giovedì 25 luglio 2019

SAN PAOLO DELLA CROCE (1694-1775) , di Padre Felice Artuso



SAN PAOLO DELLA CROCE (1694-1775)
di Padre Felice Artuso 
 
          
                   
 
 
 
Paolo è figlio primogenito di Luca Danei, originario di Castellazzo Bormida (Alessandria), e di Anna Maria Massari del comune di Rivarolo Ligure. Nasce ad Ovada, domicilio provvisorio dei suoi genitori. Frequenta la scuola dei Carmelitani a Cremolino, nuova residenza dei Danei. Si reca poi a Genova, dove prosegue lo studio delle superiori. Sano e affettuoso, partecipa alla tristezza familiare per la morte di nove fratellini. Acquisisce dal padre l’arte di commerciare i tessuti, il tabacco ed altri prodotti, mentre dalla madre impara ad amare la passione del Signore e la vita dei santi. Compiuti i vent’anni e animato da prospettive eroiche, si arruola tra i crociati, che si recano in Oriente. Nel viaggio verso a Venezia sosta a Crema ed entra nella chiesa dei Barnabiti, dove si celebrano le Quarantore con l’esposizione e adorazione del Santissimo. Qui comprende che Dio lo chiama a compiere un cammino di penitenza, di purificazione, di santificazione e di conformazione a Gesù crocifisso. Interrompe il viaggio, ritorna a Castellazzo Bormida, dove si era stabilita definitivamente la sua famiglia. In questo paese lavora, prega e insegna il catechismo ai ragazzi. Trascorso un periodo di fervente ascesi e di attività apostolica parrocchiale, avverte che Dio gli chiede di ritirarsi in piena solitudine e di fondare una Congregazione di religiosi, dediti all’annuncio della passione del Signore. All’età di ventisei anni si reca ad Alessandria, dove il vescovo barnabita, mons. Francesco Arboreo Gattinara, lo accoglie, accerta l’autenticità della sua ispirazione divina, gli impone un saio nero e gli dà delle direttive spirituali. Paolo si ritira quindi nella sacrestia della chiesa di San Carlo. Qui trascorre la Quaresima, scrivendo la prima Regola passionista e il Diario spirituale, che ha un’alta dimensione mistica. Espletate alcune predicazioni nell’alessandrino, s’imbarca per Napoli. Nelle vicinanze di Grosseto vede il monte Argentario e se ne sente attratto. Nel viaggio ritorno sosta a Roma, per ricevere dal papa l’approvazione di fondare un Istituto religioso. Su consiglio di un vescovo si prepara all’ordinazione sacerdotale e assieme a suo fratello Giambattista è consacrato presbitero dal papa Benedetto XIII. Presta quindi temporaneamente il servizio di cappellano nell’ospedale di S. Gallicano, centro specializzato nella cura delle malattie della pelle. Decide poi di salire sull’Argentario, per radunarvi dei compagni ed istituire una comunità povera, umile, penitente, contemplativa e missionaria. Nella solitudine di quest’altura riesce ad aggregare i giovani, che condividono la sua vocazione. Apre successivamente dodici comunità, dislocate nel centro sud d’Italia. Durante la realizzazione del suo progetto sperimenta una catena di malanni fisici e spirituali: la malaria, i reumatismi, le palpitazioni cardiache, gli scrupoli, i forti dubbi sull’ispirazione divina, le insistenti persecuzioni di qualche ecclesiastico, le spoliazioni volontarie, le aridità mistiche e il timore della dannazione eterna. Supera le affliggenti prove, confidando nella misericordia di Dio, visibile in Gesù sofferente. S'infiamma nel volto, quando lo contempla crocifisso. Anela uniformarsi ai suoi spasimi. Qualche volta si eleva da terra al momento della consacrazione eucaristica. Svolge le sacre funzioni, esternando sentimenti di forte emozione. In un rapimento mistico vede che il Crocifisso stacca un braccio dalla croce, lo stringe al suo costato e gli dà l’impressione di accoglierlo nella gloria del Paradiso. Negli intrattenimenti con il Santissimo Sacramento brama di morire martire, dove i cristiani non credono più alla presenza reale del Signore. Nei giorni di venerdì impallidisce e palpita molto, pensando alla sua passione. Durante la settimana santa si concentra ancor di più nei suoi dolori di fisici e spirituali. Scorge in lui la perfetta immagine di Dio invisibile (Col 1,15). Desidera quindi di patire e di morire con lui, per rendergli una pubblica e convincente testimonianza. Impronta la sua predicazione sul discorso missionario del Signore ai discepoli (Lc 9,1-6; 10,1-12.6) e sulla teologia della croce dell’apostolo Paolo, concentrata particolarmente nell’inno liturgico ai Filippesi 2,5-11.
Maestro di vita prudente, sapiente e cercato, unisce la spiritualità domenicana con la mistica francescana, le espressioni del nudo patire dei domenicani nordici con gli affettuosi abbandoni in Dio della scuola di S. Francesco d’Assisi. «Bisogna -diceva- star sempre nei nostri confini e dentro i nostri termini che il niente e il peccato; che così Dio più agevolmente ci tirerà nei suoi e ci assorbirà tutti e totalmente nel suo immenso e infinito amore» .
Si attiene ai metodi di preghiera mentale comuni al suo tempo. Segue specialmente il metodo di sant'Ignazio di Loyola, proposto egli Esercizi Spirituali. Ricorre alle forme d’evangelizzazione del suo tempo, puntando molto sulla conversione interiore. Senza temere i dissensi popolari, insiste sulla necessità di ascoltare la lettura evangelica della passione di Gesù e di meditarla ogni giorno. Attesta che la sua passione è la più grande opera dell’amore di Dio Padre, Figlio e Spirito. Ripete spesso con uno straordinario trasporto d’animo: «Un Dio legato per me! Un Dio flagellato per me! Un Dio morto per me!» . Un giorno confida ai propri religiosi: «Nei principi della mia conversione mi pareva facile meditare la passione di Gesù Cristo, ma adesso quando si è detto: Un Dio flagellato! Un Dio crocifisso! - come potete dire più oltre?» . Nelle missioni popolari porta con sé un crocifisso, segno della presenza amorosa di Dio. Lo addita alla gente durante la predica di massima o nelle confessioni individuali. Esorta ogni persona a porre il crocifisso in un luogo d’onore all’interno della propria casa. Dopo aver scosso e impressionato con la predica, medita ad alta voce su un tratto della Passione. Ne parla con gioioso entusiasmo e infonde serenità nei cuori. Istruisce così gli uditori e li sollecita a convertirsi a Dio, sapiente e misericordioso. Attenendosi alle pratiche penitenziali diffuse, nei primi anni di missioni si flagella in pubblico, per indurre i peccatori più incalliti a ravvedersi e a cambiare condotta. Raccomanda agli alfabetizzati di leggere e di meditare ogni giorno un tratto evangelico sulla passione di Gesù. Insiste che con questo metodo si scopre l’amore di Dio e l’invito a corrispondervi. Le sue parole infuocate attraggono, colpiscono, emozionano, convincono anche i cristiani più refrattari ad intraprendere un radicale mutamento di vita.
Nelle conversazioni fraterne ripete spesso l'assioma, molto simile a quello di Teresa d'Avila e Maria Maddalena de' Pazzi: “né patire, né morire, ma fare sempre la volontà di Dio!”. Preferisce amare, patire e tacere, senza interruzione. Intesta le lettere di direzione spirituale con la scritta: «La Passione di Gesù sia sempre nei nostri cuori». Attribuisce un alto valore alla pratica dell'attenzione amorosa a Dio e all'abbandono al suo beneplacito. Tutto il resto ha per lui un valore relativo, perché aprirsi alla divina volontà significa entrare in rapporto con Dio. Percorsi tutti i gradi dell'unione mistica con il Signore, confida in alcuni dei suoi scritti: «Oh, quanto è buono lo stare in croce con Gesù senza vederlo e senza goderlo. Questa è la via certa, per arrivare a quella felice morte di tutto il creato, per vivere purissimamente nell’Increato e Immenso Bene»; «… voglio andare a trovarmi ai piedi del Sacro Altare, e fare un sacrificio della mia vita a Gesù, sacrificio d'amore e di dolore, voglio essere una vittima sacrificata in olocausto, e l'olocausto si brucia tutto, e non vi restano nemmeno le ossa, tutto a fuoco, tutto a fiamme, tutto in cenere» . Esorta una sua ammiratrice a contemplare le ferite del Signore e le chiede, se vuole acquisire la sapienza divina, di recitare queste rime, da lui composte: «Mira ancor le mani ed i piedi, che son da chiodi trapassati. E la vita tutt'intera è da piaghe traforata. Se rimiri poi il costato, che con lancia fu squarciato, capirai ch'egli è la stanza di chi m'ha spropriato» . In una lettera circolare consiglia i religiosi di non distaccarsi dalle ferite e dalle sofferenze del Signore, condizione indispensabile per rimanere uniti a lui: «Non v'allontanate mai dalle Piaghe SS. di Gesù Cristo, procurate che il vostro spirito sia tutto vestito e penetrato dalle Pene SS. del nostro Divin Salvatore, e siate sicuri che egli è il Divin Salvatore, vi condurrà come sue pecore al suo ovile» .
Consiglia chi si sente chiamato alla vita passionista, che consideri «se per la gloria di Dio, e per la salute sua e dei prossimi, sia veramente disposto a patir molto, a essere burlato, disprezzato e soffrire volentieri travagli e tribolazioni» . Dispone che i suoi religiosi ricordino sempre con grato amore quanto il Signore ha sofferto per redimerci. Prescrive che indossino una tonaca nera e portino sul petto un cuore, sormontato da una croce bianca e avente al suo interno questa scritta dello stesso colore: Jesu Xpi Passio (la Passione di Gesù Cristo). Sotto la dicitura stabilisce che siano raffigurati tre chiodi bianchi, perché secondo l'opinione dell'epoca i tre voti inchiodano alla croce del dolce Gesù, uniscono a lui e costituiscono il consacrato una «vittima di amore in olocausto di puro spirito» . Costui può quindi dire con l’apostolo Paolo: «Sono stato crocifisso con Cristo e non sono più io che vivo, ma Cristo vive in me» (Gal 2,20). Per crescere nell’amore e divenire un vero olocausto spirituale, decide che i religiosi meditino abitualmente la passione del Signore e partecipino con un sentimento di contrizione alle sue sofferenze. Chiede a loro di starsene umili, poveri, solitari e distaccati dal mondo, per essere dei contemplativi e dei missionari, conformi al divino beneplacito. Delibera che nell’apostolato locale e itinerante come anche nel servizio dei fratelli sofferenti siano un ricordo vivente del loro vissuto, spieghino al popolo la passione del Signore e gli insegnino a meditarla quotidianamente, per indurlo ad abbandonare le abitudini peccaminose, a praticare le virtù teologali, a lottare contro il dilagare del malcostume e a percorrere fiducioso la via che conduce all'eterna salvezza. Incarica un passionista di comporre la preghiera liturgica per celebrare nella Congregazione la festa della Passione.
Consiglia anche al clero, ai religiosi di qualsiasi appartenenza e ai fedeli laici di meditare regolarmente ogni giorno la Passione del Signore, per guarire i fratelli dalle piaghe del peccato, muoverli ad acquisire la compassione di Gesù verso il genere umano, fissarla nel proprio cuore e stimolarli ad ascendere sulle alte vette della santità . Scrive, infatti, al Conte Garagni, membro della Curia Romana: «Si tocca sempre con mano che il mezzo più efficace per convertire le anime più ostinate è la Passione SS. di Gesù Cristo, predicata secondo il metodo che l'ineffabile increata pietà divina ha fatto approvare dal suo Vicario in terra» .
Nel corso degli anni appone alcune modifiche all’austerità della Regola e delle Costituzioni. Adatta i due documenti ai bisogni dei deboli, dei malaticci e dei missionari. Allarga il suo carisma anche alle giovani donne, che dirige spiritualmente. Scrive per loro la Regola e le Costituzioni, che sono molto simili a quelle dei Passionisti. A Tarquinia (Viterbo) apre la prima comunità di monache, votate alla solitudine, al silenzio, alla preghiera, alla contemplazione del Crocifisso, alla penitenza e al lavoro. Il gruppo di Passioniste elegge quindi superiora del nuovo monastero Maria Crocifissa Costantini, già monaca benedettina.
Logorato dalle fatiche apostoliche, dagli anni, dalle penitenze e dalle malattie, Paolo della Croce rinuncia alle cariche di responsabilità e si ritira definitivamente a Roma nella comunità del Celio. Ormai vecchio e consumato dalle fatiche come pure dalle tribolazioni, trascorre gli ultimi due anni, coricato spesso sul letto. Nella malattia finale prova tentazioni di disperazione e di suicidio. Domina questa suggestioni, vivendo in comunione di fede con la Chiesa e sperando nei meriti della passione del Signore. Prossimo alla morte confida ai religiosi la sua soddisfazione di aver fondato una nuova Congregazione e assicura a loro: «Muoio volentieri per fare la santissima volontà di Dio… Le mie speranze stanno nella Passione santissima di Gesù Cristo e nei dolori di Maria Santissima» . Un religioso depone al processo di canonizzazione: «Seguitava intanto il moribondo servo di Dio a stare colla faccia ilare senza turbazione veruna, con gli occhi rivolti al crocifisso, quando alla presenza di tutti ecco che all’improvviso volta la faccia e gli occhi verso il cielo con la bocca quasi ridente e, alzate le mani, le mosse tre o quattro volto come per dire: fate largo, fate largo» . Con questi cenni indica che il Signore è venuto a prenderlo, per introdurlo nella contemplazione eterna.



 
 
 
 


Fonte : scritti e appunti di Padre Felice Artuso (religioso Passionista) , e-mail: feliceartuso@katamail.com  .













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