ASPETTI PSICO-SOCIALI DEL
FENOMENO "STALKING" : CAUSE E POSSIBILI RIMEDI
di Elisa Sparano Bosco
Lo stalking è un fenomeno psicologico e
sociale molto complesso, conosciuto ormai come “sindrome del molestatore
assillante” o “obsessional following” che è diventato oggetto di studi specifici
, con rilevanti implicazioni nel campo giuridico, e che si sta diffondendo
sempre di più o perché sta aumentando la violenza o perché ne stiamo venendo
maggiormente a conoscenza.
Stalking è un termine inglese (dal verbo
to
stalk , utilizzato nel linguaggio venatorio), che significa braccare, fare la
posta, pedinare, controllare, tormentare ed indica una serie di atteggiamenti
tenuti da un individuo ai danni di un’altra persona, in genere di sesso
opposto,perseguitandola,intromettendosi nella sua vita privata, con pedinamenti,
e-mail, sms, attese fuori casa o sotto la finestra o addirittura con attenzioni
gradevoli (es. inviare continui regali, fiori, bigliettini esaltanti etc.), ma
sempre in modo ossessivo, assillante, persistente, che fa sorgere stati di ansia
e di paura, in un crescendo culminante in minacce verbali o scritte, che, da
persecuzioni psicologiche degenerano a volte in aggressioni fisiche, altre volte
in stupro e altre in omicidio.
Già nel 2002 l’0sservatorio Nazionale
Stalking ha rilevato che, per potersi definire stalking, tali molestie devono
essere continuative, proseguire per un periodo minimo di quattro settimane e
intese a suscitare disagio emotivo ; ciò al fine di differenziare un normale
tentativo di avvicinamento a una persona dallo stalking vero e proprio.
Pochi conoscono il fenomeno stalking e la
sua pericolosità, anche se le storie di persecuzione psicologica e fisica nei
confronti soprattutto delle donne, sono molto più diffuse di quello che si possa
immaginare, con conseguenze devastanti sul piano psico-fisico-lavorativo-sociale-familiare della vittima.
Sia l’O.N.S. , sia il Modena Group on Stalking
e molti psichiatri, psicologi, criminologi impegnati in progetti di ricerca
multicentrico-internazionale, diretta a combattere la violenza contro le
donne, hanno rilevato che le vittime sono per l’82 per cento donne, che però solo
nel 17 per cento dei casi sporgono denuncia nei confronti dei loro persecutori.
Secondo l’ISTAT circa il 10 per cento degli omicidi volontari avvenuti in Italia
dal 2002 al 2008 ha avuto come prologo atti di stalking; almeno una donna su
due ha subito nella sua vita aggressioni psicologiche o fisiche e una su 34, tra
i 14 ed i 60 anni, ha subito uno stupro.
In America i dati sono ancora più
elevati, però circa il 55 per cento delle donne perseguitate dichiara di essersi
rivolta alle Forze dell’Ordine, contrariamente a quanto è avvenuto sinora in
Italia. Sono soprattutto esposte a tali persecuzioni le categorie di donne
e, in minor parte, di uomini che svolgono le cosiddette “professioni di aiuto”,
come medici, infermieri, insegnanti, psicologi, avvocati, in quanto lo stalker
riscontra negli appartenenti a tali professioni chi può maggiormente rispondere
alle proprie esigenze; però, se viene respinto, si sente tradito e nutre
desideri di vendetta.
Ma chi è esattamente lo stalker e perché lo
fa ? Quale è la genesi del suo comportamento deviante, antisociale, così dannoso
per la società?
Cerchiamo di rispondere gradatamente a questi
interrogativi, premettendo che :
lo stalker nell’85 per cento dei casi è
maschio ; può essere un conoscente occasionale o un totale sconosciuto o
qualcuno che si conosce bene ; nella maggior parte dei casi è un ex partner , che
agisce per recuperare il precedente rapporto oppure per vendicarsi
dell’abbandono ; solo nel 20 per cento dei casi presenta psicopatologie gravi o
disturbi mentali con convinzione di avere relazione con l’altra persona, mentre
negli altri casi si tratta di persone apparentemente normali che non hanno mai
sofferto di psicosi, ma evidentemente hanno a monte , nella loro personalità,
altri problemi su cui dopo ci soffermeremo.
Esaminiamo ora il profilo di sei tipologie di
stalkers che i gruppi di ricerca psico-sociali stanno approfondendo.
Una prima tipologia è definita il “risentito
“. Il suo comportamento è spinto dal desiderio di vendicarsi di un danno o di un
torto che ritiene di aver subito.
La seconda tipologia è stata denominata il “
bisognoso di affetto “ in quanto ricerca attenzioni amichevoli o una relazione
di amore, convinto che la vittima sia l’amico o l’amica ideale, che lo possa
aiutare attraverso la relazione desiderata a risolvere la propria mancanza di
amore e di affetto.
La terza tipologia è definita il “
corteggiatore incompetente “ il cui comportamento è dovuto alla sua scarsa
competenza relazionale e si traduce in atteggiamenti opprimenti ed aggressivi.
La quarta categoria è il “ respinto “, che è
in genere un ex partner che tende a ristabilire la relazione con la persona
amata.
La quinta categoria, particolarmente
pericolosa, è quella del “predatore “, il quale desidera avere rapporti
sessuali con una persona spaventata, provando senso di potere nel vedere la
paura nella vittima e nell’organizzare l’assalto.
Vi sono, poi, molti adolescenti, definiti
“baby stalkers “ , che hanno comportamenti disturbanti, persecutori, ossessivi,
necessitanti anche solo di un contatto visivo con la vittima eletta, i cui
segnali negativi o di indifferenza vengono interpretati positivamente, in quanto
l’idea di un rifiuto sarebbe un intollerabile attacco al proprio Io.
A tale elencazione aggiungerei il potenziale
stalker, cioè il soggetto con personalità psicologicamente fragile che potrebbe
diventarlo per imitazione, venendone a conoscenza attraverso i mass-media.
Come abbiamo visto dalle varie tipologie,
lo stalker è motivato da numerosi bisogni e desideri che potrebbero sembrare
anche validi, ma che non giustificano la sua condotta persecutoria,alla cui
base c’è una alterata interpretazione delle risposte della vittima, lette da lui
sempre come assenso alle proprie aspettative.
Che cosa succede, quindi, nel passaggio dallo
stato di motivazione iniziale dello stalker alla sua condotta persecutoria ?
Per comprendere la sua dinamica mentale mi
vorrei soffermare su tre punti fondamentali ed interdipendenti, che
ritengo stiano al centro del suo quadro comportamentale.
Essi sono :
1) la motivazione, che consiste nel
bisogno-desiderio dello stalker e che è la spinta propulsiva all’azione;
2) la frustrazione, che deriva
dall’inappagato stato motivazionale e che si estrinseca nel disagio e nella
delusione , come nel caso dello stalker per il rifiuto della vittima ;
3) la reazione, che si verifica come
risposta alla frustrazione subita e che può essere “adeguata” o “non
adeguata”, come dopo vedremo.
Analizziamo ora separatamente questi tre
punti e tutti i meccanismi consci e inconsci che conducono al comportamento
persecutorio. Soffermiamoci, perciò, sul primo punto, cioè sul concetto
di motivazione. Questa è essenziale all’essere umano in quanto è
responsabile di tutte le sue azioni, delle sue aspirazioni e delle differenze
individuali ; come dice, infatti, lo psicologo inglese Hans Jurgen Eysenk, “
senza di essa non sarebbe mai stato eseguito il lavoro del mondo e la storia
dell’uomo sarebbe nulla di fatto “.
Dobbiamo, però, rilevare che proprio la
motivazione può essere fonte di frustrazione e di conflitti psichici, laddove
un ostacolo si interpone tra soggetto e oggetto. L’uomo, infatti, è sempre
motivato al raggiungimento di fini che ritiene appetibili o al soddisfacimento
di un proprio bisogno ; anzi,a volte, si trova di fronte a due o più mète che
sono della stessa valenza emotiva e sono incompatibili, perché simultanee e
immediate, per cui entra in uno stato conflittuale (es. mangiare o
dimagrire, dormire o andare in discoteca ; scegliere fra il licenziamento o un
impiego dannoso per la salute ; etc.) .
Ritengo che ciò capiti frequentemente nella
società odierna, in cui l’uomo è sottoposto a molteplici sollecitazioni e
pressioni sociali, che fanno sorgere varie motivazioni contrastanti con
conseguenti stati conflittuali . Vorrei ricordare, in proposito,
l’interessantissima “Teoria del campo” di Kurt Lewin, pioniero della
psicologia sociale,il quale descrive la situazione conflittuale e frustrante, in
cui l’uomo viene a trovarsi, come un “campo di forze”, tutte psicologicamente
rilevanti, che lo spingono in contrapposte direzioni, generando in lui il
desiderio immediato di “fuga dal campo” , che può verificarsi con la fuga vera
e propria, ma anche con la malattia mentale, la malattia psicosomatica, il
suicidio, etc., etc..
Come vediamo, il passaggio dalla motivazione
alla frustrazione, cioè al secondo punto, avviene facilmente
perché gli stati motivazionali e quelli frustranti sono intimamente connessi e
si alternano continuamente nell’uomo ( il quale ha sempre nuovi bisogni ed
esigenze e non riesce ad appagarli tutti) .
La frustrazione è lo stato di disagio o di
delusione derivante dall’inappagamento di un desiderio.
Ogni frustrazione comporta sempre
conseguenze relative all’intensità della motivazione inappagata e alla
situazione in cui essa si verifica, nonché una risposta reattiva da parte del
soggetto . Siamo così giunti ad esaminare il terzo punto, cioè la capacità
di reazione. Essa è una modalità di adattamento, che l’uomo, volutamente
o no, mette in atto quando si verifica uno stato emotivo spiacevole ; è un “
meccanismo di difesa “ che tende ad aumentare l ‘autostima ed a diminuire
l’angoscia di fronte a una sconfitta ; è, inoltre, necessaria per superare le
frustrazioni subite e per poter riaprire un nuovo ciclo motivazionale.
Molte sono le risposte agli stati
frustranti. In genere quella più comune è l’aggressività. Si può,
comunque, reagire alla frustrazione anche con comportamenti diversi, come la
razionalizzazione (di cui un esempio è la favola di Esopo “La volpe e
l’uva”), la regressione (che si manifesta con piagnucolamento e bisogno
eccessivo di coccole), la fissazione (che può giungere fino alla
”fissazione patologica”), la stereotipia (consistente nella ripetizione
di comportamenti sempre uguali), l’apatia (per cui si può pervenire sino
al blocco totale di reazione), la fantasticheria, etc.
Le risposte alla frustrazione sono differenti
in ogni individuo e variano secondo la personalità del soggetto. Ad esempio
l’aggressività, che è una giusta potenzialità difensiva ( per garantire, come dice
Fromm, la propria identità), può sfociare, in alcuni casi, in attività
distruttiva, a seguito di apprendimenti sbagliati. E ciò perché, come hanno
dimostrato gli psicologi sperimentalisti, l’aggressività, considerata da Freud
(che per primo vide la stretta correlazione tra frustrazione ed aggressività)
un istinto innato nell’uomo, dovuto al defluire dell’energia psichica, è,
invece, una predisposizione genetica che si manifesta in determinate situazioni
ambientali e si sviluppa attraverso modelli educativi e l’imitazione.
Ciò avviene anche per le altre forme di
reazione alla frustrazione (che abbiamo precedentemente citato) , come si è
visto con i vari esperimenti di Dollard, Bandura, Miller, Brown, effettuati su
cavie da laboratorio.
Un esperimento classico, inoltre, effettuato
da Barker su due gruppi di bambini di età prescolastica (pressoché simili per
estrazione sociale e per condizioni fisiche ) mette in luce alcune conseguenze
immediate della frustrazione infantile,come ora vedremo.
Vengono, infatti, messi a disposizione dei
bambini vari giocattoli incompleti.
Il primo gruppo gioca serenamente, sostituendo
con la fantasia le parti mancanti dei giocattoli. Al secondo gruppo vengono
egualmente consegnati altrettanti giocattoli incompleti,i cui pezzi mancanti
sono però visibili al di là di uno schermo trasparente ; i bambini, vedendoli, ma
non potendoli raggiungere,entrano in uno stato di frustrazione a cui reagiscono
con comportamenti diversi, secondo la propria capacità adattiva (alcuni
sdraiandosi sul pavimento e fissando il soffitto, altri piagnucolando, altri
rompendo i giocattoli, altri recitando filastrocche,etc.).
Come si vede anche da questo esperimento,
dietro ogni risposta ed ogni azione dell’essere umano, c’è il suo mondo
interiore, fatto di razionalità e di spiritualità, di istintualità e di
emotività, di contenuti inconsci e di esperienze positive o negative, di
apprendimenti individuali e socio - ambientali – etico - religiosi, che,
intrecciandosi con il bagaglio genetico, costituiscono la personalità.
Ad esempio, ritengo che oggi i numerosi casi
di violenze giovanili siano influenzati da un generalizzato decadimento di
principi morali che privilegiano forme di relativismo egoistico, privo di
valori trascendenti !
Secondo, quindi, la personalità del soggetto
ed i fattori genetico-ambientali che l’hanno costituita, si ha la reazione alla
frustrazione che può essere adeguata, se la personalità è equilibrata, oppure
inadeguata se è psicologicamente disturbata.
Chiariamo ancora meglio : una risposta è
adeguata quando è proporzionata all’intensità della frustrazione subìta e non
supera una certa soglia ; è invece inadeguata quando è sproporzionata alla
situazione frustrante, come nel caso dello stalker, il quale rivela un’assoluta
incapacità a tollerare le frustrazioni.
Prendiamo ad esempio il delitto passionale,
cui lo stalker a volte perviene dopo una lunga ed estenuante serie di
persecuzioni.
Tale delitto viene descritto da molti
criminologi e sessuologi contemporanei, quali Massimo Buttarini, Marinella
Cozzolino etc., come particolarmente cruento ed efferato e la violenza che si
scatena in questi casi sembra sproporzionata al movente.
In realtà, l’omicidio passionale è l’apice di
un grande accumulo di tensione interna, di rabbia che cerca disperatamente un
modo per scaricarsi. Sottolineano, infatti, i criminologi che, quando lo stalker
uccide con 30/40 coltellate, è come se dicesse “ti uccido per questo, per questo
e per questo”.
La genesi di questo comportamento,
nonché
delle varie forme di condotta deviante dello stalker si deve far
risalire alla
sua infanzia ed ai disturbi nella sfera affettiva ad essa collegati
(ovviamente
nei casi in cui non si hanno patologie mentali congenite). Egli,
cioè,
sicuramente da piccolo non ha avuto dei legami di attaccamento
gratificanti,che sono fondamentali per l’essere umano, il quale, come
dice il Bowlby, è programmato, per un meccanismo genetico di
sopravvivenza, ad
attaccarsi a qualcuno,altrimenti morirebbe.
Se, quindi, non riceve sufficienti cure e
rassicurazioni, finalizzate ad acquietare le naturali paure ed angosce
infantili, evidenzierà, in età adulta , disturbi affettivo-emotivi e potrà
manifestare “angoscia da separazione”.
Questa psicopatologia, che viene definita
“disturbo Bordeline di personalità”, (cioè linea di confine tra
normalità e psicosi) si riferisce proprio a quel senso di annientamento e di
catastrofe emotiva che avvertono alcuni soggetti di fronte all’ipotesi di un
abbandono, per cui la persona, dapprima amata, ai loro occhi, si trasforma da
angelo in demonio.
Tali soggetti evidenziano anche grande
instabilità emotiva e la loro vita è caratterizzata da relazioni affettive
intense e turbolente che terminano bruscamente.
Il Comitato Nazionale di Bioetica, in
proposito, in alcuni importanti documenti, sottolinea la gravità della
deprivazione affettiva ai danni di un bambino, dal periodo prenatale alla prima
infanzia, da cui dipende il tipo di relazioni che l’individuo adulto avrà con la
realtà esterna e nel quale si possono annidare desideri di morte e di terrore.
La madre, perciò,(o anche il padre) deve
avere la capacità, che Donald Winnicott chiama “holding“, di far
sperimentare al bambino la separazione (che in seguito si dovrà comunque
verificare) in maniera graduale e, quindi, non traumatica, sapendo quando
intervenire per dare amore e quando mettersi da parte, nel momento in cui egli
non ha bisogno di lei, favorendo così la crescita del vero sé e la
sicurezza emotiva.
A tal punto io direi che sarebbe utile per i
giovani, futuri genitori, una educazione alla genitorialità , oltre che alla
sessualità, affinché possano prendere coscienza delle loro responsabilità.
Molto complessa e problematica , dunque , è
la personalità degli stalkers, i quali hanno sviluppato un falso sé,
privo di autonomia e di autostima. Essi , anche se con gradazioni diverse,
evidenziano una fragilità psicologica con disturbi affettivo-emotivi, a cui si
accompagnano forme di egoismo e di egocentrismo, tipici di una personalità
immatura, incapace di accettare sconfitte.
Lo stalker, infatti, data, come
abbiamo visto,
l’incapacità a relazionare ed a comunicare adeguatamente, si rifugia in
forme
di regressione e di fissazione patologica, cercando insistentemente ed
ossessivamente di avvicinarsi alla vittima designata con modalità
adattive
sbagliate, intese a sottometterla alla sua volontà o alla sue attenzioni
pseudo-affettive, ritenendola esclusivamente sua e di nessun altro.
Sono questi i motivi , a mio avviso, per cui
lo stalker segue una lunga e stancante condotta persecutoria, prima di giungere
ad eccessi di violenza.
In ogni caso, non è da sottovalutare il
fenomeno stalking in quanto , anche quando non si spinge fino ad atti di grave
violenza o di stupro, l’estenuante periodo di molestie ossessive genera nella
vittima ansia, insonnia, incubi, malattie psicosomatiche, flashback
terrorizzanti, etc., disturbando gravemente la qualità della sua vita.
Ugualmente non è da sottovalutare il disagio
dello stesso stalker, che negando la realtà, danneggia progressivamente il suo
equilibrio mentale.
Poche donne perseguitate, però, sporgono
denuncia o perché in molti casi conoscono bene chi le perseguita o perché
pensano di poter risolvere la questione da sole . E’ sempre necessario, invece,
non tacere ma denunciare, per dare alle autorità competenti la possibilità di
intervenire sia nei confronti delle vittime che dello stesso persecutore ,
fermandolo, ma facendogli anche seguire un percorso di aiuto e di terapie
psicologiche, affinché non metta in atto con altri lo stesso comportamento
persecutorio.
Il fenomeno stalking sta dilagando sempre di
più anche in Italia, per cui, il 29 gennaio del 2009, è stata accolta in
Parlamento una proposta di legge avanzata dai Ministri Carfagna ed Alfinito,
divenuta poi legge n. 38 il 23 aprile del corrente anno 2009,grazie alla quale
lo stalking viene considerato un reato grave, punibile con una pena da sei
mesi a quattro anni di reclusione, con una aggravante nei confronti degli ex
partners (art.612 bis del Codice Penale) .
Ma ciò non basta se non si sensibilizzano le
persone a segnalare tempestivamente ogni forma di sopruso o di violenza.
Vorrei suggerire, intanto, delle tecniche di
comportamento antistalking : non bisogna negare il problema ; si devono adottare
precauzioni più adeguate ; occorre documentarsi bene sull’argomento e
comprendere cosa può maggiormente scoraggiare lo stalker ; non cambiare il
numero di telefono ma cercare di ottenere una seconda linea ; non percorrere
strade isolate e sempre le stesse ; non avere abitudini ripetitive di vita
quotidiana ; tenere a portata di mano più di un cellulare ; se si pensa di
essere in pericolo non andare di corsa a casa o da un amico, ma recarsi dalle
Forze dell’Ordine.
Si potrebbero, secondo me, organizzare anche
dei corsi di recupero per lo stalker, negli stessi periodi di reclusione, in
quanto egli, pur essendo un aggressore, può essere considerato, in fondo,una
vittima della società, della famiglia o delle sue stesse problematiche.
Si evince, infatti, da quanto abbiamo detto
che lo stalker non ha avuto un tragitto di vita lineare per svariati motivi : o
per le proprie psicopatologie o per fattori socio-ambientali- culturali
negativi o per la mancanza di un’educazione mirante a tutte le componenti della
sua personalità o per una carente formazione etico-religiosa,che potesse
arginare possibili momenti di devianza oppure per un insufficiente amore e
per cure inadeguate da parte della madre o del padre, etc., etc.
Tutti questi aspetti, invece, poiché sono
basilari per la strutturazione di una personalità sana ed equilibrata, devono
essere ben tenuti in considerazione, sin dalla prima infanzia, da coloro che
sono responsabili del processo educativo.
Si dovrebbe, quindi, rieducare, se
possibile, lo stalker all’amore, alla speranza, al rispetto di se stesso e del
mondo,all’apertura verso gli altri, nonché alla fiducia in Dio Creatore,che,come
afferma il grande e sempre attuale filosofo S.Agostino di Tagaste, non ha
creato l’uomo e l’ha abbandonato (“non fecit et abiit”) , ma lo ama, lo segue
sempre col Suo amore e si rivela a chi amorosamente Lo cerca nell’intimo della
propria coscienza.
Ora concludo con una breve considerazione.
E’ pur vero, come afferma il filosofo e poeta
libanese Kahlil Gibran, né “Il Profeta”, (di cui ho riportato un brano in calce
alla relazione) che “ la ragione e la passione” guidano, insieme, la nostra
vita !
Vorrei, però, sottolineare che esse, cioè la
sfera razionale e la sfera emotiva, debbono stare sempre in perfetto equilibrio
e mai l’una deve soffocare l’altra; tuttavia, a volte, la sfera emotiva, spinta
anche dalle pulsioni istintive, tende, come nel caso dello stalker, ad avere il
sopravvento su quella razionale.
E’ questo un annoso problema, che si è posto
da sempre anche la Filosofia , a partire da Socrate, Platone, Aristotele fino
ad oggi.
Tale problema sorge perché la sfera emotiva è
la più delicata nel processo educativo ed è quella che maggiormente risente
degli influssi affettivo-ambientali, positivi o negativi, durante il lungo
periodo di sviluppo e di maturazione cerebrale, che va dalla nascita fino ai
17/18 anni.
Occorre, quindi, tempestivamente, prevenire
eventuali distorsioni con adeguati sistemi educativi, nonché con l’amore
necessario, addirittura dal periodo prenatale. A mio parere, comunque, l’uomo,
che ha ampie capacità razionali ed inibitrici, dovute alla sua corteccia
cerebrale molto più estesa delle strutture sottocorticali ed emotive, può e deve
tenerle a freno, come un cavaliere che sottomette un cavallo focoso ed
imbizzarrito.
Solo così potrà non lasciarsi andare alla
deriva o arrestarsi in mezzo al mare, come dice il nostro Gibran.
“ La ragione e la passione sono il timone e la vela di
quel navigante che è l’anima vostra.
Se il
timone e la vela si spezzano non potete fare altro
che
sbandarvi, andare alla deriva, o arrestarvi in mezzo
al mare,
poiché se la ragione domina da sola, è una forza
che imprigiona
e la passione è una fiamma che,
incustodita, brucia fino alla sua distruzione.”
(Da “Il Profeta” di Kahlil Gibran)
Fonte : scritti
e appunti della professoressa Elisa Sparano Bosco. E-mail:
gabrirobur@alice.it . La
Redazione di ARTCUREL ringrazia il l'avvocato Carlo Bosco, marito dell'Autrice, per la
collaborazione nella pubblicazione dell'articolo.
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