo perché i Cavalieri
Teutonici riescano a sottomettere le ultime popolazioni pagane di razza slava
come i prussiani e le minoranze baltiche.
Con i pontefici
Gregorio VII ( 1073 – 1085 ) e Innocenzo III ( 1198 – 1216 ) il Papato raggiunge
l’apogeo della sua potenza politica. Sono gettate le basi della teocrazia in
campo temporale che dà luogo ad un duro confronto con il Sacro Romano Impero per
monopolizzare l’idea di una ‘monarchìa
universale’, garante di pace tra e dentro i popoli.
Ma,
a partire dal tardo XIII secolo,
quest’ultima appare un sogno chimerico che deve scontrarsi con la realtà
degli Stati locali ( anche a dimensione regionale ) e, soprattutto, nazionali,
gelosi della propria indipendenza. La teocrazia pontificia, fatta valere da papa
Bonifacio VIII ( 1294 – 1303 ) con alti ragionamenti
giuridici, viene sconfessata nei fatti ( si
cfr. il celebre episodio
dello “Schiaffo di Anagni” ).
Con la fine
dell’Alto Medioevo termina il fenomeno di quel pellegrinaggio armato in
Terrasanta, noto con il nome consueto di ‘Crociate’.
Gerusalemme é perduta. Il Vicino Oriente é minacciato
dai Turchi. Le repubbliche marinare e alcune potenze mediterranee ( come alcuni
regni cristiani iberici ) riescono, a malapena, a
controbilanciare l’aggressività musulmana.
Con la morte di Gengis
Khan e con la crisi dell’ordinamento politico-territoriale da lui creato,
l’Occidente é al riparo da un’ennesima invasione
da parte dei popoli nomadi della steppa.
L’XI
e il XII secolo conoscono un aumento vertiginoso della popolazione europea,
garantito da una certa floridezza dell’agricoltura ( non mancano carestie
periodiche ), con nuovi e progrediti sistemi di coltivazione, soprattutto
dall’intensità degli scambi commerciali tra i vari territori del nostro
Continente, tra questi e l’Oriente.
Si affermano i
nuovi ordinamenti cittadini ( in Italia nascono i ‘Comuni’ ). Comincia a
regredire il peso politico e sociale dell’aristocrazìa
feudale. Nei nuovi e vecchi nuclei urbani si afferma
una vivace borghesia imprenditoriale tutta tesa a costruirsi uno spazio da
protagonista, anche a livello politico.
Numerosi Comuni
dell’Italia centro-settentrionale rivendicano, dopo una lunga
parentesi più o meno cruenta, la propria indipendenza dagli imperatori
tedeschi Federico Barbarossa e Federico II della
dinastìa sveva degli
Hohenstaufen.
Con la fine
dell’Alto Medioevo anche la cultura si
“istituzionalizza”.
Relegata prima,
già dall’epoca tardo-antica ( pressappoco a partire dal
V secolo ), nell’ambito delle strutture abbaziali, conosce la sua fioritura nel
contesto urbano, grazie all’apporto dei vescovi ( le ‘scuole
vescovili’ ).
Ma quando le città
conquistano la propria autonomìa, a livello
politico, dai vescovi, dai signori feudali e perfino dai sovrani, ecco che
prendono piede le ‘istituzioni laiche’
che si danno un assetto corporativo. Nascono le ‘universitas
di docenti e di studenti’. In
esse si consegue il dottorato in teologìa o
in diritto o in medicina, previo prima l’assimilazione delle sette ‘Arti
liberali del Trivio e del Quadrivio’, secondo la
formulazione offerta da Marziano Capella, un retore
pagano vissuto nel IV secolo ( dialettica, retorica, grammatica, aritmetica,
geometria, musica, astronomìa ). Il latino permette
una vivace frequentazione, tra i più dotati, dei vari atenei che
si insediano in Italia e nei paesi transalpini e, in
un certo senso, rompe le barriere nazionali.
Nasce la categoria dei ‘clerici
vagantes’, degli studenti che, però, si avviano
a ricoprire dignità ecclesiastiche.
Nel
contesto filosofico-teologico
prende corpo una nuova corrente denominata ‘Scolastica’, appunto perché fiorisce
nell’ambito delle ‘scholae’ ( per l’appunto scuole
vescovili ) e, successivamente, estesa alle università. Si cerca, in tal modo,
di armonizzare il pensiero pagano con la Rivelazione cristiana, confrontandosi
prima con il Neoplatonismo e poi con l’Aristotelismo. Si
raggiunge una sintesi difficile tra quest’ultimo
e le dottrine cristiane, con l’apporto di grandi luminari come S. Alberto Magno
e, soprattutto, S. Tommaso d’Aquino. Il sapere
dell’epoca tende ad assumere un carattere sistematico ed enciclopedico, fondato
sul principio di autorità ( “ipse
dixit” ). Pertanto ogni novità in campo filosofico
diviene errore, in quello teologico eresia, in quello
politico-sociale rivoluzione. Questo paradigma rimarrà valido fino alla
Rivoluzione Francese e forse anche oltre.
Un sapere
sistematico, quindi, esaustivo, ma non per questo meno fecondo.
La ‘reductio ad
unum’ rimane un po’ la
forma-mentis dell’uomo e della società medioevali, dove l’ordo-civilis
fa tutt’uno, pur nelle rispettive distinzioni, con
l’ordo-religiosus.
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Ma,
già nel tardo Duecento, si cominciano ad avvertire i segni premonitori di una
nuova epoca. Inizia un processo di laicizzazione
della vita, dei costumi, del tempo, del potere che avrà un suo primo traguardo
con l’affermarsi dell’Umanesimo quattrocentesco. Solo con
l’attività mercantile e con una politica spregiudicata (spesso condotta
al di fuori dei vincoli di una morale religiosa), l’uomo comincia ad avvertirsi
protagonista attivo della storia. Il denaro, prima disprezzato, acquista valore
non solo economico.
In Italia, gli
ordinamenti comunali, nella debolezza di un potere centrale formalmente
riconosciuto come quello del Sacro Romano Impero, non riescono a garantire
la pace non solo tra una città e l’altra, ma dentro
lo stesso agglomerato urbano. Guelfi contro Ghibellini e
viceversa, mercanti e popolo minuto contro i ceti magnatizi, famiglie contro
famiglie. Si richiede l’uomo forte della situazione. E’ la volta degli
avventurieri, per lo più forestieri, che riescono a
conseguire il potere, appoggiandosi alla famiglia più influente del momento,
oppure facendosi paladini dei diritti del popolino, soprattutto comandanti
militari di eserciti mercenari. Nascono le ‘signorìe’
( le prime si affermano intorno al 1280 circa ). Nel corso
del Tre-Quattrocento esse assumono una
estensione territoriale di tipo regionale. Ma non
tali da sottomettersi l’una all’altra. Insistono nell’essere riconosciute,
ufficialmente e giuridicamente, dai più alti sovrani dell’epoca: il Sacro Romano
Imperatore e il Romano Pontefice. Diventano perciò ‘principati’ (
cioé duchi, principi, conti….).
E tutto questo a caro prezzo, con guerre continue e costosissime.
L’Italia del Trecento, per esempio, é infestata dalla
presenza di truppe mercenarie come le ‘compagnìe di
ventura’, in origine comandate da valenti e
spietati capi stranieri, come gli inglesi John
Hawkwood, Konrad
Wolf, Andrew
Belmont, i tedeschi Konrad
von Landau e Werner
von Urslingen, il
provenzale Montreal d’Albano ( Frà
Moriale ). Poi italiani come
Alberico da Barbiano,
Facino Cane, Braccio da Montone, Muzio Attendolo
Sforza, il Carmagnola, ecc.
Come se non
bastasse, infuriano le carestie e le epidemie. La più tremenda
di queste sciagure é la ‘peste
nera’ ( 1347 – 1350 ), un morbo causato da un parassita dei topi, la “pasteurella
pestis”. I medioevali sanno che il contagio si può
avere tra una persona malata ed una sana anche per via aerea, ma ignorano ancora
la causa batterica o virale delle malattie infettive.
La popolazione
europea viene decimata. Muoiono circa
due-terzi degli abitanti nell’arco di tre anni e
nelle comparse successive. Sembra che il morbo provenga dalla
Crimea, per passare poi in Sicilia e da qui al resto
dell’Europa centro-occidentale. Le fasce più colpite
della popolazione sono soprattutto i ceti poveri, i vecchi e i bambini, a causa
delle deficienze del sistema immunitario non rafforzato da una sana e
sufficiente alimentazione.
Nel Trecento
l’agricoltura, con le crisi periodiche, non riesce a sfamare una popolazione
aumentata in modo vertiginoso.
Sul piano
esistenziale e spirituale si fa strada un certo
individualismo. Il ‘senso della morte e della
caducità della vita terrena’ é fortemente sentito ed
accentuato. Le coscienze religiose sembrano prediligere la via del ripiegamento
verso l’interiorità individuale. La ‘mistica’ –oggetto della nostra indagine-
riprende nuovo vigore. Ma si fa avanti anche un vitalismo
esasperato e un senso di immanenza forse prima
sconosciuto che corroborano certo cinismo e certa miscredenza nell’ambito dei
ceti medio-alti ( ricerca del profitto a tutti i
costi, potere finalizzato a se stesso, il sesso praticato al di fuori delle
convenzioni sociali ) : espressioni di questa mentalità abbastanza godereccia
sono il ‘Decamerone’ di Giovanni
Boccaccio ( 1313 – 1375 ) e i ‘Racconti di
Canterbury’ di Jeoffrey
Chaucer ( 1340 – 1400 ).
Non mancano le
forti tensioni sociali all’interno di una compagine statuale nazionale, ma anche
nel contesto di un libero comune dove fiorente é
l’attività manifatturiera. Sanguinose rivolte antifeudali caratterizzano la ‘jacquerie’
francese. I salariati si oppongono alle famiglie dei grandi mercanti e al
‘popolo grasso’. Ecco la rivolta di
Ciuto Brandini del 1345
a Firenze, la ‘Rivolta del Bruco’ a Siena nel 1371 e
il ‘Tumulto dei Ciompi’,
sempre a Firenze, nel 1378. Sono tentativi di
estremismo sociale, benedetti anche da riformatori religiosi eterodossi oppure
disobbedienti ( Frà Michele Berti da Calci,
francescano della setta dei Fraticelli, che appoggia il tumulto di Michele di
Lando; i seguaci dell’eretico John
Wycliffe -i ‘lollardi’-
che promuovono rivolte contadine e operaie in Inghilterra ). Una volta repressi
questi disordini, gli ordinamenti comunali divengono conservatori ed
oligarchici.
Non mancano
esplosioni violente di nazionalismo in Europa. Il confronto anglo-francese si
esprime in una fase acuta con la famigerata “Guerra dei
Cent’Anni” ( 1337 – 1453 ).
I
boemi conseguono, grazie alla predicazione del prete
Jan Hus e dei suoi
sostenitori, consapevolezza dei loro diritti. Ingaggiano una sfortunata guerra
di liberazione contro l’Imperatore asburgico e di
sottrazione della Chiesa ceca dal controllo del
Papato.
Sul piano
culturale la Scolastica si avvia alla decadenza già agli inizi
del XIV secolo. Si mette in discussione la
metafisica. Ci si incammina verso la separazione tra
la fede e la ragione.
LA
CHIESA CATTOLICA TRA L’XI E IL XIV SECOLO. PROSPETTIVE
L’ordinamento
feudale tenta, già verso la fine del primo millennio dell’era volgare, di
inglobare la Chiesa. Nasce il sistema delle ‘chiese
proprie’, per cui abbazie, parrocchie e,
perfino, sedi vescovili rinviano, nella loro fondazione, ad un patrono laico. In
questo periodo il Papato mostra uno spettacolo tutt’altro
che edificante, nel senso che viene conteso da
famiglie laziali altolocate secondo una loro concezione patrimoniale del potere
pontificio.
Si ha a che fare
con un clero secolare ignorante e corrotto, buona parte
dedito alla simonia e al nicolaismo. Solo dai
monaci si può sperare nei propositi di attuazione di
una ‘riforma della Chiesa’ “in capite
et membris”. Sorgono
nuovi ordini religiosi di derivazione benedettina, come quello ‘cluniacense’
( da dove partirà la riscossa per l’emancipazione del Papato dai grandi
potentati laici ), quello ‘camaldolese’, quello ‘vallombrosano’
e quello ‘cistercense’.
Inizia la contesa
–per l’autonomìa dello spirituale dal temporale- tra
i battaglieri Papi della fine dell’XI ( e dei primi
decenni del XII ) secolo e gli imperatori della Casa di
Franconia : la ‘Lotta per le Investiture’.
Che termina con un compromesso : il ‘Concordato di
Worms’ del 1122.
E’ indispensabile
liberare lo spirituale dall’ingerenza del potere feudale.
In buona fede
Ottone I di Sassonia, con il sistema dei vescovi-conti, sostiene di poter tenere
assoggettati i feudatari grandi o piccoli che siano.
Essendo uomini
dediti alla causa religiosa, sarebbero i più disciplinati e fidati. Pura
illusione ! Con tragiche conseguenze. I vescovi-conti
si “mondanizzano” presto.
Finiscono per gestire un potere politico come proprio. Trascurano i loro impegni
pastorali. Corrotti, cercano di assicurarsi una discendenza carnale attraverso
il concubinato o, addirittura, con il matrimonio, violando precedenti
disposizioni del Magistero ecclesiastico. Per non parlare
della discrezionalità del principe, magari nel favorire persone indegne dal
punto di vista religioso.
Questo spiega,
disgraziatamente, il clima di violenza fisica e psicologica alimentato, sempre
in buona fede, diciamo dal “basso”, da monaci spesso
incontrollati che riescono a catalizzare i consensi popolari per imporre una
gestione discutibile dell’apparato ecclesiastico. Pensiamo a quanti
vescovi-feudatari, reali o presunti corrotti, cacciati dalle loro città e/o,
addirittura, uccisi. Non mancano agitatori che ritengono, addirittura, inutile o
compromesso il ‘sacerdozio
ministeriale’, avallando dottrine che appartengono ad un passato lontano,
come quelle dei donatisti. Secondo costoro non vale
il sacramento dell’Eucaristìa celebrato da un
ministro indegno. E allora chi dovrebbe prendere il
suo posto ? Presto detto. Questi agitatori fanno leva sul
‘laicato’ ( non feudale ovviamente ). In base al ‘sacerdozio
universale’ qualsiasi battezzato può celebrare le
funzioni liturgiche e predicare.
Nascono
controversie in seno alla teologìa liturgica e
sacramentarla che interessano, più o meno, gli anni
che vanno dal 1050 al 1150 circa. Basti pensare che la Scolastica, con la
formula “ex opere operato” ( XII secolo ), darà una fondazione teologica al
sacramento dell’Ordine, asserendo che le attività liturgiche di un ministro,
anche se indegno, sono sempre valide, perché é sempre Cristo che agisce in lui.
Contro Berengario di Tours ( morto nel 1088 ) si
sancisce la dottrina della transustanziazione eucaristica. Con il
‘diritto canonico’, cioé
l’ordinamento normativo interno della Chiesa cattolica’,
si definiscono il ruolo e la distinzione giuridica del ‘sacerdote-ministro’ dal
‘laico’.
Le correnti
estremiste agitate da disobbedienti, come la ‘Pataria
milanese’ ( il cui
fondatore é S. Arialdo ), o vengono incanalate nell’ortodossìa
o vengono apertamente perseguitate.
Cominciano ad
affacciarsi, per tutto il XII secolo, ‘movimenti
pauperistici’ che reclamano un ritorno all’austerità
delle origini cristiane e alla purezza del Vangelo. Spesso, però, tali posizioni
finiscono per sconfinare nell’eresìa, quando
rivendicano il libero esame, il diritto di predicare concesso ai laici, la
traduzione della Bibbia in volgare, fino alla contestazione
di alcuni sacramenti e del ministero ordinato. In
questo orizzonte si inscrivono i seguaci del monaco Enrico, i
pietrobrusiani, gli arnaldisti,
i valdesi e i catari.
Con il Concordato
di Worms si arriva ad un compromesso per tutelare la
gerarchia feudale dell’Imperatore. Vescovi-feudatari
sì, ma devono essere nominati dal Papa sulla base delle loro qualità morali e
dottrinali. La mondanizzazione dell’alto clero,
purtroppo, rimane un problema di lunga durata. Uno dei tentativi di
fronteggiarlo é costituito dai ‘Chierici
regolari’ : preti che vivono in comunità, in
spirito di assoluta povertà e castità, nello studio delle scienze sacre. Nascono
i ‘Premonstratensi’ e i ‘Canonici
Lateranensi’.
La Chiesa di Roma
si trova a doversi impegnare su diversi fronti. Non solo con
i poteri politici laici d’Europa, ma anche con la crisi scismatica che interessa
l’Oriente. Nel 1054, con le reciproche scomuniche di Michele
Cerulario, patriarca greco di
Costantinopoli, e di papa Leone IX, diventa definitiva la separazione
della Chiesa greco-ortodossa da quella latina.
E
soprattutto con la minaccia islamica che condiziona i traffici commerciali del
Mediterraneo.
Il pellegrinaggio
armato delle Crociate muove da un impulso sia religioso ( liberazione dei Luoghi
Santi dagli infedeli ) che da quello politico (
soccorso all’Impero bizantino; tentativo di canalizzare la turbolenza feudale
verso ideali elevati come la lotta contro i “nemici di Cristo” ).
Le Crociate
segnano una svolta epocale, perché non solo promuovono scambi commerciali e
culturali con il Medio Oriente, ma permettono di tentare la fortuna a ceti meno
abbienti e ai cavalieri senza terra di acquisire un
feudo nelle regioni dell’Asia Minore, della Siria e della Palestina.
Con la riconquista
di Gerusalemme da parte del sultano d’Egitto, il ‘Saladino’
( 1187 ), avviene il “conto alla rovescia” dell’avventura europea. Dopo altre
spedizioni meno fortunate, anche Acri cade nelle mani dei
Mammelucchi d’Egitto ( 1291 ). Gli ultimi crociati abbandonano, per
sempre, i Luoghi Santi.
Con le Crociate
riceve impulso l’istituto della ‘cavallerìa’ che, in
genere, raccoglie cadetti di famiglie nobiliari, costretti a sopravvivere
guerreggiando. Lo scopo della Chiesa é quello di garantire
l’ordine e la sicurezza in varie regioni d’Europa, con le famose ‘tregue di
Dio’ e ‘paci di Dio’,
ma anche con la canalizzazione di quest’istituto.
Con un’apposita cerimonia di investitura, il
‘cavaliere’ viene, per così dire, benedetto con la promessa di difendere la
vedova e l’orfano, dopo un rito di preghiera e di penitenza denominato “veglia
d’armi”.
La Chiesa,
inoltre, promuove alcuni ordini monastici che uniscono due ideali a prima vista
incompatibili, quello della preghiera e quello della spada, con l’impegno di
assicurare la difesa dei territori liberati dai Crociati, e dei pellegrini.
Nascono gli ‘ordini
religioso-cavallereschi’ come i ‘Templari’,
i ‘Cavalieri Teutonici’, i ‘Cavalieri di S.
Giovanni’.
Per i
Papi gli infedeli non sono solo i musulmani, ma anche
i popoli nordici di razza slava non ancora sottomessi. E poiché questi ultimi
resistono, con violenza, all’attività missionaria, ecco che i Cavalieri
Teutonici si impegnano nella conquista. Purtroppo ne
segue lo sterminio di alcune minoranze.
I Templari,
ritornati in Europa dopo la conclusione delle Crociate, appaiono screditati.
Poiché detengono una fortuna mobiliare e fondiaria, ciò attira l’avidità
di alcuni sovrani come il re di Francia Filippo il
Bello della dinastìa dei Capeto
che, sulla base di accuse spesso infondate, li mette fuori legge. Papa Clemente
V, piegato dagli eventi, scioglie l’Ordine dei Templari con il consenso del
Concilio di Vienne ( 1312
).
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La Chiesa di Roma
si misura su diversi fronti, abbiamo detto. Non può
mancare anche quello dell’offensiva antiereticale, reprimendo deviazioni
dottrinali e propositi scismatici. Si tratta, veramente, di un’offensiva
spietata ( soprattutto nel XIII secolo ) in proporzione al radicalismo e alla
pericolosità rappresentati da certi movimenti eterodossi che raggiungono vasti
consensi ed appoggi perfino nella nobiltà feudale. Non ci dilungheremo sulle
dottrine dei Catari e dei Valdesi. Diremo piuttosto che i primi riescono a
creare delle vere comunità di fedeli strutturate sul
modello cattolico. Per non parlare poi di velleità di contestazione sociale,
anche violenta. Questo spiega sempre l’appoggio dato dal potere civile agli
ecclesiastici ( teoria del “braccio secolare” ).
Nel 1208, ad Albi,
una cittadina nel cuore della Provenza, un legato del Papa, Pietro di
Castelnau, viene
assassinato. Un atto di estrema provocazione da parte
del conte di Tolosa, Raimondo VI, sostenitore dei Catari, tra l’altro molto
numerosi in quella regione. Fallita l’attività missionaria, il pontefice
Innocenzo III bandisce una ‘crociata’ un po’ anomala ( perché i Catari non sono
infedeli, ma eretici ) per schiacciare il movimento,
invitando diversi feudatari a muovere guerra contro il signore della
Linguadoca. Un regolamento di conti oppone Simone di
Montfort a Raimondo VI. La crociata esce vittoriosa,
ma la fine di una civiltà appare irrimediabile. Dopo circa
vent’anni la monarchia francese potrà esercitare il pieno controllo di
questo territorio.
L’eresìa
viene sconfitta ma non domata. Il movimento di massa
viene soffocato, ma vaste zone della Francia
meridionale, della Germania meridionale e dell’Italia centro-settentrionale
registrano la presenza di Catari che scelgono l’attività clandestina.
Ecco allora che la Chiesa di Roma ricorre allo
strumento del Tribunale della Santa Inquisizione per lo smascheramento,
la ricerca individuale e la punizione dei responsabili dei reati di religione.
Questo tribunale sorge già verso la fine del XII secolo alle dipendenze dei
singoli vescovi. Poi papa Innocenzo III lo rende attività legatizia. I suoi
successori chiameranno a dirigerlo gli Ordini Mendicanti.
Si fa un gran
parlare di questo tribunale che persegue e manda a morte gli eretici, esecrato
all’insegna dell’accusa di un presunto tradimento dei principi
evangelici da parte delle autorità ecclesiastiche, della gratuita crudeltà e
dell’oscurantismo che opprime la libertà di pensiero e di espressione. Non ci
dilunghiamo su questo dettaglio.
L’Inquisizione ha
avuto i suoi meriti indiscussi. Uno di questi, per esempio,
l’aver disciplinato l’ordine sociale, contenendo il fanatismo e l’eccitazione
delle masse ed evitando linciaggi, rappresaglie e processi sommari. Prima
di consegnare al “braccio secolare” per l’applicazione delle pene corporali,
si istruisce un lungo “iter” processuale con garanzie
di difesa dell’accusato. Solo gli eretici recidivi vanno incontro alla pena
capitale.
Indubbiamente, il
Duecento rappresenta il secolo di una spietata lotta all’eterodossìa.
Il 1233, anno della Redenzione, é anche “l’anno dell’Alleluja”
: si ha un’offensiva a vasto raggio contro i Catari.
Il Duecento é anche il secolo dell’esplosione
di una nuova vitalità religiosa.
La Chiesa cattolica riesce ad istituzionalizzare alcuni movimenti
pauperistici che non minacciano le gerarchie sociali
ed ecclesiastiche. Nascono gli Ordini Mendicanti che si ripromettono, con
l’esempio, con la predicazione, con un apostolato attivo, di rispondere alle
aspettative che provengono dal “basso”, e di vivere
il rigore evangelico, “togliendo terreno” ai Valdesi e ai Catari. Sono numerosi
: gli ‘Umiliati’, i ‘Carmelitani’, i ‘Trinitari’, i ‘Mercedari’,
i ‘Serviti’, ecc. Ma su tutti primeggiano l’Ordine dei Frati Minori o
Minoriti fondato da S. Francesco d’Assisi (1181 –
1226), e l’Ordine dei Frati Predicatori di S. Domenico di
Guzman ( 1170 – 1221 ).
Non mancano
propositi di evangelismo radicale e di pauperismo
spinto fino alle ultime conseguenze. Uniti a rivendicazioni di carattere
millenaristico ed apocalittico, costituiscono una
“miscela davvero esplosiva”.
In seno al
Francescanesimo, alcuni anni dopo la morte del Poverello
di Assisi, il movimento da lui originato si divide in
due tronconi nei confronti dell’interpretazione della Regola e dello spirito di
povertà : una corrente lassista che, alla fine, risulterà vincente, detta della
‘Comunità’ ( denominata successivamente dei Frati Minori Conventuali ); e
un’altra detta degli ‘zelatori della Regola’ o
rigorista, della quale sono sostenitori non pochi primi seguaci di Francesco.
Una terza corrente, quella più moderata, rappresentata da S. Antonio di Padova,
celebre taumaturgo, e S. Bonaventura da Bagnoregio,
futuro generale dell’Ordine, tenta di mediare tra le
due. Nel contesto dei rigoristi una parte cospicua di
religiosi si lascia condizionare dalle dottrine dell’abate cistercense calabrese
Gioacchino da Fiore ( 1130 -1202 ) e ritiene che
S.Francesco d’Assisi sia “l’Angelo del Sesto Sigillo”, vaticinato
dall’Apocalisse, che precorre “l’età dello Spirito Santo” da inaugurarsi intorno
al 1260.
Questo gruppo
prende il nome di ‘Spirituali’ ( ‘viri
spirituales’ ). Sono i più turbolenti nella
grande famiglia del Francescanesimo. Secondo costoro,
verrà il tempo in cui nascerà la ‘Chiesa
spirituale’ che si
contrapporrà alla ‘Chiesa carnale’.
Questo
millenarismo raggiunge la sua fase più acuta in un periodo che va dal 1255 al
1325 circa. Ma non conquista solo i Minori e qualche
altro Ordine Religioso. Nascono anche dei movimenti che non saranno mai
riconosciuti dalla Chiesa cattolica. Anzi, alcuni saranno apertamente
perseguitati.
Sull’onda di
questa temperie fioriscono gruppi penitenziali ai limiti dell’isteria e del
fanatismo, come i ‘Disciplinati’ o ‘Flagellanti’, presenti soprattutto in Umbria
e che hanno in frate Ranieri
Fasani uno dei più prestigiosi interpreti.
Di fronte al
divieto di costituire nuovi Ordini Mendicanti, sancito dal
II Concilio di Lione (1274), fanno anche la loro comparsa i ‘Fratelli
Apostolici’ di Gherardo
Segarelli da Parma, un laico che dà i suoi beni ai poveri e si mette a
predicare.
Sia gli Spirituali
( che, però, rimangono ai margini dell’ortodossìa )
che i Fratelli Apostolici accusano papa Bonifacio
VIII di essere un simoniaco e figura dell’Anticristo. Gherardo
viene condannato a morte nel 1300, ma la sua attività
viene portata avanti da un prete, frà Dolcino
Tornielli da Novara che, addirittura, promuove la
lotta armata contro gli ecclesiastici e i signori feudali della
Valsesia. Ma rimane
sconfitto ed ucciso ( 1307 ).
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Papa
Bonifacio VIII indìce
nel 1300 un ‘giubileo’ per la remissione delle pene
temporali per i peccati commessi. Una grande
manifestazione di fede che vede la partecipazione di milioni di pellegrini a
Roma e la loro visita alle più importanti basiliche. Ma é
anche la solennizzazione di un governo papale che,
in quanto ‘vicarius Christi’,
detiene una ‘plenitudo
potestatis’, cioé la ‘pienezza dei
poteri’, compreso quello temporale che delega ai
principi.
Dalla fine del Duecento in poi la Santa Sede si dota di un governo centralizzato con una efficiente ma mastodontica ed oppressiva burocrazia.
Dalla fine del Duecento in poi la Santa Sede si dota di un governo centralizzato con una efficiente ma mastodontica ed oppressiva burocrazia.
L’invadenza degli
ultimi sovrani capetingi e i disordini presenti nel
Lazio comportano la residenza dei Papi ad Avignone. Il periodo che va dal 1305
al 1377 prende il nome di ‘cattività
avignonese’. All’elezione di un papa italiano,
Urbano VI, rimasto a Roma, numerosi conclavisti francesi gli contrappongono
Clemente VII ( antipapa ) che si stabilisce ad Avignone. Ha origine lo “Scisma
d’Occidente” che durerà quasi quarant’anni
(1378-1417). La cattolicità europea di dividerà in due obbedienze.
Il Concilio di
Costanza ( 1414 – 1418 ) metterà fine a questa divisione con l’elezione del papa
romano Martino V. In seguito sorge la controversia
conciliarista che sarà superata e il Papato si rafforzerà nuovamente nel
mondo ecclesiastico.
LA
‘SPIRITUALITA’ NEL TARDO MEDIOEVO
1. Dopo
questo lungo “excursus”, possiamo trattare
l’argomento in questione.
Abbiamo descritto
un mondo europeo in evoluzione. Da un punto di vista politico regrediscono le
monarchìe con aspirazione universale, mentre si
affermano Stati nazionali, ordinamenti cittadini e signorili. Da un punto di
vista sociale, l’ordine feudale si presenta decadente e controbilanciato dalla
presenza di nuovi ceti sociali emergenti, desiderosi di conquistarsi uno spazio
da protagonisti.
2. Da un punto di
vista culturale, il Medioevo fa della ‘reductio
ad unum’ il suo principio ispiratore. Si hanno
gerarchie a livello piramidale in tutti i campi dall’ordine socio-politico alle
varie attività e allo scibile umani. Tale principio domina perfino nell’arte e
nell’architettura (si cfr.
le celebri cattedrali gotiche).
La Chiesa
cattolica appare rinnovata e sempre attenta a recepire
nuovi stimoli, ma deve fronteggiare numerosi ostacoli, sia nei rapporti con le
autorità civili costituite, con la Chiesa d’Oriente, con il pericolo
musulmano….ma, soprattutto, all’interno, nel durissimo confronto con il vasto e
variegato mondo dell’eterodossìa. Si paga a caro
prezzo il diritto di essere anticonformisti.
Il Due e il
Trecento sono i secoli di un’autentica esplosione di vitalità religiosa anche a
livello di massa. Che, però, deve fare pure i conti con un
autentico ma non facilmente riconoscibile inizio di un processo di
laicizzazione che comincia ad investire numerosi
campi ed attività dell’uomo. Si afferma una mentalità tendente a valorizzare la
dimensione del ‘terreno’. Ecco i
condottieri, i capi politici, i diplomatici, gli eserciti mercenari che fanno
svincolare la politica dalla morale. Ecco i mercanti che cominciano ad
affermare che il “ tempo é denaro”. Ecco le allegre brigate di goderecci che si
esibiscono nel lusso, nella sfrenatezza del vivere, nella soddisfazione dei
bassi istinti.
Insomma una nuova
visione della vita dove l’uomo comincia ad avvertirsi come protagonista, a tutti
i diritti, della storia.
3. Visione che
confligge con
quell’altra che
assolutizza il ‘rapporto con la Divinità’.
Nel Basso Medioevo rimane imperante la concezione religiosa di Dio, dell’uomo e
del mondo. Non sono avvenute ancora le grandi invenzioni, le esplorazioni
geografiche che hanno aperto nuovi orizzonti e mutato le
coordinate spazio-temporali, se così si può dire. Non si é ancora imposto
il sistema capitalistico. Non é nata ancora la scienza sperimentale. Non si
hanno ancora i grandi progressi della tecnica. Che poi
miglioreranno la qualità del tenore di vita materiale degli abitanti del nostro
Continente. Una concezione antropocentrica ed
immanentistica della vita –occorre dirlo- favorita da tutti questi
fattori.
Nel Basso Medioevo
abbiamo a che fare ancora con la concezione di un universo chiuso, con una
mentalità aperta all’irruzione del soprannaturale, all’intervento del
miracoloso, al senso del peccato, della morte e del proprio rapporto con
l’eternità.
Pensiamo solo al
senso della morte. Le aspettative di una lunga
sopravvivenza erano minime. La morte ha nel Medioevo molteplici facce
: quella delle epidemie, della peste, della carestia, della guerra, delle
fatiche estenuanti per chi lavora nelle campagne o nelle botteghe urbane.
4. Quindi,
‘senso del peccato’, ‘senso della
morte’, ‘visione di un tutto ordinato e orientato a
Dio’ caratterizzano la mentalità religiosa dell’uomo
del Medioevo.
Attese di
rigenerazione palingenetica e
programmi di rinnovamento millenaristico o
chiliastico sono vive nel Due e nel Trecento
e corroborano movimenti di azione collettiva ( tenuti a freno dal controllo
ecclesiastico ) che, assieme agli obiettivi di un rinnovamento della Chiesa
cattolica, addirittura reclamano propositi di un riequilibrio degli assetti
sociali.
5. Dopo la
spietata repressione dei grandi movimenti ereticali ( nei primi anni
del XIV secolo si hanno ancora disordini operati dai
Fratelli Apostolici e dai francescani aderenti alla setta dei Fraticelli ) si
assiste, si potrebbe dire, ad un ‘ripiegamento nella interiorità
individuale’.
E’ la grande
stagione della ‘mistica’, della ricerca di
una esperienza di un rapporto più intimo e diretto dell’anima con Dio, che
comincia a preoccupare il clero. Può interessare gruppi facilmente
circoscrivibili, ma senza propositi anarcoidi o eversivi.
Sempre vivi sono
il tema di una Chiesa disincarnata, la ricerca di un rapporto immediato con il
Divino senza o al di fuori della mediazione istituzionale e sacramentale, la
categoria dei ‘viri spirituales’, la
contrapposizione tra la ‘grande Chiesa’ e la piccola
Chiesa’ ( così cara a Margherita
Porete ) oppure tra la ‘Chiesa
spirituale’ e la
‘Chiesa carnale’, l’età dello Spirito
Santo’ ( lo ‘spiritus
libertatis’ ), il superamento della lettera e delle
immagini, e così via.
Non si conta il
numero delle mistiche poi canonizzate : alcune
benedettine come Ildegarda di Bingen,
Mechtilde di Magdeburgo,
Geltrude di Helfta; altre francescane come Angela da
Foligno e Chiara di Montefalco; altre semplici
penitenti come Margherita da Cortona; altre
terziarie domenicane come Caterina da Siena. Alcune di esse
sono donne colte, come le prime tre sopra citate, e che utilizzano il latino.
Altre mistiche
meno note sono Giuliana di Norwich, Hadewijck
di Anversa, Beatrice di Nazareth, Margherita
Ebner, Margery
Kempe.
Nel contesto delle
loro ‘rivelazioni private’ e dei loro scritti
ricorrono i temi del fondo dell’anima e dello ‘sposalizio
mistico’.
IL
BEGHINISMO
Tra i tanti
movimenti che prediligono un orientamento misticheggiante
risalta uno che si diffonde dalle Fiandre alla Germania
e all’Italia centro-settentrionale: il ‘Beghinismo’.
Dagli inizi del
Duecento in poi nascono delle comunità ( si potrebbe
quasi dire a guisa di terziari e terziarie ) di laici. Ma,
dal momento che il fenomeno interessa maggiormente le donne, si preferirà
parlare di ‘beghine’. Queste ultime, dedite ad una vita di penitenza e
di preghiera, allo studio delle Sacre Scritture, al lavoro manuale e
anche all’elemosina, effettuano in privato i voti temporanei o permanenti di
povertà e di castità.
Perché nasce
questo fenomeno ? Gli storici non sono unanimi nella
ricerca di un’unica spiegazione. Queste donne, molte provenienti da ceti
popolari, sono emarginate dal punto di vista sociale. Tra le
più dure é sia la condizione della vedova, sia quella delle nubili. Forte
é l’incentivo ad una maggiore pietà religiosa. Non é facile
per queste donne l’accesso alla vita consacrata che, spesso, richiede una dote.
Non é trascurabile l’influsso esercitato su di loro dagli
Ordini Mendicanti con l’istituzione del Terzo Ordine.
Vivono in
abitazioni l’una accanto all’altra, fino a costituire dei veri e propri
quartieri. Ancor oggi si possono visitare certi agglomerati abitati dalle
beghine in Belgio. Come pure sopravvivono alcune comunità beghine ortodosse,
dopo un duro controllo da parte dell’Inquisizione nel
Medioevo e dopo le bufere protestante, rivoluzionaria e napoleonica.
Si salva il
beghinismo giudicato ortodosso dalle autorità
ecclesiastiche che viene aggregato agli Ordini
Religiosi esistenti. Quello ereticale viene
soppresso.
I
‘FRATELLI E LE SORELLE DEL LIBERO SPIRITO’
Il
beghinismo eterodosso incrocia il proprio destino
con un altro movimento religioso apertamente osteggiato dalla Chiesa
: ‘i Fratelli e le Sorelle del Libero Spirito’.
Gli aderenti a questa setta mantengono il senso di una viva indipendenza dai
vescovi, dai preti e dagli Ordini Religiosi. Reclamano il tenace proposito di
vivere una vita autenticamente apostolica, con la consapevolezza di essere
illuminati direttamente dallo Spirito Santo. Rifacendosi ai tre versetti
paolini, “affinché Iddio sia tutto in
tutti” ( 1Cor. 15, 28 ), “….ma
lo stesso é Iddio che opera tutto in tutti” ( 1Cor.12,6 ), “tutto é puro per i
puri” ( Lettera a Tito 1,15 ), sostengono la loro ‘impeccabilità’ dato lo stato
di perfezione raggiunto, con la conseguenza di approdare ad una licenziosità
morale soprattutto nell’esercizio della sessualità.
I Fratelli del
Libero Spirito ( o dello ‘spiritus
libertatis’
) mantengono molti punti di contatto con gli ‘amalriciani’,
con i sostenitori ( provenienti da ambienti universitari ) delle posizioni
teologiche di Amalrico di Béne,
condannate dal concilio di Parigi del 1210 e dal Concilio Ecumenico
Lateranense IV del 1215.
Gli
amalriciani si muovono sulla linea di un dichiarato
‘panteismo’, rivisitando il pensiero neoplatonico di Giovanni
Scoto Eriugena,
sostenendo che :
a) Dio é tutto,
b) tutto é Uno, c) chi segue la legge dell’amore é al
di sopra di ogni
peccato.
Con l’estasi e la
meditazione si può conseguire l’indiamento (
l’unione e la trasformazione in Dio ).
Partendo da queste
premesse, i Fratelli del Libero Spirito ritengono che, per raggiungere lo stato
di perfezione, essi devono praticare la povertà volontaria, la rinuncia alla
famiglia e vivere di elemosine. Poi, conseguita la
consapevolezza di essere incarnazione dello Spirito
Santo, quindi ‘liberi spiriti’, si affrancano da
ogni limitazione ( o legge etica ), perché il loro volere coincide con la
volontà divina, anticipando motivi fatti propri dal quietismo successivo. Ne
segue da queste posizioni la negazione del libero arbitrio, il rifiuto della
sacramentalità della Chiesa ( compresa l’eucaristìa
) e della confessione. Il pentimento non ha alcun senso.
Anche
l’Italia centrale é interessata da questo fenomeno. In Umbria
Frà Bentivegna da Gubbio
viene condannato al carcere a vita da un celebre
inquisitore appartenente all’Ordine dei Frati Minori, nientemeno
quell’Ubertino da Casale (1259-1330 ) della corrente
degli Spirituali, messo in risalto nel romanzo “Il nome della rosa” di Umberto
Eco.
Questi dissidenti
–come é facile immaginare- accusano le gerarchie ecclesiastiche di corruzione e,
al grido di “ubi autem
spiritus Domini, ibi
libertas”, rigettano i sacramenti, dichiarano
superata la fase istituzionale della Chiesa cattolica e reclamano un rapporto
più diretto con Dio.
Il papa Clemente V
li condanna con la bolla “Dilectus Domini” del 1311.
Derivato dalla
setta dei Fratelli del Libero Spirito, probabilmente, é un altro movimento
ereticale, la ‘Libera
Intelligenza’
( o ‘Uomini di
Intelligenza’ ), fondato presumibilmente da una donna di
Bruxelles chiamata Bloemardinne, intorno al 1350,
che insegna che si può conseguire uno stato di perfezione e di grazia tale da
commettere qualsiasi atto di fornicazione senza peccare, sempre secondo il detto
di S. Paolo : “Tutto é puro per i puri” ( Lettera a Tito 1, 15 ).
Bloemardinne
teorizza una dottrina del libero amore chiamato ‘amore
serafico’.
I suoi fanatici
sostenitori la venerano come una mistica e santa e, dopo la sua morte, le
attribuiscono doti taumaturgiche.
Minor fortuna
hanno due di questi, il carmelitano
Guillaume Hilderniss e
Gilles Cantor, perché
sono imprigionati per ordine del vescovo di Cambrai,
noto teologo, Pierre d’Ailly.
Gli Uomini
d’Intelligenza rivendicano il libero esame delle Sacre Scritture, perché si
ritengono pervasi dello Spirito Santo.
L’ala radicale del
movimento emigra nella Boemia, dove ha successo la
predicazione di Jan Hus.
Un taborita, Martin
Huska, diviene capo di questa frazione della Libera
Intelligenza che prende il nome di ‘adamiti’, in
nome del libero amore, del diritto di girare nudi e
della comunanza dei beni.
Secondo una
discussa ipotesi avanzata da uno studioso tedesco, Wilhelm
Fraenger, questo movimento ha influito sul pittore
fiammingo Hieronymus Bosch
( 1450 – 1516 ). Ciò lo si può desumere da una
lettura allegorica del suo complesso dipinto “Il giardino delle delizie”.
MARGHERITA
PORETE
Romana
Guarnieri, Luisa Muraro,
Michela Pereira e l’intellettuale fiorentino Marco
Vannini, hanno cercato di offrire, possibilmente, un
ritratto fedele di questa beghina fiamminga, estremamente
colta per quell’epoca, e che, per certi aspetti, si
collega ai Fratelli del Libero Spirito e, per altri, offre intuizioni che
interessano Meister Eckhart
e altri studiosi della mistica.
Il suo libro “Miroir
de l’ames simples
anientiés”, tradotto in “Specchio delle anime
semplici annientate”, o meglio noto come “Specchio delle anime semplici”,
conosce uno straordinario successo nell’arco di tre secoli da essere letto da
alcune sante. Questo scritto viene condannato al
rogo, assieme alla sua autrice, nella Plàce de Gréve
di Parigi il 31 maggio 1310, durante il regno di Filippo il Bello.
Nonostante l’ostracismo perpetrato dagli inquisitori,
da alcuni benedettini, perfino da S. Bernardino da Siena, esso conquista ampi
orizzonti fino ad essere letto dalla sorella del re Francesco I di Francia (
1494 – 1547 ), Margherita di Navarra, allora
sospetta di simpatie luterane, fino ad arrivare a noi ed essere venduto
nientemeno che nelle librerie religiose cattoliche.
Eppure Margherita
viene condannata come recidiva e solo per tre
proposizioni ritenute eterodosse.
Ma cos’ha di tanto
“diabolico” questo scritto ?
In un primo
tempo lo si attribuisce ad un’altra Margherita, S. Margherita d’Ungheria
( 1242 – 1270 ). Poi dagli atti inquisitoriali si
conosce la vera autrice, Margherita Porete,
nata a Valenciénnes intorno al 1250.
I versi della
regina-poetessa francese, sorella del rivale di Carlo V, riferiscono dello
scritto della beghina :
Ma
fra tutti uno ne vidi di una donna / che cento anni
scritto e ricolmo di fiamme /
di carità sì tanto ardentemente / che nient’altro che
amore era il suo dire / inizio e
fine di tutto il suo parlare.
‘Amore’,
dunque, é il suo dire e il suo parlare. Ecco la chiave di lettura dello ‘Specchio’.
Margherita non contrasta il dogma ecclesiastico, ma viene
condannata perché insegna l’indifferenza delle anime annientate dall’amore ( le
‘anime mistiche’ ovviamente ) rispetto alla prassi
sacramentale, alla sorte eterna e alla mediazione istituzionale della Chiesa
cattolica.
Il libro é scritto
in volgare e in forma di dialogo tra personaggi allegorici, secondo la
tradizione della ‘letteratura cortese’
( ‘Dama Amore’, ‘Cortesìa’,
‘Ragione’, ‘ Anima’ e le ‘Virtù’ ).
L’anima umana
si impegna in un cammino di perfezione, in modo da
attraversare sette livelli per poter ricongiungersi con Dio e per trasformarsi
in Lui. Insomma, deve ritrovare il
‘fine
amour’, proprio dei trovatori provenzali
ma trasfigurato in chiave religiosa. Come asserisce Andrea Moneti nel suo sito
Internet,www.storiamedioevale2.net/Medioevoereticale/mistica.htm,
“la Dama Amore non rappresenta altro che l’essenza di Dio”.
Dio può e deve
essere scoperto dentro noi stessi, come insegna S.
Agostino : “in interiore homo stat
veritas” ( “la verità risiede dentro l’uomo” ), “in
te ipsum redi” (
“ritorna in te stesso” ). Se noi non esistiamo al di fuori di
Dio ( anzi pre-esistevamo in Lui ), allora tra noi e
il Creatore sembra non sussistere una distanza ontologica .
Ecco l’accusa di panteismo mossa alla beghina come ai Fratelli del Libero
Spirito. Riscoprendo Dio in noi stessi, ne segue che l’anima deve
assumere un comportamento passivo e lasciare operare Dio in
essa.
Per raggiungere lo
stadio supremo di perfezione, l’anima deve “annichilirsi”, annullarsi,
distaccarsi da tutto per poter pervenire ad uno stato di ‘quiete’ (onde il
‘quietismo’ tanto vituperato dalla Chiesa cattolica). La “morte della
Ragione”, con le sue sottigliezze e fredde analisi” permette
una interiorizzazione spinta fino alle ultime conseguenze. Non si può
attingere il ‘fine amour’
se non si perviene al superamento della conoscenza razionale e dell’egoismo.
Bisogna poi superare le ‘virtù’ una volta praticate.
Non che le si debbano abbandonare, come si é
erroneamente interpretato, bensì nel padroneggiarle.
Questo distacco
che corrisponde alla morte dell’anima non può essere
compreso dalla filosofia e dalla teologìa.
Sembra non avere
più senso il Paradiso ultraterreno. Perché, in un certo
modo, avere una “visio
essentiae Dei” é possibile già in questa vita.
Si può raggiungere
lo stato supremo di perfezione in un “attimo” o, come Margherita lo definisce,
“moment d’heure”, una
esperienza soprannaturale che sopravanza le nostre facoltà di intelletto,
memoria, volontà. L’attimo in cui il “meno” dell’anima
lascia il posto al “più” di Dio. Diventa una ‘vita annientata
illuminata’ che continuerà a svolgere le sue
attività quotidiane, ma lo farà con la massima umiltà, all’insegna di una sola
legge : l’Amore. Secondo il detto agostiniano
: “ama e fa ciò che vuoi”.
La mistica di
Margherita Porete é così provocatoria che non può
non suscitare consensi o feroci opposizioni, come quella
inquisitoriale che vede nel suo itinerario
interiore, descritto nello ‘Specchio’ ( molti trattati medioevali sono
denominati ‘specchi’, ad offrire un’immagine riflessa delle realtà che si vuol
studiare, basti pensare allo “Specchio umano” di Domenico
Lenzi o allo “Specchio di vera penitenza” del domenicano Jacopo
Passavanti ), uno stimolo a perseguire una ‘libertà
pura ed essenziale’ del tutto aliena da conformismi
dottrinali, teologici e liturgici.
Fonte : scritti e
appunti di Francesco Cuccaro , e-mail
cuccarof@alice.it .
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