martedì 23 luglio 2019

LA VERGINITA' CONSACRATA, di padre Claudio Traverso



Padre Claudio Traverso

LA  VERGINITA'  CONSACRATA



Il martirio nella Chiesa primitiva appariva come una maniera privilegiata di essere santi, ma la santita' stessa non puo’ essere un privilegio riservato a pochi.
L'imitazione di Cristo raggiungeva l'apice nel martirio, ma non vi si esauriva: in queste parole si puo' compendiare il frutto della riflessione che porto' la Chiesa ad allargare il primitivo concetto di santita' identificata nel martirio e ad estendere di conseguenza il culto anche ad altri suoi figli.
L'evoluzione appare nel IV° secolo: esso infatti segna la cessazione delle grandi persecuzioni e il riconoscimento legale della Chiesa da parte dell'Impero Romano, mentre d'altra parte segna il massimo rigoglio del monachesimo.
I due fatti sembrano fra loro connessi; cessata la possibilita' offerta dal regime di persecuzione di imitare la passione di Cristo, si fa vivo e imperioso il desiderio di imitarlo quanto piu' perfettamente possibile nelle sue disposizioni interiori, nella certezza che tale imitazione non e' meno gloriosa di quella inerente al martirio.
Per i primi secoli il gran numero dei martiri rendeva gloriosa e splendente di santita' la Chiesa.
Con la pace lo splendore della sua santita' sembrava impallidire, eppure essa non poteva rinunciare alla sua fecondita'. Il Concilio Vaticano II° afferma: "Se a pochi e' concesso il martirio, devono pero' tutti essere pronti a confessare Cristo davanti agli uomini nelle circostanze concrete della vita".
Alla morte corporale si sostituisce l'immolazione interiore: il martire si dimostrava fedele fino al versamento del sangue; il virtuoso sacrifica se stesso sull'altare del proprio cuore, e la durata del martirio incruento compensa bene le atrocita' di quello cruento.
La testimonianza a Cristo puo' essere data secondo forme esternamente diverse, ma profondamente identiche per il contenuto interiore di santita'.
Inoltre il martirio spirituale a sua volta assume molteplici sfumature che vanno dal dolore morale, alla sopportazione del dolore fisico, all'impostazione di vita sul piano dei consigli evangelici, alla cura per la famiglia, al lavoro spesso oneroso e mortificante.
Cosi' l'infermo che sopporta con amore la malattia, l'inoperosita' che ne deriva, le sofferenze fisiche o morali che l'accompagnano in unione a Cristo sofferente per la salute del mondo, non dimostra minore virtu' di colui che offre la sua vita per mano del carnefice (LG 41).
Tale convinzione e' stata sempre viva nella tradizione monastica che ha considerato la professione dei consigli evangelici come una vita di martirio. Afferma Sant'Ambrogio nel De Verginitate: "La verginita' non e' degna di lode tanto perche' si riscontra nei martiri, quanto perche' essa per se stessa crea i martiri".

    
 
GLI INIZI DEL MONACHESIMO : I PADRI DEL DESERTO

Con la parola "monaco" viene designata una categoria di cristiani che, per desiderio di maggiore perfezione, si ritiravano dalle normali attivita' per condurre in luoghi appartati una vita di preghiera e di austerita'.
La tradizione vuole che questa fuga dal mondo sia in relazione alla terribile persecuzione dell'imperatore Decio del 250 D.C.  In quell'occasione, certamente, molti cristiani egiziani fuggirono dalle citta' e dai villaggi e s'inoltrarono nelle impervie solitudini del deserto.
Terminata la persecuzione, non tutti ritornarono alle antiche dimore, pensando che il deserto fosse il luogo piu' adatto alla vita perfetta.
Benche' la voce "monaco" designasse l'eremita o anacoreta, cioe' l'asceta cristiano che vive da solo nel deserto, tuttavia fin dagli inizi del IV° secolo la voce passo' a designare anche il cenobita, cioe' l'asceta che vive insieme ad altri asceti, animati dallo stesso ideale di solitudine, in raggruppamenti piu' o meno numerosi e piu' o meno separati, anche materialmente, dal resto degli uomini e dalla stessa comunita' dei battezzati. La loro esistenza si conduceva nella "laura" (letteralmente= viuzza), che indica il luogo dove organizzavano la loro vita comunitaria. I monaci abitavano in una serie di celle disposte l’una accanto all’altra intorno a un nucleo centrale, comprendente la chiesa dove i fratelli si ritrovavano il sabato e la domenica per le celebrazioni comuni. Al termine della liturgia domenicale seguiva un’agape fraterna.
Prima di ripartire per le proprie celle, ci si procurava il materiale necessario, rami di palme e di giunchi per le ceste da intessere durante la settimana.
E la Terra Santa, meta di pellegrinaggi in ogni tempo, esercito’ presto una fortissima attrazione anche sul monachesimo. Pare che l’inizio puo’ essere individuato in San Caritone, uno dei tanti pellegrini giunti in Terra Santa da Iconio nell’Asia Minore, ma non ritorno’ in patria e diede vita a un insediamento monastico.
Nel corso del V° secolo abbiamo in quest’area tutto un fiorire di monasteri: quelli di fondazione occidentale intorno a Gerusalemme, le lauree iniziate da Caritone, le fondazioni monastiche nel Sud della Palestina, nel deserto di Gaza, per non citare che alcune tra le più importanti.


 
 




Fonte : http://www.cantalleluia.net  ,  website a cura di Padre Claudio Traverso ; per la versione integrale dell'articolo accompagnato con immaginette sacre della Collezione Privata Ercole Oliva si rinvia al sito Cantalleluia.net .













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