IL MISTERO PASQUALE NEI SALMI
di Padre Felice Artuso
L’ingresso trionfale di Gesù a Gerusalemme, il
complotto contro di lui e il tradimento di Giuda
Ogni pellegrino era accolto nel tempio di Gerusalemme con queste parole di
benvenuto: «Benedetto colui che viene nel nome del Signore» (Sal 118,26). Gesù,
diretto al tempio, è acclamato dalla folla con la medesima espressione salmica
(Mc 11,9-10). Alcuni dei presenti se ne sdegnano, ma egli accetta la spontanea
acclamazione della gente e la difende, dicendo: «Con la bocca dei bimbi e dei
lattanti affermi la tua potenza e contro i tuoi avversari per ridurre al
silenzio nemici e ribelli» (Sal 8,3; Mt 21,12-13).
Un salmista si lamenta con Dio, perché gli empi lo circondano, lo oltraggiano e
minacciano di ucciderlo: «Se odo la calunnia di molti, il terrore mi circonda;
quando insieme contro di me congiurano, tramano di togliermi la vita» (Sal
31,14). Gesù sperimenta qualcosa di simile, quando gli avversari complottano
contro di lui (Mt 26,3; Gv 18,14).
Alcuni salmisti menzionano un uomo, che all’interno di un gruppo defeziona,
inganna e tradisce l’amicizia conviviale: «Ecco, l’empio produce ingiustizia,
concepisce malizia, partorisce menzogna» (Sal 7,15); «Egli pensa: non sarò mai
scosso, vivrò sempre senza sventure. Di spergiuri, di frodi e di inganni ha
piena la bocca sotto la sua lingua sono iniquità e sopruso» (Sal 9-10,27-28);
«L’empio trama contro il giusto, contro di lui digrigna i denti» (Sal 37,12);
«Anche l’amico in cui confidavo, anche lui che mangia con me, ha alzato contro
di me il calcagno» (Sal 41,10); «Ma sei tu, mio compagno, mio aiuto e mio
confidente; ci legava una dolce amicizia, verso la casa di Dio camminavamo in
festa» (Sal 55,14-15); «Il nemico mi perseguita, calpesta a terra la mia vita,
mi ha relegato nelle tenebre come i morti da gran tempo. In me languisce il mio
spirito, si agghiaccia il mio cuore» (Sal 143,2-4).
Gesù prova sentimenti di sconforto analoghi ai salmisti, quando Giuda Iscariota
lo rifiuta e lo consegna ai sequestranti (Gv 13,18). Continua tuttavia ad
amarlo. Se siamo traditi da quelli che abbiamo amato e beneficato, ricordiamo
che l’amore vince l’odio.
La flagellazione, la crocifissione, le tenebre,
l’agonia, la morte e la sepoltura
Alcuni oranti accennano alle violenze subite e raccontano i tormenti del giusto
perseguitato, schernito e percosso, ma fiducioso in un potente intervento di
Dio: «Hanno arato gli aratori, hanno fatto lunghi solchi» (Sal 129,3); «Hanno
messo nel mio cibo veleno e quando avevo sete mi hanno dato aceto» (Sal 69,22);
«Molti contro di me insorgono. Molti di me vanno dicendo: Neppure Dio lo salva!»
(Sal 3,2-3); «Dicono insolenze contro il giusto con orgoglio e disprezzo» (Sal
32,19); «Si è affidato nel Signore, lui lo scampi; lo liberi, se è suo amico» (Sal
22,9); «Sono diventato loro oggetto di scherno, quando mi vedono scuotono il
capo» (Sal 109,25); «Amici e compagni si scostano dalle mie piaghe, i miei
vicini stanno a distanza» (Sal 38,12); «Mandò le tenebre e si fece buio, ma
resistettero alle sue parole» (Sal 105,28); «L’anima mia ha sete di Dio, del Dio
vivente» (Sal 42.3); «Sono sfinito dal gridare, riarse sono le mie fauci» (Sal
69,4); «Si dissolvono in fumo i miei giorni e come brace ardono le mie ossa. Il
mio cuore abbattuto come erba inaridisce, dimentico di mangiare il mio pane. Per
il lungo mio gemere aderisce la mia pelle alle mie ossa» (Sal 102,4-6); «Come
incenso salga a te la mia preghiera, le mie mani alzate come sacrificio della
sera» (Sal 141,2); «Mi affido alle tue mani; tu mi riscatti, Signore, Dio
fedele» (Sal 31,6); «Molte sono le sventure del giusto, ma lo libera da tutte il
Signore: preserva tutte le sue ossa, neppure uno sarà spezzato» (Sal 34,21);
«Sono annoverato tra quelli che scendono nella fossa, sono come un uomo ormai
privo di forza. È tra i morti il mio giaciglio, sono come gli uccisi stesi nel
sepolcro» (Sal 88,5-6).
Consegnatosi nelle mani degli uomini, Gesù conosce le sofferenze della
flagellazione, della crocifissione, della sete, degli scherni e della
solitudine. Dopo la morte riceve una sepoltura regale e termina il suo cammino
di abbassamento . La storia di ogni martire della fede o della carità ha delle
evidenti connessioni con la sua morte.
salmo 22 è un'ampia lamentazione
individuale, che ha delle relazioni con il linguaggio usato da Geremia, da
Ezechiele e dal Servo sofferente. L’orante è forse un ammalato grave,
disprezzato dai nemici. Profondamente desolato, ha l’impressione che Dio lo
ignori. Si sente separato e lontano da lui, ma non ha perduto la fiducia nel suo
solerte soccorso. Gli chiede quindi il motivo della sua apparente ed illogica
assenza: «Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato!» (Sal 22,1). Descrive poi
le sue sofferenze fisiche e morali con una serie d’immagini. Attesta che alcuni
potenti nemici, simili a bestie feroci, lo assalgono, lo torturano, lo
spogliano, lo trafiggono, lo privano d'ogni dignità, lo scherniscono e lo
riducono ad una nullità. Grida pertanto a Dio la sua opprimente angoscia: «Io
sono un verme, non un uomo, infamia degli uomini, rifiuto del mio popolo. Mi
scherniscono quelli che mi vedono, storcono le labbra, scuotono il capo: Si è
affidato al Signore, lui lo scampi; lo liberi, se è suo amico…Hanno forato le
mie mani ed i miei piedi, posso contare le mie ossa. Essi mi guardano, mi
osservano: si dividono le mie vesti, sul mio vestito gettano la sorte» (Sal
22,7-9; 17-19).
Ricorre ad immagini impressionanti e sconvolgenti: «Il mio cuore è come cera, si
fonde in mezzo alle mie viscere. È arido come coccio il mio palato, la mia
lingua si è incollata alla gola, su polvere di morte mi hai deposto» (Sal
22,15-16). Agli estremi della sofferenza si affida a Dio, suo unico difensore e
salvatore. Gli domanda di liberarlo dall’imminente e orribile morte. Passato il
temuto pericolo, potrà vivere per lui, mangiare assieme a tutta la comunità di
fede, esultare nel suo nome, elevargli inni di lode (Sal 22,30), inoltre i suoi
discendenti racconteranno quanto egli ha compiuto e lo ringrazieranno e: «Lo
servirà la mia discendenza. Si parlerà del Signore alla generazione che viene;
annunzieranno la sua giustizia; al popolo che nascerà diranno: “Ecco l'opera del
Signore!”» (Sal 22,31-32).
Il salmo annuncia il cammino di Gesù, giusto rifiutato, crocifisso, risorto e
glorificato. Infatti, una furiosa bufera d’odio si abbatte su di lui nel giorno
della sua passione. Appeso alla croce, ha l’impressione che il Padre celeste,
grande nell’amore, lo abbia abbandonato in balia dei nemici coalizzati e
induriti. Dilaniato, grida al Padre il suo tormento, aspetta che lo esalti
all’alba pasquale e lo ringrazia in anticipo (Mt 27,46; Mc 15,34). Ricevuta
l’effusione dello Spirito Santo, gli apostoli e gli evangelisti comprendono il
senso profetico della Scrittura. Nei loro racconti pasquali dimostrano che
questo salmo si compie perfettamente in Gesù .
I Padri della Chiesa spiegano i salmi, attribuendoli a Gesù. Pertanto
sant'Agostino commenta il salmi 22: «Queste parole indicano bene il corpo del
Cristo disteso sulla croce, le sue mani ed i suoi piedi confitti e trapassati
dai chiodi, il suo supplizio offerto in spettacolo a quelli che lo guardavano e
lo disprezzavano» . Commentando la stessa preghiera, precisa: «In questo salmo
ascoltiamo tutto ciò: quello che ha sofferto e perché (ha sofferto). Tenete a
mente questi due elementi, che cosa e perché… Chiusa era la Scrittura e nessuno
la intendeva; il Signore è stato crocifisso e…tutto ciò che era occulto ci è
stato rivelato» .
Passiamo al salmo 69, che rispecchia le
sofferenze del profeta Geremia. Un orante teme di morire, vittima di una grave
malattia o di una spietata persecuzione. Attesta che dei potenti senza scrupoli,
assieme ad altre persone, lo odiano, lo isolano e lo opprimono, recandogli
immensa sofferenza: «Più numerosi dei capelli del mio capo sono coloro che mi
odiano senza ragione» (Sal 69,5). Lo accusano di rapina e lo insultano, mentre
egli ha lealmente testimoniato il suo ardente zelo nel servizio cultuale:
«Poiché mi divora lo zelo per la tua casa, ricadono su di me gli oltraggi di chi
mi insulta» (Sal 69,10-11). Lotta solitario contro i suoi denigratori e
torturatori, aspettando inutilmente un gesto di compassione: «Ho atteso
compassione, ma invano, consolatori, ma non ne ho trovati. Hanno messo nel mio
cibo veleno e quando avevo sete mi hanno dato aceto» (Sal 69,21-22). Immerso in
un’immensa sofferenza fisica e morale supplica Dio, buono e fedele (Sal
69,4.11-12). Con insistenza gli chiede di punire quelli che lo perseguitano. Gli
domanda anche la liberazione dalla solitudine, dalla calunnia, dalla violenza,
dalla morte e dalla sepoltura (Sal 69,25-29). Conclude la preghiera, presagendo
che Dio lo soccorrerà, gli toglierà le assurde persecuzioni e lo ristabilirà
nella giustizia. Gli promette quindi che trasformerà il suo lamento in un
gioioso inno di lode: «Io sono infelice e sofferente; la tua salvezza, Dio, mi
ponga al sicuro. Loderò il nome di Dio con il canto, lo esalterò con azioni di
grazie» (Sal 69,30-32). Invita infine i giusti e tutte le creature ad associarsi
al suo ringraziamento: «Vedano gli umili e si rallegrino. A lui acclamino i
cieli e la terra, i mari e quanto in essi si muove» (Sal 69,33.35).
Questa preghiera ha parecchie connessioni con la passione di Gesù. Infatti,
durante l’ultima cena egli si rattrista per l'imminente abbandono dei suoi
discepoli: «Ecco, verrà l’ora, anzi è già venuta, in cui vi disperderete
ciascuno per conto proprio e mi lascerete solo» (Gv 16,32). Nel Getsemani
rimprovera gli apostoli prediletti di essersi lasciati sopraffare dal sonno e di
non aver pregato con lui: «Poi tornò dai discepoli che dormivano. E disse a
Pietro: Così non siete capaci di vegliare un’ora sola con me?» (Mt 26,40).
Nell'agonia della croce, mentre dà diversi segni d’infinito amore, patisce il
rifiuto, la solitudine, la sete e gli scherni . Tuttavia non impreca contro
nessuno, né implora la vendetta sui suoi aguzzini. Invoca bensì su di loro il
perdono e la salvezza. Elevato alla gloria della risurrezione, innalza al Padre
celeste un perenne inno di lode ed è per tutti gli umili un segno di speranza.
Nel commento a questo salmo sant'Agostino elabora la seguente applicazione
cristologica ed ecclesiologica: «Qui parla Cristo… e parla non solo come capo,
ma anche come corpo. Queste parole si adempiono alla lettera. Non ci è qui
concesso di intendere alcunché di diverso. Anche gli Apostoli, parlando di
Cristo, citano le testimonianze di questo salmo. E chi oserà allontanarsi dalle
loro parole? Quale agnello non seguirà gli arieti? È certo dunque che qui parla
Cristo. A noi piace mostrare dove di preferenza parlino le sue membra, onde
documentare che qui parla il Cristo totale» .
I due salmi sono inseriti nel Lezionario liturgico come pure nell’Ora media di
ogni venerdì della terza settimana e nell’Ufficio delle letture del Venerdì
Santo. Mediante queste preghiere i cristiani contemplano le fasi più dolorose
della storia di Gesù; si uniscono alla sua supplica e alla sua lode a Dio; si
associano parimenti al grido d'angoscia e di lode di tutti i sofferenti.
Attendono quindi fiduciosi la redenzione eterna.
Fonte : scritti e
appunti di Padre Felice Artuso (religioso Passionista) , e-mail:
feliceartuso@katamail.com .
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