CRISTO RE
di Padre Felice Artuso
L’iscrizione del cartello (Mt 27,37-38; Mc 15,26-27; Lc 23,38; Gv 19,19-22)
Su una tavoletta di legno, verniciata di bianco i romani solevano scrivere con
lettere rosse o nere il nome, il paese e il reato commesso dal condannato, che
stava per essere condotto alla crocifissione. Appendevano al collo del
malfattore la tavoletta con l’iscrizione, perché la gente potesse leggerla e
comprendere i motivi della condanna a morte. Arrivati sul luogo del supplizio,
gli aguzzini affiggevano il cartello sulla sommità dello stipite e doveva
rimanervi fino al decesso del giustiziato. Attenendosi alla prassi romana,
Pilato ordina di scrivere su una tavoletta queste parole, che evocano
concisamente il risultato del dibattito processuale: «IL RE DEI GIUDEI» (Mc
15,26) o con più precisione: «GESÙ, IL NAZARENO, IL RE DEI GIUDEI» (Gv 19,19).
La scritta è redatta con le lettere delle tre lingue conosciute: l'ebraico
(forse l’aramaico), la lingua della rivelazione teologica e della liturgia
ebraica; il latino, la lingua dei conquistatori e dominatori romani; il greco,
la lingua degli intellettuali, dei sapienti e filosofi, assai diffusa in Medio
Oriente, parlata correttamente anche dagli ebrei della diaspora. Leggendo la
dicitura del cartello, tutti capiscono il motivo del reato attribuito a Gesù.
Possono quindi approvare o dissentire l’esecuzione. I copisti cristiani non
collocano la dicitura delle tre lingue nello stesso ordine dell’evangelista
Giovanni 19,20. Mettono, infatti, delle piccole varianti corrispondenti
all’importanza che essi assegnano alla diffusione del Vangelo. Alcuni codici
portano quindi la scritta in questa disposizione: ebraico, greco e latino; altri
codici hanno questa procedura: greco, latino ed ebraico. Lo studioso tedesco
Michael Hesemann sostiene che la tavoletta, tagliata a metà e conservata a Roma
nella chiesa cistercense di Santa Croce in Gerusalemme, sarebbe un reperto
originale, già segnalato a Gerusalemme dalla pellegrina Egeria e poi dal
pellegrino Antonio di Piacenza. La tavoletta, che nel Medioevo fu impregnata di
resine, di olio e di colore, ha le lettere in questa disposizione: in alto i
caratteri ebraici, in mezzo quelli greci e sotto i latini. Secondo uno studio di
Maria Luisa Rigato i caratteri ebraici sarebbero autentici e propendono per
questa lettura: Gesù di Nazar, il vostro Re. L'arte medievale ripresenta talora
la scritta nelle tre lingue. Altre volte riporta le parole in un sola lingua.
Spesso raffigura le sole iniziali latine: I.N.R.I, Jesus, Nazarenus, Rex
Judeorum. La scritta abbreviata e tanto diffusa attesta il motivo dell’ingiusta
e offensiva condanna. La beata Florida Cevoli, mistica cappuccina conferì
all’iscrizione questa severa interpretazione spirituale: «Io Non Ricevo Ingrati»
. Noi toglieremmo la negazione della Cevoli e affermeremmo che Gesù Nazareno
riceve tutti, anche gli ingrati, che si convertono al suo misericordioso amore.
Nell’arte contemporanea di orientamento profano o sacro si tende ad omettere la
raffigurazione del cartello, collocato sopra la testa del Crocifisso. Questa
propensione toglie al popolo cristiano la coscienza dell’effettiva e universale
regalità di Gesù.
Per i capi dei giudei egli bestemmia, quando ammette di essere il loro re.
Leggendo l’iscrizione, fissata sopra la sua croce, non accettano che Pilato li
derida e li offenda, mentre pretendono essere elogiati da lui per quando gli
avevano chiesto. Si recano nuovamente dal prefetto e gli propongono di cambiare
la formulazione: «I sommi sacerdoti dei Giudei dissero allora a Pilato: Non
scrivere il re dei Giudei, ma che egli ha detto: io sono il re dei Giudei» (Gv
19,21). Pilato riprende il suo ruolo di giudice civile. Risponde alla loro
domanda, affermando che la sua dicitura è definitiva e irrevocabile: «Ciò che ho
scritto ho scritto» (Gv 19,22). Presumevano di imporgli ancora la loro volontà,
ma intuiscono che conveniva rinunciarvi e ritirasi in silenzio. L'iscrizione non
ha per i cristiani nulla d’ambiguo e spregevole. Essa attesta senza equivoci chi
è realmente Gesù. Conferma che egli è il sovrano spirituale, inviato da Dio agli
uomini; secondo la preghiera liturgica è il re «di verità e di vita, di santità
e di grazia, di amore e di pace» .
Per gli uomini del potere Gesù muore, per aver compiuto un reato di lesa maestà.
Avendo ammesso di essere re, Pilato lo ha giudicato un sovversivo e lo ha
condannato alla morte di croce. Per noi cristiani Gesù è il Santo, il Giusto,
l’Innocente che si sacrifica e muore al posto di tutti i colpevoli. Ritornato
alla gloria del Padre, egli regna ininterrottamente su tutto l’universo (Gv
12,32). Scrive, infatti, l'apostolo Paolo: «Per questo Cristo è morto ed è
ritornato in vita: per essere il Signore dei vivi e dei morti» (Rm 14,9). Avendo
meditato sul senso della condanna inferta a Gesù, sant’Alfonso Maria De’ Liguori
emette quest’atto di fede: «Io vi confesso per mio Re e Dio, e mi protesto che
non voglio altro re del mio cuore che voi mio amore ed unico mio bene» .
Fonte : scritti e
appunti di Padre Felice Artuso (religioso Passionista) , e-mail:
feliceartuso@katamail.com .
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