MOTIVAZIONI FILOSOFICHE E
PSICO-SOCIALI CHE SOTTENDONO LE PROBLEMATICHE RELATIVE ALLA PERSONALITA'
ADOLESCENZIALE NELLA SOCIETA' ODIERNA
di Elisa Sparano Bosco
La nostra
società si trova ogni giorno a dover affrontare una serie di problemi
riguardanti l’età adolescenziale,come la scarsa capacità di integrazione
sociale,il disadattamento,le varie forme di devianza,etc.
Mi sono
proposta perciò di cogliere,sia dal punto di vista psico-sociale che
filosofico,alcune delle motivazioni che potrebbero essere a monte di tali
fenomeni.
Certamente
alla base di essi vi è una decadenza generale dei costumi ; ma perché questa
investe tanto profondamente l’adolescente?
Iniziamo col
sottolineare che l’adolescenza è la fase dello sviluppo psico – fisico
dell’essere umano più delicata e complessa,nel corso della quale l’individuo
si prepara all’età adulta.
Il grande
interesse per la psicologia dello sviluppo e, quindi, per le problematiche
adolescenziali è dovuto soprattutto alla psicologia scientifica,sorta nella
seconda metà dell’800 ,la quale applicò i suoi vari metodi
(sperimentale,clinico,osservazione sistematica e inchieste) a numerose
Scuole,quali lo Strutturalismo,l’Evoluzionismo, il Comportamentalismo,la Gestalt,la
Psicanalisi,il Cognitivismo etc.ed in particolar modo alla Scuola Epistemologico
- genetica di Jean Piaget.Quest ‘ ultimo ipotizzò che le funzioni mentali
dell’essere umano emergessero durante gli anni dell’età evolutiva,con la
maturazione dell’organismo e ,pertanto, del sistema nervoso.
Egli
,studiando in modo approfondito gli aspetti cognitivi delle varie fasi di
sviluppo,giunse ad affermare che l’età adolescenziale è intellettivamente
paragonabile a quella adulta, fornendo così premesse importanti per considerare
l’adolescente “ uomo marginale” .
Famosa,infatti, è stata,poi, la definizione di Kurt Lewin,per cui
l’adolescente,nella nostra società,si trova nella posizione di “adulto
marginale “,ossia in uno stato di transizione e di instabilità sociale che
lo emargina sia dal ben definito gruppo dei bambini e sia da quello altrettanto
strutturato degli adulti.
L’adolescente,cioè, si trova confinato in uno spazio psico-sociale imprecisato,
il quale non consente di sapere con chiarezza in che modo è necessario agire per
raggiungere determinati obiettivi,né quali atteggiamenti è opportuno adottare
nei confronti degli adulti e dei coetanei.
Questi motivi
,uniti alle modificazioni dovute a fattori endocrino-maturazionali,alla comparsa
del pensiero ipotetico deduttivo (che lo rende equivalente all’adulto),al
problema dell’ identificazione del proprio Io,fanno dell’adolescente un
individuo spesso incerto e contraddittorio,eccessivamente incline all’emotività
ed instabile.
Nel periodo
adolescenziale,inoltre,la maggior parte dei soggetti,spinta dalla curiosità,dal
desiderio di confrontarsi col mondo esterno senza la mediazione della
famiglia e di
“desatellizzarsi” dai genitori,come sottolinea lo psicologo
contemporaneo americano D.P.Ausubel,impara a conoscersi,a valutare le proprie
forze ed a responsabilizzarsi.
Quando,però,
si ha alle spalle una famiglia disgregata ,o con genitori separati,o
repressiva, o iperprotettiva, oppure che non è attenta in giusta misura alle
esigenze dei figli e che non dialoga sufficientemente con loro , quando si ha
una certa fragilità dell’Io,per cui è facile farsi condizionare , quando
sussistono dei disturbi nella sfera emotiva costituitisi sin dalla prima
infanzia,quando non si hanno dei saldi valori etico-religiosi,etc,questo periodo
può divenire anche il momento delle scelte devianti,come la
criminalità,l’alcool,la droga,che possono imprimere una svolta definitiva nella
vita di una persona.
Essendo,infatti,la personalità del giovane il frutto di un lungo processo
adattivo,qualora esso non si attui nel modo giusto,si ha un comportamento
deviante che in fondo è,secondo me, un problema di incapacità di adattamento
sociale.
Importantissimo, è il concetto di adattamento,intendendolo non come un
passivo adeguamento al mondo,ma nel senso di ricerca di un equilibrio e di
un’interazione tra fattori interni ed esterni,con un atteggiamento attivo di
fronte al reale da parte dell’intelligenza,che,come afferma il Piaget,è la più
alta forma di adattamento all’ambiente.
La devianza
adolescenziale,approfondita per la
prima volta dalla scuola “Struttural-funzionalista”,nella prima metà del
‘900,si manifesta quando,invece di accettare i mezzi consentiti dalle
istituzioni, si cercano nuove modalità di adattamento con comportamenti non
conformisti ,appunto devianti,come l’innovazione,il ritualismo,la rinuncia,la
ribellione o l’aggressività,etc.
Ad esempio, un
comportamento istintivo come l’aggressività ,che di per se è una giusta modalità
adattiva,sia difensiva che espansiva,utile ,come afferma lo psicanalista Erik
Fromm, per difendere il proprio ego,può sfociare in aggressività distruttiva a
seguito di modelli educativi sbagliati (es.genitori aggressivi o eccessivamente
punitivi o permissivi); anche spettacoli violenti possono indurre tale forma di
aggressività .
Come
vediamo,grande importanza riveste l’approccio educativo per lo sviluppo della
personalità,la quale si struttura durante tutto il periodo dell’età
evolutiva,parallelamente al processo maturativo della corteccia cerebrale.
Sono
essenziali tempestivi e oculati interventi affettivi,stimolativi e
psico-pedagogici,sin dalla prima infanzia,che possano contribuire ad una
crescita adeguata delle diramazioni ed arborizzazioni che partono dalle cellule
nervose piramidali della corteccia , favorendo la formazione di una personalità
equilibrata e di una dinamica comportamentale pienamente amalgamata con le
predisposizioni genetiche donategli da Dio.
Il
neonato,infatti,( possedendo solo potenzialmente le capacità intellettive che
evidenzierà da adulto) ,è caratterizzato dall’immaturità del sistema nervoso,dei
meccanismi sensoriali e motori e dalla comparsa tardiva delle relazioni sociali
; per tali motivi ha un’assoluta dipendenza dalla madre o da chi ne fa le veci.
E’ dai primi
contatti con l’ambiente circostante che l ‘essere umano incomincia a prendere
coscienza gradualmente di sè e degli altri,acquisendo “ fiducia” o
“sfiducia” nella vita , come sostengono tanti eminenti psicologi,tra cui
lo psicanalista Erik Erikson,studioso dei processi di sviluppo individuale
nell’interazione con la realtà esterna.
Lo stesso
Freud,che si è occupato poco dell’adolescenza,ma che ha avuto il merito di
dimostrare quanta influenza abbiano, nell’infanzia, le prime esperienze
affettive , si è mostrato convinto che la personalità si costituisse nei primi
cinque anni dell’esistenza e che il periodo adolescenziale non fosse altro che
la ricapitolazione di quello infantile.
Menzioniamo,
in proposito , gli studi di Spitz e di Ossicini sulle drammatiche conseguenze
delle deprivazioni sensoriali e delle mancanze di cure materne nei primi mesi di
vita ; la bellissima teoria di John Bowlbj, riguardante “l’attaccamento”, da
parte del neonato a chi si prende cura di lui ; il profondo concetto di Donald
Winnicott relativo all’ “holding” ,cioè alla madre che funge da “contenitore”
delle ansie infantili ; etc. .
Varie sono
state le concezioni relative all’adolescenza,a partire dagli orientamenti
positivistici di Stanley Hall (1904), che mettevano in risalto le trasformazioni
biologiche proprie di quest’età,con l’imporsi delle pulsioni sessuali,delle
forti tensioni emotive e dei sentimenti contrastanti ,che rendono l’adolescenza
una fase di vita drammatica,sebbene inevitabile ; oppure a partire dalle
opposte teorie socio – culturali e antropologiche ,le quali
contrastavano,invece,la visione della crisi adolescenziale derivante dalla
pubertà fisiologica,attribuendola al modo incoerente con cui la società tratta
gli adolescenti.
E’
stato,comunque, negli anni sessanta che i ricercatori hanno cominciato ad
indagare
sempre più
sugli aspetti evolutivi in relazione alle molteplici esperienze che gli
adolescenti si trovano a dover affrontare.
Si è giunti a
considerare tale fase come un percorso entro cui l’individuo deve affrontare
diversi “compiti di sviluppo” per costruire la propria identità.
Studi più
recenti ,che privilegiano l’interazione tra individuo ed ambiente,enfatizzano la
maturazione ed il cambiamento della persona lungo l’intero arco della vita
rappresentandoli come sequenza di eventi strettamente intrecciati tra loro e con
il contesto sociale,storico e culturale,ove l’individuo opera,in concomitanza
con le determinanti genetiche e, quindi, con le caratteristiche
cognitive,emozionali e motivazionali del soggetto stesso.
Per capire
ancora meglio la strutturazione della personalità dell’adolescente e le sue
possibili devianze,cerchiamo di approfondire ulteriormente il rapporto tra
uomo e mondo.
Su tale
problema si è dibattuto il pensiero filosofico sin da quando è sorta la
riflessione critica nell’antica Grecia.
Oggi il
rapporto tra l’uomo ed il mondo non è più visto nei termini antitetici della
filosofia classica e delle sue soluzioni unilaterali,idealistiche o
materialistiche.
Superando
tutte le forme di dualismo tra materia e spirito,tra soma e psiche e soprattutto
il colossale dualismo cartesiano tra “res cogitans “ e “res extensa” ( che
giunse a vedere anima e corpo come due sostanze eterogenee , anche se
conviventi),si è pervenuti ad una visione unitaria dell’uomo,quale realtà
psico-somatica e spirituale,che vive nel mondo in piena interazione con esso.
Tale nuova
impostazione del problema è dovuta in gran parte al sorgere della psicologia
scientifica cui abbiamo accennato precedentemente,alla quale si sono affiancate
le neuroscienze,la biologia,l’anatomia,l’epistemologia,le filosofie esistenziali
e fenomenologiche e particolarmente quelle spiritualistiche,tra le quali
ricordiamo la concezione dell ‘ “umanesimo integrale “ di Jaques Maritain.
Si è
studiato,pertanto,in modo nuovo il rapporto tra l’ uomo ed il mondo,tra
sensazione e percezione,nonché l’esperienza immediata quale si presenta alla
consapevolezza del soggetto e gli stadi evolutivi dell’essere umano.
Queste nuove
indagini,pur partendo da angolazioni differenti, sono giunte , tutte, alla
considerazione che la personalità dell’uomo è la risultante del patrimonio
genetico nel suo rapporto con l’ambiente socio-familiare e situazionale.
La
programmazione genetica,cioè,dell’essere umano e le sue potenzialità innate sono
suscettibili di cambiamento attraverso l’esperienza individuale e l’interazione
col mondo esterno per cui si intrecciano con i comportamenti acquisiti in modo
tale che non è facile trovare una linea di demarcazione tra ciò che è innato e
ciò che è appreso.
Tantissimi
sono gli esperimenti in proposito,come ,ad esempio, quelli effettuati sui
fratelli monozigoti ,i quali sono alla nascita geneticamente identici , perchè
hanno origine dalla stessa cellula uovo fertilizzata e quindi posseggono il 100%
dei geni in comune.
Essi,però,se
crescono in ambienti differenti,evidenziano personalità diverse.
Da questi
esempi e da quanto abbiamo finora esposto,si evince ,a mio avviso,che non
possiamo separare natura e cultura,le esperienze dagli stati mentali
corrispondenti,le azioni dalla coscienzialità o dalla voce interiore che è in
noi, come dice il grande filosofo S.Agostino di Tagaste.
Scrive
,inoltre,il filosofo francese del Novecento Maurice Merleau-Ponty,a metà fra
fenomenologia ed esistenzialismo,che per l’uomo essere nel mondo significa
esistere; che il luogo fondamentale dell’esistenza è l’esperienza vissuta della
percezione,dove soggetto e oggetto,coscienza e mondo si implicano
reciprocamente. Ogni coscienza dunque,per Merlau-Ponty , è esperienza vissuta
e percepita ; egli,sin dall’epoca de “ La struttura del comportamento “ e de
“La fenomenologia della percezione “ ,seguendo le riflessioni ultime di Edmund
Husserl (che egli conosceva per aver studiato i manoscritti inediti),ha voluto
dimostrare che la percezione ha una dimensione attiva,in quanto apertura
primordiale al mondo della vita ( Lebenswelt ).
Possiamo ben
dire ,pertanto, che la coscienza dell’uomo è aperta al mondo fisico e
sociale,col quale egli interagisce attraverso il suo corpo che è parte
integrante del pensiero.
L’approccio
corporeo è primario e fondamentale : non c’è comunicazione che non si fondi su
un dato corporeo.Ove esso non è adeguatamente considerato,ivi c’è il
disadattamento ,che è paralisi della comunicazione,sclerosi del dialogo,mancanza
di relazione intersoggettiva dell’Io con gli altri Io.
Occorre, a mio
avviso, valorizzare l’educazione corporea nel contesto di un approccio globale
alla personalità del soggetto,colto in “situazione”, cioè nel rapporto
dinamico che si crea tra organismo ed ambiente.
Tale visione
non svaluta la corporeità né la spiritualità,ma mette in risalto sia la
dimensione corporea che quella spirituale,quali due aspetti integranti e
correlati di una stessa realtà dinamica,superando così l’artificioso dualismo
citato precedentemente.
Ricordiamo
ancora una bellissima espressione di Martin Heidegger , “filosofo
dell’esistenza “ (erede dell’esistenzialismo religioso di Kierkegaard ) , il
quale ,in “Essere e tempo “ sottolinea che la peculiarità dell’uomo è di vivere
nel mondo,non “come l’acqua nel bicchiere “ ,ma come una esistenza immersa
emotivamente in esso,in una situazione di reciproco scambio.
Tornando,quindi,all’adolescente,anch’egli è immerso emotivamente nel
mondo ! Ritengo,pertanto, che,oggi più che mai, egli si debba difendere da
tanti condizionamenti negativi,da mentalità propense alla scissione in ogni
campo !
Nella società
odierna,infatti,si dà troppa importanza all’immagine del corpo,come se questo
fosse avulso dallo spirito;si persegue tranquillamente il male come se non ci
fosse il bene ; si fa prevalere l’egoismo come se non esistessero valori etici
; si dà eccessivo spazio alla sessualità,come se non esistesse l’amore,di cui
essa è parte integrante;etc.
Ecco perché
l’adolescente,trovandosi a dover risolvere i propri problemi esistenziali, a
dover superare la crisi di identità e la conseguente autoaffermazione,ha
bisogno, in particolar modo,di validi supporti educativi,familiari,sociali ed
anche religiosi ,che lo aiutino a strutturare in modo armonico la propria
personalità , affinché possa padroneggiare gli eventi.
Vorrei,anzi,rilevare che l’uomo,poiché arriva,contrariamente alle specie
inferiori, ad altissime forme di intelligenza, di adattamento e di
creatività,non ha una mera base istintuale, che gli detti ,con schemi fissi ,
il periodo della migrazione,degli amori,della costruzione del nido,etc.,come
avviene appunto negli animali.
Per tali
motivi, si trova ogni giorno in difficoltà nel dover selezionare un profluvio di
stimoli cui dare risposte immediate ed oculate per salvaguardare la sua
esistenza nel mondo,la quale viene garantita solo dalle sue azioni e dalla sua
cultura,intesa nel senso più ampio.
Mi
piace,ora,concludere con un brano del “Cratilo “ di Platone,che mi sembra molto
rispondente al tema che stiamo trattando :
“ Superare la
follia significa dominare le passioni ; la paideia è “la messa a punto di
regole,che attraverso il governo delle passioni siano in grado di garantire la
verità “
(Platone ,“Cratilo”,400
) .
Questa
bellissima frase di Platone sta a testimoniare l’importanza di una condotta
giusta e socialmente integrata.A ciò si può pervenire soltanto con una adeguata
educazione,che miri a nutrire sia la dimensione corporea che quella spirituale
dell’uomo,sin dalla nascita.
Solo così
potrà costituirsi una personalità in grado di fronteggiare tutti gli aspetti
tentacolari del mondo.
La paideia
,su cui tanto insiste Platone , non è altro che,nella vita di un individuo, il
conseguimento di norme , le quali,attraverso il governo degli impulsi sensibili
(che attentano alla purezza delle procedure razionali) ,garantiscano un
comportamento equilibrato,illuminato dalla Verità.
Fonte : scritti
e appunti della professoressa Elisa Sparano Bosco. E-mail:
gabrirobur@alice.it . La
Redazione di ARTCUREL ringrazia il l'avvocato Carlo Bosco, marito dell'Autrice, per la
collaborazione nella pubblicazione dell'articolo.
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