ANTICHE QUESTIONI E NUOVI
SPIRAGLI :
NAPOLI E LA CINA DUE MONDI
CHE DIALOGANO
di Vincenza Cinzia Capristo
Dal 5 al 7 ottobre
2009 a Napoli si è tenuto il convegno “Un ponte tra Oriente ed Occidente –
Napoli e la Cina” organizzato dall’Arcidiocesi di Napoli in collaborazione con
l’Università degli Studi di Napoli ‘L’Orientale’ e la Comunità di Sant’Egidio.
“Una iniziativa quanto mai opportuna per approfondire la reciproca conoscenza
fra la Cina e l’Occidente attraverso una riflessione sui rispettivi approcci
alla religione, alla cultura”, parole queste pronunciate dal Cardinale
Crescenzio Sepe, in apertura del convegno, e ribadite dalla Prof. Lida Viganoni,
Rettore dell’Università ‘L’Orientale’, che ha ospitato una delle giornate
dell’incontro, in apertura del convegno così come la chiusura affidata al
fondatore della Comunità di Sant’Egidio Andrea Riccardi ha fatto emergere come
si possa parlare di Orienti e di Occidenti ossia di “diversità nelle unità”. La
seconda giornata, suddivisa in due sessioni, ha offerto l’opportunità di parlare
di Missioni cattoliche, di rapporti tra Chiesa cattolica e Cina, e di far
emergere il grande legame che la Campania ha con l’“Impero di Mezzo” come emerge
dall’intervento del Prof. Adolfo Tamburello che, rifacendosi al titolo del
convegno sottolinea: “mi viene di condividere che Napoli sia stata veramente,
almeno per la nostra penisola, un ponte dalla Cina e per la Cina. Lo è stata
almeno dall’età romana, quando il porto di Puteoli, l’odierna Pozzuoli, non era
ancora stato oscurato da quello di Ostia e vi sbarcarono merci provenienti dalla
lontana Cina”. Così come è stato più volte evidenziato che il dialogo con il
Celeste Impero, interrotto decenni fa, riparte dal Collegio dei cinesi, oggi
Orientale di Napoli, e da Matteo Ripa suo fondatore; in merito il Prof.
Tamburello ricorda: “Prima istituzione in Italia per l’apprendimento del cinese
[…] Dal 1888, con l’intervenuta trasformazione del Collegio in Regio Istituto
Orientale, Napoli si confermava come un centro italiano di prestigio per gli
studi cinesi e orientali in genere. […] Il suo smantellamento vide alla fine
dell’Ottocento la graduale sparizione di una presenza di cinesi a Napoli”. La
riapertura della Chiesa della Sacra Famiglia dei Cinesi a Napoli pochi mesi or
sono ha portato una nuova ventata di ottimismo per un argomento che da troppo
tempo è stato sottaciuto: i legami tra Chiesa cattolica e Cina.
Ricordiamo che le
prime forme di cristianesimo sono legate al nome dei nestoriani, tuttavia, è con
le Missioni ad Tartaros e le prime ambascerie che si apre per la Chiesa
cattolica un varco verso l’Impero Celeste. Tuttavia, occorrerà arrivare al 1922,
con la nascita di una prima Delegazione Apostolica, affinché si possa parlare di
un vero e proprio processo di evangelizzazione cinese, che si intreccerà nei
punti essenziali del suo nascere con quello giapponese. Con il primo Delegato
Apostolico Celso Costantini, ricordato anche dal Prof. Agostino Giovagnoli, si
apre uno spiraglio di dialogo tra autorità cinesi ed autorità della Chiesa di
Roma, distaccandosi da vecchie questioni come il Protettorato francese e
sganciando il Delegato Apostolico da posizioni di pertinenza degli Stati
sovrani. Non fu un caso che all’indomani della formazione del Governo di
Nanchino da parte di Chiang Kai-shek (Jiang Jieshi) nel 1928 Pio XI (Achille
Ratti, 1922-1939), nel famoso Messaggio indirizzato al popolo cinese del
I agosto 1928, legittimò questo Governo assoggettandosi al diritto comune e
affermando che la Chiesa cattolica avrebbe seguito la legislazione vigente di
quello Stato. Con la figura di Costantini il dialogo con l’Estremo Oriente e
soprattutto con la Cina non si spezza neppure quando, rientrato in Italia a
conclusione del suo mandato, nel 1935 viene nominato Segretario di Propaganda
Fide. Negli anni successivi, il suo interesse per la Cina lo porterà a
contatti con L’ISMEO, oggi IsIAO, e ad allacciare rapporti amichevoli con
l’orientalista Giuseppe Tucci che sfoceranno in una serie di conferenze
sull’Estremo Oriente. Così come Costantini ieri, oggi il Cardinale Sepe riapre
un dialogo interrotto con la Cina, muovendo da questo Convegno e costruendo
sulla riva a Occidente, partendo da Napoli, un ponte che dovrebbe ricongiungersi
con la riva a Estremo Oriente della Cina.
Se il convegno di
Napoli ha posto l’accento su alcune questioni che sottendono i rapporti tra Cina
e Santa Sede e che sono stati motivo di scontro, così come lo stesso Prof. Ren
Yanli nella sua relazione ha fatto emergere, tanto da ritardare qualsivoglia
apertura di dialogo come la nomina dei vescovi e i rapporti diplomatici;
tuttavia bisogna rilevare che da alcuni documenti ritrovati di recente negli
archivi di Propaganda Fide, datati 1934 all’epoca venne proposta la
stipula di un Concordato tra Cina e Santa Sede, Concordato che poteva essere una
ipotesi vincente e regolare la questione della libertà religiosa mettendoordine
su tematiche comuni tra Cina e Chiesa cattolica, entrando nel merito di
questioni di pertinenza sia della Chiesa cattolica sia dello Stato cinese. Tale
ipotesi, talaltro, era già stata sollevata dalla Francia prima di rompere le
relazioni con la Santa Sede nel 1906, pensando di trasformare in fieri il
Protettorato sulle Missioni cattoliche in Cina spingendo la Santa Sede verso un
Concordato perché solo questa ipotesi di accordo poteva risolvere la questione
della libertà religiosa.
Nel Convegno di
Napoli la relazione del Prof. Zhao Shuqing ha delineato un quadro delle
religioni presenti oggi in Cina muovendo da una indagine specifica condotta su
tutto il territorio cinese, a partire dal 2007, e non ancora portata del tutto a
compimento. Le conclusioni alle quali giunge lo studioso cinese sono confortanti
anche se vi sono questioni ancora da risolvere; convinto che il periodo storico
che stiamo vivendo è quello di maggiore libertà e sviluppo religioso che la Cina
abbia mai vissuto, sostiene: “In futuro le riforme del Governo cinese in materia
religiosa faranno probabilmente sempre più attenzione a quegli aspetti delle
varie religioni che possono esercitare una funzione positiva e benefica
sullasocietà nel suo insieme”. A parere di chi scrive, la questione della
libertà religiosa potrebbe trovare soluzione, ancora oggi, in un vero e proprio
Concordato tra Cina e Santa Sede, restando fondante su tematiche comuni tra
Stato cinese e Chiesa cattolica e regolando sia la questione della nomina dei
vescovi cinesi sia, quello che ha accomunato il Governo della destra
nazionalista, la Cina comunista di Mao Zedong, ma ancora oggi attanaglia la
nuova Cina, i valori da porre alla base dell’educazione dei giovani.
Le scuole e
l’educazione ancor oggi restano il punto focale su cui si dibatte. Se il Prof.
Zhao Shuqiing nel suo intervento sostiene che “In questo momento il popolo
cinese si sta sforzando di costruire una “società armoniosa” e il Prof. Ren
Yanli parla di una questione religiosa che potrebbe trovare nuovi spiragli di
dialogo e avviare quei rapporti diplomatici tanto agognati, bisogna ricordare
come proprio quest’ultimo rammenta che il dialogo tra Cina e Santa Sede fu
interrotto dopo la presa di potere, nel 1949, di Mao Zedong, con l’espulsione di
tutti i missionari stranieri dal suolo cinese nel 1952. Dal 1922 al 1952 troppe
cose sono successe sia in campo ecclesiale sia in campo politico, affinché un
qualsiasi processo di evangelizzazione potesse attecchire in un paese che non
aveva nessuna tradizione cristiana. Inoltre, la guerra cino-giapponese e la
situazione internazionale influirà sul processo di evangelizzazione cinese,
in primis l’entrata dell’Italia nel Patto Anticomintern che porterà l’Italia
a diventare Paese nemico della Cina, decretava la disfatta e la chiusura di
qualsiasi dialogo tra Chiesa cattolica e Cina. In quegli anni la situazione in
Estremo Oriente preoccupava in particolar modo la Francia temendo che l’Italia,
approfittando delle relazioni col Giappone per il Patto Anticomintern, potesse
sostituirsi ad essa in qualità di rappresentante di tutti i cattolici
dell’Estremo Oriente; questo soprattutto a guerra finita, nell’eventualità di un
pieno successo dell’Asse, peraltro facilitata dalla diplomazia vaticana per i
buoni rapporti con la Santa Sede dopo i Patti Lateranensi. Tuttavia, occorreva
tener presente che de facto
il Protettorato francese non esisteva più, in quanto
i missionari erano ormai protetti dai rappresentanti delle proprie nazioni.
Ricordiamo che la rinuncia dei privilegi consolari avvenne con la Conferenza del
Cairo nel 1943 e che non tutti gli Stati rinunciarono nello stesso anno,
l’Italia vi rinunciò solo a guerra finita nel 1947.
Il Governo
nazionalista rappresentato da Chiang Kai-shek in piena guerra, dopo
l’occupazione di Nanchino da parte giapponese (il 14 dicembre 1938), aveva
trovato riparo a Zhongqing, mentre a Nanchino si costituiva un Governo
“fantoccio” giapponese guidato da Wang Jingwei, che avrebbe ottenuto il
riconoscimento delle Potenze dell’Asse schierate al fianco del Giappone; mentre
il Governo di Zhongqing fu riconosciuto dagli anglo-americani come
l’unico Governo rappresentante legale della Cina. Se spesso si parla di rapporti
diplomatici tra Cina e Santa Sede molti dimenticano che questi furono instaurati
nel 1942, in pieno conflitto mondiale e complicati dalla contemporaneità
dell’accreditamento di una rappresentanza giapponese, oltre al fatto che
entrambi i due coesistenti Governi cinesi chiederanno di allacciare relazioni
diplomatiche con essa. Nonostante questo, i negoziati tra Cina e Santa Sede
continuarono, ma con discrezione. Il pontefice Pio XII (Eugenio Pacelli,
1939-1958) approvava la richiesta del Governo cinese di intrecciare rapporti
diplomatici bilaterali e disponeva di ricevere nell’immediato un inviato cinese,
riservandosi di procedere alla nomina di un Nunzio Apostolico in un momento più
opportuno. Di ciò fu, riservatamente, informato il Delegato Apostolico a Tokyo,
mons. Paolo Marella, poiché si presagiva che l’annuncio di rapporti diplomatici
tra Cina e Santa Sede avrebbe provocato ripercussioni sfavorevoli in Giappone.
Si sperava con tale annuncio di porre un freno all’instaurazione di relazioni
diplomatiche tra Santa Sede e Giappone anche se quest’ultimo aveva sin dal 1922
manifestato il desiderio di allacciare relazioni diplomatiche con la Santa Sede.
Alla notizia che Harada Ken, Consigliere d’Ambasciata e Incaricato d’Affari del
Giappone in Francia, veniva nominato Inviato Straordinario e Ministro
Plenipotenziario presso la Santa Sede il 26 marzo 1942 accreditandolo il 9
maggio 1942 come primo Delegato Speciale, col rango di Ambasciatore, le critiche
dell’intero mondo non tardarono ad arrivare: eravamo in piena guerra mondiale e
negli Stati Uniti e nell’Inghilterra la stampa criticava il momento scelto,
anche se bisogna ricordare che restava ancora aperta la questione della
reciprocità che, per la contemporaneità della rappresentanza cinese, slittava a
data più appropriata.
L’opinione pubblica
inglese muoveva la sua critica, condividendo il giudizio degli americani, di
considerare proditorio l’attacco dei giapponesi alla base americana di Pearl
Harbor e una flagrante violazione del diritto internazionale poiché gli aerei
giapponesi, prima di alcuna dichiarazione di guerra, avevano attaccato mentre
gli inviati a Washington continuavano a fare proposte di pace. Inoltre, su tale
giudizio pesavano le atrocità commesse dai giapponesi nei confronti dei
cittadini britannici catturati a Hong Kong e in molte comunità cattoliche delle
Filippine, dove le chiese erano state violate e profanate e i leader
militari giapponesi avevano dichiarato di condurre una campagna contro
l’influenza della razza bianca e quindi anche contro la Chiesa cattolica.
Tuttavia, i cattolici che si trovavano nei territori occupati dal Giappone erano
molti e la Santa Sede aveva il dovere di tutelarli, lo stesso clero giapponese
era preoccupato per le conseguenze della simultaneità delle rappresentanze
perché ciò avrebbe aumentato in Giappone i sospetti sulla natura del
cattolicesimo sia da parte militare che politica, nonché avrebbe potuto
scatenare eventuali attacchi militari e rappresaglie alle Missioni cattoliche e
alle proprietà degli stranieri. Solo con rapporti più consolidati tra Santa Sede
e Governo giapponese si sarebbero potuti salvaguardare le sorti dei tanti
cattolici.
Inoltre, il
disappunto del Governo filo-giapponese di Nanchino fu tale da sollevare una
questione alla base di un dibattito di natura giuridica che impose alla Santa
Sede il riconoscimento dei due Governi cinesi che chiedevano entrambi una
rappresentanza in Vaticano. La questione fu sollevata dal desiderio del Governo
di Tokyo affinché anche il Governo filo-giapponese di Nanchino fosse
rappresentato presso la Santa Sede. In sostanza, la questione riguardava il
diritto internazionale e la giuridicità di uno Stato. Si poneva la questione del
riconoscimento di un nuovo soggetto del diritto internazionale sorto durante una
guerra in atto o a causa di un’insurrezione.
La Santa Sede cercò
di mantenere la più stretta imparzialità non solo di fronte al conflitto armato,
ma prese le distanze da atti di guerriglia che avrebbero potuto portare a
riconoscimenti de facto di governi sorti proprio da vicende belliche. In
questo scenario non certo facile, le trattative tra Cina e Santa Sede
continuarono tanto che il Governo di Zhongqing, unico Governo cinese legittimo,
nominava formalmente, con decreto governativo, Shou Gangxie Inviato
Straordinario e Ministro Plenipotenziario presso la Santa Sede; tuttavia solo il
20 aprile 1943, Pio XII esprimeva il suo gradimento al Presidente della
Repubblica cinese Lin Sen accreditando il rappresentante cinese; il ritardo fu
dovuto a disposizioni che riguardavano il Concordato del 1929 tra Italia e Santa
Sede sulla sistemazione della dimora delle rappresentanze diplomatiche vaticane
sancite dall’art. 12 del suddetto trattato. Mentre la Santa Sede, che aveva
posto una riserva al trattato, la non immediata reciprocità, decideva di
posticipare l’invio di un proprio rappresentante a data più appropriata.
La rappresentanza
veniva così regolata nel 1946 elevando la Delegazione Apostolica al rango di
Internunziatura, poiché sembrava giunto per la Chiesa cattolica il momento più
opportuno, visto i successi ottenuti durante la guerra cino-giapponese con le
sue tante opere umanitarie messe in campo. Tuttavia, il capovolgimento di regime
aveva sancito la rottura delle relazioni diplomatiche tra Santa Sede e Cina,
anche se per una serie di circostanze l’Internunzio Antonio Riberi fu
considerato persona non grata sia a Pechino dal nuovo regime sia a Taipei dove
aveva trovato riparo il Governo di Zhongqing, rappresentato da Chiang Kai-shek.
Il Riberi, già nel settembre 1940, fu oggetto di critiche quando si sfiorò un
incidente diplomatico tra Santa Sede e Gran Bretagna poiché quest’ultima, che
aveva un protettorato su Mombasa, aveva richiesto l’allontanamento dell’allora
Delegato Apostolico mons. Riberi, gesto questo che non sembrava riconducibile ad
alcun disegno di ristrutturazione gerarchica. Le autorità britanniche pur non
imponendogli la partenza ed elogiandone la persona e l’operato, ne chiesero
l’allontanamento, considerandolo persona non grata.
Le due Cine: quella
comunista di Mao, riconosciuta dal blocco sovietico, e quella nazionalista di
Chiang Kai-shek, riconosciuta dagli Alleati, avevano sancito la disfatta della I
Internunziatura cinese. Ancora oggi la questione viene dibattuta a livello
internazionale sollevando una disquisizione del tutto giuridica sul caso della
rappresentanza cinese, ossia il caso cinese ricade nell’ipotesi di rottura di
relazioni diplomatiche o di sospensione di rapporti diplomatici? A parere di chi
scrive la rappresentanza cinese sembra trovare soluzione nell’ipotesi di rottura
di relazioni diplomatiche, poiché era in atto un capovolgimento di regime e in
tali circostanze era impensabile per l’Internunzio Riberi restare nella Cina
comunista poiché il suo accreditamento e le trattative dei rapporti diplomatici
erano stati avviati e siglati sotto un altro Governo: il Governo nazionalista, e
solo a questi l’Internunzio poteva fare appello, considerando che questo stesso
Governo aveva dato la possibilità a Riberi, di seguirlo a Taipei, richiesta in
un primo momento non accettata, ma che in seguito fu presa in considerazione per
il mancato accordo con la Cina di Mao.
Per circa trent’anni
questo stato di cose sembrava aver delineato la morte delle religioni
considerate “oppio dei popoli”. La morte di Mao nel 1976 e la nuova fase di Deng
Xiaoping, così come ricordato dal convegno di Napoli, aveva portato sin da
subito un nuovo clima in fatto di liberalizzazioni; tuttavia, se Deng aveva
avviato quelle riforme che la società cinese auspicava, ancora restano molti
nodi da sciogliere in campo di libertà tanto civili che religiose! La fase del
socialismo reale non ha prodotto quelle libertà che ci si auspicava, per cui si
è ritornati a parlare di vecchie questioni e nuovi problemi! Il processo di
globalizzazione, come hanno ricordato gli esperti economici nell’ultima sessione
del convegno di Napoli, ha ridisegnato la geo-politica del mondo, come sostenuto
dal Prof. Franco Mazzei si deve parlare allo stato attuale di interculturalismo.
L’entrata della Cina nel “World Trade Organization” (WTO) nel 2001 ha portato il
paese a nuove challengs. Così come fatto rilevare dal Prof. Sergio
Sciarelli, l’economista non può più occuparsi solo ed esclusivamente di
economia, ma deve interagire, in sinergia con il mondo che lo circonda, con i
vari saperi.
Si riparte da Napoli,
dal dialogo inter-religioso e da una serie di volumi di prossima pubblicazione
dell’Università degli Studi di Napoli ‘L’Orientale’ di Napoli, uno dei quali già
pubblicato dalla Prof. Marisa Siddivò dal titolo: Le nuove sfide per
l’internazionalizzazione nell’ambito del Progetto di ricerca Campania-Asia
diretto dalla Prof. Silvana De Maio; a questo volume si aggiungerà un altro
volume in preparazione che metterà in risalto, tra l’altro, il legame tra Napoli
e la Cina con uno studio relativo ai missionari campani che partirono alla volta
della Cina, nonché sull’attuale presenza cinese a Napoli. La Campania riapre il
dialogo con l’Impero Celeste, si spera che questa Regione sappia coglierne
l’opportunità.
A chiusura del
convegno il Ministro dei Beni e delle Attività Culturali Sandro Bondi ha
annunciato che il 2010 sarà l’anno della “Cina in Italia”, anno in cui grazie a
numerose iniziative e progetti i due paesi rafforzeranno la loro conoscenza
reciproca e le relazioni economiche.
Fonte : scritti della dott.essa
Vincenza Cinzia Capristo ; articolo pubblicato sulla rivista "Il Cerchio", N°73,
Anno XV, ottobre/dicembre 2009, sito web
www.cerchionapoli.it .
* Vincenza Cinzia
CAPRISTO ( e-mail:
capristocinzia@libero.it ) è laureata in Scienze Politiche con indirizzo
Internazionale alla “Cesare Alfieri” di Firenze, in Storia Politica e
Diplomatica dell’Asia Orientale. Dal 2000 si occupa di storia del Cristianesimo
in Cina, in particolare i suoi studi sono indirizzati ai secoli XIX e XX. Al suo
attivo varie pubblicazioni su queste tematiche. Collabora per alcuni progetti di
ricerca con l’Orientale di Napoli, l’Università Pontificia dell’Italia
Meridionale di Napoli e altri centri di ricerca. È membro dell’Associazione
Culturale Orientalia Parthenopea di Napoli
www.orientaliaparthenopea.org
.
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