L'ANNUNCIO MISSIONARIO DELLA LIGURIA AL MONDO. Alcuni Missionari esemplari dell'epoca contemporanea.
di Stefano Armellin
Introduzione
Capitolo Primo:
Breve profilo di missionari della diocesi di
Albenga-Imperia
1.1 L’
annuncio della Parola nello sviluppo missionario
della diocesi di Albenga - Imperia
1.2 Alcuni missionari della diocesi di
Albenga-Imperia
1.2.1. Mons. Giuseppe Valerga
1.2.2. Don Antonio Belloni
1.2.3 Mons. Giovanni Vincenzo Bracco
1.2.4 Don Angelo Bianco
1.2.5 Mons. Lino Richero Panizza
Capitolo Secondo:
Don Antonio Isoleri missionario a Philadelphia
(1870-1926)
1.1 Don
Isoleri: da Villanova a Philadelphia
1.1.1 Il
pastore nella chiesa di Santa Maria Maddalena
de Pazzi
1.1.2
Don
Isoleri uomo di cultura: le sue pubblicazioni
Conclusione
Bibliografia
Introduzione
“ Come tu, Padre, sei in me e io in
te, siano anch’essi in noi una cosa sola, perché il mondo creda che tu mi hai
mandato “ ( Gv 17,21 ).
I confini di questa tesi sono
circoscritti ai nomi dei missionari che vengono descritti. Sono pochi, ma
sufficienti per aprire orizzonti vastissimi perchè la storia della salvezza
passa anche attraverso di loro.
Spiegare in cosa consiste il disegno
divino della salvezza dell’uomo è compito anche della loro missione. Come dice
Padre Ottavio Raimondo[1]:
“ Non dimentichiamo quanto si afferma nella Redemptoris Missio, che
nessuno può dire di essere cristiano se non ha un cuore missionario, se cioè
non mette l’annuncio in primo piano, l’annuncio verso coloro che non hanno mai
ricevuto la buona novella”. I missionari, nonostante la diversità delle loro
personalità, parlano con una voce sola insieme a quella dei loro cooperatori.
La cooperazione missionaria è la
chiave di volta per il successo stesso della missione, in particolare nelle
zone del mondo più deboli, dove, fatalmente, il processo per l’autonomia
sociale delle nuove giovani chiese si rivela più lungo.
Perciò i missionari, partendo e
distaccandosi dal luogo di origine, in molti casi in maniera definitiva, si
aggregano a una nuova comunità per comunicare l’annuncio evangelico e
partecipare con i suoi membri a un’esperienza cristiana, fondata sui
sacramenti e nella carità. Si fanno comunque garanti di una nuova fede verso
la quale spingono con una convinzione e un consenso spontaneo, senza del quale
non ci può essere l’inculturazione della fede. Paolo VI a Kampala ricorda che
le culture sono molte e la fede deve essere inculturata, altrimenti rimane
superficiale e incapace di cambiare alcunché.
Questi sono i punti irrinunciabili di
ogni autentica opera di evangelizzazione. I missionari sanno apprezzare i
risultati della comunità che devono servire per orientarla verso il bene,
sanno coordinarla per perfezionare ogni proposta utile al raggiungimento del
senso pieno della verità. Non sono dispersivi perché hanno lo sguardo
costantemente centrato su Cristo.
Come Dio è sceso verso l’uomo, così i
missionari si chinano sulle comunità loro affidate, e più si abbassano - fino
a vivere nell’umiltà -, maggiori sono i risultati che ottengono. La Chiesa è
strutturalmente legata alla Parola e al suo annuncio, oggi applicato con i
documenti del Vaticano II, che esprimono il magistero della Chiesa d’oggi. Se
dimentichiamo che la Chiesa è luce dei popoli, se dimentichiamo il valore
delle conferenze episcopali e che la Chiesa universale non è la somma delle
Chiese particolari; se non vogliamo accettare che la Chiesa sia al servizio
del Regno, se releghiamo come secondarie queste realtà, vanifichiamo il
Concilio Vaticano II e tutta la lunga storia della Chiesa Cattolica.
Tre dei sei missionari che descrivo
in questa tesi sono Vescovi.
Tutti sono uomini in prima linea. Si confrontano
direttamente con le ricchezze e i valori di un popolo, ma anche con le sue
povertà e le ingiustizie che portano indigenza ed emarginazione.
Quando giungono a destinazione, i
missionari favoriscono l’integrazione sociale delle persone povere, degli
orfani, delle vedove, degli anziani, dei malati. Questo lavoro prezioso viene
svolto trascurando preoccupazioni meramente sociologiche: ciò che muove la
loro azione è lo spirito delle Beatitudini.
Come ha detto Benedetto XVI nella
sua omelia al Convegno ecclesiale di Verona 2006, “ Il contenuto del -
kerygma – dell’annuncio, che costituisce la sostanza dell’intero messaggio
evangelico, è Cristo, il Figlio di Dio fatto Uomo, morto e risuscitato per noi
“.
Oggi la missione è un terreno
straordinariamente ricco di possibilità. La sfida è rappresentata ancora una
volta dalla capacità di parlare alle genti, in una prospettiva rivolta
all’incremento della disponibilità di convivere con la diversità.
In questo studio si sottolinea
l’importanza per l’umanità di un’equa distribuzione delle risorse, nel
contesto di un mondo unito, rispettoso della dignità della persona.
Un mondo unito alla presenza di Dio:
questa è la bellissima aspirazione di ogni missionario che spende la sua vita
affinché non vada perduta l’unità della Chiesa universale.
Il secolo appena trascorso ha
assistito ad una vera e propria accelerazione della storia: quanti cambiamenti
si sono verificati, cambiamenti che hanno profondamente mutato l’orizzonte
sociale, educativo, culturale di tutti i continenti!
Gestire questo cambiamento epocale
con intelligenza e amore è l’aspirazione della quinta conferenza
[2]
dei Vescovi latinoamericani che si terrà al Santuario della Aparecida dal 13
al 31 maggio 2007.
Nel colloquio avuto con Mons. Panizza,
Egli ha sottolineato più volte l’importanza di un obiettivo che metta in primo
piano la scuola come centro di formazione della personalità, capace di
trasmettere valori, all’interno di una coscienza mondiale rinnovata in
profondità.
Le grandi impalcature istituzionali e
gli organismi internazionali che hanno cercato di vincere la povertà su grande
scala non hanno prodotto risultati soddisfacenti. Sempre Mons. Panizza
ricorda che in Perù non si nota ancor oggi nessuna inversione di tendenza per
quanto riguarda la povertà cronica.
Questa tesi non intende discutere le
problematiche anche drammatiche del mondo, stando sul ciglio del baratro del
nostro fallimento collettivo.
Semplicemente, queste figure di
Sacerdoti dimostrano che un reale cambiamento è possibile se si innesca un
processo educativo che renda capaci le persone di accogliere la loro
situazione esistenziale, la loro condizione di poveri: a questo proposito la
figura di Don Belloni, l’Abuliatama, il Padre degli orfani, è
paradigmatica ed esemplare.
I missionari inventano sovente nuove
soluzioni organizzative perché la stessa necessità li costringe a farlo: se
Mons. Bracco fosse rimasto in Liguria, probabilmente non avrebbe ideato un
regolamento canonico che si dimostra valido ancora oggi.
Don Bianco in Costa d’Avorio affronta
la conoscenza della lingua locale prima di riuscire ad impostare una catechesi
efficace. Egli, fra quelli descritti in questa tesi, è il missionario che
incontra le popolazioni allo stato più primitivo e lontano dalla nostra
cultura occidentale.
Don Angelo si confronta con questa
umanità nuova con delicatezza, da ospite discreto e attento agli usi e costumi
locali. Nella sua antropologia pastorale sviluppa un cristianesimo adatto alla
persona che ha davanti in quel momento.
Nell’immaginario collettivo l’Africa è
associata ai missionari che aiutano i bambini indigenti che soffrono e muoiono
per la fame. Quest’immagine è fuorviante perché coglie solo un aspetto della
realtà, non coglie l’insieme della predicazione missionaria e non rende
giustizia alla dignità, alla forza, alla ricchezza del continente africano.
La vera missione è la comunicazione di
un senso per vivere, è l’amore vero al singolo in tutte le sue dimensioni, è
l’annuncio di una salvezza che raggiunge prima di tutto il missionario stesso.
La raggiunge e la consegna alla gente, alle comunità e alle famiglie nella
consapevolezza che Cristo è il centro e la ragione profonda della vita. Egli è
il Verbo di Dio e il sacramento che salva e infonde speranza al mondo, sempre
più attento al mistero e alle realtà dello spirito.
“Quando lo videro, gli si prostrarono
innanzi; alcuni però dubitavano. E Gesù, avvicinatosi, disse loro: - Mi è
stato dato ogni potere in cielo e in terra. Andate dunque e ammaestrate tutte
le nazioni,
battezzandole nel nome del Padre e del Figlio e
dello Spirito Santo , insegnando loro ad osservare tutto ciò che vi ho
comandato. Ecco, io sono con voi tutti i giorni, fino alla fine del mondo – “
( Mt 28, 17-20 ) .
Capitolo Primo
Breve profilo di missionari della diocesi
di Albenga-Imperia
1.1
L’annuncio della Parola nello sviluppo missionario della diocesi di
Albenga-Imperia
La dimensione missionaria è sicuramente uno
dei tratti fondamentali del Cristianesimo. Essa è inserita nella struttura
stessa della vita di Cristo che ha donato la Sua vita per la salvezza di ogni
uomo.
Sin dall’inizio del suo percorso, la Chiesa
non ha posto limiti spaziali alla missione e ha subito messo
l’evangelizzazione al centro del suo operato:
“ Annunzia la parola, insisti in ogni
occasione opportuna e non opportuna, ammonisci, rimprovera, esorta con ogni
magnanimità e dottrina. Verrà giorno, infatti, in cui non si sopporterà più la
sana dottrina, ma, per il prurito di udire qualcosa, gli uomini si
circonderanno di maestri secondo le proprie voglie, rifiutando di dare ascolto
alla verità per volgersi alle favole. Tu però vigila attentamente, sappi
sopportare le sofferenze, compi la tua opera di annunziatore del vangelo,
adempi il tuo ministero (2 Tm 4,2-5) “.
Nella sua storia bimillenaria, la comunità
ecclesiale ha mantenuto vivo il desiderio di annunciare la salvezza e di
raggiungere con questo annuncio tutti i popoli: i primi cristiani avevano
piena consapevolezza di essere i depositari di una ricchezza che non poteva
essere trattenuta nella propria interiorità. La fede è stata da subito
avvertita come un dono da comunicare a tutti, anche attraverso una
testimonianza di vita e la pratica instancabile della carità.
La diocesi di Albenga-Imperia si inserisce
in questa dinamica missionaria, esprimendo con una attenzione costante
l’esigenza di essere presenza divina nel mondo: “Il cosiddetto rientro o
“rimpatrio” delle missioni nella missione della Chiesa, il confluire della
missiologia nell’ecclesiologia e l’inserimento di entrambe nel disegno
trinitario di salvezza, hanno dato un respiro nuovo alla stessa attività
missionaria, concepita non già come un compito ai margini della chiesa, ma
inserito nel cuore della sua vita, quale impegno fondamentale di tutto il
Popolo di Dio”.[3]
Le linee guida della missione a livello
diocesano vengono tracciate dal Vescovo nell’annuale messaggio di ottobre,
scritto in occasione della Giornata Missionaria Mondiale.
L’apostolato missionario non intende gli
inviati in missione come delegati della comunità, bensì come inviati di Cristo
stesso, chiamati ad annunciare il Vangelo per rendere la Chiesa presenza
visibile ovunque e per portare a tutti la Verità: “La missione di Cristo e
dunque la missione della sua Chiesa è necessaria per la salvezza del mondo”.[4]
Ancor oggi ci sono popolazioni che non
conoscono Cristo, che non hanno ancora incontrato la pienezza di vita e la
luce che nascono da questo incontro. E’ necessaria, dunque, una nuova Parola
che liberi ogni uomo dalla lontananza da Dio e anche da pratiche di vita a
volte lesive dei diritti umani:”Quando compie la sua missione di annunciare il
Vangelo, [la Chiesa] attesta all’uomo, in nome di Cristo, la sua dignità e la
sua vocazione alla comunione delle persone”.[5]
Lo stesso insegnamento sociale della Chiesa
nasce alla luce della Parola di Dio e del Magistero autentico, grazie alla
presenza dei cristiani nel mondo.
La caratteristica precipua del missionario è
quella di lasciare fisicamente, e in certi casi per sempre, la diocesi di
partenza, per andare a seminare la Parola su un terreno completamente nuovo, a
volte ostile. Egli lascia tutto per amore di Gesù, incontrando inevitabilmente
numerosi ostacoli culturali, linguistici, sociali: a volte si imbatte
nell’ostilità di chi non lo conosce e talvolta è chiamato a rendere la sua
testimonianza di fede anche attraverso il martirio.
L’attività missionaria diocesana intende
rendere evidente la presenza della croce in ogni autentica esperienza
evangelizzatrice. Tuttavia questo cammino, spesso irto di difficoltà di ogni
genere, porta con sé gioia autentica e una pienezza di vita che attrae
inevitabilmente anche l’umanità più lontana da Cristo.
Come in tutte le diocesi, anche in quella di
Albenga-Imperia opera un Ufficio Missionario che ha il compito di monitorare e
sostenere questo aspetto fondamentale per la vita della nostra Chiesa.
L’ufficio è il principale punto di riferimento per la conoscenza, la
cooperazione missionaria e per il coordinamento di eventuali progetti comuni;
svolge attività di animazione e di sensibilizzazione missionaria presso le
parrocchie. Raccoglie informazioni su tutti i gruppi missionari parrocchiali e
laici presenti in diocesi. Continua cioè quel tipo di attività missionaria,
che nel dopoguerra, ha svolto con passione e sacrificio Don Angelo Ferrari,
celebrato Direttore dell’Ufficio Missionario Diocesano, che per molto tempo,
ogni anno visitava tutte le parrocchie della diocesi, anche le più piccole,
per sensibilizzare allo spirito missionario i fedeli con la preghiera e la
richiesta di nuove vocazioni.
La Giornata Missionaria Mondiale rappresenta
il momento culminante di questo aiuto reciproco: tutte le comunità della
diocesi pregano e offrono un sostegno economico affinché sia sempre possibile
l’annuncio e i missionari, con la loro testimonianza di fede integralmente e
profondamente vissuta, aiutano tutti i fedeli a riprendere le ragioni della
loro fede e del loro appartenere a Cristo.
Non mancano associazioni di sostegno
all’opera missionaria con lo scopo di annunciare il messaggio evangelico
attraverso la testimonianza caritativa e il sostegno anche materiale a
famiglie, comunità e persone.4
L’Ufficio missionario diocesano svolge
inoltre una funzione di rapporto con i sacerdoti che svolgono attualmente il
loro ministero in terra di missione. Si tratta di due presbiteri, ambedue
appartenenti ai missionari Fidei donum: Don Adelio Gariboldi, che
svolge attività pastorale in Cile, nella parrocchia di San Saturnino, a
Santiago. E Don Giuseppe Cressano, operante invece in Perù, a Lima. Originari
della diocesi di Albenga – Imperia sono pure il Vescovo di Carabayllo – Lima,
in Perù, Mons. Lino Panizza Richero, appartenente, però, alla famiglia
religiosa dei Padri Cappuccini e Padre Ottavio Raimondo, operante attualmente
a Bologna, alla direzione dell’Editrice Missionaria Italiana.
Questi missionari, pur lontani fisicamente,
sono il cuore stesso della nostra Chiesa locale: “Con l’obiettivo di dilatare
gli spazi della comunione, - si legge sulle Costituzioni del Sinodo diocesano
di Albenga-Imperia, - la Chiesa si fa pienamente e attualmente presente a
tutti gli uomini e popoli, per condurli alla libertà e alla pace di Cristo,
rendendo libera e sicura la possibilità di partecipare pienamente al suo
mistero.”
5
1.2 Alcuni missionari della
diocesi di Albenga-Imperia
Assai cospicuo è il numero dei
missionari scaturiti all’interno della diocesi di Albenga-Imperia, nel XIX e
XX secolo. In questo capitolo tratteggiamo una breve immagine di sei
missionari che hanno lasciato un segno nel territorio dove hanno operato. Mi
rivolgo in particolare ai Vescovi Giuseppe Valerga, Giovanni Vincenzo Bracco,
ambedue Patriarchi di Gerusalemme, e Lino Richero Panizza, attuale Vescovo di
Carabayllo, a Lima: tre sono invece sacerdoti; ma anch’essi hanno contribuito
in modo significativo alla vita missionaria, diventando punti di riferimento
nel territorio, dove hanno seminato. Don Antonio Belloni si distingue per le
sue capacità di formazione, Don Angelo Bianco per l’adattamento con cui
interpreta la Parola di Dio, Don Antonio Isoleri per aver scoperto nella
valenza culturale uno strumento efficace di evangelizzazione. Tutti non hanno
esitato a mettersi in gioco per consegnare Cristo, speranza del mondo e
salvatore di tutta l’umanità, anche di quella parte più infelice e alle prese
con la povertà e i bisogni di tutti i giorni.
1.2.1 Mons. Giuseppe Valerga
La famiglia Valerga si trasferisce verso
il 1780 da Varazze a Loano e lì nasce, il 9 aprile 1813, Giuseppe, settimo di
diciotto figli. Muore a Gerusalemme nel 1872, a 59 anni. La sua è una vita
preziosa per la Chiesa Cattolica: egli diviene - a soli trentaquattro anni -
il primo Patriarca Latino di Gerusalemme. Come ricorda il Vescovo di
Albenga-Imperia Mons. Mario Oliveri, nella presentazione del libro a lui
dedicato, esiste uno straordinario rapporto fra il Patriarcato e la Diocesi :
“…Ne sono fiero e felice, come Vescovo di
questa Chiesa Ingauna che ha donato alla Chiesa di Gerusalemme i primi due
Patriarchi (il secondo è mons. Bracco) e principali artefici del
ristabilimento e la riorganizzazione della piena presenza della Chiesa
cattolica nella Terra Santa, dopo circa sei secoli di custodia tenace dei
Luoghi Santi da parte dei benemeriti figli di San Francesco. Chiesa
albenganese che offrì pure, in quegli stessi anni, i degnissimi Sacerdoti Don
Antonio Belloni, fondatore dell’orfanotrofio di Betlemme e Don Felice Valerga,
nipote del Patriarca e suo segretario fino alla morte “.
[6]
Valerga cresce dunque, a Loano, in
Liguria. La famiglia numerosa, avendo mezzi limitati, confida nella carità di
una signora di Finalborgo per l’avvio agli studi del figlio Giuseppe nel
collegio di quella città. In seguito il giovane viene accolto nel Seminario di
Albenga, che allora prevedeva due categorie di studenti: quella di coloro i
quali potevano permettersi il pagamento della retta completa e quella dei
seminaristi che potevano corrispondere solo una parte della retta: il Valerga
appartiene a quest’ultima classe, penalizzata alla mensa, troppo frugale. A
causa di questo trattamento, Giuseppe esprime le sue rimostranze al Vescovo (Mons.
Vincenzo Piattoni, 1831-1839) che lo espelle per un anno. Possiamo immaginare
il suo sconforto, tanto più grande quanto più la vocazione è autentica.
Continua da solo gli studi e matura la
vocazione missionaria. Non vuole tornare nel Seminario di Albenga e chiede al
Vescovo la possibilità di continuare la preparazione a Roma. La richiesta è
accolta, ma le difficoltà – soprattutto quelle di natura economica - non
mancano.
Alla “Sapienza” consegue un doppio dottorato in
teologia e in diritto, dimostrando una forte predisposizione agli studi e una
capacità retorica non comune. Si iscrive anche ai corsi di lingue orientali e
dimostra di possedere una spiccata inclinazione per lo studio dell’ebraico.
Il 17 dicembre 1836, a ventitré anni, viene
ordinato Sacerdote. Entra in “Propaganda Fide ” per il disbrigo di documenti
arabi, greci e latini. Un viaggio in Calabria come segretario di Mons.
Mussabili lo illumina 7, e gli fa
comprendere l’importanza dell’esperienza diretta sul campo, che non poteva
essere sostituita dalla sola preparazione culturale. Dimostra senso pratico e
i suoi superiori non tardano ad esaudire la sua richiesta di essere inviato
nelle missioni estere. Nel 1841, a 28 anni, parte per la Siria. Un nuovo
annuncio missionario raggiunge il Medio Oriente.
Dal 1842 al 1847 diventa il braccio destro
di Mons. Trioche a Mossul (oggi Al-Musil) e individua nella chiesa di Mar
Ishaya il luogo centrale adatto per un Seminario. Da vero missionario non
dimentica che per progredire nella missione è necessario seminare se si vuole
un giorno raccogliere i frutti dal nuovo terreno.
Il 27 dicembre 1843 scriveva alla
Congregazione di “Propaganda Fide”:
“ Quando ho abbandonato i miei interessi e la mia
famiglia, per farmi missionario, non ho cercato altro che mettermi in
condizione di disprezzare tutte le speranze con cui il mondo – anche
ecclesiastico- può blandire gli sciocchi che lo seguono (…)”.[8]
Don Valerga, figlio di un capomastro, si
conferma abile costruttore. Ripara, ingrandisce e costruisce nuove chiese:
lavoro materiale importante, ma secondario di fronte alle urgenze pastorali
alle quali indirizza tutte le sue preghiere. Si dedica alla Chiesa di Caldea
con passione: come Vicario Generale acquisisce negli anni la capacità di
vedere il vero volto dell’Oriente, della sua gente, dei loro usi e
costumi.
Valerga si trova a vivere in un periodo
assai delicato per la Chiesa Cattolica, costretta a convivere fra istanze
missionarie e quindi mondiali, all’interno di un Regno temporale obsoleto, in
un Italia risorgimentale alla conquista di una sua prima unità politica.
Mazzini chiede a Pio IX, l’8 settembre
1847: “ Unificate l’Italia, la patria vostra…Diteci: - l’Unità d’Italia deve
essere un fatto del secolo XIX- e basterà: opereremo per Voi…”.
Alcuni mesi prima i Cardinali in assemblea
generale decidono il ripristino della sede patriarcale di Gerusalemme.
9
Don Valerga giunge in Italia a fine
luglio senza sapere nulla di preciso. Ha con sé il rapporto da ultimare sulla
situazione della chiesa Caldea. Pensa agli anni passati in Siria, Mesopotamia
e Persia. Al suo impegno indefesso per annunciare il Vangelo. Il 16 maggio
1847, viene designato nuovo Patriarca Latino di Gerusalemme e convocato lo
stesso giorno a Roma senza essere informato sulla sua nomina. Il Cardinale
Potenza Acton lo qualificava:
“ eccellentissimo soggetto (…) uomo di perfetta
probità e di grande zelo apostolico, versatissimo nelle scienze sacre e nelle
lingue orientali, con una conoscenza profonda delle missioni di oriente e
degli usi della corte romana; dotato di prudenza a tutta prova, unita ad uno
spirito conciliante, ha già meritato dalla S. Congregazione i più grandi elogi
e gode del più alto credito in tutto l’oriente”.[10]
In un primo incontro con Pio IX, Don Valerga
tiene solo una conversazione informativa sulla missione svolta in Medio
Oriente. Il Santo Padre lo invita a ritornare in udienza a Roma dopo la visita
alla madre.
Valerga parte per Loano ai primi di
settembre, sosta a Genova per trovare i fratelli carmelitani : Padre Carlo
Giacinto e Padre Leonardo di San Giuseppe. Insieme tornano a casa. I pochi
giorni trascorsi in famiglia servono a Valerga per un meritato riposo. Questi
sono i momenti in cui la memoria fa presente il passato e il tempo assume una
dimensione diversa dal consueto.
La vita adulta, attraversando i luoghi
nei quali è cresciuta, assorbe ancora notizie e informazioni preziose dagli
eventi che sono stati. Niente va perduto definitivamente, ed è in questi
momenti che si coglie il senso del Tutto. Come crediamo sia capitato al
Patriarca Valerga che il 10 ottobre riceve la consacrazione episcopale. Il
giorno dopo la prima lettera è per la mamma:
“Roma, 11 ottobre 1847. Carissima Mamma,
ho una consolazione da darvi, che deve essere più cara al vostro cuore di
quella, assai vana, alla quale forse vi siete abbandonata, venendo a sapere la
promozione di vostro figlio. Ieri, giorno in cui ebbi la grazia singolare di
essere consacrato per le mani stesse del Sommo Pontefice nella sua cappella
del Quirinale, dopo il banchetto regale al quale si degnò di ammettermi, ebbi
il piacere di essere ricevuto in udienza particolare da Sua Santità. Gli
chiesi per voi e per tutta la famiglia una speciale benedizione. Il Santo
Padre ve la concesse nei termini più benevoli e aggiunse: - che la nostra
benedizione possa essere un conforto per vostra madre, affinché passi in
riposo e tranquillità gli anni di vita che le restano-. Vedete dunque che non
siete stata dimenticata (…), il Santo Padre mi farà dono di tutti i paramenti
pontificali e dell’argenteria della cappella di cui si serviva quando era
Cardinale. Così potrò portare alla mia Chiesa di Gerusalemme la più bella
reliquia che possa desiderare un Vescovo”.
11
In un clima politico internazionale
particolarmente acceso, l’impegno del nuovo Patriarca è quello di sorvolare
sopra gli affari della politica. Egli parte per la Terra Santa a gennaio di un
anno particolarmente intenso per il Papato. L’insurrezione di Palermo
costringe Pio IX e Ferdinando II a concedere la Costituzione.
Il Valerga, con un prete, un domestico e
pochi mezzi, giunge a destinazione. L’accoglienza a Gerusalemme il 17 gennaio
1848 è calorosa e sfarzosa. Vi partecipano più di seicento persone di
differenti culti. Davanti a questa folla e con i piedi ben saldi sul cuore
della terra promessa, egli avrà pensato a quanta storia era concentrata lì,
nella città santa. Storia alla quale lui stesso aggiunge un contributo assai
significativo. Il nuovo apostolato non può iniziare meglio. Certo, le
difficoltà non mancano: i Francescani della Custodia perdono dei privilegi e
un monopolio durato cinque secoli. E anche i primi decreti di Valerga verso
una più oculata amministrazione della Custodia cadono nel vuoto. Soprattutto i
Francescani spagnoli, all’ombra del re di Spagna, non vogliono sentire
ragioni. Si pensi che una soluzione parziale del delicato problema arriverà
solo nel periodo 1912-1915.
Al Patriarca non resta che seminare in
modo nuovo. Per comprendere bene la mentalità di una popolazione indigena, i
loro pensieri, i progetti, i desideri e le aspirazioni legittime, è
fondamentale parlare e comprendere la loro lingua. Un nuovo clero di madre
lingua, cresciuto in quella Terra Santa, da quella popolazione, per Valerga
non è solo una priorità amministrativa, ma il centro del suo stesso annuncio.
Tale annuncio non è disgiunto dalla necessaria apertura ai Sacerdoti di tutte
le razze, in unione profondissima di spirito, per rappresentare la vera
religione universale profeticamente destinata all’incontro di tutti i popoli
del mondo a Gerusalemme[12].
All’inizio del IV secolo l’imperatore Costantino fece di questa città la città
santa cristiana, erigendo la Basilica del Santo Sepolcro dove Valerga celebrò,
a porte chiuse, il 2 febbraio, la messa pontificale davanti alla Tomba Santa.
Ci pensò il Pascià a stemperare la
tensione con gli ortodossi che avevano chiesto le porte chiuse. Organizzò un
incontro con i tre Patriarchi, latino, greco e armeno, che in apparenza riuscì
bene. I conflitti non mancarono, anche interni: ci fu un caso di calunnia sul
suo operato, lettere di denuncia senza fondamento che incredibilmente
trovarono credito presso la Congregazione romana, nonostante le regolari,
precise e minuziose relazioni che il Patriarca inviava. Dovette (con i mezzi
di allora) recarsi a Roma per fare tacere questi sospetti, in un anno, il
1848, tutt’altro che tranquillo per l’Italia e il Papato. Pio IX non perde i
contatti sui fatti che riguardavano la Chiesa universale, Valerga è il suo
uomo di fiducia e merita attenzione e protezione da parte della Sede
Apostolica. In udienza da Pio IX, Valerga si dimostra pronto a rinunciare
all’incarico appena ricevuto, ma il Papa lo incoraggia. Il Patriarca allora
manifesta i suoi progetti dando prova di lungimiranza. Pensa alla Francia e si
trova in viaggio per Parigi, diretto al Seminario delle Missioni Estere.
Allora tutti viaggi si svolgevano con la diligenza pubblica trainata da
cavalli, oppure via mare quando il tragitto lo consentiva. Sempre in contatto
con la famiglia, passa dunque, ancora una volta, per Genova e, a Loano, dalla
mamma che aveva problemi di salute.
Fin dall’inizio del suo patriarcato, che
durò venticinque anni, Valerga viaggiò in prima persona per mantenere e creare
nuovi contatti operativi utili alla sua missione in Terra Santa. Possiamo dire
che il viaggio rappresentò in concreto la dimensione della sua predicazione,
del suo annuncio. Fece lo stesso anche San Paolo, con la differenza che qui si
trattava di riportare nuovo vigore all’epicentro stesso della fede cristiana.
Servivano mezzi di ogni tipo, non solo economici. La sua stessa autorità di
Patriarca sarebbe stata poca cosa se non ci fosse stata la sua personalità
autentica. La sua capacità di generare consenso. Il suo viaggio in Francia si
rivelò un autentico successo. Parlò ai seminaristi con il preciso intento di
generare vocazioni fresche e forti per la Terra Santa, vocazioni missionarie.
Interessantissimo per il nostro studio
l’appello per la Terra Santa, lanciato da Valerga il 1 gennaio 1850 sul
giornale Monde Catholique.[13]
Questo testo ci dà la misura dell’impegno del Vescovo, della sua premura e
cura pastorale verso la missione che gli era stata affidata ad appena
trentasette anni. L’anno del rientro a Roma di Pio IX non poteva iniziare
meglio, il Papa si schierò a favore di questo appello con una lettera
circolare del 16 marzo 1850 inviata ai suoi rappresentanti in Europa.
L’attualità in Liguria delle missioni
fondate da Valerga si può constatare a Varazze, dove, grazie all’impegno del
Parroco di Sant’Ambrogio, si è realizzato un gemellaggio con Beit-Giala,
località a tre chilometri da Betlemme e a nove da Gerusalemme. C’è uno scambio
di visite fra le reciproche autorità, e un soggiorno a Varazze del Rettore del
Seminario, e, per la diocesi di Albenga – Imperia, nel secondo novecento si
conoscono invece i numerosi pellegrinaggi operati in Terra Santa dal Vicario
generale, Mons. Nicola Palmarini, che frequentemente s’incontrò con il
Patriarca di Gerusalemme intessendo una serie di colloqui e visite.
Le tensioni vissute nel 1853 con gli
ortodossi e i musulmani che sfociarono in circoscritti ma pericolosi
combattimenti, si riproposero su vasta scala nel XX secolo e all’inizio del
XXI. Allora come oggi, molti civili innocenti versano il loro sangue, come
Gesù Cristo, sulla Terra Santa.
La prima missione a Beit-Giala, grazie alla
caparbietà del Patriarca, aprì la strada per la fondazione di altre missioni.
Le costruzioni di partenza necessarie a Beit Giala furono in primo luogo la
chiesa, e in seguito una scuola e il Seminario patriarcale, che per due anni
ebbe come Rettore Padre Leonardo, fratello del Patriarca. “Il Morétain fu il
grande capomastro e il corpo delle opere murarie, una volta terminato,
costituì il complesso architettonico più imponente di tutta la Palestina”.14
Nel Patriarcato il clero segue l’esempio
virtuoso del suo Vescovo che impone una rigorosa disciplina, non concedendo
spazi all’ozio, e regolando tutta la giornata per il bene della missione.15
Nel 1857 il Seminario di Gerusalemme si trasferisce per ragioni di spazio a
Beit-Giala. Mentre il nuovo Rettore del Seminario diventa Don Abdallah
Comandari, nel nuovo corpo insegnanti figura Don Antonio Belloni
16 e Don Vincenzo Bracco, futuro
successore di Valerga.
17
Oltre alle nuove missioni da seguire,18
vengono fondate nuove istituzioni idonee a sostenere la missione del Patriarca
(dal 1858 nominato Delegato Apostolico per la Siria e il Libano) : le Suore di
San Giuseppe dell’Apparizione, l’Ospedale di Gerusalemme, la scuola a
Betlemme, le religiose di Nostra Signora di Nazaret, le religiose di Nostra
Signora di Sion, l’Ecce Homo e San Giovanni in Montana, la casa di Don Belloni,
l’Abuliatama, il padre degli orfani.19
E’ senza dubbio qualcosa di prodigioso
vedere fiorire negli anni, in virtù dell’azione spirituale impressa dal
Patriarca a una popolazione eterogenea, una simile varietà di iniziative che,
se non ebbero successo subito, l’ottennero negli anni. Ad esempio, quando
Valerga , dopo la nomina a Patriarca, volle riorganizzare l’Ordine Equestre
del Santo Sepolcro, dovette attendere il 24 gennaio 1868, allorchè Pio IX
pubblicò la lettera apostolica Cum multa sapienter. L’anno prima
Valerga si sottopose ad un tour europeo per ottenere il riconoscimento
internazionale dell’Ordine, sostando brevemente a Firenze, Vienna, Monaco di
Baviera, Bruxelles, Parigi, Madrid.
Per l’Ordine riuscì a creare
millequattrocentodiciassette cavalieri di venti nazionalità diverse.
Possiamo constatare così la forza e
l’autenticità dell’annuncio patriarcale e riconoscere a Valerga un
cattolicesimo d’avanguardia, al quale però faceva difetto l’assenza
nell’Ordine della donna. Rimediò Pio IX con una raccomandazione alla contessa
inglese di origine russa, Lady Mary Francio Lomax, che divenne il 15 aprile
1871 la prima Dama nell’Ordine.
Il Concilio Vaticano I prende forma nel
1866 e la Commissione per le Chiese Orientali, creata da Pio IX nel 1867, vede
protagonista Valerga che nel 1868 parte per Roma con una relazione dal titolo
emblematico: Piani di studio per l’ammiglioramento delle Chiese e missioni
orientali. Due sono gli interventi di Valerga al Concilio. In quello del
31 maggio 1870 dà valida prova di una solida preparazione storica,20
argomentando con passione contro il gallicanesimo a sostegno della
infallibilità del Papa. Il suo intervento magistrale scuote i Padri conciliari
e la sua eco sulla stampa provoca reazioni opposte.
Con tatto diplomatico, nell’intervento del
20 giugno, smorza i toni verso la Chiesa francese, consapevole dell’importanza
di raggiungere il consenso e l’unità d’intenti, senza provocare l’accensione
di una polemica.
Purtroppo, la forzata sospensione dei
lavori conciliari impedisce al nostro Patriarca di condurre a compimento i
propositi della sua relazione. Che rimangono però validi negli anni seguenti.
Dopo ventidue mesi di assenza, il Valerga
torna a Gerusalemme e si dirige a Beit-Giala per un ritiro di due settimane
nel Seminario.21
Avverte l’esigenza di meditare in solitudine sugli eventi trascorsi e su
quelli che avrebbero determinato il futuro della sua missione. Infatti sta
per essere ultimata la costruzione della Concattedrale, la cui inaugurazione e
consacrazione è fissata per l’11 febbraio 1872.
Il Patriarcato, con tutte le sue strutture,
nelle quali agiscono molte persone, si mette in movimento. I contributi
dall’Europa non si fanno attendere,22
tutto è pronto.
Per la cerimonia del grande giorno “il
Patriarca era assistito da tre Vescovi : Mons. Bracco, suo ausiliare, Mons.
Athanasios, Arcivescovo melchita di Tiro e mons. Zaccaria da Catignano,
Vescovo di Mardin, e inoltre dal Rev.mo P.Dilani, Custode di Terra Santa”.23
Il lungo giorno del Patriarca, nel suo anno
decisivo, rappresenta l’ennesimo successo. Innovativo fino all’ultimo, il 2
giugno 1872 riesce ad organizzare per la prima volta a Gerusalemme la
processione del SS. Sacramento per il Corpus Domini. L’autorità e il
prestigio del Patriarca sono al culmine: passa con il Santissimo fra due ali
di folla comprendente greci, armeni, siriani, musulmani e monaci ortodossi.
Centoquattordici anni dopo, Giovanni Paolo II convocherà ad Assisi il
profetico “Incontro interreligioso di preghiera per la pace”, con i
rappresentanti di dodici grandi religioni. Assisi è sicuramente un grande
centro spirituale, ma non è “il centro”, non è Gerusalemme. Valerga è
consapevole di ciò e non vuole perdere un attimo della sua vita, giunta ormai
quasi alla fine.
Parte ancora, questa volta per visitare
l’antica Sidone (Saida).
Centotrentaquattro anni dopo Samir Khalil
Samir scriverà su Avvenire del 3 ottobre 2006: “Gerusalemme è il punto
nevralgico e più delicato che i due Stati desiderano legittimamente assumere
come capitale. Si deve dunque costituire una Commissione internazionale che
comprenda Israele e Palestina, per garantire la sicurezza, la libertà di
movimento e il rispetto delle frontiere internazionali all’interno della
città; ma anche la sacralità, la salvaguardia e l’accessibilità dei Luoghi
Santi che sono patrimonio universale e devono essere protetti da accordi
internazionali”.24
Di ritorno da Saida, a cavallo, il
Patriarca recita il Rosario ad alta voce, mentre progetta di ripartire da
Beirut per Damasco, questa volta in diligenza. Arriva “davanti alla porta
della chiesa” dove “ stavano tre Vescovi in abiti solenni: Macario Haddad,
ausiliare del Patriarca melchita assente, Mons. Basilios Hajjar, Vescovo
melchita dell’Hauran, e l’Arcivescovo siro di Damasco “.25
Non trascura nemmeno in questa occasione l’importanza della cappa magna,
che trasmette al rito la massima solennità, di concerto con il grande apparato
liturgico-sacramentale allora in uso.
Torna a Gerusalemme attraverso lo Hauran,
il Legiah, la Transgiordania con una breve sosta alla missione di Salt.26
Percorsi massacranti, ma non casuali : “ Nelle intenzioni di Mons. Valerga
questo viaggio di ricognizione attraverso il nord della Transgiordania doveva
avviare il lavoro di evangelizzazione. I fatti successivi giustificheranno
pienamente questi piani e queste speranze: la missione di Ermemin sarà fondata
nel 1873, quella di Fuheis nel 1874, quelle di Agilun e di Anjara nel 1876 e
quelle di Hosson nel 1885 ”.27
Il 13 novembre 1872, celebra la
Messa di fronte alla montagna della Quarantena che ricorda il digiuno di Gesù
Cristo, e arriva in serata al patriarcato dove viene accolto dai confratelli
riuniti per una assemblea, primo fra tutti quel che sarebbe diventato il suo
successore, Mons. Giovanni Vincenzo Bracco.
A quest’uomo forte restavano ormai pochi
giorni prima del suo viaggio eterno e, considerando tutte le attività del
1872, sembra che inconsapevolmente Valerga abbia voluto prendere la rincorsa,
per gettarsi meglio nelle braccia del Cielo.
Il 24 novembre fu costretto a mettersi a
letto. Dopo due giorni peggiorò. Si rese conto con la lucidità che sempre lo
contraddistinse, d’essere giunto alle ultime ore. Mons. Bracco gli fu
costantemente vicino. Per un momento sembrò recuperare un po’ di vigore, e i
quattro medici che lo circondavano, pregarono anch’essi con tutto il
Patriarcato abbracciato al suo Patriarca, sperando in un miracolo. Il miracolo
non si fece attendere . Giuseppe pronunciò le sue ultime parole: “ Sì, il
Crocifisso, nient’altro, nient’altro! ” e spirò.
Era il 2 dicembre 1872. A pochi metri dal
Golgota il Patriarca riuscì finalmente a saldare la sua vita con quella di
Gesù Cristo.
Un breve passo tratto dal suo testamento ci
restituisce la grandezza di questo missionario ligure cosmopolita:
“ Domando umilmente perdono a tutti coloro che ho
potuto, nel corso della mia vita, offendere con parole o atti in qualunque
modo. E io, di tutto cuore, ho perdonato, perdono e intendo perdonare, nel
momento della morte, a tutti coloro che, in qualsiasi forma, m’avessero
danneggiato, offeso o calunniato per qualunque azione della mia vita pubblica
o privata ”.28
L’immane sforzo legato alla missione,
protrattosi per venticinque anni, rimane scolpito nel tempo, a conferma del
suo non essersi mai allontanato dalla Verità ultima che è Gesù Cristo Nostro
Signore.
1.2.2
Don Antonio Belloni
Antonio Domenico Belloni nasce, il 20 agosto 1831, a Imperia Borgo Sant’Agata e muore a settantadue anni, il 9 agosto 1903, a Betlemme.
Durante il ginnasio che frequenta dagli
Scolopi, matura la vocazione al sacerdozio ed entra nel Seminario Diocesano di
Albenga, dove resta per quattro anni.
Nel 1855 entra nel nuovo Seminario
delle Missioni Estere a Genova, intitolato al Marchese Antonio Brignole Sale.
Antonio, durante gli anni di studio,
viene subito notato per la serietà di vita e l’attenzione caritatevole verso
il prossimo. Lo nominano assistente dei chierici e loro insegnante di scienze.
Il 13 dicembre 1857, a ventisei anni, è ordinato Sacerdote.
In quel periodo la migrazione italiana
verso gli Stati Uniti era consistente: Antonio rimane colpito da questo
fenomeno che vede nella sua prospettiva di futuro missionario, ed inizia a
studiare l’inglese. Egli avrebbe forse desiderato spendere le proprie energie
per l’evangelizzazione del Nuovo Mondo, ma la Sacra Congregazione di
Propaganda Fide pensa di assegnarlo al Patriarcato Latino di Gerusalemme.
Parte per la Terra Santa a ventotto anni, il 22 aprile 1859. Il distacco è
reso assai difficile a causa della resistenza della famiglia, che con molta
fatica gli permette infine di seguire la sua vocazione missionaria. Al suo
arrivo in Terra Santa il Patriarca Valerga lo accoglie calorosamente e lo
inserisce nel seminario di Beit Giala come professore di Filosofia e Sacra
Scrittura.
Anche per Antonio, come per tutti
i grandi fondatori, c’è una data di riferimento ben precisa, ed è il 2 gennaio
1863: quel giorno un ragazzo di dodici anni di Beit Giala, di nome Issa
Safari, si presenta nel giardino del Seminario. Issa è orfano di madre, è un
adolescente povero e vestito di stracci, con il padre cieco. Questo ragazzo
nella sua estrema povertà offre il suo aiuto per i lavoretti che Don Antonio
sta portando avanti. Il Sacerdote coglie in Issa un segno di Dio: il ragazzo
possiede un corpo sano, una voce in grado di chiedere e una energia in grado
di dare. Da questo incontro apparentemente casuale scatta l’illuminazione. Da
questo punto umano assolutamente privo di rilevanza e visibilità, nascosto fra
la polvere che egli stesso solleva, Don Belloni scorge la possibilità di
un’azione rinnovata, un nuovo modo di svolgere il suo compito di missionario.
Issa cammina a piedi nudi, su strade lontane dai centri che contano,
vicinissimo a Betlemme: l’evidenza della precarietà di un’adolescenza
abbandonata a se stessa fa nascere il cuore autentico della missione di Don
Antonio, che da quel momento diventa l’Abuliatama, il Padre degli
orfani.29
Issa innesca in Belloni un processo
creativo che lo porta alla fondazione del primo Orfanotrofio Cattolico della
Palestina.
In anticipo sull’enciclica Rerum
novarum di Leone XIII
30, dove si afferma che l’uomo
ha diritto a un giusto salario, sufficiente a “mantenere se stesso e la sua
famiglia” (RN 35),31
Don Antonio si trova ad affrontare i problemi legati alla povertà, dovendo
rispondere in prima persona ed in tempi assai ristretti a quel bisogno che si
è manifestato attraverso quel giovane.
Belloni accoglie Issa, lo lascia fare
quel che è in grado di fare, e in questo modo infonde fiducia in un cuore
disilluso e solo. Poi si rende conto di alcuni bisogni pratici: il cibo, le
scarpe e un vestito dignitoso, per rendere evidente una dignità che già in sé
Issa possiede e che va alimentata con il giusto insegnamento culturale e
religioso.
Il bene si propaga, si diffonde
inesorabilmente. L’aiuto pratico dato ad Issa produce nel villaggio un
fermento pieno di speranza. Molti ragazzi si trovano nella stessa condizione e
le famiglie, poverissime, non erano in grado di sostenerli. Tutti costoro si
rivolgono a Belloni, che può contare fin da subito sul sostegno del Rettore
del Seminario, Don Giovanni Vincenzo Bracco, e su quello del Patriarca Valerga,
che lo nomina, nel 1864, Canonico del Santo Sepolcro.
Ma non basta. I bisogni sono
urgentissimi. Aumentando il numero dei ragazzi, aumentano di conseguenza le
spese che anche in regime di economia sono quotidiane. L’orfanotrofio non è
un’ attività commerciale: esso si sostenta con la preghiera e con la
generosità dei benefattori. Quest’ultima, però, sembra mancare, almeno per un
certo periodo.
Ormai trasferito a Betlemme con i suoi
orfanelli, Belloni tocca con mano, abbracciandola come San Francesco, la
povertà estrema: “ Figliuoli miei, io non ho più in mano un solo centesimo per
mantenervi. Mi reco a Gerusalemme. Se non mi vedrete tornare, domani
ritornerete alle vostre case, finchè la Provvidenza non provveda altrimenti”.32
Se questo dramma si verifica all’interno di una organizzazione ecclesiastica,
vuol dire che tutto il Patriarcato Latino vive in uno stato di crisi. La
povertà dell’orfanotrofio è solo lo specchio fedele di una indigenza generale
ben più estesa.
La risposta cristiana alla povertà non
è filantropica ma cristiana , confida pienamente nella Divina Provvidenza e
non nei calcoli, spesso poco lungimiranti, degli uomini. E infatti: “ Mentre
era al Santo Sepolcro a versare la piena del suo dolore dinanzi al Signore,
gli vengono a dire che è arrivato un assegno di seicento franchi da un
benefattore sconosciuto. Con questa somma il Canonico può fare le spese più
urgenti ed evitare il rinvio (a casa) dei suoi orfani “.33
Questo aiuto non esclude la difficoltà costante dell’opera che Belloni porta
avanti, costretto a superare umiliazioni e lacrime sovente accompagnate da
calunnie gratuite. Diffamazioni e contrasti che sono frutto dell’invidia,
anche ecclesiastica, verso qualcosa di buono che cresce e si sta affermando
per il bene comune.
Sono indubbie le assonanze fra l’opera
educativa di Don Antonio Belloni e quella di San Giovanni Bosco. Nell’opera di
Betlemme Don Antonio “aprì corsi regolari di studi elementari e reparti di
calzoleria, falegnameria, sartoria e legatoria. Per animare la vita di questi
giovani organizzò pure una banda musicale, la prima in Palestina.(…) Aprì pure
una scuola esterna, una scuola serale per giovani operai e un circolo
giovanile (…)”.34
Notiamo subito una profonda simpatia con il metodo educativo-preventivo
salesiano. L’ Orfanotrofio è simile all’Oratorio35
di Valdocco dove Don Bosco accoglie i primi giovani indigenti di quella che
sarebbe diventata la Famiglia Salesiana.
Il 26 aprile 1874, Belloni fonda i
Fratelli della Sacra Famiglia e, lo stesso anno, durante un viaggio in Europa
alla ricerca di benefattori per l’ Orfanotrofio, viene invitato da Pio IX ad
incontrarsi con Don Bosco che sta portando avanti da anni la sua missione
educativa con energie non comuni. I due si parlano a lungo. Per i giovani
della Terra Santa servono educatori competenti e motivati, missionari con la
vocazione di seguire i giovani nella crescita.
I mezzi materiali da soli non sono
sufficienti. La giusta formazione può avvenire solo nell’incontro fra un
educatore e un missionario. Anche Don Bosco è impegnato nell’organizzazione
delle prime fondazioni, e deve far fronte a difficoltà di ogni genere. Don
Belloni deve pazientare ancora per un po’, poi l’intesa di fondo con i
Salesiani si crea. La comunione d’intenti si afferma in virtù dell’amore per
Gesù Cristo rivolto ai giovani di tutto il mondo. In primo luogo coloro che si
trovano in stato di bisogno. Entrambi non sopportano di vedere sciupata una
sola anima, sentono nel più profondo del cuore l’esigenza di affrontare tutte
le difficoltà che sorgono da ogni nuova adozione. La visione di Don Bosco,
poi, è così universale che con la mente abbraccia tutti i bisognosi del mondo
e in pratica cerca proprio di ottenere questo risultato. Entrambi vogliono
l’equità sociale, la giustizia economica36
per tutti, ma soprattutto desiderano attuare il Vangelo della carità di
Cristo.
Il 31 gennaio 1888, Don Bosco muore e
l’anno dopo, il 19 giugno, a soli cinquantaquattro anni, decede il Patriarca
Vincenzo Bracco, uno dei maggiori sostenitori dell’opera di Don Belloni.
Nel 1890, la Sacra Famiglia, l’Istituto
fondato da Belloni per la tutela dell’infanzia abbandonata e indigente, è
finalmente aggregata alla Congregazione Salesiana. L’8 ottobre 1891, l’anno
nel quale Papa Leone XIII pubblica l’Enciclica Rerum novarum, arrivano
a Betlemme i primi Salesiani e le prime Figlie di Maria Ausiliatrice.
A sessantadue anni, il 7 luglio del
1893, Don Belloni prende i voti nella Congregazione Salesiana, diventando così
l’autentico “figlio” di Don Bosco.
Don Michele Rua ( 1837 – 1910 ) il
primo successore di Don Bosco, visita nel 1895 le Opere della Palestina,
riconoscendo in Belloni il “ Don Bosco della Terra Santa “: grazie a lui,
infatti, la grande Famiglia Salesiana entra in Medio Oriente e si costituisce
in Ispettoria nel 1902 con il nome di “Gesù Adolescente”.37
Il miracolo è avvenuto. L’innesto fra due sante visioni, fra due sante
fondazioni è riuscito. Non ci sarebbe stato rigetto, ma solo un crescente
sgorgare di attività, di creatività, di preghiera e di canto.
Cito come esempio quel che accadde a
Beitgemal, piccolo villaggio acquistato grazie alla generosa donazione del
Marchese John Patrick de Bute,38
luogo in cui giacquero fino al 415 le spoglie di Santo Stefano Protomartire,
in seguito trasferite a Gerusalemme.
Beitgemal si trova a trenta chilometri
da Gerusalemme e questa località ospita i resti del Servo di Dio Simaàn
Srugi, accolto a undici anni da Belloni a Betlemme. Questa persona diventa
l’esempio del laico salesiano della casa di Beitgemal, dedicandosi soprattutto
all’ambulatorio come infermiere e al mulino come mugnaio. Quotidianamente al
servizio della povera gente, non fa distinzione fra cristiani ebrei e
musulmani, serve tutti con generosità. Non riceve compensi e il suo impegno è
gratuito, di giorno e di notte.
Belloni spende tutta la sua vita di
missionario. Sempre in Palestina costruisce la Chiesa del Sacro Cuore, e fino
all’ultimo lavora a Betlemme, dove ancora nel 1901, ingrandisce i locali, fa
costruire il campanile e innalza la bella chiesa di Maria Ausiliatrice,
l’ultima opera, che resta il sigillo a una vita interamente dedicata al bene
dell’orfano. Rinuncia alla possibilità di diventare Patriarca Latino di
Gerusalemme e primo successore di Mons. Valerga, per dedicarsi completamente
alla causa dell’Orfanotrofio Cattolico.39
Ed è in questa fondazione che va letta la sua anima di pastore: il suo cuore è
costantemente rivolto ai giovani salvati dall’indigenza, che vivono una vita
migliore, grazie all’incontro con lui, l’Abuliatama . Dal 1903, il suo
corpo riposa nella cripta della Chiesa del Sacro Cuore, in Betlemme, dove il
12 settembre 1870, scrive al Direttore delle Missioni Cattoliche queste
parole:
“Già da lungo tempo le promisi di parlarle
della grande miseria che abbiamo quest’anno in Palestina. Ma che vuole ?
L’uomo propone ed Iddio dispone !(…) Ben oltre dieci mesi erano trascorsi
senza acque considerevoli (…). Il cielo poi sembrava rimaner sordo al digiuno
ed alle preghiere dei cristiani; (…) I giovani e coloro che non hanno legami
emigrarono in paesi lontani. Coloro poi che per vecchiaia o per altri motivi
non potevano fuggire camparono per alcuni mesi una vita stentata vendendo quel
poco che avevano ad un vilissimo prezzo, e presentemente si trovano in
un’estrema miseria. Cercano moneta ad imprestito anche con l’interesse annuo
del 70 e 80%, e non ne trovano !Più; già da qualche tempo il commercio qui è
nullo, e per mancanza d’acqua sono sospese quasi tutte le costruzioni, per il
chè molti abitanti di Betlemme, di Gerusalemme e dei paesi limitrofi sono
senza lavoro e senza pane ”.40
Dagli scritti di Don Belloni emerge la
pressante necessità di mezzi per mantenere le fondazioni. Abbiamo già messo in
evidenza questo aspetto, comune a tante opere cristiane.
L’organismo della fondazione poggia,
si sviluppa e cresce grazie alla vocazione del fondatore. Belloni fonda
l’Orfanotrofio Cattolico per amore di Dio. Il Luogo Santo dove sorgeranno gli
orfanotrofi è lo stesso suolo calpestato da Gesù Cristo nella sua vita
terrena. Luogo sul quale sono presenti altri riti religiosi, che Belloni
considera con spirito ecumenico. In seguito, ogni Istituto, che riceve un
sostegno economico ha la possibilità non solo di superare le emergenze ma di
creare alcune attività produttive in grado di fornire i giusti mezzi alla
sopravvivenza41
dell’Istituto. In primo luogo per le persone che, ospitate nell’Orfanotrofio
da bambini, lì sono cresciute, hanno imparato a pregare, a studiare e ad
apprendere un mestiere. E’ l’apprendistato tanto caro a Don Bosco per far sì
che i suoi giovani giungano presto all’autonomia e alla realizzazione
personale, sempre in una prospettiva di fede.
Il Salesiano Belloni non è un
filantropo, ma un cristiano, un sacerdote cristiano.
La stessa ricerca del denaro, i viaggi
fatti a questo scopo, diventano un mezzo di apostolato e di
ri-evangelizzazione missionaria. Non sono una scusa per tornare alla sorgente,
bensì un ri-portare la fede in Europa dalla sua fonte diretta, la Terra Santa.
La missione è un cantiere sempre
aperto, una Cattedrale spirituale per annunciare Cristo Risorto a quanti
ancora non lo conoscono e per ricordarlo a coloro che lo hanno dimenticato.
Belloni insegna a realizzare tutto ciò in spirito di carità e umiltà. “Dio è
Amore” ( 1Gv 4,16 ) e la carità è quella cantata da San Paolo: “Se anche parlo
le lingue degli uomini e degli angeli ma non ho la carità, sono un bronzo
sonante o un cembalo squillante” (1Cor 13,1 ).
Oggi, l’Opera Salesiana “Gesù Bambino”
a Betlemme, comprende una Scuola tecnica con i Corsi di Formazione
Professionale, l’Oratorio e il Centro Giovanile, l’Associazione Maria
Ausiliatrice, gli Scouts, la Banda e il centro artistico Salesiano, il forno,
la panetteria e il Museo dei Presepi. Questa sorgente di amore affronta
quotidianamente i problemi più svariati, ma si mantiene ed allarga
costantemente i suoi orizzonti in virtù della sua capacità di generare nel
prossimo l’amore di Dio. Continua cioè nei secoli lo spirito missionario e la
testimonianza di Don Antonio Belloni, l’Abuliatama della Terra Santa e
speranza di molte persone.
1.2.3
Mons.
Giovanni Vincenzo Bracco
Nasce a Torrazza di Imperia il 14 settembre 1835,
proprio il giorno della Esaltazione della Santa Croce. Questa festa ha avuto
origine dalla consacrazione della Basilica del Santo Sepolcro nel 355.
Muore a Gerusalemme il 19 giugno 1889.
Mons. Bracco è il terzo componente
della triade diocesana di Albenga – Imperia che opera nelle missioni in Terra
Santa, e lo troviamo impegnato ad approfondire l’attività pastorale nel
Patriarcato.
Tutti e tre, giovanissimi, ricoprono
cariche di alta responsabilità. Valerga, a ventisette anni, già Rettore a
Beit-Giala, dimostra di conoscere il valore prioritario della persona
valorizzando le capacità intrinseche di ogni seminarista e di ogni docente. In
Don Belloni, si riscontra una bellissima comunione d’intenti e la stessa
preoccupazione educativa che muove – negli stessi anni – San Giovanni Bosco.
In entrambi il fine è una educazione compiuta e permanente del giovane, alla
luce della fede.
Decisamente in anticipo sui tempi,
Bracco risolve complessi problemi di gestione del Seminario prima e del
Patriarcato di Gerusalemme in seguito.42
Dimostra che l’innovazione nasce ad ogni livello e anche in assenza di mezzi
adeguati, se c’è la capacità di risolvere situazioni anche rischiose con la
creatività di tutti e partendo da una fede comune.
Mons. Bracco dà fiducia al prossimo ed
ottiene il consenso per creare un circolo virtuoso, basato sull’apprendimento
delle soluzioni necessarie al vivere quotidiano. Il suo stile di vita è
esempio per tutti coloro che lo incontrano, e la sua testimonianza è quella di
un uomo autenticamente cristiano.
Bracco cresce a Torrazza in una
famiglia modestissima. Don Francesco Barla è il suo maestro elementare, e un
altro suo parente, Don Andrea Bracco, è il suo primo maestro di latino. La sua
casa si trova a cinque chilometri da Porto Maurizio, arroccata sulla ripida
costa ligure. Per frequentare il Ginnasio e successivamente il Liceo, Bracco
scende e risale a piedi il sentiero, ogni giorno e in ogni stagione, e il suo
pasto frugale è composto molto spesso da un solo pezzo di pane.
Il Seminario Vescovile di Albenga,
fondato pochi anni dopo la conclusione del Concilio di Trento, il 21 aprile
1569, offre ospitalità al giovane Giovanni Bracco che vi si presenta il 10
ottobre 1854.
La formazione del giovane seminarista è
completata a Genova presso il Collegio Brignole-Sale. Lì Bracco frequenta Don
Belloni, e i due diventano amici. Belloni arriva in Terra Santa nel
1859; Bracco l’anno seguente. Entrambi giovanissimi, corrispondono pienamente
ai loro compiti, colmi di responsabilità. Bracco si costruisce una disciplina
personale e severa, che rispetta per tutta la vita, dando esempio di coerenza
e rettitudine. Già da seminarista rivela quelle doti che ancora oggi
permettono di indicarlo come esempio della Chiesa missionaria: la devozione
quotidiana al Santissimo Sacramento, e la prudenza verso tutte le questioni
umane, in particolare, nei giudizi e nelle valutazioni. E’ infatti consapevole
che un errore di valutazione sulla condotta altrui può causare danni
irreparabili.
La sua persona comunica una profonda e
sincera dolcezza verso il prossimo e la fortezza nel resistere a quelle
situazioni non allenta la coerenza della vita sacerdotale missionaria ,
centrata sulla preghiera.
Ma ciò che impegna la sua condotta sia
di Rettore del Seminario, che di Vicario Generale e Vescovo Ausiliare a soli
trent’anni, è soprattutto l’umiltà.
“ Humilité: Je
tacherai d’entretenir en moi un sentiment de profonde humilité: je ne
laisserai passer aucune occasion de pratiquer cette virtu “,43
scrive uno dei suoi biografi .
La carità diventa quindi per Giovanni la regola aurea , tanto
che si può definirlo il missionario della regola “incarnata”: infatti sente in
sé il dovere di essere un uomo degno di portare il nome di Cristo.
Nel 1868, è incaricato da Mons.
Valerga di occuparsi di un regolamento per il Clero del Patriarcato, che nel
1973 è ancora in vigore. Diventa Patriarca nel 1873 e imprime in questo suo
importante incarico quel carattere di ecumenismo, che rende la sua azione
estremamente “moderna” e aperta a tutte le confessioni presenti nella Terra
Santa. Egli non vuole escludere nessuno dalla sua missione, tanto che durante
il suo Patriarcato le missioni raddoppiano. Ed è su questo dato che si misura
la forza di una fede genuina di cui la sua prima Lettera Pastorale
risulta essere testimonianza eloquente.
Il commento ad alcuni passi di questo
testo consente di giungere al cuore dell’annuncio missionario, così come
Giovanni Vincenzo Bracco lo intende e lo vive:
“ La nostra persona era stata elevata
a questo tanto eccelso uffizio da S.S. il Sommo Pontefice Pio IX successore di
Pietro e Vicario di Gesù Cristo (…) abbiamo fatto ricorso a Dio, il quale ci
ha chiamati, e che è il nostro rifugio e la nostra forza, ed alla sua presenza
esponendo la nostra trepidazione, non abbiamo omesso con gemiti e lacrime di
umiliar le nostre preghiere, acciò per meriti di Gesù Cristo suo Figlio e Capo
di tutti i Pastori ci aiuti e faccia riposare su di noi lo Spirito del
Signore, lo Spirito della sapienza e dell’intelligenza, lo Spirito del
consiglio e della fortezza, lo Spirito della scienza e della pietà, e ci
riempisse dello Spirito del suo timore, col quale vivificanti e rinvigoriti
possiamo por mano con fiducia ad un ministero tanto sublime “.44
Bracco parla con sicurezza nel Luogo
di Dio, riconosce il Suo disegno, lo accoglie e invoca umilmente i sette doni
dello Spirito Santo, chiedendo l’aiuto per la sua missione di Patriarca. Sa
infatti che la missione del Vescovo sta innanzi tutto nell’annunciare, senza
escludere nessuno, la Parola di Dio e nel portare Cristo per mezzo dei
sacramenti, restando fedeli in tutto al Vangelo .
“ E a voi primariamente mi rivolgo,
venerabili Fratelli, onore e corona nostra, l’ordine di cui fin dalla primiera
istituzione venne appellato senato dei Vescovi. Procurate che, siccome
derivate il nome dai sacri canoni, così vi conformiate a quel che essi
prescrivono, acciocché siate veramente canonici. Siate solleciti che siccome
nell’onore andate avanti agli altri, così tutti gli altri per pietà, gravità
di costumi ed osservanza dell’ecclesiastica disciplina sopravanzate. E siccome
gli occhi dei fedeli in voi sono rivolti allorquando celebrate le sacre
funzioni, adoperatevi con ogni cura ad assistervi con quella fede, con quel
fervore che si addice, a compiere con la dovuta attenzione e gravità le sacre
cerimonie; acciochè al vedervi, le menti dei fedeli siano portate alla fede e
i loro cuori alla pietà e religione, eccitati ed infiammati di amor di Dio ”.45
Qui Bracco raccomanda ai suoi più
stretti collaboratori la coerenza di fede e l’esempio, che deve essere
canonico, cioè fedele alla regola. L’onore, che i canonici hanno, va, secondo
Bracco, guadagnato con la disciplina ecclesiastica.
La disciplina. Su questa parola fa
perno il suo pensiero e la sua condotta. Il canonico è Magister e si
trova in una posizione di alta visibilità. Rappresenta l’istituzione nel suo
insieme, non solo se stesso. Perciò le regole che determinano i rapporti
intersoggettivi vanno rispettate, pena la perdita di autorevolezza della
stessa istituzione.
La sua preoccupazione di Pastore tiene conto
di tutti, il suo sguardo attento abbraccia ogni singola persona, ma
soprattutto coloro i quali sono stati chiamati da Dio al Sacerdozio:
“ La medesima esortazione a
voi facciamo pure, Sacerdoti tutti, i quali avvegnachè non abbiate cura
d’anime, ciò nondimeno adempite con Noi, diversi uffici, secondo la grazia che
il Signore compartì a ciascuno per la consumazione dei santi e per l’ufficio
del ministero, e dell’edificazione del Corpo di Cristo che è la Chiesa (…) Né
posso dimenticare voi, amatissimi Giovani, gaudio e corona Nostra, che nel
Nostro Seminario attendete agli studi e percorrete il tirocinio delle virtù
ecclesiastiche. (…) Ed ora ecco che non possiamo dirigervi direttamente, ma vi
ameremo ancor di più, e avremo maggior sollecitudine pel vostro profitto.
Perciò vi prego di considerare, quale grazia vi abbia fatto il Signore, col
segregarvi dal suo popolo e accogliervi nel suo Santuario, per innalzarvi al
sublime grado del Sacerdozio, farvi partecipi della milizia di Dio, se
corrisponderete alla chiamata di Lui ”.
46
Chiede ai suoi sacerdoti una piena
collaborazione nel rispetto della specifica vocazione di ciascuno, indicando
come obiettivo centrale “l’edificazione del Corpo di Cristo che è la Chiesa”.
Sa bene infatti che nella comunità ecclesiale esistono i presupposti per
rimanere fedeli al messaggio evangelico.
Da Rettore del Seminario parla ai
giovani con naturalezza, dimostrando comunque la sicurezza del sacerdote
maturo. Ai seminaristi non risparmia i giusti rimproveri e da Patriarca,
sottolinea con forza l’amplificarsi del suo amore per loro, proprio in virtù
della sacralità del ministero.
La relazione tra Dio e il Sacerdote è
un dono, a cui corrispondere quotidianamente perché ogni presbitero ha il
compito di trasmettere Cristo alla gente . Non a caso viene definito alter
Christus.
Il popolo avverte che al Patriarca
Valerga è succeduto un Patriarca santo. La sua azione missionaria si esprime
in tutte le attività e le cariche che gli sono affidate. Anche i numeri lo
confermano: come Gran Maestro dell’Ordine Equestre dei Cavalieri del Santo
Sepolcro, Bracco crea, in diciassette anni di Patriarcato, millecentosedici
Cavalieri
47 e cento Dame.
La sua fama è tale che, nel 1888
durante la visita ad limina a Papa Leone XIII, s’impone alla
attenzione, non solo del Santo Padre, ma anche dei presenti, con la sua
personalità e le qualità cristiane. Come riporta un testimone dell’epoca :
“ Mi ricordo ancora di quando mi
trovai con Mons. Bracco a Roma, che uno dei Monsignori assistenti al papa,
mentre si parlava del Patriarca di Gerusalemme e si faceva le meraviglie
perché avesse un’udienza così lunga, malgrado il malessere del Santo Padre,
disse fra le altre cose queste o consimili parole: Ah! Questo Mons. Bracco è
proprio un santo; questa è l’impressione che fa qui in Vaticano: e si, che qui
si veggono ogni giorno prelati d’ogni Paese, ma nessuno produce tanta
impressione, nessuno impone tanto rispetto, quanto questo Patriarca “.48
A contatto diretto con il Luogo Santo,
Bracco mette in pratica la giustizia evangelica con il rigore, che fin da
giovane seminarista lo caratterizza.
Comprende che la natura dell’uomo,
anche se contaminata dal peccato, non è completamente perduta. Questo spiega
la sua dolcezza nel trattare chiunque, dimostrando un profondo rispetto per
tutte le persone di ogni razza e confessione religiosa, in quanto portatrice
in sé dell’immagine e della somiglianza di Dio.
Giovanni Bracco, in quanto Patriarca
Latino di Gerusalemme, esprime la coscienza stessa della Chiesa Cattolica.
Conosce infatti di essere chiamato a vivere la sua missione proprio nei luoghi
che vedono il progressivo disvelarsi al mondo del Figlio di Dio, e il
compiersi delle promesse messianiche.
Gesù è il compimento dell’Antico
Testamento. A Gerusalemme si vive questo passaggio decisivo del cristianesimo,
nella consapevolezza che lo Spirito è attivo e agisce per il bene della
comunità dei credenti diventando comunione.
Bracco dà molta importanza alla
attività dello Spirito, alla fedeltà al Vangelo e all’annuncio che deve essere
instancabilmente diffuso fino alla seconda venuta di Gesù. Sotto questo
aspetto, egli percepisce con la fede che il Vescovo è diretto successore degli
Apostoli e in quanto tale deve eseguire la volontà di Gesù. Ogni Chiesa è in
continuità con gli Apostoli e a tutte viene richiesta la comunione fra di
loro. Bracco estende questa comunione nel Luogo santo e sull’esempio di Mons.
Valerga e dello stesso Don Belloni, apre alle altre confessioni, per metterle
nella condizione, se lo desiderano, di rivedere i loro rapporti con la Chiesa
cattolica.
Segue cioè la regola della
chiesa, che mira a rafforzare quotidianamente il senso di appartenenza alla
propria comunità e a quelle vicine in una prospettiva di comunione e di
fratellanza. Allora lo sforzo del Patriarca è d’essere esempio per la Chiesa
di Cristo nella quale le altre confessioni sono chiamate a vedere il modello
di pienezza, per convergere in essa senza imposizioni, anche linguistiche, ma
solo in virtù della libera comunione fra i popoli del mondo, e finalmente in
rapporto fra di loro. Rapporto che per funzionare esige giustizia e
misericordia, diritto e morale. Non
manca infatti occasione di ricordare ai suoi Sacerdoti :
« Réfléchissez bien
que toute notre vie doit ètre uniquement consacrée à la gloire de Dieu et au
salut des ames, et que nous aurons un compte terribile à rendre à Dieu, si,
par notre négligence, une seule ame venait à se perdre » .49
L’insieme di questi valori spinge il Patriarca a dedicarsi
alla stesura di un Catechismo e alla traduzione della Bibbia in arabo. Una
ventina sono inoltre le Lettere Pastorali ancor oggi degne di essere
ricordate, anche per l’uso di un linguaggio semplice e accessibile a tutti. In
riferimento a quella del 26 gennaio 1880, dedicata ad esporre la virtù della
carità, il Duvignau riporta un passo di Bracco che fa eco a quello di San
Paolo ( 1Cor 13 ):
“la foi la plus grande, le don
meme des miracles et des prophéties, les lumières les plus extraordinaire, la
justice la plus rigourese, le plus grand désintéressement[…]les sacrifices les
plus héroiques et le martyre lui-meme ne servent à rien, s’il n’y a pas la
charité”50
Bracco torna alla casa del Padre, il 19 giugno 1889, a soli cinquantaquattro anni. Durante i giorni che precedono la sua morte il popolo non cessa di pregare per la guarigione del Patriarca e anche molti musulmani si recano alla moschea per la stessa ragione.
Egli si abbandona fiduciosamente nell’abbraccio di Dio e dà disposizione perché sia affisso davanti al suo capezzale un grande crocifisso, in modo tale che la sua sofferenza sia espressione del sacrificio di Cristo. Il Patriarca Bracco muore nello stesso modo con cui è vissuto, abbandonandosi cioè completamente alla volontà di Dio ed esprimendo la più profonda riconoscenza per i doni ricevuti.
1.2.4
Don
Angelo Bianco
Don Angelo Bianco svolge la sua missione in
Africa, nella Repubblica della Costa d’Avorio. Nasce ad Andora (Savona), il 26
ottobre 1943 e muore, il 13 gennaio 1982, a Bondoukou.
Don Bianco è stato per qualche anno
giovane curato nella Parrocchia di Diano Marina (Imperia), dove si è fatto
apprezzare per le molteplici attività con i giovani, dando prova di una
pastorale dinamica e coinvolgente, ancora oggi ricordata con stima e
venerazione.
La sua scomparsa destò una forte
commozione, sia presso il popolo africano fra i quali svolgeva il suo
apostolato, sia nella comunità ligure. Oggi si ricorda con ammirazione ed
affetto l’etnologo, il linguista, ma soprattutto il missionario. I
parrocchiani di Diano Marina, che periodicamente veniva a trovare,
rappresentano l’altra anima del missionario.
Don Angelo sentiva l’ambiente diocesano
troppo limitato per lo sviluppo della sua intima vocazione: desiderava fare di
più, perciò apre ad altri spazi, altri luoghi e altre genti.
E’ un sacerdote che coglie favorevolmente
le innovazioni del Concilio Vaticano II, specialmente le indicazioni proposte
dal decreto Ad Gentes.
Parlano di Don Bianco e delle sue attività
africane numerosi articoli, fra i quali uno di sua pubblicazione, edito sulla
rivista della Società delle Missioni Africane, intitolato Il Koulango-Abron
un figlio della terra, in cui chiarisce la vera ragione della sua missione.51
“ Non ero venuto in Africa per fare
l’etnologo” dichiara Don Angelo nella presentazione del suo lavoro :
“Quando giunsi a Tanda,
nell’ottobre 1970, credetti di dovermi immediatamente avviare sulla strada che
i missionari avevano aperto da qualche anno nella regione Koulango-Abron.
Un certo stile di rapporti con gli autoctoni –funzionava- abbastanza bene e
dava i risultati attesi: conversioni, battesimi e persino qualche esempio di
vita cristiana “52
Dagli scritti di Don Bianco si evince la
profonda convinzione del missionario che vede la sua opera non disgiunta dal
lavoro dei suoi predecessori. Dopo il primo impatto con un popolo senza
storia, Bianco si rende conto di essere entrato nella profondità di una
diversa cultura e modifica le sue opinioni di partenza, consapevole che, “ Se
tu coltivi il tuo campo ai bordi di un ruscello, imparerai a conoscere persino
il lamento del granchio “
53.
Attraverso i proverbi, i racconti, le
leggende che ascolta direttamente dal popolo, Don Angelo prende consapevolezza
dell’anima non solo di quella zona, ma di tutta la natura africana, nella
quale i popoli indigeni sono immersi. Davanti a lui si colloca l’immane
problema della evangelizzazione verso coloro che nulla sanno del Cristo. Si
tratta di un impegno, decisamente più vasto della sola pastorale in terre già
cristiane e di costruire un percorso in grado di portare gli indigeni a
riconoscere Cristo come il centro della vita e ad amare la Chiesa come
prolungamento del Signore nella storia.
Per riuscire in questo nobile intento
Bianco, come tutti i missionari, ha a disposizione l’esempio personale di una
autentica testimonianza cristiana e un popolo formatosi dalla migrazione
degli Abron:
“sono parenti degli Ashanti e provengono
dall’antico villaggio di Doma, situato tra la Costa d’Avorio e l’attuale
Ghana. …I guerrieri abron sposarono le donne koulango,
impararono la loro lingua, pur conservando la fierezza della loro razza. Ben
presto però la superiorità guerriera degli Abron doveva farsi sentire
sui Koulango, anarchici e pacifisti “
54
La convivenza fra questi due popoli funziona,
perché entrambi sentono il bisogno di migliorare e di raggiungere una
compensazione sociale. Così gli Abron più aggressivi si trasformano
“in agricoltori, adattati alle condizioni di
vita, alla lingua, al lavoro e persino a certi aspetti della religione
koulango.
Insuperabili nell’arte di dominare le forze
occulte e di preparare i veleni, i Koulango avevano imposto agli
occupanti le loro leggi religiose riguardanti la terra.
Il primo occupante contrae infatti una
relazione di ordine religioso con la terra e tutte le sue forze (…) Gli
Abron, avendo compreso il carattere sacro e insostituibile di questa
autorità, lasciarono ogni onore e ogni onere ai Koulango”55
A differenza del conflitto in Ruanda, negli
anni Novanta, fra Tutsi e Hutu, qui si trova una soluzione per
una pacifica convivenza. Bianco entra, attraverso la partecipazione alla vita
koulango, all’interno di un mondo di credenze magiche, dove il profondo
rapporto fra la terra e il cielo si mescola a quello dei “geni” che potrebbero
essere l’equivalente dei nostri folletti. Questi “geni” dagli indigeni sono
percepiti come esseri assolutamente reali, dotati di proprietà taumaturgiche:
“ Sono stato spettatore impotente di una
–presa di possesso- da parte del feticcio, nel villaggio di Ghimere,
nell’aprile 1972. Una giovane catecumena era diventata strana, gridava e
fuggiva la mia presenza. (…) Mi raccontarono poi che la nonna della ragazza,
attraversando il ruscello, aveva creduto incontrare un genio. Questi le aveva
detto che doveva portare a casa una pietra nera e quasi rotonda di quel
ruscello. La vecchia l’aveva posta in un vaso di terracotta, avvolta in una
rete di corda. Sua nipote doveva essere legata al feticcio per
assicurare la prosperità di tutta la famiglia “
56
Il ruscello, anche se piccolo, è già un
richiamo di vita, l’acqua in Africa è sacra perché è vita. I pesci sono
rispettati e, se trovati morti, vengono sepolti.57
“Attualmente, in tutto il paese
Koulango-Abron il feticcio dell’acqua più venerato è Tano. Gli
Abron hanno idealizzato nel loro ricordo il torrente Tanoè, del
loro paese Ashanti “
58
Affiorano, poco alla volta, nomi diversi,
perché generati da linguaggi diversi. La lingua koulango per Bianco non
è una barriera, ma una possibilità e uno strumento per mettere a frutto le sue
notevoli doti di linguista. Dietro ogni parola c’è una storia, un racconto,
una leggenda. Ogni parola è una porta che introduce con discrezione
nell’intimo dell’anima, non solo dei popoli, ma della stessa Africa.
Considerando gli anni settanta in cui Don
Angelo vive la sua esperienza missionaria, a buon diritto egli può essere
considerato un precursore della attuale catechesi africana.
Lo spirito degli agricoltori koulango
si avvicina a quello dei vecchi contadini liguri, capaci di passare una intera
vita senza spostarsi dalle loro fasce di terra tenacemente ricavate dai pendii
scoscesi della costa.
Analogamente, il lavoratore della terra
africano, per dirla ancora con Don Bianco, “conosce solo la terra dei suoi
antenati, là dove ha messo le radici ad immagine del mondo vegetale. Non ama i
campi troppo lontani. Preferisce che il villaggio sia come il centro di un
grande cerchio, formato dagli appezzamenti coltivati. Per questo chiama i
campi troppo distanti: hini kuri digo, colui che ama il cibo perché per
andare così lontano a coltivare, bisogna avere ben fame ! “59
Il ritmo delle stagioni per un popolo di
agricoltori condiziona il ritmo della vita. In prossimità dell’equatore le
stagioni non sono quelle vissute da Bianco in Liguria. Tanda è
nell’entroterra, manca il mare come riferimento, il cambiamento è radicale. Il
missionario si apre a una nuova geografia dello spirito disegnata attraverso
le parole che indicano la madre, il padre, il bambino e l’anziano come liane
della giungla perché : “Una sola liana non può legare la foresta.”.60
L’unità-ben della famiglia con la terra è fortissima, come il riferirsi
quotidianamente alla saggezza del capo-tèsè.
“Il ben-tèsè deve occuparsi almeno
in parte del nutrimento e degli altri bisogni delle famiglie particolari ”.61
Lo sposo deve dimostrare di provvedere attraverso l’uso oculato della terra
alla sua nuova e giovane famiglia. Terra sulla quale il tempo viene percepito
diversamente che in occidente, terra-madre che alla fine della vita accoglie,
conserva e ama, lo spirito degli antenati.
Molto realisticamente Don Bianco si pone il
problema di come “tradurre” l’annuncio evangelico nella lingua del popolo che
gli è affidato e in una forma mentale radicalmente diversa dall’ambito
culturale nel quale è nato il Cristianesimo:
“Se davanti alla mia comunità – osserva
infatti il missionario - io traduco l’espressione “Signore Gesù” con bi
Tèsè Jésus, mi devo rendere conto che i miei ascoltatori stanno pensando
all’anziano della famiglia, al capo che organizza il lavoro e che divide il
raccolto, al padrone degli schiavi riscattati, ma in essi non è ancora sorta
alcuna idea del Signore Risorto che “è ora al di sopra di ogni nome” (Fil.
2.9).
Mi resta dunque da fare questo passaggio
attraverso una catechesi appropriata.
Le nostre espressioni e la nostra civiltà
occidentale stanno confondendo e cancellando una buona parte della loro
cultura tradizionale “.62
Qui non si tratta di comunicare il Vangelo
in un mondo che cambia, ma di annunciarlo per la prima volta in un mondo
diverso. La conoscenza del simbolismo koulango senza dubbio è avvenuta
per Bianco anche attraverso il linguaggio non verbale. Egli decide di
utilizzare i proverbi del popolo per la catechesi e di innestare idee
simboliche simili alla struttura mentale di accoglienza senza rinunciare alla
chiarezza dell’annuncio evangelico. Conosce bene, infatti, che, per essere
accolto, non si deve presentare come il salvatore, ma come il servitore.
“Il missionario, anche dopo molti
anni di soggiorno in Africa, continua a “passare la notte” da straniero, nei
villaggi Koulango-Abron .E’
per questo che non deve erigersi a giudice frettoloso dei loro usi e costumi,
ma deve rimanere seminatore della Parola di Dio “.
63
Nella sua catechesi egli dà grande
importanza al senso della storia. Non vuole prevaricare sulla memoria della
comunità imponendo le figure antiche della storia sacra. Comprende la priorità
degli antenati e il loro valore come radice culturale e sacra dei popoli
Koulango e Abron “destinati ad incontrarsi e a fondersi (…).Fin
dall’inizio Dio aveva per loro il suo progetto di salvezza ”.64
Bianco sa essere discreto, riservato. Il
suo annuncio può anche disturbare, infastidire, generare una crisi di
coscienza collettiva, provocare delle divisioni, tuttavia l’annuncio non
arriva come un urto, soprattutto in coloro che vivono una perfetta comunione
con la madre-terra. La sua intuizione è pertanto quella di farsi “seme” di
quella terra dove lui è ospite. Lasciandosi immergere nella terra, il
missionario fa germogliare la giusta catechesi in armonia con la sua comunità
e in sintonia con lo Spirito Santo. “ Cristo, che partecipa alla vita di Dio e
alla vita degli uomini nel più alto grado, è l’antenato comune a tutte le
razze ”.65
Nasce così la testimonianza che viene ripetuta di villaggio in villaggio in un
processo comunicativo ideale.
Don Angelo ha compiuto la sua missione
vivendo nella comunità contadina come uno di loro, raccontando gli atti di
Cristo per provocare la sorgente spirituale di un comune atto di fede, e
giungere così, con il popolo, a quella comunione celeste già inscritta nella
madre-terra ora madre-Chiesa.
La sua gente l’ha ri-nominato,
chiamandolo Kouamè Boroni Hémrigon*
per sentirlo così ancora di più uno di loro. Il suo impegno linguistico non è
stato vano: il 24 ottobre del 1978, all’Università di Abidjan, discute
la tesi di laurea sulla fonologia della lingua Koulango della regione
di Bondoukou e la trascrizione della lingua Koulango, parlata da
duecentomila persone è stata ufficialmente riconosciuta dall’Istituto di
linguistica della Capitale della Costa d’Avorio.
La ricerca linguistica di Kouamè è
nata dalla precisa esigenza di sentirsi parte del popolo Koulango. Il
valore scientifico del suo lavoro emerge dalla studio sulla tonalità che
modifica l’intero senso di una frase.
Dalla introduzione della sua tesi possiamo
ricavare la volontà tenace del missionario di rintracciare le origini del
popolo che sta imparando a conoscere:
“…Les Koulango seraient
donc arrivés dans la région de bouna il y a six ou sept siècles, après avoir
traversé les régions de Dagomba et Gondja (Nord Ghana) et
enfin la Volta Noire ".66
La sua Parrocchia è
dispersa in settantacinque villaggi, su una superficie di circa settemila
chilometri quadrati, con una popolazione composta da oltre settantacinquemila
figli della terra.
Quasi tutto il lavoro dell’importante missione di
Bondoukou pesa sulle sue spalle. Il suo apostolato è durato dodici
anni, dal 1970 al 1982 ; il suo lavoro e quello dei suoi confratelli della
Società Missioni Africane rimane.
I momenti di vuoto affettivo ci sono stati
anche per loro ed emergono dalle lettere private che ci raccontano i dubbi, le
incertezze e le difficoltà incontrate, il dramma di sentirsi trapiantati.
Lo stesso ambiente naturale è sovente
inospitale. Troppo caldo, troppi insetti, troppa sporcizia nei villaggi;
tuttavia il passato non è sepolto, l’amore non muore mai, i ponti spirituali
si rinnovano ogni giorno.
“Purtroppo i nostri piccoli sforzi isolati
non trovano incoraggiamento nei programmi di sviluppo ufficiali, siamo proprio
i più abbandonati, noi del nord-est. Quando visito i villaggi condivido la
loro povertà, ma se dovessi vivere sempre all’africana, non so se riuscirei ”
67.
Rimangono difficoltà, problemi e molteplici
sono le sfide per l’evangelizzazione in Africa. “La prima è senz’altro il
dramma della povertà e della miseria, unita al frequente stato di belligeranza
o di tirannia che si riscontra nei paesi africani. Ma non si può sottovalutare
la tragica frammentazione del mondo cristiano, con la presenza di migliaia di
sette e chiese indipendenti sempre più numerose e in
concorrenza, e il necessario dialogo con l’Islam e con le altre
religioni. L’ecclesiologia cattolica, che ha scelto come centrale la figura
della “chiesa-famiglia-di-Dio”, tenta una strada di riconciliazione, di
superamento delle divisioni etniche, nella ricerca continua dell’unità, che
trova il suo primo fondamento nella comunione con Dio”.68
La morte prematura di Don Angelo non gli ha
permesso di continuare un’opera che – già preziosa – avrebbe proseguito in
molte altre diramazioni ed esprimendo in molti altri modi quella creatività e
quella capacità di tradurre l’annuncio utilizzando le categorie e la cultura
delle popolazioni che il missionario intende evangelizzare. Egli muore per un
indebolimento fisico, dovuto ad una caduta accidentale, aggravato in seguito
da attacchi di febbre gialla, ma l’affetto della sua comunità non muore e
vuole che Don Bianco sia seppellito sotto ad un albero proprio davanti alla
Chiesa della sua missione, a perenne testimonianza dell’integrazione morale e
spirituale che il missionario ha saputo esprimere a maggior gloria di Dio e a
perenne servizio a favore dei fratelli africani.
1.2.5
Mons.
Lino Richero Panizza
Nato a Balestrino (Savona) il 14
gennaio 1944, Mons. Lino Richero Panizza è il più giovane fra i Vescovi
missionari liguri. Intraprende la vita religiosa a undici anni, frequentando i
Seminari cappuccini di Quarto dei Mille (Genova), Loano e Finale Ligure. La
sua è quindi una vocazione precoce emersa ed accolta con la chiarezza
cristallina e la semplicità di un bambino.
Panizza l’11 settembre 1960, veste
l’abito ed emette la professione religiosa il 15 agosto 1965. Completati gli
studi filosofici e teologici nel Convento genovese di San Bernardino, riceve
l’ordinazione sacerdotale l’1 marzo 1969 a Balestrino, dalle mani di Mons.
Piazza Vescovo di Albenga – Imperia. La sua vocazione missionaria non fa che
confermare la predisposizione della Chiesa alla missionarietà, qualità che
nasce dal suo essere testimone e che abbraccia pertanto tutto il popolo di
Dio, compreso il laicato. Mons. Panizza vive il tempo del Concilio Vaticano II,
l’evento più importante della Chiesa Cattolica nel XX secolo.
Paolo VI è stato molto chiaro già il
29 settembre 1963, quando dice:
“ La Chiesa viene qualificandosi come fermento
vivificante e strumento di salvezza del mondo e illustra e corrobora la sua
vocazione missionaria, che è quanto dire la sua essenziale destinazione a fare
dell’umanità, in qualunque condizioni si trovi, l’oggetto della sua missione
evangelizzatrice”.
Panizza chiede ai superiori d’essere
inviato in terra di missione. Il 14 dicembre del 1969 riceve il “Crocifisso
Missionario” dal Cardinale Giuseppe Siri e dopo pochi mesi arriva in Perù
69 a Chorrillos – Lima.70
E’ l’America Latina la terra dove Don Lino eserciterà il proprio ministero,
l’America Latina, che fin dal 1955, riunisce tutte le sue conferenze
episcopali nazionali nel Consejo Episcopal Latino Americano ( CELAM ).71
Panizza arriva in Perù due anni dopo
l’importante conferenza del CELAM tenuta a Medellin (Colombia) nel 1968, li i
vescovi proclamavano:
“L’episcopato latinoamericano non può restare
indifferente di fronte alle tremende ingiustizie sociali esistenti in America
latina, che mantengono la maggioranza delle nostre popolazioni in una dolorosa
povertà, prossima, in moltissimi casi, alla miseria disumana.”72
Seguono Puebla 1979 e Santo Domingo
1992. Panizza è lì. Presente, per promuovere la santità dei fedeli, con il
dovere di risollevare dalla povertà le persone che frequentano la chiesa. Fa
in modo che il suo annuncio si modelli nel concreto aiuto alla vita delle
persone.
Questa miseria è un male
pericolosissimo perché genera i presupposti della emarginazione cronica e, con
questa, la facile caduta nel perverso mondo del crimine: traffico di droga,
prostituzione, commerci illeciti, oppure, un semplice abbandono di ogni
speranza, “ la morte dello spirito”. Il Discorso della montagna (Mt
5,3-11) sovrasta questa miseria. E il missionario diventa allora il mediatore
per la salvezza che si deve fare concretezza.
Don Lino lavora a Tingo Maria e in seguito fa il
Vice Parroco a Lima – Chama, nella periferia di una metropoli in espansione.
Consegue nel 1978 la Licenza in Sacra Teologia alla Facultad de Teologia
Pontificia y Civil di Lima. Dopo torna a Chama dove fa il Parroco e dirige
il Collegio “Cristo Salvador”.
Panizza svolge la sua attività di
missionario, portando il Vangelo là dove il messaggio cristiano non è mai
arrivato e non smette d’essere missionario neanche quando parla a comunità
già battezzate e praticanti la fede cattolica. La ri-evangelizzazione in terre
scristianizzate si inserisce a pieno titolo nell’annuncio missionario.
Afferma il Gutiérrez :
“ Non si tratta di inventare una
visione della realtà dal principio alla fine e per suo uso privato; è
piuttosto necessario partecipare lealmente al modo con cui – nel caso che qui
ci interessa – l’uomo latinoamericano si autocomprende e percepisce il proprio
divenire storico. A questo fine bisogna mettersi in atteggiamento di ascolto,
ma l’ascolto presuppone in primo luogo l’uscita dal mondo meschino in cui si è
“.73
L’annuncio è il medesimo, cambia la
persona che annuncia e diversa è anche la zona del mondo da evangelizzare, ma
non cambia il senso della Parola di Dio che si rivela al povero, e nel povero
trova il suo contenuto, secondo quanto affermano i salmi :
“rende giustizia agli oppressi, / dà il
pane agli affamati. / il Signore libera i prigionieri, / il Signore ridona la
vista ai ciechi, / il Signore ama i giusti, / il Signore protegge lo
straniero, / egli sostiene l’orfano e la vedova, / ma sconvolge le vie degli
empi. / ( Sal 146, 7-9 ).
Il compito è assai difficile e
problematico in tutti i sensi. La gente è numerosa e i missionari a tempo
pieno sono pochi e con l’andar dei tempi, sempre meno. Panizza non si
scoraggia e continua con determinazione il suo lavoro missionario. Diventa
Consigliere, Segretario e Ministro, all’interno dell’Ordine cappuccino, poi
Vice provinciale della Provincia Peruviana. L’allora Arcivescovo di Lima,
Cardinale Landazuri Ricketts, lo nomina Consultore diocesano e Vicario per una
zona della grande Arcidiocesi. In questi diversi incarichi, egli approfondisce
la conoscenza del suo vastissimo gregge. Si fa povero con i poveri, al punto
di radicare nella sua povertà le ragioni di una evangelizzazione portatrice
dei grandi valori evangelici, fino a diventare davvero pietra di scandalo
sull’esempio di Cristo salvatore.
E’ così che Panizza si rende conto che
il Vangelo deve essere provato con le opere. Sensibilizza pertanto gli amici
genovesi per ottenere i mezzi idonei alla fondazione del Centro sociale
Buen Pastor a Lima – Chorrillos, in grado di fornire un pasto quotidiano
alle numerosissime persone bisognose. Attrezza con strutture moderne il locale
ospedale e, in molti casi, oltre a potenziare le strutture esistenti, realizza
ex-novo parecchi impianti di pubblica utilità. Tutto questo avviene nella
disgregata periferia di Lima.
Non c’è dubbio, Lino Panizza Richero
incarna lo spirito di Medellin, Puebla e Santo Domingo, eventi sui quali
ancora oggi dobbiamo riflettere, se non altro perchè, producendo documenti che
sono la voce di tutti i Vescovi dell’America Latina,74
essi esprimono una autorevolezza superiore a quella del singolo teologo oppure
di un piccolo gruppo di studiosi ed essi dicono che “ tutti i diritti umani
sono universali, indivisibili, interdipendenti e correlati “.75
E’ il mondo stesso che nella seconda
metà del XX secolo si mette in discussione in ogni continente. La prevalenza
cattolica nelle Americhe e, in particolare in quella del sud, porta la Chiesa
a prendere atto in primo luogo dello scossone determinato dal progredire della
teologia della liberazione.
Centrale era ed è la questione
economica che impedisce alle popolazioni di raggiungere quella dignità
auspicata dalle istituzioni mondiali. E il cambiamento economico è conseguenza
di un cambiamento politico. I Vescovi dell’America Latina intendono contenere
le ingerenze e le pressioni eccessive provenienti dal Nord America, cercando
forme diverse di equilibrio sociale.
In questo delicato clima
socio-politico Panizza, il 2 febbraio 1997, diventa Vescovo della diocesi di
Carabayllo.76
Panizza fonda da zero, nel 2000, senza
mezzi, e confidando esclusivamente sull’aiuto della Provvidenza l’Università
Cattolica Sedes Sapientia ( oggi frequentata da tremilacinquecento
giovani ), in stretta collaborazione con l’Università di Genova, per
combattere la povertà con l’educazione, che egli considera il sommo rimedio.
L’aspirazione è quella di creare una nuova classe dirigente sensibile a tutti
i problemi della persona. Attualmente sono attivi i corsi di Pedagogia ( con
specializzazione in Scienze Religiose ) ed Economia. In futuro è prevista
l’apertura di un corso di Giurisprudenza e Comunicazione sociale, con
particolare attenzione al mondo dei mass-media.77
Panizza dimostra d’essere in grado di percepire tutta questa umana ricchezza
che i poveri possiedono schierandosi dalla parte dell’incontro di Puebla e
ribadendone con chiarezza le idee. Sottolineando che :
“il compito specifico
dell’evangelizzazione consiste nell’ “annunciare Cristo” e invitare le culture
non già a rimanere inquadrate in una cornice ecclesiastica, ma ad accogliere
per mezzo della fede la signoria spirituale di Cristo, perché fuori della sua
verità e della sua grazia non possono raggiungere la loro pienezza “.78
Come Panizza stesso ha potuto
constatare, c’è una forza intrinseca nel povero, sfruttato ingiustamente,
diffamato, minacciato, esiliato, disoccupato, arrestato, torturato, ucciso,
che nemmeno la morte può fermare. La sola a capire e a diventare segno di
speranza di questa necessità è la Chiesa che
“ deve sostenere il popolo
nelle sue lotte per il superamento di tutto ciò che lo condanna a restare ai
margini della vita: carestie, malattie croniche, analfabetismo, pauperismo,
ingiustizia nei rapporti internazionali e specialmente negli scambi
commerciali, situazioni di neocolonialismo economico e culturale, talvolta
altrettanto crudele quanto l’antico colonialismo politico (…) la povertà non è
una tappa transitoria, ma il prodotto di situazioni e strutture economiche,
sociali e politiche.79
Panizza vive questa realtà, e la
interpreta a suo modo, anche se davanti alla guerra,
80 alla morte ingiusta, le
strade percorribili rimangono poche, quando tutto tace e gli esseri umani sono
colpiti ingiustamente e, rimangono a terra, sovente privi di sepoltura. Il
missionario non può fare altro che appellarsi alla preghiera. Perciò si
rivolge alla Madonna di Guadalupe Patrona del Messico e di tutta l’America
Latina.
Mons. Panizza ha mantenuto vivo il
rapporto con la propria Chiesa di origine: i viaggi in Europa sono regolari,
ritorna spesso nella diocesi di Albenga-Imperia per sensibilizzare interi
gruppi parrocchiali alla missione in Perù. Periodicamente gruppi di fedeli
provenienti da varie parrocchie della diocesi organizzano viaggi che rendono
estremamente concreta e vicina l’esperienza di questo nostro illustre
missionario e permettono la conoscenza di un’autentica esperienza di fede. La
condivisione di questa vita missionaria è per tutti coloro che si lasciano
coinvolgere una fonte autentica di rigenerazione spirituale. E’ vitale questo
rapporto tra il missionario e la sua terra d’origine: è necessario,
soprattutto per la nostra Chiesa locale, perché non perda mai la coscienza di
essere portatrice – nonostante tutti i limiti umani – della salvezza per ogni
uomo.
Capitolo Secondo
Don Antonio Isoleri missionario a Philadelphia
(1870-1926)
1.1 Don Isoleri: da Villanova a
Philadelphia
Don Antonio Isoleri nasce a Villanova d’Albenga il
16 Febbraio 1845 e arriva come missionario in America nel 1870. E’ pastore
della sua chiesa di Philadelphia per cinquantasei anni consecutivi, fino al
1926. Muore nel 1932. La sua partenza per gli Stati Uniti è quindi una scelta
definitiva di vita: egli non torna mai più in Europa. Bastano queste date per
inquadrare un personaggio originale, uomo intelligente e colto, scrittore
dotato, ma soprattutto missionario autentico.
La sua vita si svolge a cavallo tra il XIX ed il
XX secolo, sviluppandosi nella società avanzata e dinamica, eppure terra di
missione, ieri come oggi.
Antonio è il terzogenito di Francesco Isoleri e
Geronima Della Valle. La sua è una famiglia di piccoli possidenti, falegnami e
agricoltori: il padre ha il diritto di voto1
e viene eletto consigliere comunale nel 1848. All’epoca Villanova, paese
agricolo, è diviso in due fazioni : quella dei Navone e quella dei Della Valle
.2
Il padre del futuro missionario, Francesco, detto Bardenun, raggiunge
un discreto livello economico grazie ad una vita di intenso lavoro :
“Dopo aver coltivato i terreni di diverse
congregazioni religiose, ne aveva acquistato la proprietà contraendo debiti,
sempre puntualmente onorati con la stipula di polizze con i possidenti del
paese.
Olivicoltura, canapa, baco da seta, e allevamento
di bestiame erano le attività dell’azienda familiare, portati avanti con
diligente operosità “.3
Nel corso del XIX secolo la famiglia Isoleri,
profondamente radicata nella fede cristiana, dà alla Chiesa la grazia di ben
cinque vocazioni sacerdotali: oltre al missionario annoveriamo infatti Fra
Giacinto (Giobatta Antonio Isoleri), Fra Angelo da Villanova (Francesco
Isoleri), Fra Luigi (Angelo Antonio Isoleri) e l’omonimo Antonio Isoleri,
denominato “ il professore “.
Seguendo il memoriale scritto da Francesco Isoleri,
veniamo a sapere che egli porta il figlio Antonio ad Albenga affinché prosegua
gli studi in un non meglio precisato “ collegio “.4
A Villanova, infatti, la scuola elementare arriva fino alla terza classe. Nel
1856 Antonio, per proseguire gli studi, risiede ad Albenga in una stanza presa
in affitto dal padre.5
Negli anni cinquanta egli matura la vocazione che lo porta alla decisione di
entrare nel seminario di Albenga: “ 21 agosto 1861: Io e Tognino da monsignore
per sapere come ci dobbiamo contenere per mandarlo alla scuola in seminario a
fare la filosofia. Monsignore ci da due terzi di posto a gratis “.
6 La soddisfazione del padre è
evidente quando annota che “ mio figlio Tognino è entrato in seminario “ ed “
ha vestito l’abito o sia sottana da seminarista con tutto il resto “.7
La sua preparazione e la vocazione si perfezionano
e vengono portate a compimento nel Collegio Brignole – Sale, dove – come
afferma Richard Juliani
8 – evidenzia notevoli capacità
intellettuali e una brillante preparazione, tanto da essere preso in
considerazione per un eventuale incarico di docenza.
Don Antonio decide invece di servire il Signore
come missionario.
La sua vita dimostra che egli è una figura di
missionario significativa perché, per più di cinquant’anni, guida la comunità
di Philadelphia e diviene una figura importante per la predicazione cattolica
negli USA.
Isoleri riesce a creare nella sua
missione un luogo di accoglienza per gli immigrati italiani, non sempre ben
accolti presso le altre comunità cristiane.
Nella seconda metà dell’Ottocento
l’America del Nord si impone come potenza economica a livello mondiale, e in
pochi decenni riesce a battere la tradizionale superiorità economica europea.
Questo boom economico determina una forte richiesta di manodopera e il
conseguente massiccio afflusso di immigrati: “ Gli americani crearono il
concetto di americanizzazione e il termine che lo descrive alla fine del XVIII
secolo quando coniarono la parola immigrant. Avvertivano l’esigenza di
trasformare in americani i nuovi arrivati che sbarcavano sulle loro coste.
9 Isoleri non è solo un
missionario, è una persona che si trova nella condizione degli immigrati. E
tale vuole essere per meglio confortare i suoi connazionali. Nell’Ottocento
l’emigrazione dei liguri è soprattutto rivolta alla Francia: questo passaggio
in terra francese mantiene un carattere stagionale. Non mancano tuttavia
persone che emigrano in America: e per loro, spesso, il trasferimento si
rivela definitivo, e quindi più lacerante. La preoccupazione pastorale di Don
Isoleri è quindi rivolta a rivendicare l’orgoglio di essere italiani, di
ricordare a tutti i connazionali le origini illustri del nostro popolo.
Nel cuore, dunque, Isoleri rimane italiano , ma
di fatto egli diventa un Parroco americano, e anche una espressione forte
dell’ America cattolica di quel periodo. “ L’americanizzazione obbligava
l’immigrato ad - adottare gli abiti, gli usi e i costumi generalmente
prevalenti qui (…) a sostituire la lingua madre con l’inglese – a – radicare i
suoi interessi e i suoi affetti qui – e a entrare – in completa armonia con i
nostri ideali e le nostre aspirazioni, e a cooperare con noi per il loro
conseguimento “.10
L’americanizzazione
11 è un vincolo fortissimo che
comporta notevoli conseguenze nella stessa predicazione del missionario: viene
favorita l’acquisizione di usi , costumi, cultura americani a discapito della
memoria e della salvaguardia del bagaglio culturale e umano originari. Don
Antonio risponde a questo tentativo di perdita di identità con una strenua
difesa della tradizione italiana nei suoi valori più qualificanti.
C’è un testo di Don Isoleri che serve
per comprendere quanto sia stato duro il passaggio da Villanova a Philadelphia:
L’ Addio del Missionario.12
Sintetico e determinato, Antonio non dice arrivederci al mondo che sta per
lasciare. Scrive semplicemente addio con grande chiarezza e lucidità rendendo
onore ai martiri cristiani e riconoscendo la sottomissione alla Sede
Apostolica, secondo il vero spirito missionario che si rivolge a Roma con
cuore fedele :
“ Giacchè non mi fu dato di baciare il
tuo suolo, o Roma, che tanti martiri han fatto del loro sangue vermiglio: -
giacchè non mi fu dato, o Sommo Pio ( IX ) di prostrarmi ai tuoi piedi, è ben
giusto che dell’alma tua Città e da Te io cominci per dare l’ADDIO.
Come a Te pagana tutto l’orbe
inchinassi e pagò il suo tributo con quanto avea di più prezioso; - così, o
Roma Cristiana, a Te presto s’inchini tutto l’orbe fatto cristiano ! Addio,
alma ed eterna Città! Dall’estremo occidente a Te mi rivolgerò finchè avrò
vita, dicendo: Sii benedetta, novella Sionne, e tuoi siano sempre i palpiti
del cuore mio !
E Tu, Angelo del Vaticano,
Pontefice venerando, che stai come torre ferma che non crolla giammai la cima
per avvicendar di furiose procelle; - benedici all’ultimo degli Apostoli, che
va per cooperare anche a costo della vita al compimento di quella grande
profezia: Fiet unum ovile et unus pastor ! Io mirava alla Cina; e Tu
m’additasti gli Stati Uniti. Tu parlasti: ed io parto. Ma benedici a me ed a
Philadelphia ! Benedici soprattutto a quella porzione di vigna che io dovrò
coltivare. Da te benedetta, essa non fia sterile, né ingrata alle mie fatiche,
ai miei sudori.
13
Una delle caratteristiche missionarie di
Don Isoleri è dunque la venerazione per il Santo Padre, al quale chiede la
benedizione con senso di umiltà, mettendo la sua vita a disposizione della
missione, consapevole di appartenere ad un disegno divino. Lo prova
l’obbedienza, che lo porta, nonostante aspirasse ad andare in Cina, nella
città di Philadelphia.
Philadelphia si trova in USA nello
stato della Pennsylvania, uno stato storico, insieme al Delaware e al New
Jersey, i primi nel 1787 a fare parte dell’Unione. E’ oggi uno dei maggiori
porti fluviali del mondo.
Fu fondata nel 1682 dal quacchero
inglese William Penn. E’ stata la più importante delle colonie inglesi del
Nord America. Lì c’è stato il primo Congresso continentale ed è stato dato il
via alla guerra d’indipendenza.
A Philadelphia è stato stampato il
primo periodico americano (1741); lì fu edificata la prima biblioteca (1760);
uscì a Philadelphia il primo quotidiano (1784); lì si trova la zecca più
antica degli USA (1793); è stata capitale nazionale per un decennio fino al
1800; il Museum of Art fu fondato nel 1875, quando il missionario Don
Antonio Isoleri era già attivo nella sua Chiesa di Philadelphia da cinque anni
e quindi partecipò nel 1876 alla grande esposizione per il centenario della
dichiarazione d’indipendenza, testo sacro della democrazia americana. A
Philadelphia si trova il più famoso gruppo di edifici storici degli USA, e,
oggi i suoi sobborghi tendono a congiungersi con quelli di New York e
Baltimore, configurando la città all’interno di quella che urbanisticamente
viene chiamata, una megalopoli in espansione.
In questa città, egli vive una
dimensione profetica e missionaria, tesa a esprimere le verità cattoliche, fra
le quali l’universale riconoscimento del Pontefice come suprema autorità della
Chiesa. La sua è l’espressione di una totale dedizione alla Chiesa Cattolica
nella persona del Pontefice, ai piedi del quale devono prostrarsi tutti i
popoli della Terra. Perciò l’annuncio cristiano di Isoleri è perfettamente in
linea con quello del magistero della Chiesa, che lo spinge a vedere nel
Vescovo di Roma il protagonista perché il mondo possa ottenere pace e felicità
“che si travaglia indarno a cercar fuori il grembo della Cattolica Romana
Chiesa “.14
Antonio Isoleri segue la sua vocazione
e parte da Villanova per Philadelphia. Il viaggio realizza il suo modo di
essere uomo e cristiano. Per questo motivo cura nei dettagli il testo
dell’Addio, che traccia anche il suo percorso spirituale: egli va incontro a
Dio nella consapevolezza che è con la grazia divina che si caratterizza la sua
missione completata da una forte spiritualità. Vissuta in una profonda
testimonianza, che non dimentica i grandi eventi della Chiesa del tempo, quale
l’inizio del Concilio Vaticano I, per il quale non lesina una fervente
preghiera.
Nella lettera dell’Addio a Villanova,
Isoleri dimostra di sapere ciò che lascia. Sa che al passato sostituisce
l’avvenire della fede. I suoi propositi, in Europa così saldi e sicuri,
dovranno fare i conti con un ambiente radicalmente nuovo e diverso, al quale
adattarsi e, qualche volta, anche subire . Si rende pertanto conto che
l’attività missionaria non è per pochi concittadini ma per l’intera umanità,
se non altro perché la testimonianza cristiana, in quanto espressione della
Parola di Dio, acquista dimensioni universali. Così ogni missionario diventa
segno dell’amore divino, la testimonianza vivente di quanto la fede
profondamente vissuta possa divenire fermento di vita nuova.
In fondo le domande che Isoleri si
pone, in quanto missionario in partenza per l’America, sono le stesse di
sempre: che cosa posso sapere? che cosa devo fare? che cosa posso sperare? chi
è l’uomo?
A questi interrogativi risponde con la decisione
ferma ed irrevocabile di consacrarsi a Cristo e di servire la Chiesa. E’ con
il gesto missionario che ogni sacerdote indica la strada maestra della
testimonianza e dell’annuncio evangelico; perciò Don Isoleri risponde a una
chiamata divina che non conosce confini territoriali, pur ribadendo
l’attaccamento al suo territorio. Giungono persino a definirlo “più italiano
che cattolico”:
Ma è la voce di Dio che mi
chiama; e della sua non v’è voce più forte. Io parto, Italia mia ! Non sarò io
l’indegno e rinnegato dei tuoi figli che ti abbandona per odio e livore; né di
Te più si rammenta che per maledirti. Oh ! se la carità non mi chiudesse le
labbra, vorrei dir con veemenza: Sia lui maledetto, chi a Te maledice, o
Patria diletta; perché maledicendo a Te, maledice alla Madre sua, ed al
Vicario di Cristo che in Te risiede.15
Nella lettera dell’Addio non mancano
accenni sui rapporti fra il missionario e gli affetti familiari. La
riconoscenza del figlio non dimentica l’origine da un padre e da una madre, da
genitori che devono sopportare più di tutti l’addio definitivo del
missionario. La loro sofferenza è tuttavia mitigata dalla consapevolezza di
aver educato un vero apostolo, di aver dato alla Chiesa un nuovo
pastore:
E voi, miei carissimi Genitori, ricevete da
vostro figlio il Missionario un estremo amplesso ed un bacio. Ah ! se l’età ed
il dolore vi toglieran colla vita la speme di più rivedermi quaggiù, itene in
pace cogli antenati vostri. L’angiolo vostro custode avrà numerate le vostre
lacrime e colle mie preci l’avrà porte all’Altissimo in calice dorato. E
l’Altissimo sempre ricco in misericordia, ve le cangerà in una preziosa
collana di gemme. Egli, sì Egli, ( come io nel prego ogni dì ) vi compenserà
delle notti vegliate accanto alla mia cuna, dei frusti di pane toltivi di
bocca per dare a me, dei giorni infuocati od algenti per me passati nei campi,
dei sacrifizj d’ogni maniera che v’imponeste per mantenermi agli studj.
Ei già vi concesse di vedermi a
celebrar l’incruento Sacrificio; ma per quanto fu da voi, non un semplice
Sacerdote, bensì avete allevato in me un apostolo. E’ per questo che il
paradiso non vi può mancare. Addio dunque, o carissimi ! Tergete le
ciglia…lassù ci rivedremo, ci abbracceremmo per non separarci mai più. Addio !
Addio ! Padre, Madre, Addio !
16
A Philadelphia Isoleri troverà nuovi amici e nuove
persone care, mentre in Patria i legami di carne si chiudono definitivamente.
Si conserva invece, attraverso il legame fortissimo che rende tutto sacro,
anche il distacco e l’addio. Restano inoltre i ricordi, quelli della
fanciullezza e della formazione giovanile. Per Isoleri rimane la memoria di
Villanova,17
dei luoghi che hanno fatto da sfondo alla sua preparazione culturale e
religiosa, e particolarmente Albenga, dove ha studiato da giovane; Savona, la
città dove è ordinato sacerdote; e – più avanti – Genova, dove matura la sua
vocazione missionaria.
Ma resta pure la trepidazione di
essere a Philadelphia, testimone di Cristo Risorto, nella parrocchia guidata
in comunione al Vescovo, resta la pastorale futura, tesa a formare catechisti,
dirigere e promuovere iniziative di ordine materiale e spirituale, in una
terra considerata al centro del mondo moderno, un mondo che conosce
sperequazioni e ingiustizie di ogni sorta.
Forte di una solida tradizione, Don Isoleri porta
nel nuovo mondo il senso ultimo e vero della predicazione cristiana, fondata
sulla fede, nell’abbandono in Dio, che assicura la salvezza.
Con l’annuncio del Vangelo di Cristo a
Philadelphia, Isoleri continua a mantenere vivo il ponte spirituale con
l’Europa.
Don Isoleri parte da Genova il 25
novembre 1869, e da quel momento non rivedrà più la costa ligure. Giunge a New
York il 29 dicembre 1869. Arriva a Philadelphia in Pennsylvania il 5 gennaio
1870, dove inizia la sua opera di missionario che lo vede difensore dei poveri
ed in particolare dei bambini che cerca di togliere dalla strada e inserire in
un cammino di crescita umana e spirituale.18
1.1.1
Il pastore nella Chiesa di Santa
Maria Maddalena de Pazzi
La Chiesa di Santa Maria Maddalena de Pazzi –
appartenente all’Arcidiocesi di Philadelphia - è stata la prima Chiesa eretta
espressamente per i cattolici italiani, ma non la prima chiesa cattolica in
America. Ce ne furono altre, precedenti, erette per gli altri cattolici
inglesi, francesi residenti negli USA .
Fondata da Don Gaetano Mariani, precedono
Isoleri alla guida della parrocchia i Padri Sorrentini, Cicaterri, Giacomo e
Giuseppe Rolando.
Durante la direzione della missione italiana a
Philadelphia, Don Isoleri occasionalmente si recò presso altre comunità
cattoliche della Città ed in altre parti della Pennsylvania o del New Jersey
per la sua attività di predicatore. Numerose volte venne invitato in occasioni
particolari perché conosciuto ed apprezzato dai cattolici di quelle zone.
Nonostante ciò, la vita e l’apostolato di Don Isoleri si diressero
principalmente alla cura della sua parrocchia. Esercitò il suo ministero a
Philadelphia per tutta la vita, ma non dimenticò mai le sue origini liguri:
questa regione venne sempre ricordata da lui come “un pezzetto di
Paradiso”. Inalterato è poi il suo patriottismo per l’Italia.
Recentemente la parrocchia nella quale
Don Isoleri esercitò il suo ministero è stata chiusa. Il processo di
secolarizzazione in atto ormai da decenni all’interno della nostra civiltà
occidentale trova negli Stati Uniti il suo acme. Giovanni Paolo II nella sua
visita pastorale negli USA, il 3 ottobre 1979, ha fatto un discorso ai
seminaristi di Philadelphia ricordando loro i punti essenziali del sacerdozio:
“ La vostra unione con Gesù di Nazaret non potrà mai essere e non sarà mai un
ostacolo a comprendere e a rispondere ai bisogni del mondo. E finalmente nella
conoscenza di Cristo non solamente scoprirete e comprenderete i limiti della
sapienza umana e delle soluzioni umane ai bisogni dell’umanità, ma
sperimenterete anche il potere di Gesù e il valore della ragione umana e dello
sforzo umano quando sono presi dalla forza di Gesù “.19
A Philadelphia il missionario Isoleri battezzò
bambini e adulti, accolse moltissimi amici e benefattori, creò molteplici
attività portate avanti con i suoi parrocchiani. A tutti costoro egli dedicò
un libro : Pati, non mori ! .20
La prima Chiesa venne costruita nel
1852 e i lavori terminarono nel 1857. Philadelphia tra il 1860 e il 1914 passò
da seicentocinquantamila a un milione e mezzo di residenti. Fu quindi
necessario ampliare il luogo di culto per la comunità italiana che va
rapidamente aumentando.
I lavori della posa della prima
pietra del nuovo edificio avvennero il 14 ottobre 1883, tredici anni dopo
l’arrivo di Isoleri a Philadelphia. L’evento fu descritto nei dettagli dall’Eco
d’Italia, edizione di New York, il 16 ottobre dello stesso anno. A ben
vedere, questa nuova Chiesa italiana nella società americana, è come una nave
nella tempesta delle trasformazioni sociali in atto.
“Negli anni ottanta giunsero cinque
milioni e mezzo di immigrati, negli anni novanta quattro; si creò così
un’eccedenza di manodopera che manteneva bassi i salari. Gli immigrati erano
più malleabili e inermi dei lavoratori nati negli Stati Uniti; erano
culturalmente spaesati, in conflitto fra loro e quindi utili per far fallire
gli scioperi. Spesso lavoravano anche i loro figli, aggravando il problema
dell’eccesso di forza lavoro e della disoccupazione; nel 1880 i bambini sotto
i sedici anni che lavoravano negli Stati Uniti erano un milione e
centodiciottomila ( uno su sei ). Le immigrate diventavano domestiche,
prostitute, casalinghe, operaie di fabbrica, e talvolta ribelli – Proprio -
nel 1883 si tenne a Pittsburgh un congresso anarchico, che emanò un manifesto:
- Tutte le leggi sono dirette contro i lavoratori […]. I lavoratori non
possono quindi attendersi aiuto da nessun partito capitalistico nella loro
lotta contro il sistema. Devono realizzare la propria liberazione con le
proprie mani -. Il manifesto rivendicava – diritti uguali per tutti, senza
distinzione di sesso o razza - , e riprendeva il Manifesto del partito
comunista : - Proletari di tutti i paesi, unitevi ! Non avete nulla da
perdere fuorché le vostre catene. E avete un mondo da guadagnare – “.21
Isoleri, ottenuta la benedizione di Leone XIII,
inizia i lavori della nuova chiesa, che durano otto anni e finalmente, il 28
giugno 1891 la chiesa può essere aperta. La cerimonia di consacrazione fu
imponente e la partecipazione all’evento notevole. Il parroco Isoleri può
essere fiero di questo risultato, che in fondo consacra la sua stessa
missione.
La Messa Pontificale fu celebrata dal
Vescovo di Newark, Mons. Wigger. Il Vescovo tenne il suo sermone in
italiano, ricordando ai presenti, come si fa in queste occasioni, tutta la
storia della parrocchia, senza dimenticare, con tipico pragmatismo americano,
le raccomandazioni ai fedeli per il mantenimento della chiesa.
L’architettura ricorda la bellezza
delle chiese italiane e fa sentire così gli immigrati più vicini alla loro
Patria d’origine. Fu considerata una bella Chiesa, voluta dal popolo,
edificata anche con il contributo dei poveri, oltre che da quello di molti
cattolici irlandesi.
Monsignor Wigger terminò il suo
sermone dicendo :
E d’ora in poi verrete qui coi vostri
figli, le Domeniche e le feste di precetto, ad ascoltar la Santa Messa;
verrete, pentiti dei vostri peccati, a confessarli nel tribunale della
penitenza, e ne otterrete il perdono; verrete ad ascoltar la Parola di Dio;
verrete qui a far battezzare i vostri bambini, e poi a farli cresimare; e,
fatti più grandicelli, qui faranno la Prima Comunione; e poi essi e voi spesso
vi accosterete a ricevere la Ss. Eucaristia, il Pane di vita eterna.22
L’Arcivescovo Ryan di Philadelphia,
invece, predicò in inglese. Nella sua omelia lodò l’Italia come la Madre e la
sede della Cattolicità, che responsabilizza gli italiani più di ogni altro
popolo a seguire le radici cristiane. Parlò di Roma, sorgente della Chiesa
Cattolica, e non dimenticò di concludere con un accorato appello al
patriottismo verso la Grande Repubblica Americana che accoglie gli immigrati
provenienti da ogni nazione del mondo.
Questa solenne cerimonia fa capire
quanto sia stata importante l’erezione della prima chiesa degli Stati Uniti
per gli Italiani; se non altro perché è il luogo che dà espressione alla
stessa personalità del parroco, il quale tenacemente ha lottato per realizzare
il progetto di una chiesa che potesse essere riconosciuta come propria da
tutti gli immigrati italiani d’America. Con pochi mezzi e vincendo ogni tipo
di difficoltà, alla chiesa (che costò circa ottantamila dollari,) fu
affiancata la casa parrocchiale, una casa per le suore e un edificio
scolastico per bambini e bambine. Tutti edifici che provano, come testimonia
il discorso dell’inaugurazione, quanto fosse motivata e decisa l’azione di
Isoleri, e quale sia stata la soddisfazione per il missionario villanovese,
finalmente pastore in una chiesa nuova e adeguata.
“La lunga processione, l’ora tarda ed
il dovere Monsignor Wigger prendere il treno delle 6.30 p.m. mi impedirono di
dire, infra Vesperas, quanto segue : “ Auditui meo dabis gaudium et
laetitiam et exultabunt ossa umiliata “ ( Sal. 50 ). Mi sia permesso, o
miei carissimi Italiani di Philadelphia, gaudium meum et corona mea (
Fil. IV,I ), di dir due parole al tramonto di questo giorno così bello e
solenne, e la cui memoria resterà, spero, indelebilmente scolpita nelle vostre
menti e sarà tramandata di generazione in generazione fino ai vostri più tardi
nipoti. Haec dies quam fecit Dominus ! Giammai forse spuntò per noi
giorno di questo più bello ! Giammai, forse, com’oggi, risuonarono in terra
straniera così dolci ai nostri orecchi i sacri Cantici, e così soavi le
melodie dei musicali istrumenti ! E tutti i cuori riboccano di gioja; ed io
pure con voi gioisco ed esulto. Cor meum et caro mea exultaverunt… (
Sal. 83, 2 ). Dopo tanti stenti e fatiche, dolori e sudori; ormai posso dire
al Signore col Reale Profeta : Auditui meo dabis gaudium et laetitiam
“.23
E’ arrivato anche per Isoleri il
grande giorno che corona le fatiche di anni. E’ come avere raggiunto la vetta
della montagna tanto amata ma non da solo, bensì con tutta la comunità
cristiana. Ora, il punto di riferimento, la nuova chiesa degli italiani esiste
come un faro nella nebbia. Faro oggi spento, ma che per decenni ha funzionato,
ed ha aiutato moltissime persone a rimanere salde nella fede, ad avere la
forza spirituale necessaria a superare le difficoltà della vita.
Don Isoleri ricorda la storia di
quella Chiesa e lo scetticismo che colse molti di fronte alla necessità di
allargare l’edificio preesistente. Ricorda tutto il lavoro svolto in otto anni
di febbrile attività e gode di aver portato a compimento un’opera importante,
un punto di riferimento essenziale per l’annuncio e l’evangelizzazione; che
egli stesso sottolinea ancora nel suo discorso di inaugurazione :
“ Ricordate i primordj della Vecchia
Chiesa, che fu la Prima Chiesa Italiana negli Stati Uniti, la sua
storia, le sue peripezie, di cui vi parlai altre volte. E voi, o seniori della
Colonia e della Parrocchia, voi dai bianchi capelli o dalle teste calve,
portatevi meco col pensiero venti anni addietro, quando appena si osava
parlare a voce sommessa di allargare la Chiesa Vecchia. E voi giovani, o da
pochi anni qua giunti, portatevi col pensiero un otto anni addietro, quando
colla Benedizione del S. Padre Leone XIII, il 14 Ottobre 1883, Sede
vacante, l’or defunto Vescovo di Harrisburg, Mons. Geremia Shanahan,
benediceva la pietra angolare di questa Chiesa ; - ed al Giugno, 1884, quando
si demoliva per metà la Vecchia…Ed ora date uno sguardo attorno…e tutti meco
confesserete che, coll’ajuto di Dio, di Maria Ss., di S. Maria Maddalena
De-Pazzi e di…pochi, si è raggiunto in breve tempo ciò che un giorno
parea follia sperare : - et exultabunt ossa humiliata.”.
24
La tenacia viene premiata ; ne è
chiara documentazione l’edificio sacro, nato dall’evidenza della fede. Si
comprende così che l’entusiasmo con cui Don Isoleri proclama l’avvenuta
realizzazione dell’opera, non è vanagloria, ma la naturale soddisfazione che
accompagna la fine di un lavoro ben riuscito e voluto dalla divina
Provvidenza.
Don Isoleri richiama tutto ciò,
affidandosi all’intercessione dei santi, specialmente di quelli che la
comunità di immigrati sente forse più vicini. Ricorda anche l’umiliazione,
che dovette ricevere da coloro che dileggiavano i tentativi di porre in essere
la nuova Chiesa e la necessità di chiedere costantemente il sostegno
economico.
Gli ostacoli di natura economica e le
derisioni non facilitano certo il compimento di un’opera. Occorre, invece,
l’impiego di un rigore spirituale perché qualunque attività umana non prenda
nessuna strada sbagliata, che danneggi coloro che la percorrono e che dia
credito all’invisibile.
Il missionario è profondamente radicato
nella fede e sa che la preghiera costante e ostinata ottiene dal Signore
grazie, aiuti, sostegno e la possibilità di veder realizzata una dimora dove
Dio possa essere incontrabile quotidianamente:
“Questa Nuova Chiesa, in gran
parte pagata, e dedicata oggi solennemente al culto di Dio, sotto
l’invocazione della grande Carmelitana Fiorentina, e che forma l’ammirazione
di quanti la visitano, è come una sposa, procedens de talamo suo…et quasi
sponsam ornatam monilibus suis ( Isaia LXI, 10 ), e sicut sponsam
ornatam viro suo ( Apoc. XXI, 2 )”.25
La chiesa ha la dignità della sposa
per la gioia della salvezza, per l’infinita gratitudine di ricevere l’amore di
Dio, l’amore che salva. Isoleri è seriamente impegnato perché venga rispettata
questa Verità. Egli è un parroco coraggioso e determinato nell’affrontare il
male, che si palesa nell’indifferenza, nella mancata cooperazione, nel
dileggio. La sua chiesa contrasta questi limiti perché è espressione della
comunità cristiana e non rischia pertanto di affondare, ma è sostenuta e
aiutata dalla presenza di persone che condividono con il parroco il peso di
questa fondazione.
Sotto questo aspetto, l’edificazione
della chiesa diventa per Isoleri un mezzo per inserire nell’alveo della sua
vita spirituale e pastorale l’incrollabile fiducia in Dio fino a paragonare la
sua missione a quella vissuta dai cristiani delle Catacombe. “Patire e non
morire”, come recita il motto della mistica Patrona, Maria Maddalena De Pazzi,
26 alla quale la chiesa è
dedicata .
La nuova chiesa diventa pure il
simbolo della sua umiltà, forza autentica, cioè per dare contenuto al valore
religioso dell’esistenza. Conosce bene infatti di essere il continuatore di
un’opera che il Signore ha posto in essere e che altri – prima di lui – hanno
contribuito ad erigere. Don Isoleri è radicato nella tradizione cristiana:
continui sono i riferimenti biblici che egli usa nella predicazione, certo non
come elementi decorativi, ma quale parte integrante dell’annuncio evangelico.
Con coerenza al Vangelo forte e incisiva, la sua predicazione tende a
procurare maggiori benefici per lo sviluppo spirituale dei fedeli. L’unica
cosa che conta infatti è il conseguimento della vita eterna all’interno della
quale tutti si è chiamati ad esultare insieme ai propri cari, i quali,
esultando anch’essi nel Signore, dimostrano di sostenere e approvare l’opera
di chi opera nella pastorale, nel segno di una autentica comunione dei santi
“ Ma jam hiems transiti, imber abiit
et recessit ( Cant. II, 11 ); e noi oggi facciam festa qui in terra, e
finalmente intuoniamo l’inno di giubilo e le nostre ossa, in più modi e più di
una volta umiliate, oggi esultano ! Et exultabunt ossa umiliata !
Esultano oggi le ossa del Padre Mariani, nel cimitero di S. Maria ; e quelle
del Ven. Padre Giacomo Rolando, dinanzi alla Chiesa di S. Vincenzo De-Paoli,
in Germantown. Esultano le ossa del Padre A. Oberti ad Holly Springs, Miss.,
del Padre A. Cassese in Swedesboro, N.J. e del Padre M. Cassini a Buffalo, N.Y.,
- amici miei e benefattori di questa Chiesa ! Et exultabunt ossa umiliata
Esultano le ossa dei miei amati
genitori, che più non rividi dacchè me ne venni qui tra di voi ; e le ossa del
mio fratello maggiore, morto non fa ancora un’anno, esultano nel cimitero
della nativa parrocchia : Exultabunt ossa umiliata. Esultano le ossa
del Marchese Antonio Brignole-Sale e della sua consorte Marchesa Artemisia
Negrone, nelle tombe avite ; esultano le ossa delle loro figlie, la Duchessa
Melzi d’Eril a Milano e la Duchessa de Ferrari a Genova : Exultabunt ossa
umiliata. Esultano nella Cina le ossa del Missionario Pietro Laureri, il
cui esempio mi spronò sulla via delle Missioni ; in Gerusalemme quelle dei
Patriarchi Valerga e Bracco ,[16]
miei con diocesani ; ed in Italia quelle di Monsignor Raffaele Biale, già mio
vescovo, che mi benedisse pria ch’io partissi e confortò il mio povero padre
piangente. Exultabunt ossa umiliata “
27
L’attività svolta a Philadelphia si
pone dunque sulla scia di coloro che lo hanno preceduto e tendono a.
un’esaltazione della vita cristiana che vede la storia come un susseguirsi di
fatti fondati nella tradizione senza inutili strappi e scopre la morte come
l’ingresso nella pienezza dell’essere.
Don Isoleri trasmette alla sua
comunità i contenuti del Vangelo, ma anche gli strumenti giusti – fra i quali
la nuova chiesa - affinchè i fedeli, possano essere testimoni attivi del
Vangelo, anche perché la nuova chiesa esiste in quanto alle spalle c’è un
grande sacrificio che, spiega Isoleri, determina la crescita essenziale nella
fede di tutta la comunità di Philadelphia.
L’apostolato di Don Isoleri è un
continuo atto di riconoscenza verso tutti . Egli rende grazie a Dio creatore e
fondatore di ogni realtà ; che lo predispone ad andare incontro al bisognoso,
senza aspettare le richieste d’elemosina da parte del povero, e lo
arricchisce di una coscienza morale forte e santa.
Perciò ottiene la partecipazione
corale di tutta la Chiesa Cattolica, dal Papa e i suoi delegati pontifici
all’ultimo fedele.
Egli non si inorgoglisce per i meriti
personali che pure gli vengono riconosciuti, perché sa che il merito è solo di
Dio, che agisce per mezzo del sacerdote, chiamato a dedicare tutte le energie
e le parole al bene comune.
Oltre all’edificazione della chiesa,
Isoleri deve pensare anche a un orfanotrofio composto di bambini non solo
italiani ma da quel melting pot
28 caratteristico
dell’america dei coloni, che si arricchiva con l’arrivo non solo di lavoratori
italiani ma di tutte le nazionalità. I bambini crescono all’interno di una
nuova vita che mescola uomini di tutte le razze e coloni formando quella
società complessa, volta a esperimentare la capacità di convivenza degli
esseri umani più diversi fra loro. L’innocente campanilismo degli immigrati
italiani a Philadelphia non può pertanto durare a lungo in una società
internazionale così ricca di possibilità e di problematiche. Egli predica di
evitare ogni chiusura e di essere disponibili ad aprire nuove possibilità di
dialogo, necessario agli esseri umani per risolvere più facilmente ogni
difficoltà.
In tale contrasto, Isoleri raggiunge
il cuore dei suoi fedeli, riuscendo ad adeguarsi ed entrando in sintonia con
la sua comunità, alla quale parla e scrive. Non si stanca di porre la
preghiera come pietra miliare della vita spirituale e incita tutti ad aprire
il cuore a Dio, deponendo nelle sue braccia accoglienti i bisogni, i desideri,
le sofferenze di ogni giorno:
“V’invito altresì a pregare
devotamente e costantemente, per ottenere a questa parrocchia le grazie di cui
abbisogna per l’avvenire ; affinché come questa Chiesa è Domus Dei,
casa di Dio, così sia anche per voi tutti e pei vostri figli e discendenti,
porta coeli, porta del Cielo ( Gen. XXVIII, 17 ), fino alla fine dei
secoli ; e di noi tutti, pietre scelte e viventi, si edifichi la celeste
Gerusalemme. E vengano qui tutti, d’ora innanzi, gl’Italiani di Philadelphia
ad adorare e pregare il Padre comune, che è nei cieli, ed ha mandato il suo
Figliuolo Unigenito sulla terra…che sta dì e notte nel Santo tabernacolo e
ripete : Venite ad me omnes qui laboratis et onerati estis et ego reficiam
vos 8 Matteo XI, 28 ). Vengano dinanzi a questo altare i deboli a chieder
forza, i dubbiosi consiglio, gli afflitti consolazione ; vengano tutti a
domandare le grazie di cui abbisognano per questa vita e per l’altra “.29
Si rivolge ai suoi fedeli con l’anima
popolare che si affida a Dio. Lo fa in un periodo di profonde trasformazioni
sociali, già allora rapidissime, che avrebbero portato nel 1893, all’inizio di
una grave depressione, per risolvere la quale gli statunitensi rinforzarono i
progetti di espansione all’estero, Isoleri vide che bisogna trasformare l’
anima della comunità, e partecipa di persona agli eventi.
Impara così ad ascoltare il prossimo,
ad interpretare i reali bisogni dell’anima, a spronare i fedeli ad una vita
cristiana autentica:
“Bella la Chiesa materiale : ammirata
da tutti ! Ma noi siamo obbligati a pagarla interamente, ed abbellirla sempre
più ; chè dessa è nientemeno che la Reggia di un Dio : haec est domus Dei
( Gen. XXVIII, 3 ). Ecce tabernaculum Dei cum hominibus ( Apoc. XXI,
3 ). Ma noi siamo il tempio di Dio vivente : Vos templum Dei estis ( I
Cor. III, 16 ). Procuriamo dunque di vivere sempre più da buoni Cristiani ;
Aemulamini charismata meliora ( I Cor. XIII, 31 ).
Estote perfecti sicut et Pater vester coelestis perfectus est ( Matth.
V, 48 ). Viviamo in modo da meritare di far parte tutti, un giorno
della Chiesa trionfante nel cielo. Lassù il nostro gaudio sarà pieno,
perfetto, indefettibile. Auditui meo dabis gaudium et laetitiam ». 30
Si rifugia pertanto nella tradizione
cristiana e da essa attinge la forza per superare ogni debolezza, offrendo
alle coscienze dei giovani americani veri punti di riferimento e intuisce che
uno di questi punti può anche essere rappresentato da un luogo, all’interno
del quale l’uomo possa incontrare il Signore.
Don Isoleri, sesto pastore di Santa
Maria Maddalena de Pazzi, parla a una comunità di immigrati italiani composta
da circa settemila persone . Vi sono i bambini
di queste famiglie, che ha tolto dalla strada e dal pericolo
dell’accattonaggio. Vi abitano bambine, ospitate nel suo orfanotrofio, la “
Little Itatly “ di Philadelphia che confida nel suo Pastore, tutti
impegnati a realizzare una comunità che avrà nel Paradiso il suo punto
d’arrivo e la stabile dimora.
“ E mentre finchè Iddio mi darà forza e
grazia, io intendo lavorar sempre pel bene delle anime vostre ; - voi pregate
per me, finchè vivo…pregate per me quando non sarò più, e fate pregare per me
i vostri figli. E faccia Dio che come ci troviamo stasera in questa Chiesa
festanti ; così tutti ci troviamo uniti un giorno in Paradiso, dove, non
ultima delle nostre gioje sarà il vedere la nostra Santa. Faccia iddio che
come oggi qui in terra, così possiamo un giorno ripetere, e con più ragione,in
Cielo,tutti quanti : Auditui meo dabis gaudium et laetitiam et exultabunt
ossa umiliata !
Quaggiù la croce, da forti nella lotta, fermi
nella fede cattolica, nella fede dei Ss. Apostoli Pietro e Paolo, sottomessi
sempre al loro Successore : Pati ! Lassù la corona immortale,
vittoriosi e felici, per tutta l’eternità : non mori ! – Pati, non mori !
Lassù sarà musica angelica, di cui la nostra, pur sì soave, di questo giorno,
non è che debole preludio “.
31
Portare tutti in Paradiso : è questo l’obiettivo del Pastore che
parla finalmente nella sua chiesa, situata a sud della città, destinata a
rimanere fino al 1898 l’unico tempio e centro di accoglienza per gli immigrati
italiani
32 di Philadelphia. Andare in
Paradiso dopo essere stato fedele servitore della Chiesa, in comunione con la
Sede Apostolica: ecco il desiderio di Don Isoleri, che già quaggiù in parte si
avvera grazie ai privilegi papali concessi ai principali altari della nuova
chiesa, visitando la quale si lucra la Indulgenza Plenaria nel giorno della
Festa patronale33
durante l’Ottavario.34
In riferimento alla pastorale, dopo
l’edificazione della nuova chiesa, non terminarono le avversità. Come era
accaduto per la vecchia chiesa gravemente danneggiata a causa di un incendio;
un altro incendio, nel 1903, devastò parte della nuova struttura. Le
riparazioni durarono quattro anni, e il 1907, trecentesimo anniversario della
morte di Santa Maria Maddalena de Pazzi, coincise con il cinquantesimo
anniversario dell’apertura della Chiesa (1857) e la solenne consacrazione
della nuova, in cui continua a svolgere la sua missione di parroco fino al
1926. Ivi comunque rimane fino alla morte, avvenuta l’ 11 aprile 1932.
Il suo corpo fu tumulato proprio
davanti alla Chiesa a cui donò l’intera sua vita di missionario.
1.1.2
Don
Isoleri uomo di cultura: le sue pubblicazioni
Durante le lunghe ricerche effettuate
nell’archivio dell’Arcidiocesi di Philadelphia, il prof. Richard Juliani35
ha potuto constatare la “ sterminata “ produzione di Isoleri scrittore. E’
emersa la ricchezza della produzione letteraria del missionario, comprendente
raccolte di poesie, opere teatrali, saggi e sermoni, per un totale
approssimativo che si può calcolare, secondo Juliani, tra le ventimila e le
trentamila pagine. Solo una piccola parte di questo materiale è stato
pubblicato.
I limiti dello scrittore Isoleri sono
legati alla scarsa capacità critica che si evidenzia soprattutto nelle sue
opere storiche, in particolare nell’opuscolo dedicato a Cristoforo Colombo,
dove il navigatore genovese viene considerato un Apostolo, un inviato:
“Colombo ricordava la colomba, emblema dello Spirito Santo; e Cristoforo
significa letteralmente Porta – Cristo “.36
Il metodo storiografico risulta assai
carente e lacunoso: l’Autore non sottopone le fonti ad un rigoroso vaglio
critico per verificare la loro attendibilità, ma spesso dà interpretazioni
tendenziose e arriva a deformare i fatti per farli collimare con le sue tesi.
Al di là di questi limiti oggettivi, l’intenzione dell’opuscolo sembra
travalicare l’oggetto stesso della trattazione: attraverso l’esaltazione
acritica di Colombo vi è l’urgenza di difendere l’italianità di quel
personaggio; si legge tra le righe la chiara intenzione di trasmettere
l’orgoglio di sentirsi italiano in una terra, l’America, dove i nostri
connazionali erano quasi esclusivamente “immigrati”, “extracomunitari” diremmo
oggi. Questo libretto testimonia tuttavia una preoccupazione pastorale:
dimostra l’attenzione del missionario verso la condizione di chi – italiano
come lui – deve vivere in uno stato di lontananza cronica dagli affetti e
spesso è fagocitato da preoccupazioni legate alla mera sopravvivenza.
A Philadelphia dal 1876 al 1878
Don Isoleri pubblica Lira Leronica,
una raccolta di sonetti, odi, canzoni, carmi, cantiche, tragedie, commedie,37
comprendente testi scritti in date diverse e messa in vendita: “ a benefizio
dell’ Asilo di S. Maria Maddalena De Pazzi, aperto recentemente in Filadelfia
per le ragazze italiane orfane, sotto la cura delle Suore Missionarie del
Terz’ Ordine di S. Francesco “38
Nel secondo tomo, edito nel
1877, viene pubblicata la Tragedia : Religione e Patria o i Martiri
Coreani, scritta da Antonio Isoleri quando era alunno del Collegio per le
Missioni Estere a Genova.
La tragedia è stata offerta e dedicata
alla Duchessa Luigia Melzi d’Eril nata Brignole – Sale, per augurare la sua “
pietà e cristiana beneficenza chiarissima “.39
E nella prima parte dell’opera parla di
religione e patria, due realtà percepite da Isoleri come dimensioni care
all’essere umano, che costruisce nel rapporto con Dio e nell’appartenenza ad
una nazione la difesa del più povero ed indifeso, fino a sentirsi figlio e
quindi accompagnato:
“Religione e Patria ! Son questi
due nomi che fan palpitare di santo affetto ogni cuore ben nato, ogni spirito
che sente altamente. Religione e Patria son due cose che non possono andare
disgiunte, se non a patto di falsificar l’una e distruggere l’altra, se non a
patto di dimezzare l’Uomo il più grande. Togliete la Patria e non vi resta che
un Cristiano meschino : togliete la Religione e non vi resta che un
cittadino…forse malvagio. Unite Religione e Patria, e voi avrete tutto l’uomo
: unitele ad un’alto grado, e voi avrete l’uomo grande ; ad un grado sublime,
e voi avrete il Santo, l’Eroe, il Genio […] l’estro poetico in me s’accesse,
là dove nacqui, sulle apriche rive del Lerone, sulle amene pendici della
Liguria. Tolsi allora in mano la lira per cantar Genova e l’Italia, per pagare
un qualche tributo del mio entusiastico affetto a Dante ed a Colombo “.40
Isoleri si rivela a Philadelphia come scrittore secondo gli esordi letterari, visto che gli anni in America non hanno alterato la sua vena e la sua ispirazione, come dimostra il racconto dell’azione dei Martiri, svoltasi dal 7 all’8 marzo 1866. Si svolge in Corea, in parte a Seul e in parte fuori le mura della città.41
L’argomento, trattando di come l’odio
per la fede cristiana possa portare al martirio uomini di pace come i
missionari, è drammaticamente attuale e profeticamente annunciato da Gesù : “
Se il mondo vi odia, sappiate che prima di voi ha odiato me “ ( Gv 15,18 ).
Isoleri dedica due pagine ad esporre il suo parere sulla questione spiegando
altresì alcune scelte artistiche.
“ Nella vera Chiesa di Dio le
persecuzioni da una parte e i Martiri dall’altra son tali fatti, che per esser
divenuti comuni, e direi quasi quotidiani, sembrano avere ormai perduto agli
occhi di taluni ogni importanza. Eppure costituiscono della vera Chiesa una
salda prova “.42
Il missionario villanovese viene a
conoscenza della relazione del missionario Calais sui fatti accaduti, e
giudica bene mettersi all’opera per stendere un canovaccio teatrale, idoneo
alla messa in scena di questo dramma, nel quale emerge l’anima del religioso
alle prese con l’ispirazione dell’artista, che si serve delle ore serali, le
uniche a disposizione, per confermare e arricchire la sua testimonianza di
missionario, che non sacrifica i suoi doveri fondamentali di azione e di
preghiera.
“ma avendo io dovuto alternare
questo lavoro ( per la cui ispirazione richiedevasi calma , libertà , ritiro )
colla recita del Breviario, con i srj studi teologici, e coll’esatto
adempimento di tutte le pratiche della comunità, per cui dovetti scrivere in
ritagli di tempo ed a tarda sera , non ho potuto far sì che corrispondesse
pienamente al soggetto , al mio desiderio , e dirò anche alla mia aspettazione
[…] Se mai avvenga che si faccia a questo componimento il non meritato onore
di tradurlo in sulle scene, vuolsi per mente più all’azione che alle parole ;
giacchè il suo effetto per buona parte da quella specialmente dipende. Almeno
questo è il mio parere “.
43
Ne La Strenna ,44
Don Isoleri si interessa ancora dell’Italia “ maestra alle altre nazioni nelle
scienze e nelle arti “.45
E offre il suo contributo affinché gli italiani si uniscano insieme al mondo
intero intorno al Papa e alla Chiesa cattolica per formare un solo ovile con
un solo Pastore, e non diventino “discepoli dei persecutori d’Israele, dei
nemici giurati della nostra S. Madre, la Chiesa Cattolica ! “.46
Ritorna ancora una volta il binomio
patria e fede: ogni individuo nasce cittadino di una patria, da cui riceve
un’impronta particolare attraverso la lingua, le istituzioni, la tradizione,
la religione; egli vive in comunanza di ricordi e di aspirazioni con altri
uomini, che formano con lui un unico organismo spirituale, il quale conserva
in sé l’eredità ideale dei trapassati e la tramanderà accresciuta al futuro.
Un’altra esperienza decisiva per
l’uomo sta nel rapporto con Dio ed esige una risposta al disagio
esistenziale, che si avverte in modo particolarmente acuto allorché ci si
trova lontani dalle proprie radici. Anche se Don Isoleri sceglie di vivere la
missione dopo averla fortemente sentita e seriamente meditata, tuttavia egli
sa che solo il rapporto con Dio sostituisce la lontananza dalle radici e gli
affetti più cari . Lo provano alcune raccomandazioni frutto della
determinazione del Sacerdote che invita a superare le passioni umane , la
fretta e ogni altri interessi , per servire esclusivamente la verità in Gesù
Cristo.
“ Rinnovate i voti battesimali con
ferma volontà di osservarli; e leggete spesso, e fate leggere e imparare a
memoria dai vostri figli le Preghiere e le Istruzioni contenute in questo
libricino , che io presento a voi tutti , come La Strenna del vostro Parroco
per l’anno 1884 “.
47
Don Isoleri con l’invito a rifugiarsi
in Dio, combatte il rischio, proprio del fenomeno migratorio, di perdere
l’identità culturale e religiosa. La Strenna non ha quindi velleità
artistiche o letterarie, ma si inserisce nella pastorale di Don Isoleri:
costituendo un richiamo a seguire la strada maestra della fede, uno slancio a
non dimenticare la dipendenza dal Signore.
Isoleri con alcuni suoi scritti, si ispira a
santa Maria Maddalena, titolare della chiesa parrocchiale. Ciò gli permette
di sviluppare una sapientia crucis e una teologia crucis che lo
portarono a pubblicare nel 1909 : The Life of St.
Leonard of Port Maurice.48
Il libro su S. Leonardo da Porto Maurizio risponde
ancora agli affetti delle origini di Don Isoleri, essendo il santo nativo
nella diocesi di Albenga-Imperia, da dove Isoleri proviene. Ma la spiegazione
del testo risale soprattutto al fatto che S. Leonardo è già considerato
l’apostolo della Via Crucis e ormai famose sono le sue missioni al
popolo, incentrate nella meditazione della Passione e Morte di Gesù Cristo.
L’affetto e la stima per un protagonista della vita della Chiesa, originario
delle sue terre e la predicazione sui temi della Crocifissione di Cristo
inducono Isoleri ad approfondire questi argomenti, verso i quali i
parrocchiani si dimostrano sensibili a causa della loro patrona, che vive con
singolare partecipazione gli eventi della Passione di Cristo. Ciò è
sufficiente per indurre Don Isoleri, a fondare la sua meditazione sulla croce,
facendo tesoro di quanto S. Leonardo da Porto Maurizio ha già sperimentato sul
campo dell’annuncio evangelico.
L’opera di Isoleri richiama
all’essenza del Cristianesimo. Parla di una cura d’anime nel contesto di una
crescita culturale, che privilegia le relazioni con il divino. Si abbina a una
tensione spirituale, che abbraccia tutta l’umanità, anche la più lontana da
Dio. Don Isoleri esprime con un linguaggio oggi indubbiamente superato la
partecipazione affettiva alla missione della Chiesa. La proclama, questa
missione, nella predicazione, nell’attività pastorale del suo sacerdozio,
nell’esercizio quotidiano del suo rapporto con Dio che spinge Isoleri a
impiegare la cultura, l’edificazione della chiesa, il versante sociale e
caritativo, quali strumenti per continuare il suo servizio di sacerdote a
gloria di Dio e a salvezza delle anime.
Don Antonio Isoleri negli Stati Uniti
è vissuto ed è morto: lì è sepolto. Eppure, con i suoi scritti e l’attività
missionaria ad essi legata continua a tornare e a vivere in Italia, a
Villanova d’Albenga, a certificare che per Dio non esistono confini quando
l’uomo si dedica a lui e neppure il comune scorrere del tempo può allontanare
il più vicino soffio dell’anima al respiro stesso di Dio.
Conclusione
Per me, questa è una tesi che è
arrivata come proposta dalla mia stessa vita. Mi ha infatti permesso di
iniziare a conoscere la realtà della missione da una prospettiva
essenzialmente cristocentrica.
In un mondo sempre più omologato,
anche nelle parole che lo descrivono, ho appreso la possibilità di nuovi
linguaggi e nuove visioni della realtà.
Attraverso questo studio non ho
cercato di finire un cammino, ma di continuarlo meglio, specialmente se
riferito alle molteplici e gravi difficoltà che incontra l’uomo, soprattutto
l’umanità più debole e indifesa.
La Chiesa di Gesù Cristo unisce le
missioni di tutto il mondo, e va oltre le esperienze dei singoli missionari.
Lo Spirito Santo non smette di agire e opera utilizzando tutti i linguaggi che
conosciamo e tutti quelli che non conosciamo.
Maestro Eckart afferma: ”Dì la parola,
pronunciala, esprimila, predicala, genera la parola! Pronunciala! Ciò che vien
detto in te dall’esterno è una cosa logora: quella invece è pronunciata
all’interno. Pronunciala!, cioè scopri ciò che è in te.”[17]
Questa semplice considerazione conferma la potenza intrinseca dell’annuncio
missionario, che sconfigge il nichilismo e con l’annuncio cattolico testimonia
la profonda fedeltà dei martiri e dice piuttosto che sono gli ismi ad
esaurirsi per mancanza di senso .
Il missionario possiede la capacità
che i Greci avevano attribuito a Prometeo, colui che vede in anticipo: una
qualità profetica, un dono che in misura diversa appartiene ad ogni essere
umano. Il missionario non può dare consistenza al suo annuncio, se non
percepisce con il giusto anticipo le diverse situazioni, a volte estreme, che
deve non solo affrontare, ma soprattutto risolvere, fidandosi e affidandosi
solo al grande e unico missionario, che è Cristo Gesù.
Il costante riferimento al mistero di
Cristo, non permette a nessuno di redigere classifiche sul rendimento dei
missionari, perché la missione non è una competizione che ha come traguardo il
raggiungimento di un numero indefinito di convertiti.
I grandi missionari sono coloro che
con scarsi mezzi sanno dare una speranza a situazioni umane disperate, coloro
che sanno vincere il male con il bene, coloro infine che sanno vivere la
Croce come un passaggio obbligato per raggiungere la gloria di Dio.
Questo lavoro mi ha dato l’opportunità
di conoscere nuove persone: persone vicine a me geograficamente, la gente che
a vario titolo continua un rapporto con i missionari in un lavoro costante di
attenzione, solidarietà, amicizia vera. Ma approfondire questo tema mi ha
anche offerto la possibilità di conoscere persone che in tutto il mondo stanno
continuando il lavoro dei nostri missionari, che spendono la loro vita ogni
giorno affinché l’annuncio cristiano non si disperda e il seme piantato non
cada nella dimenticanza: a tutti costoro va il mio ringraziamento e un
profondo senso di gratitudine.
Questa ricerca dimostra come in ogni
angolo della terra, anche il più minuscolo, sorgano persone, timorate di Dio,
capaci di offrire se stessi e tutta la loro vita al Signore per diventare suoi
testimoni. Anche in una piccola diocesi come quella di Albenga – Imperia, si
costruiscono occasioni e vocazioni pronte a lasciare tutto per testimoniare
Dio, laddove c’è bisogno di farlo conoscere e amarlo. I missionari che abbiamo
brevemente tratteggiato dimostrano questo senso ecclesiale e il desiderio di
seguire e servire Dio. Un impegno che perdura anche oggi con altri missionari
che svolgono la loro preziosa attività in prima linea e con altri testimoni,
specialmente giovani, che sono pronti a spendere parte del loro tempo a favore
di persone bisognose di tutto e in particolare di modelli cristiani forse per
convertirsi, certo per sperimentare l’amore di Cristo verso gli uomini,
nessuno escluso.
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Zecchin Renzo, I sacerdoti Fidei Donum,Conselve,
POM- Roma,UMD-Padova,1990
5) Riviste
“Credere oggi “, Teologia in Africa, N.152-2,
2006,
“ Società Missioni Africane “, anno XIII – n.52
/ 1973
[1] Missionario originario della
diocesi di Albenga e Imperia. Fondatore e direttore della EMI, Editrice
Missionaria Italiana, espressione editoriale di quindici istituti:
Missionari Comboniani, Missionari della Consolata, Pontificio Istituto
Missioni Estere (PIME), Missionari Saveriani, Società delle Missioni
Africane (SMA), Missionarie di Nostra Signora degli Apostoli, Missionarie
Comboniane, Padri Bianchi, Missionari Verbiti, Missionarie della Consolata,
Segretariato unitario per le missioni dei Cappuccini, Missionarie Secolari
Comboniane, Comunità “Redemptor hominis”, Missionarie dell’Immacolata,
Missionarie di Maria. Vedi :
www.emi.it
[2]
Cfr. al sito
www.celam.org
Los países que han enviado sus aportes son
Argentina, Bolivia, Brasil, Colombia, Cuba, Ecuador, El Salvador, Haití,
Honduras, México, Nicaragua y Paraguay. Cada Conferencia ha trabajado
siguiendo los esquemas que les han parecido más convenientes y las
extensiones de los aportes varían de una conferencia a otra. Todas han
utilizado la modalidad informática para el envío de los documentos, y
conferencias como la de Brasil ha usado extensivamente el Sistema de
Participación en Línea (SPOL), que ha permitido la participación desde las
bases hasta la estructura nacional.
Además de los aportes de las Conferencias
Episcopales también se han recibido contribuciones de algunos organismos
continentales, lo que influye en la riqueza de perspectivas para la
elaboración de Documento de Síntesis, que será uno de los subsidios a
utilizar durante la V Conferencia General del Episcopado Latinoamericano y
del Caribe. Aparecida 2007 è in preparazione dal 2001 e il tema finale
indicato da Benedetto XVI è : “ Discepoli e missionari di Gesù Cristo
affinché i nostri popoli abbiano in lui la vita. Io sono la via, la verità,
la vita “.
[3]
Giovanni Paolo II, Redemptoris Missio, n. 32.
[4]
Mario Oliveri , Messaggio per la Giornata Missionaria Mondiale, 22
ottobre 2006.
[5]
Giovanni Paolo II , Catechismo della Chiesa Cattolica, n. 2419.
4 Ne è una dimostrazione
l’istituzione , fra le altre , dell’Associazione “ Amici dell’Uruguay : un
Ponte d’Amore” con la finalità di sostenere l’opera missionaria .
5 Diocesi di Albenga-Imperia,
Costituzioni sinodali (29 maggio 2004),Albenga 2004, p. 20.
[6]
In Duvignau Pierre, Mons. Giuseppe Valerga Patriarca di Gerusalemme,
Albenga 2001, p. VI
7
Cfr. Idem, p. 14
[8]
Cfr. Idem, p. 21
9
L’atto ufficiale viene promulgato il 23 luglio 1847 con la lettera
apostolica Nulla celebrior Cfr.
Idem, p. 43
[10]
Idem, p. 44
11
Idem, p. 49
[12]
Gerusalemme contava 906 latini; Betlemme 1672, compresi alcuni elementi di
Beit-Giala e di Beit Sahur; Nazaret 60; Ain Karem 92; Ramle 20; Giaffa 319;
Haifa 58; San Giovanni d’Acri 119; Larnaca 310; Nicosia 45; Totale 4141 (Idem,
Op. cit p. 58). Gerusalemme non era più nel 1848 la grande città d’un
tempo. La sua popolazione non superava i 15.000 abitanti, di cui 5000 circa
erano musulmani, 5000 israeliti e gli altri suddivisi tra le diverse
confessioni religiose cristiane (Cfr. Idem, p. 68).
[13]
“Compreso del dovere che mi è stato imposto mi sono dedicato a esaminare
tutto ciò che poteva illuminarmi su questo argomento; ho consultato la
storia, le relazioni dei viaggiatori; ho preso conoscenza dei trattati e
delle capitolazioni stipulate fra la Sublime Porta e i Governi di Austria e
Francia; ho letto le innumerevoli disposizioni emanate in ogni tempo dai
Sultani perché i cattolici fossero scrupolosamente mantenuti in possesso dei
loro santuari. E poi, sorpreso di vedere che, nonostante questa massa
immensa di documenti e tutta l’evidenza dei loro diritti, una buona metà di
questi stessi santuari erano stati loro usurpati, mi sono chiesto come era
stata possibile una ingiustizia così palese, una violazione di diritti così
solennemente sanzionati, e come era stato possibile ciò in un tempo in cui
due grandi potenze cattoliche proteggevano a Costantinopoli i diritti dei
cattolici di Palestina e in cui lo stesso Governo Ottomano non cessava di
dare ordini perentori per impedire un’usurpazione di tal fatta. (...) si
tratta dei monumenti più sacri del Cristianesimo: del Sepolcro ove riposò il
Dio Salvatore, di una chiesa che racchiude la tomba della vergine sua Madre,
del luogo ove nacque il Redentore del genere umano e di altri analoghi
santuari. Sono cose forse così insignificanti, che i legittimi possessori
non debbano darsi pensiero per ricuperarli? (...) noi chiediamo che tutti i
Cattolici riflettano sull’immenso interesse che hanno questi monumenti
sacri non solamente per la pietà dei fedeli, ma ancor più per il progresso
del cattolicesimo. Chiediamo che la Francia e l’Austria, con le quali il
Governo Ottomano si è obbligato con un trattato solenne a conservare tutti i
possessi dei cattolici e tutti i loro diritti sui santuari di Gerusalemme,
rivolgano la loro attenzione alla Città Santa, che fu oggetto della
protezione speciale di questi due governi, per esaminare se l’impegno
pubblico assunto da essi è stato osservato fedelmente e se in realtà i
Cattolici siano stati mantenuti nel possesso di tutti i santuari che
detenevano al momento delle – Capitolazioni - . Chiediamo che le altre
potenze cattoliche, le quali, sempre e in ogni occasione, hanno contribuito
con larghezza di elemosine e con l’influenza del loro potere alla
conservazione di questi Santi Luoghi, s’interessino per rivendicare i
diritti dei Cattolici che, dopo tutto, non sono che loro propri diritti.
Chiediamo infine al Governo Ottomano di non permettere che l’intrigo e la
corruzione pongano ostacolo alla giustizia che esso ha sempre voluto e che,
pur se tradito talvolta dalla venalità di certi suoi governatori, non ha mai
cessato di far oggetto di tutte le disposizioni emanate da esso” (Cfr.
Idem, p. 90-91)
14
Idem,
p.106
15 Cfr. Idem, p. 114
16Cfr. paragrafo 1.2.2
17 Cfr. paragrafo 1.2.3
18Le
principali furono a Ramallah, Lidda, Bir-Zeit, Taybeh, Beit-Sahur.
19
Cfr. Duvignau Pierre, Mons. Giuseppe Valerga Patriarca di Gerusalemme,
op.cit. cap.X e XII.
20
Cfr.
Idem, p.191,192.
21
“La prima cosa che desiderò, ancor prima di avere una residenza, fu di
formare un Clero diocesano locale. Fondò a questo scopo il Seminario, per
quel tempo una iniziativa incredibile e controcorrente. (…) durante il suo
patriarcato potè ordinare dodici Sacerdoti originari della Palestina. Questo
Seminario ha sempre funzionato, fino ad oggi. In esso si sono formati
Sacerdoti, Vescovi e – già con il mio predecessore, Mons. Giacomo Beltritti
– il Patriarca stesso proviene dal Clero diocesano.(…)”. Patriarca attuale,
Michel Sabbah. Idem,p. V.
22
Cfr. Idem, p. 196.
23
Idem, p.186
24
Samir, S.K., Medio Oriente, in “Avvenire”, 3ottobre 2006.
25
Duvignau Pierre, Mons. Giuseppe Valerga Patriarca
di Gerusalemme , Op. cit. p. 200.
26
Cfr. Idem,
p.201.
27
Idem,
p. 203, 204
28
Idem,
p.219
29
Abuliatama
è una parola araba composta da Abu che significa
padre, El degli Iatama, orfani.
30
Papa dal 1878 al 1903.
31
Falsina, V., Un nuovo ordine
mondiale, Bologna, EMI, 2006, Cfr. p. 28.
32
Rorero, P., Don Antonio
Belloni, commemorazione, Betlemme, Opera Salesiana “Gesù Bambino”, 2003,
p.3. Prospero Rorero già direttore della Casa Salesiana di Betlemme è
deceduto il 3 gennaio 2006 all’età di ottanta anni mentre era direttore
nella vicina Casa di Cremisan.
33
Idem, p. 3.
34
Idem, p. 4.
35 “E’ la grande rivoluzione
di Don Bosco. Don Bosco la inventa, poi la esporta verso la rete delle
comunità ecclesiali; ma il nucleo è là, quando questo geniale riformatore
intravede che la società industriale richiede nuovi modi di aggregazione,
prima giovanile e poi adulta, e inventa l’oratorio salesiano: una macchina
perfetta in cui ogni canale di comunicazione, dal gioco alla musica, dal
teatro alla stampa, è gestito in proprio su basi minime, e riutilizzato e
discusso quando la comunicazione arriva da fuori (…). La genialità
dell’oratorio è che esso prescrive ai suoi frequentatori un codice morale e
religioso, ma poi accoglie anche chi non lo segue.. In tale senso il
progetto di Don Bosco investe tutta la società dell’era industriale (…).
Alla quale (società) è mancato (…) il suo – progetto Don Bosco –
e cioè qualcuno o gruppo con la stessa
immaginazione sociologica, lo stesso senso dei tempi, la stessa inventività
organizzativa. Al di fuori di questo quadro nessuna forza ideologica può
elaborare una politica globale delle comunicazioni di massa, e dovrà
limitarsi alla occupazione (spesso inutile e sovente dannosa) dei vertici
dei grandi dinosauri. Che contano meno di quanto si crede”. (Eco, U.,
L’oratorio di Don Bosco, L’Espresso, 15 novembre 1981)
36
Cfr.La Lettera pastorale dei
vescovi degli Stati Uniti, Giustizia economica per tutti, 1986, v.
Falsina, op.cit. p.159
37
Cfr. Don Antonio Belloni,Betlemme, Opera Salesiana “Gesù Bambino”,
2003, p.21.
38
“ Con vero piacere leggiamo nel Museo delle Missioni Cattoliche che il
celebre Marchese di Bute, Inglese di recente convertito al cattolicesimo,(…)
essendosi recato a visitare i Luoghi Santi, (…) fermò la sua attenzione
specialmente sull’Orfanotrofio Cattolico della Sacra Famiglia, che si è
aperto in Betlemme dall’egregio Don Belloni Antonio, Genovese, canonico del
Santo Sepolcro. Il mobilissimo neo-cattolico difatti alla vigilia della sua
partenza dalla Palestina (6 aprile) lasciava al Belloni la bella somma di
diecimila franchi, perché comprasse un grande spazio di terreno collo scopo
di organizzarvi in seguito una colonia agricola. E’ un bel pensiero quello
di raccogliere i poveri orfanelli nel paese natale di Gesù , che fu il primo
e il più santo Artigianello, e al balsamo soave di quell’atmosfera, la prima
respirata dall’Uomo Dio, farne fervorosi cattolici e buoni artigiani ed
agricoltori…Mentre vi sono in Palestina molti simili Istituti riccamente
mantenuti dai protestanti…l’Orfanotrofio del Belloni è il solo che si trovi
in mano ai cattolici. Il coraggioso missionario, comprendendo la gravissima
necessità di soccorrere i poveri giovanetti palestinesi, cominciò la sua
opera solamente fidato nella Provvidenza e pressoché senza mezzi umani; ma
Dio venne in soccorso di chi lavorava puramente in suo nome e per la sua
gloria, e la casa della Sacra Famiglia, mercè l’aiuto dei buoni, andrà
certamente prosperando per la salute delle anime “. Unità Cattolica,
19 maggio 1869,in Museo delle Missioni Cattoliche, n. 34 – XI,
p.551.
39
Shalhub G., Abuliatama, Torino, SEI, 1955, p.27.
40
Don Antonio Belloni,Betlemme,
Opera Salesiana “Gesù Bambino”, 2003, v. in Lettere.
41
“E donde prese Belloni i mezzi ingenti per la sussistenza dei suoi orfani ?
Dalla carità dei benestanti locali, dalla carità dei pellegrini, dalla
carità di sua mamma e dei Missionari del Brignole Sale di Genova, dal lavoro
dei suoi orfani, e dalla grande azienda agricola impiantata a regola d’arte.
Ma quando nel 1867 una terribile carestia, causata dalla mancata pioggia,
ridusse tutta la Palestina in miseria, Belloni, piuttosto che chiudere gli
orfanotrofi, intraprese coraggiosamente una serie di cinque lunghi faticosi
viaggi in Europa.
1.
1867, il Belgio, con raccomandazioni di Mons. Bracco al Vescovo di Malines,
e ad altri vescovi, ma non ebbe i risultati sperati.
2.
1874, a Napoli, Roma con udienza dal Papa Pio IX, a Torino per intendersi
con Don Bosco, in Francia, Belgio, Olanda, ritornando per Nizza, Oneglia,
Genova, portando con sé tre aiutanti, fra i quali il nipote Giovanni.
3.
1890, col piccolo orfano Gabriele, a Torino per intendersi con Rua, a Roma
per avere l’approvazione del Papa Leone XIII; poi per Ventimiglia,
Marsiglia, a Parigi. Ritornò trionfale con tre Salesiani.
4.
1895, in Italia, Francia, Belgio, accolto dappertutto con grande rispetto, e
confortante generosità.
5.
1901, col Salesiano Don Carlo Gatti, in Francia, Belgio, Italia. La morte
gli impedì la realizzazione di più vasti progetti “.
Bracco R., Il Patriarca Bracco, Genova,
Fassicomo, 1973, p. 32
42
La Chiesa di Gerusalemme è considerata a ragione la madre di tutte le
Chiese :“ Le Chiese ortodosse; La Chiesa melchita; La Chiesa maronita; La
Chiesa armena; La Chiesa copta; La Chiesa siriana; La Chiesa assira; La
Chiesa etiopica; I latini di Gerusalemme. Nel 1099, i Crociati fondarono il
Patriarcato Latino di Gerusalemme. Ma dopo la caduta di Akko, la sede
vescovile rimane vacante per secoli. Nel 1333, i francescani si espandono in
Terra Santa e si curano degli interessi della Chiesa Cattolica in Palestina.
Nel 1848, il Patriarcato Latino viene ricostruito. (…) Nel corso dei secoli
anche i singoli ordini e comunità religiosi aspirano ad una casa a
Gerusalemme “ e questo ci fa comprendere l’importanza universale del Luogo
Santo “ le carmelitane sul Monte degli Ulivi, i domenicani là dove si
ricorda la lapidazione di Stefano, il primo martire della Chiesa; i
benedettini sul Monte Sion, le suore sioniste presso il litostrato, i padri
bianchi presso la piscina di Betzata, le clarisse lungo la via per
Betlemme…” il Luogo Santo ha quindi la forza di un vero magnete spirituale
visto che “ nella scia della Riforma si stabiliscono a Gerusalemme anche le
Chiese protestanti: gli anglicani con la loro cattedrale di San Giorgio, i
luterani con la chiesa del Redentore, gli scozzesi con la chiesa di Andrea
come centro della loro comunità. E vi si stabilisce tutto l’ampio spettro
delle Chiese evangeliche libere “.Fleckenstein, K-H., Muller, W.,
Gerusalemme, città santa di ebrei, cristiani e musulmani, Roma, Città
Nuova Editrice, 1989, Cfr. p. 92 – 93.
43
Duvignau P., S.B.Mgr. Vincent
Bracco, Jerusalem, 1981, p. 183.
44
Bracco, R., Il Patriarca Bracco, Genova, Fassicomo, 1973, p. 43.
45
Idem, p. 44.
46
Idem , p. 44.
47
Tra questi ricordiamo il Principe ereditario d’Austria, l’arciduca Rodolfo
nel 1881; l’arciduca Ferdinando nel 1885; l’Imperatrice del Brasile
Christina nel 1888; il Presidente del Venezuela, generale A. Guzman-Blanco
nel 1887;
48
Bracco, R., Il Patriarca Bracco, Genova, Fassicomo, 1973, p. 46.
49
“ Riflettete bene, che tutta la nostra vita deve essere unicamente
consacrata alla gloria di Dio e alla salute delle anime, e che noi abbiamo
un compito terribile, dobbiamo rendere conto a Dio se per la nostra
negligenza una sola anima sarà perduta “.Duvignau P., S.B.Mgr. Vincent
Bracco, Jerusalem, 1981, p. 174
50
“ la più grande fede, il dono dei miracoli e delle profezie, le
illuminazioni più straordinarie, la più rigorosa giustizia e il più grande
disinteresse [..] i sacrifici più eroici e lo stesso martirio, non servono a
nulla se non si ha la carità “.Idem, p.179.
51
Bianco A., Il Kulango – Abron ,in “ Sma ”, anno XIII – n.52 , 1973,
p.2 ;
52
Idem,p.1.
53
Idem,p. 2. L’espressione è di un proverbio
koulango.
54
Idem, p.6.
55
Idem, p.7.
56 Idem, p.11.
57
Cfr. Idem,p.11.
58
Idem, p.11.
59 Idem, p.58.
60
Idem,p.59.
61 Idem,p.22.
62 Idem,p.24.
63 Idem,p.26.
64 Idem, p.27.
65 Idem, p.30.
*
Kouamè, vuol dire nato di sabato perché sbarcò ad Abidjan di sabato;
Boroni, vuol dire bianco; Hèmirigon, se mi si fa del male, io
lascio il giudizio a Dio.
66
“ Il Koulango sarebbe dovuto arrivare nella regione del bouna nel
sesto , settimo secolo dopo aver attraversato la regione del Dagomba
e Gondja (Nord Ghana) e infine la Volta Nera «. Bianco A.,
Fonologia della lingua Koulango della regione di Bondoukou, Università
di Abidjan, Repubblica della Costa d’Avorio, 1978, p. 1.
67 Lettera privata del 16
febbraio 1978.
68
Ratti, A., Credere oggi, Teologia in Africa, N.152-2, 2006, EMP, p.5
69
Il Perù ha circa gli stessi abitanti di Tokyo ma un PIL al 54.175 (indice
2002), l’Italia con poco più del doppio di abitanti ha un PIL di 1.177.545;
certamente i valori del PIL non sono sufficienti per comprendere la realtà
economica di un paese, essendo il fattore umano l’elemento discriminante.
Però è sempre una indicazione utile. Il Perù è un produttore importante di
Rame, Zinco, Argento.
70
Lima, come tutte le grandi città del mondo, avrà la tendenza a crescere in
futuro. C’è una stima per il 2015 che indica a 9.338.000, il numero degli
abitanti previsti. L’intensificarsi della urbanizzazione come nelle
metropoli di tutto il mondo porterà ad un incremento dell’inquinamento.
71
Cfr. Falsina, V., Un nuovo
ordine mondiale, p. 85.
72
Idem, p. 87.
73
Gutiérrez, G., La forza
storica dei poveri, Brescia, Queriniana, 1981, p. 33
74 La prossima conferenza dei
Vescovi latinoamericani è prevista per il maggio 2007 in Brasile nel più
importante Santuario mariano quello della Aparecida, Santuario Nacional
de Nossa Senhora da Conceicào Aparecida.Il tema indicato da Benedetto
XVI è “ Discepoli e missionari di Gesù Cristo affinché i nostri popoli
abbiano in Lui la vita. Io sono la via, la verità, la vita “. (Gv 14,6).
Vedi:www.santuarionacional.com e www.celam.info.
75 Dichiarazione conclusiva
della Conferenza mondiale sui diritti umani di Vienna, 1993
76 La diocesi di Carabayllo è
stata costituita il 14 dicembre 1996. Suffraganea dell’Arcidiocesi di Lima
aveva, al momento della sua costituzione, due milioni di battezzati e
quarantuno parrocchie, trentasei sacerdoti secolari e trentasei regolari,
settanta religiosi, centonovanta religiose e quattordici diaconi.
77
Nel novembre 2006 Panizza è stato a Roma per un convegno alla Pontificia
Università Lateranense su : l’Università e la Dottrina sociale della Chiesa.
78
AA.VV. Puebla, l’evangelizzazione nel presente e nel futuro dell’America
Latina, Bologna, EMI, 1979, p. 169.
79
Falsina, V., Un nuovo ordine mondiale, Bologna, EMI, 2006, p.104.
80
“(…) va sottolineato come, riprendendo dottrine che risalgono a Sant’Agostino,
i giusnaturalisti, nell’indicare le possibili situazioni in cui si può
ricorrere alla guerra, che altrimenti essi qualificano come un male, diano
priorità al valore della giustizia con la dottrina della – guerra giusta -.
Secondo questa dottrina, la guerra è –giusta- e quindi lecita quando miri a
riparare un’ingiustizia. Secondo Grozio – la guerra giusta è esecuzione del
diritto -.L’idea viene raffinata, tra gli altri, da autori come Isidoro di
Siviglia, e soprattutto Vitoria, introducendo idee che anticipano quelle
della legittima difesa e della proporzionalità (…)”. L’incremento assoluto
della violenza nel XX secolo porta ad un tentativo di difesa legale con
l’adozione “ di norme che proibiscono la guerra e poi l’uso della forza in
generale, in trattati multilaterali di portata universale”. (
Treves, T., Diritto Internazionale,
problemi fondamentali, Milano, Giuffrè, 2005,
p. 446 – 447 ). E’ la storia stessa ad
insegnarci quanto poco siano rispettati i trattati e di come sia necessario
seguire percorsi legislativi internazionali diversi.
1
All’epoca possedevano i diritti elettorali soltanto coloro che erano
iscritti al ruolo delle contribuzioni dirette ed erano in grado di leggere e
di scrivere.
2
Cfr. Siffredi L., Storia minuscola, Albenga, Stalla, 2003, p.19.
3
Idem.
4
Cfr. Isoleri F., Libro di memorie per uso di casa, 1854 – 1861,
Villanova, archivio parrocchiale.
5
Idem.
6
Idem.
7
Idem.
8
Richard N. Juliani, professore di sociologia presso la Villanova University
a Philadelphia ha pubblicato : Priest, Parish, and People Saving the
Faith in Philadelphia’s “Little Italy”, The University of Notre Dame
Press, Notre Dame (IN, USA), 2006
9
Huntington P.S., La nuova
America, le sfide della società multiculturale, Milano, Garzanti, 2005,
p. 145. Nello stesso periodo erano nate a Philadelphia dalle trecento alle
quattrocento associazioni italiane di volontariato , oggi quasi tutte
scomparse .
10
Idem, p. 158
11
“ La Chiesa Cattolica Romana usava i suoi ministri, le sue scuole, i suoi
organi di stampa, le sue istituzioni di beneficenza e le sue organizzazioni
di fraternità per convincere gli immigrati a rinunciare alle loro tradizioni
culturali e a uniformarsi ai costumi americani. L’arcivescovo John Ireland ,
un immigrato irlandese, era un leader tra i vescovi che promuovevano l’americanizzazione…Si
oppose fermamente a tentativi degli immigrati cattolici di preservare la
loro lingua e le loro tradizioni “.( Idem, p. 160 ).
12 In Siffredi L., Ricordi
sfocati, Villanova-Entroterra ligure 1868-1918, Albenga, Stalla, 2001, p.54-56.
13
Idem, p. 54.
14
Idem, p. 54
15
Idem, p. 55.
16
Idem,
p. 55.
17
E’ significativo come il ricordo di Villanova rimanga vivo in Isoleri anche
col passare degli anni come testimoniano alcune lettere autografe del
missionario indirizzate a sua nipote Giuliana. In quella del 3 dicembre
1926, dice . “ (…) Bellissima campagna di Villanova, i bei fichi, i ciliegi,
le susine (…) “. Isoleri, non è mai tornato in Italia ma dimostra di avere
ricordi ancora vivi e di sentirsi sempre italiano : “(…) in quanto al mio
tornare in Italia…se non fanno un ponte sull’Atlantico, con ottantatre anni
suonati non ci penso più (…) l’Italia l’ho sempre avuta et ho nel cuore, né
mi sono mai fatto cittadino americano (…)”. Lettera del 29 febbraio 1928.
18
Nell’ultimo decennio dell’Ottocento arrivarono a Philadelphia molte famiglie
napoletane che – a causa di una situazione economica particolarmente
disagiata – usavano i bambini come accattoni. Don Isoleri cercò di sottrarre
questi fanciulli ad un’esistenza degradante e di impartire loro
un’educazione scolastica e religiosa. (Cfr. 1.1.1 )
19 Vedi : www.vatican.va
20
Isoleri A., Pati, non mori!,
Philadelphia, Penn Printing House, 1891
21 Zinn H., Storia del
popolo americano dal 1942 a oggi, Milano, il Saggiatore, 2005, p.186
-187.
22
Isoleri A., Pati, non mori!,
p. 21.
23
Idem,
p. 31.
24
Idem, p 32.
25
Idem, p. 32.
26
Maria Maddalena de Pazzi, carmelitana, nacque a Firenze nel 1556 e morì
appena quarantunenne, nel 1607. Si chiamava Caterina come la Santa di Siena,
che studiò e imitò così bene, da ricevere anch’essa dal Signore l’anello
nuziale e le sacre stigmate, oltre ad indicibili sofferenze placate da
ripetute estasi e visioni. Lottò non poco per vincere le resistenze della
famiglia alla sua vocazione. Molti i suoi scritti che Isoleri ebbe modo di
studiare e che si possono riassumere tutti nel motto della Santa : patire e
non morire. Dove il patire rappresenta la compartecipazione alla Passione
del Cristo, vissuta e sofferta più volte nella sua stessa carne dalla Santa.
27
Isoleri A., Pati, non mori!,
Idem, p. 33.
28
Mescolanza di razze.
29
Isoleri A., Pati, non mori!,
Idem, p. 35.
30
Idem, p. 36.
31
Idem, p. 37
32
“ l’Arcidiocesi di Philadelphia aprì un’altra chiesa per gli italiani :
Nostra Signora del Buon Consiglio degli Agostiniani. Agli inizi del
Novecento altre se ne aggiunsero anche nelle diverse zone della città, visto
l’incremento del numero degli immigrati. Nel 1900 erano 17.830 e nel 1907 il
Consolato Generale Italiano a Philadelphia scriveva che – Il numero degli
italiani residenti in Philadelphia e dintorni ammonta a 100.000, dei quali
80.000 in città e 20.000 nel suburbio -. Includendo il numero dei bambini
nati in America la comunità italo americana di Philadelphia divenne per
lungo tempo una delle più numerose degli USA pari a quella di Chicago e
seconda solo a quella di New York. Anche se la sua chiesa era diventata una
delle tante, Isoleri rimase un importante leader fino alla sua morte
“.Siffredi L., Ricordi sfocati, Villanova-Entroterra ligure 1868-1918,
Albenga, Stalla, 2001
33
Il 27 maggio.
34
Ex audientia SSmi abita die 23 Augusti, 1891.SSmus
Dominus Noster Leo Divina Providentia P.P. XIII, referente me infrascripto
S.Cong.nis de Propaganda Fide Secretario, porrectis precibus rescribi
mandavit : Ad Primum benigne declamare dignatus est privilegiata in
perpetuum tria tantum altaria principalia Ecclesiae Superioris pro cunctis
Missae Sacrificiis quae in iisdem altaribus a quocumque Presbitero speculari
vel cujusvis Ordinis regulari celebrabuntur. Ad Secundum, Indulgentiam
Plenariam animabus quoque in Purgatorio detentis applicabilem per modum
suffragii, ad decennium benigne concedere dignatus est, ab omnibus et
singulis utriusque sexus Christifidelibus lucrandam tantum die festo
patronali memoratae Ecclesiae et Domenica infra octavam, dummodo vere
poenitentes, sacramentaliter confessi ac sacra Eucaristia referti praefatam
Ecclesiam devote visitaverint, inique aliquas pias preces pro sanctae fidei
propagatione et juxta summi Pontificis intentionem effuderint.Datum Romae ex
Aedibus dictae Sae Congregationis die et anno ut supra.Ignatius Archieo.
Tarsiathen., Secr.ius.
Il documento originale è conservato
nell’archivio dell’Arcidiocesi di Philadelphia.
35
Juliani N.R., Parish and People SAving the Faith in Philadelphia’s
“Little Italy”, The University of Notre Dame Press,2006.
36
Isoleri A., Cristoforo Colombo, Philadelphia, William P.Kildaare,
1879, p. 28.
37
Con i tipi della William P. Kildare. L’opera , in tre tomi, risulta essere
una miscellanea di generi letterari diversi; la letteratura teatrale risulta
essere il genere letterario più utilizzato dall’Autore .Il primo tomo
raccoglie liriche di diverso tema ed intonazione; il secondo presenta il
copione di diverse tragedie di carattere storico; il terzo presenta un
dramma, due commedie e un’appendice contenente scritti e contributi diversi.
38
Cfr. Isoleri A., Lira Leronica, v. dedica in retro copertina.
39
Idem, v.intestazione.
40
Cfr.
Isoleri A., Cristoforo Colombo, Philadelphia,
William P.Kildaare, 1879, p. 3,4.
41 I Missionari martirizzati protagonisti della tragedia di Isoleri sono :Mons. Simeone Francesco Berneux, Vescovo di Capse, e Vicario Apostolico della Corea, nato il 18 maggio 1814, a Chateau del Loir (diocesi del Mans ).Simone Maria Antonio Giusto Ranfert De-Bretennières, nato il 28 febbraio 1838 a Chalon sulla Sona, originario della diocesi di Dijon.Pietro Enrico Dorie, nato il 22 settembre 1839 a St.Ilario di Talmont, di Luzon. Bernardo Luigi Beaulieu, il più giovane, nato l’8 ottobre 1840 a laugon, diocesi di Bordeaux. (Isoleri A., Lira Veronica,op.cit.p. 192 – 194 ).
42
Idem, p.190 – 191.
43
Idem.
44
Isoleri A., La Strenna, ai suoi cari italiani di Philadelphia, ossia
Preghiere per la Rinnovazione dei Voti Battesimali , e la Conservazione e
propagazione della Fede ; coll’aggiunta di un po’ di catechismo , delle
preghiere quotidiane e di quelle che si devono recitare prima e dopo la
confessione e la comunione, tratte per la maggior parte dalle Massime
Eterne di S. Alfonso Maria De-Liguori ( Venezia, Emiliana, 1867 ) e dalla
Guida a Dio ( Ediz. Milanese di G. Radaelli ). Philadelphia, P.
Kildare, 1884
45
Idem,p.3.
46
Idem,p.4.
47 Idem,p.6.
48
San Leonardo nacque a Porto Maurizio ( Imperia ) il 20 dicembre 1676 . Si
trasferì a Roma nel 1689. Diventò Frate con i Minori Riformati del Ritiro .
Nel 1702 fu ordinato sacerdote . Nel 1709 iniziò le missioni popolari in
terra italiana e istituì le quattordici stazioni della Via Crucis; Via
Crucis che portò nel 1750 a Roma al Colosseo . Il 26 novembre 1751 morì
a Roma . Nel 1991 fu proclamato Santo patrono della Città di Imperia.
[17]Maestro Eckhart, Trattati
e prediche, Milano, Rusconi, 1988, p.310.
Fonte :
FACOLTA' DI TEOLOGIA DELLA PONTIFICIA UNIVERSITA' DELLA SANTA CROCE
Istituto Superiore di Scienze
Religiose all'Apollinare :
Tesi di Magistero in Scienze Religiose :
L'annuncio missionario della Liguria al mondo. Alcuni missionari esemplari
dell'epoca contemporanea.
Autore: Stefano ARMELLIN
Relatore: Prof. Mons. G.B. Gandolfo
ANNO ACCADEMICO 2005-2006
Autore: Stefano ARMELLIN
Relatore: Prof. Mons. G.B. Gandolfo
ANNO ACCADEMICO 2005-2006
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