martedì 23 luglio 2019

I FEDELI LAICI , di padre Claudio Traverso



Padre Claudio Traverso

I FEDELI LAICI
 
 


Dall’ESORTAZIONE APOSTOLICA POST-SINODALE CHRISTIFIDELES LAICI DI SUA SANTITA' GIOVANNI PAOLO II SU VOCAZIONE E MISSIONE DEI LAICI NELLA CHIESA E NEL MONDO . Dato a Roma, presso San Pietro, il 30 dicembre, festa della Santa Famiglia di Gesù, Maria e Giuseppe, dell'anno 1988, undicesimo del mio Pontificato .
 

I FEDELI LAICI (Christifideles laici) appartengono a quel Popolo di Dio che è raffigurato dagli operai della vigna, dei quali parla il Vangelo di Matteo: « Il regno dei cieli è simile a un padrone di casa che uscì all'alba per prendere a giornata lavoratori per la sua vigna. Accordatosi con loro per un denaro al giorno, li mandò nella sua vigna » (Mt 20, 1-2). La parabola evangelica spalanca davanti al nostro sguardo l'immensa vigna del Signore e la moltitudine di persone, uomini e donne, che da Lui sono chiamate e mandate perché in essa abbiano a lavorare. La vigna è il mondo intero (cf. Mt 13, 38), che dev'essere trasformato secondo il disegno di Dio in vista dell'avvento definitivo del Regno. Andate anche voi !: La chiamata non riguarda soltanto i Pastori, i sacerdoti, i religiosi e le religiose, ma si estende a tutti: anche i fedeli laici sono personalmente chiamati dal Signore, dal quale ricevono una missione per la Chiesa e per il mondo. Il sacro Concilio scongiura nel Signore tutti i laici a rispondere volentieri, con animo generoso e con cuore pronto, alla voce di Cristo, che in quest'ora li invita con maggiore insistenza, e all'impulso dello Spirito Santo. In modo speciale i più giovani sentano questo appello come rivolto a se stessi, e l'accolgano con slancio e magnanimità. Il Signore stesso infatti ancora una volta per mezzo di questo Santo Sinodo invita tutti i laici ad unirsi sempre più intimamente a Lui e, sentendo come proprio tutto ciò che è di Lui (cf. Fil 2, 5), si associno alla sua missione salvifica; li manda ancora in ogni città e in ogni luogo dov'egli sta per venire (cf. Lc 10, 1)». Suscitare e alimentare una più decisa presa di coscienza del dono e della responsabilità che tutti i fedeli laici, e ciascuno di essi in particolare, hanno nella comunione e nella missione della Chiesa è lo scopo che l'Esortazione intende perseguire. E' necessario, allora, guardare in faccia questo nostro mondo, con i suoi valori e problemi, le sue inquietudini e speranze, le sue conquiste e sconfitte: un mondo le cui situazioni economiche, sociali, politiche e culturali presentano problemi e difficoltà più gravi rispetto a quello descritto dal Concilio nella Costituzione pastorale Gaudium et spes. E' comunque questa la vigna, è questo il campo nel quale i fedeli laici sono chiamati a vivere la loro missione. Gesù li vuole, come tutti i suoi discepoli, sale della terra e luce del mondo (cf. Mt 5, 13-14). La Chiesa sa di essere mandata da Lui come «segno e strumento dell'intima unione con Dio e dell'unità di tutto il genere umano». In questo annuncio e in questa testimonianza i fedeli laici hanno un posto originale e insostituibile: per mezzo loro la Chiesa di Cristo è resa presente nei più svariati settori del mondo, come segno e fonte di speranza e di amore. «Col nome di laici, così la Costituzione “Lumen Gentium” li descrive, si intendono qui tutti i fedeli ad esclusione dei membri dell'ordine sacro e dello stato religioso sancito dalla Chiesa, i fedeli cioè, che, dopo essere stati incorporati a Cristo col Battesimo e costituiti Popolo di Dio, per la loro parte compiono, nella Chiesa e nel mondo, la missione propria di tutto il popolo cristiano». Secondo l'immagine biblica della vigna, i fedeli laici, come tutti quanti i membri della Chiesa, sono tralci radicati in Cristo, la vera vite, da Lui resi vivi e vivificanti. L'inserimento in Cristo per mezzo della fede e dei sacramenti dell'iniziazione cristiana è la radice prima che origina la nuova condizione del cristiano nel mistero della Chiesa, che costituisce la sua più profonda «fisionomia», che sta alla base di tutte le vocazioni e del dinamismo della vita cristiana dei fedeli laici: in Gesù Cristo, morto e risorto, il battezzato diventa una «creatura nuova» (Gal 6, 15; 2 Cor 5, 17), una creatura purificata dal peccato e vivificata dalla grazia. Con un'altra immagine, quella di un edificio, l'apostolo Pietro definisce i battezzati come «pietre vive» fondate su Cristo, la «pietra angolare», e destinate alla «costruzione di un edificio spirituale» (1 Pt 2, 5 ss). L'immagine ci introduce a un altro aspetto della novità battesimale, così presentato dal Concilio Vaticano II: «Per la rigenerazione e l'unzione dello Spirito Santo i battezzati vengono consacrati a formare una dimora spirituale». Lo Spirito Santo «unge» il battezzato, vi imprime il suo indelebile sigillo (cf. 2 Cor 1, 21-22), e lo costituisce tempio spirituale, ossia lo riempie della santa presenza di Dio grazie all'unione e alla conformazione a Gesù Cristo. Con questa spirituale «unzione», il cristiano può, a suo modo, ripetere le parole di Gesù: «Lo Spirito del Signore è sopra di me; per questo mi ha consacrato con l'unzione, e mi ha mandato per annunziare ai poveri un lieto messaggio, per proclamare ai prigionieri la liberazione e ai ciechi la vista; per rimettere in libertà gli oppressi, e predicare un anno di grazia del Signore» (Lc 4, 18-19; cf. Is 61, 1-2). Così con l'effusione battesimale e cresimale il battezzato partecipa alla medesima missione di Gesù il Cristo, il Messia Salvatore. La vocazione dei fedeli laici alla santità comporta che la vita secondo lo Spirito si esprima in modo peculiare nel loro inserimento nelle realtà temporali e nella loro partecipazione alle attività terrene. E' ancora l'apostolo ad ammonirci: «Tutto quello che fate in parole ed opere, tutto si compia nel nome del Signore Gesù, rendendo per mezzo di lui grazie a Dio Padre» (Col 3, 17). Riferendo le parole dell'apostolo ai fedeli laici, il Concilio afferma categoricamente: «Né la cura della famiglia né gli altri impegni secolari devono essere estranei all'orientamento spirituale della vita». A loro volta i Padri sinodali hanno detto: «L'unità della vita dei fedeli laici è di grandissima importanza: essi, infatti, debbono santificarsi nell'ordinaria vita professionale e sociale. Perché possano rispondere alla loro vocazione, dunque, i fedeli laici debbono guardare alle attività della vita quotidiana come occasione di unione con Dio e di compimento della sua volontà, e anche di servizio agli altri uomini, portandoli alla comunione con Dio in Cristo». La vocazione alla santità dev'essere percepita e vissuta dai fedeli laici, prima che come obbligo esigente e irrinunciabile, come segno luminoso dell'infinito amore del Padre che li ha rigenerati alla sua vita di santità. Tale vocazione, allora, deve dirsi una componente essenziale e inseparabile della nuova vita battesimale, e pertanto un elemento costitutivo della loro dignità. Nello stesso tempo la vocazione alla santità è intimamente connessa con la missione e con la responsabilità affidate ai fedeli laici nella Chiesa e nel mondo. Infatti, già la stessa santità vissuta, che deriva dalla partecipazione alla vita di santità della Chiesa, rappresenta il primo e fondamentale contributo all'edificazione della Chiesa stessa, quale «Comunione dei Santi». Agli occhi illuminati dalla fede si spalanca uno scenario meraviglioso: quello di tantissimi fedeli laici, uomini e donne, che proprio nella vita e nelle attività d'ogni giorno, spesso inosservati o addirittura incompresi, sconosciuti ai grandi della terra ma guardati con amore dal Padre, sono gli operai instancabili che lavorano nella vigna del Signore, sono gli artefici umili e grandi, certo per la potenza della grazia di Dio, della crescita del Regno di Dio nella storia. Riprendiamo di nuovo l'immagine biblica: lo sbocciare e l'espandersi dei tralci dipendono dal loro inserimento nella vite. «Come il tralcio non può far frutto da se stesso se non rimane nella vite, così anche voi se non rimanete in me. Io sono la vite, voi i tralci. Chi rimane in me e io in lui, fa molto frutto, perché senza di me non potete far nulla» (Gv 15, 4-5). Al termine di queste riflessioni, destinate a definire la condizione ecclesiale del fedele laico, ritorna alla mente il celebre monito di San Leone Magno: «Agnosce, o Christiane, dignitatem tuam». E' lo stesso monito di San Massimo, vescovo di Torino, rivolto a quanti avevano ricevuto l'unzione del santo Battesimo: «Considerate l'onore che vi è fatto in questo mistero!». Tutti i battezzati sono invitati a riascoltare le parole di Sant'Agostino: «Rallegriamoci e ringraziamo: siamo diventati non solo cristiani, ma Cristo (...). Stupite e gioite: Cristo siamo diventati!». La dignità cristiana, fonte dell'eguaglianza di tutti i membri della Chiesa, garantisce e promuove lo spirito di comunione e di fraternità, e, nello stesso tempo, diventa il segreto e la forza del dinamismo apostolico e missionario dei fedeli laici. E' una dignità esigente, la dignità degli operai chiamati dal Signore a lavorare nella sua vigna: «Grava su tutti i laici, leggiamo nel Concilio, il glorioso peso di lavorare, perché il divino disegno di salvezza raggiunga ogni giorno di più tutti gli uomini di tutti i tempi e di tutta la terra». La coppia e la famiglia costituiscono il primo spazio per l'impegno sociale dei fedeli laici. E' un impegno che può essere assolto adeguatamente solo nella convinzione del valore unico e insostituibile della famiglia per lo sviluppo della società e della stessa Chiesa. Culla della vita e dell'amore, nella quale l'uomo «nasce» e «cresce», la famiglia è la cellula fondamentale della società. A questa comunità è da riservarsi una privilegiata sollecitudine, soprattutto ogniqualvolta l'egoismo umano, le campagne antinataliste, le politiche totalitarie, ma anche le situazioni di povertà e di miseria fisica, culturale e morale, nonché la mentalità edonistica e consumistica fanno disseccare le sorgenti della vita, mentre le ideologie e i diversi sistemi, insieme a forme di disinteresse e di disamore, attentano alla funzione educativa propria della famiglia. Urge così un'opera vasta, profonda e sistematica, sostenuta non solo dalla cultura ma anche dai mezzi economici e dagli strumenti legislativi, destinata ad assicurare alla famiglia il suo compito di essere il luogo primario della «umanizzazione» della persona e della società. L'impegno apostolico dei fedeli laici è anzitutto quello di rendere la famiglia cosciente della sua identità di primo nucleo sociale di base e del suo originale ruolo nella società, perché divenga essa stessa sempre più protagonista attiva e responsabile della propria crescita e della propria partecipazione alla vita sociale. In tal modo la famiglia potrà e dovrà esigere da tutti, a cominciare dalle autorità pubbliche, il rispetto di quei diritti che, salvando la famiglia, salvano la società stessa. Il servizio alla società si esprime e si realizza in diversissime modalità: tutta la Chiesa come tale è direttamente chiamata al servizio della carità: «La santa Chiesa, come nelle sue origini unendo l'agape con la Cena Eucaristica si manifestava tutta unita nel vincolo della carità attorno a Cristo, così, in ogni tempo, si riconosce da questo contrassegno della carità e, mentre gode delle iniziative altrui, rivendica le opere di carità come suo dovere e diritto inalienabile. Perciò la misericordia verso i poveri e gli infermi come pure le cosiddette opere caritative e di mutuo aiuto, destinate ad alleviare le necessità umane di ogni genere, sono tenute dalla Chiesa in particolare onore». La carità verso il prossimo, nelle forme antiche e sempre nuove delle opere di misericordia corporale e spirituale, rappresenta il contenuto più immediato, comune e abituale di quell'animazione cristiana dell'ordine temporale che costituisce l'impegno specifico dei fedeli laici. Con la carità verso il prossimo i fedeli laici vivono e manifestano la loro partecipazione alla regalità di Gesù Cristo, al potere cioè del Figlio dell'uomo che «non è venuto per essere servito, ma per servire» (Mc 10, 45): essi vivono e manifestano tale regalità nel modo più semplice, possibile a tutti e sempre, ed insieme nel modo più esaltante, perché la carità è il più alto dono che lo Spirito offre per l'edificazione della Chiesa (cf. 1 Cor 13, 13) e per il bene dell'umanità. La carità, infatti, anima e sostiene un'operosa solidarietà attenta alla totalità dei bisogni dell'essere umano. Una simile carità, attuata non solo dai singoli ma anche in modo solidale dai gruppi e dalle comunità, è e sarà sempre necessaria: niente e nessuno la può e la potrà sostituire, neppure le molteplici istituzioni e iniziative pubbliche, che pure si sforzano di dare risposta ai bisogni, spesso oggi così gravi e diffusi, d'una popolazione. Proprio in questo contesto continuano a sorgere e a diffondersi, in particolare nelle società organizzate, varie forme di volontariato che si esprimono in una molteplicità di servizi e di opere. Se vissuto nella sua verità di servizio disinteressato al bene delle persone, specialmente le più bisognose e le più dimenticate dagli stessi servizi sociali, il volontariato deve dirsi una espressione importante di apostolato, nel quale i fedeli laici, uomini e donne, hanno un ruolo di primo piano. La formazione dei fedeli laici ha come obiettivo fondamentale la scoperta sempre più chiara della propria vocazione e la disponibilità sempre più grande a viverla nel compimento della propria missione. Dio chiama me e manda me come operaio nella sua vigna; chiama me e manda me a lavorare per l'avvento del suo Regno nella storia: questa vocazione e missione personale definisce la dignità e la responsabilità dell'intera opera formativa, ordinata al riconoscimento gioioso e grato di tale dignità e all'assolvimento fedele e generoso di tale responsabilità. Infatti, Dio dall'eternità ha pensato a noi e ci ha amato come persone uniche e irripetibili, chiamando ciascuno di noi con il suo proprio nome, come il buon Pastore che «chiama le sue pecore per nome» (Gv 10, 3). Ma il piano eterno di Dio si rivela a ciascuno di noi solo nello sviluppo storico della nostra vita e delle sue vicende, e pertanto solo gradualmente: in un certo senso, di giorno in giorno. Ora per poter scoprire la concreta volontà del Signore sulla nostra vita sono sempre indispensabili l'ascolto pronto e docile della parola di Dio e della Chiesa, la preghiera filiale e costante, il riferimento a una saggia e amorevole guida spirituale, la lettura nella fede dei doni e dei talenti ricevuti e nello stesso tempo delle diverse situazioni sociali e storiche entro cui si è inseriti. Nella vita di ciascun fedele laico ci sono poi momenti particolarmente significativi e decisivi per discernere la chiamata di Dio e per accogliere la missione da Lui affidata: tra questi ci sono i momenti dell'adolescenza e della giovinezza. Nessuno però dimentichi che il Signore, come il padrone con gli operai della vigna, chiama, nel senso di rendere concreta e puntuale la sua santa volontà, a tutte le ore della vita: per questo la vigilanza, quale attenzione premurosa alla voce di Dio, è un atteggiamento fondamentale e permanente del discepolo. Non si tratta, comunque, soltanto di sapere quello che Dio vuole da noi, da ciascuno di noi nelle varie situazioni della vita. Occorre fare quello che Dio vuole: così ci ricorda la parola di Maria, la Madre di Gesù, rivolta ai servi di Cana: «Fate quello che vi dirà» (Gv 2, 5). E per agire in fedeltà alla volontà di Dio occorre essere capaci e rendersi sempre più capaci. Certo, con la grazia del Signore, che non manca mai, come dice San Leone Magno: «Darà il vigore Colui che conferì la dignità!»; ma anche con la libera e responsabile collaborazione di ciascuno di noi. Ecco il compito meraviglioso e impegnativo che attende tutti i fedeli laici, tutti i cristiani, senza sosta alcuna: conoscere sempre più le ricchezze della fede e del Battesimo e viverle in crescente pienezza. L'apostolo Pietro, parlando di nascita e di crescita come delle due tappe della vita cristiana, ci esorta: «Come bambini appena nati, bramate il puro latte spirituale, per crescere con esso verso la salvezza» (1 Pt 2, 2).

     




 

 
COSMO FRANCESCO RUPPI Arcivescovo di Lecce :
La Santita' dei Laici ,
una rilettura dell'Esortazione Apostolica Christifideles laici promulgata da Giovanni Paolo II nel 1989

Nella Esortazione Apostolica Christifideles laici Giovanni Paolo II parla esplicitamene della dignità dei laici e indica che tale dignità si rivela in pienezza nella loro santità; la chiamata alla santità per i fedeli laici, pertanto, costituisce un punto capitale della loro vita e della loro presenza nella Chiesa. La santità costituisce, cioè, «la consegna primaria affidata a tutti i figli e le figlie della Chiesa da un Concilio, voluto per il rinnovamento evangelico della vita cristiana, e tale consegna è appunto la santità. Questa consegna non è una semplice esortazione morale, bensì un'insopprimibile esigenza del mistero della Chiesa… essa è la Sposa amata dal Signore Gesù, che ha consegnato se stesso per santificarla...». (CL 16). Il Concilio Vaticano II ha parlato diffusamente della santità dei laici soprattutto nel noto capitolo della Lumen gentium, ove si fa riferimento esplicito non solo alla santità dei fedeli laici in generale, ma anche ai lavoratori (dediti spesso a lavori faticosi), ai malati, sofferenti, poveri e tribolati, mentre il decreto su L'apostolato dei laici nel n. 4 ha trattato esplicitamente della loro spiritualità e santità, dicendo a chiare lettere che l'apostolato dei laici dipende dalla loro unione vitale con Cristo. Che vuol dire essere santo. Per molti, ma soprattutto per i fedeli laici, la santità può sembrare un miraggio lontano, difficile e, per molti versi, anche al di sopra delle forze comuni, ed invece la santità è una vocazione che ci riguarda tutti, nessuno escluso. E' bene, perciò, far capire alla nostra gente che essere santi non vuol dire fare miracoli o compiere gesta eccezionali, ma vivere la vita quotidiana da buoni cristiani. Essere santo vuol dire imitare Cristo, seguire Cristo nei suoi insegnamenti, vivere la sua vita attraverso i sacramenti. tradurre la fede nella pratica di ogni giorno. In parole povere, vuoi dire essere buon lavoratore, buon studente, buon pensionato, buon insegnante, buon impiegato, buon commerciante, essere buon genitore o buon figlio, buon nonno e buona nonna... Essere santo per un fedele laico vuol dire santificarsi nel mondo; realizzare la propria dimensione cristiana nelle realtà temporali. partecipando cioè agli affanni e alle speranze del mondo, portando nella propria esistenza quel respiro che si vede all'inizio della “Gaudium et spes”. Essere santo per un laico, significa vivere nella storia e fare la storia di questa terra, ma farla in senso cristiano, con lo sguardo stesso del Cristo Redentore. Nel cammino di santità, i fedeli laici, pertanto, non devono perdere mai di vista l'impegno civile e sociale e neppure quello politico, divenuto sempre più arduo e difficile, ricordando che per essi il luogo di santità, il luogo ove devono essere santi, è il mondo di oggi, questo mondo, nel quale sono chiamati a vivere e operare. Portando un'anima nelle realtà terrestri, infatti; portando all'uomo di oggi quel supplemento di spiritualità che tanto manca, i fedeli laici rispondono alla vocazione alla santità e attuano la loro stessa missione nel mondo. A tale proposito, già il Concilio Vaticano II aveva asserito che «né la cura della famiglia, né gli altri impegni secolari devono essere estranei all'orientamento spirituale della vita» (AA 4) confermando con questo che, per i laici, tutto conduce, deve condurre alla santità. Nella citata esortazione sui laici, il Santo Padre ha precisato che «la vocazione alla santità deve essere percepita e vissuta dai fedeli laici, prima che come obbligo esigente e irrinunciabile, come segno luminoso dell'infinito amore del Padre che li ha rigenerati alla sua vita di santità. Tale vocazione deve dirsi, allora, una componente essenziale e inseparabile della nuova vita battesimale e pertanto un elemento costitutivo della loro dignità» (CL 17).Tra i fedeli chiamati alla santità, un posto tutto speciale ce l'hanno i sofferenti e i malati, quelli, cioè, che dialogano con Cristo dolente e rappresentano una delle più grandi risorse della nostra azione apostolica. La malattia, infatti, è luogo privilegiato di santificazione e di apostolato (l'apostolato della sofferenza!) ed è il tempo in cui può meglio radicarsi la dimensione della speranza e della fiducia in Dio. Se le nostre parrocchie e, prima ancora, le diocesi, gli istituti religiosi, le associazioni, i movimenti laicali e di apostolato mettessero a fuoco la chiamata alla santità, non c'è dubbio che il posto dei fedeli laici diventerà formidabile motivo per la realizzazione della Chiesa santa e condizione imprescindibile per attuare seriamente la nuova evangelizzazione.






Fonte : http://www.cantalleluia.net  ,  website a cura di Padre Claudio Traverso ; per la versione integrale dell'articolo accompagnato con immaginette sacre della Collezione Privata Ercole Oliva si rinvia al sito Cantalleluia.net .













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