BIBBIA E VITA
di Padre Claudio Traverso
1°
Cap.
L’esperienza spirituale nella Bibbia
si incentra essenzialmente nel rapporto con Dio, che però diventa generatore di
rapporti tra uomini e criterio di lettura e comprensione degli eventi.
La domanda fondamentale è: "come e
dove incontro il Signore, e come posso comprendere la sua volontà?" . Ma accanto
a questa domanda ve n’è un’altra: "chi è l’uomo?" (Salmo 8).
Ora per delineare l’esperienza
religiosa biblica non è sufficiente descrivere il rapporto dell’uomo con Dio,
fra gli uomini e con la storia. Per cogliere lo specifico della spiritualità
biblica è indispensabile comprendere come si è formata, i suoi elementi
costitutivi, e come è giunta a maturazione.
Certo esistono nella Bibbia
affermazioni su Dio, il mondo, l’esistenza umana e il fine della vita. Però
l’orientamento profondo, tipico e originale del pensiero degli autori sacri è
soprattutto questo: comprendere una serie di avvenimenti storici suscitati da
Dio in mezzo al popolo. Tanto è vero che la Bibbia è soprattutto un insieme di
libri storici e di racconti, in cui si rivela la libera e gratuita iniziativa di
Dio, la fede che esige, la missione che affida.
La chiamata di Abramo è frutto di una
scelta: è il Dio Vivente che si inserisce nella vita di Abramo e la muta. La sua
parola è ordine e promessa, ed esige obbedienza e fiducia.
La chiamata di Dio è grazia e
predilezione, ma è anche il Dio di tutti e il suo orizzonte si apre
all’universalità: "In te saranno benedetti tutti i popoli della terra" (Gen
12,1-4).
Buon cammino !
2°
Cap.
Consideriamo Gen 2-3:
questo testo ci permette di cogliere l'esperienza spirituale di questa prima
parte del libro sacro, ci fà vedere come la fede illumina concretamente
l'esistenza storica dell'uomo e diventa un modo di leggere l'esistenza.
Dio si rivela come il
Dio della vita: egli è interessato al quotidiano, alle relazioni fra gli uomini
e non solo al culto e ai riti.
Ci si può porre la
domanda: come si comporta Dio di fronte al male che sembra annullare il suo
disegno di salvezza ?
Certo Dio non può
ignorarlo e lo punisce, ma consideriamo in Gen 50,20, la risposta di Giuseppe ai
suoi fratelli: "Se voi avete pensato del male contro di me, Dio ha pensato di
farlo servire a un bene, per compiere quello che oggi si avvera, cioè far vivere
un popolo numeroso". La potenza del Signore può persino approfittare dell’azione
cattiva dell’uomo per attuare la sua salvezza.
Dio è il Dio
dell'interiorità e non dell'esteriorità: vuole l'uomo intero. Alle parole e alle
azioni devono corrispondere la sincerità e la fedeltà del cuore.
La legge non è una
imposizione arbitraria: è la volontà di un Dio salvatore che per primo ha
compiuto gesti di salvezza. E allora l'osservanza della legge è la risposta a un
Dio che ha fatto qualcosa per primo.
In questo modo è già
chiaro che il credente, dall'antico Israele ad oggi, non deve osservare le leggi
per puro calcolo utilitaristico ma come conseguenza di una condizione in cui,
per grazia di Dio, è venuto a trovarsi.
La risposta di fede ha
lo scopo di far vedere ciò che si è diventati per gratuita elezione.
Buon cammino !
3°
Cap.
"E tu, Betlemme, terra di
Giuda,
non sei davvero il più piccolo
capoluogo di Giuda:
da te uscirà un capo che
pascerà il mio popolo Israele"
(Mi 5,1; Mt 2,26)
Annuncio di Natale: Dio cerca
una tenda !
Ogni anno c'è avvento. Ogni anno
c'è natale.
Viene facile dire: so già tutto
quello che succede. E' sempre la stessa cosa, non cambia mai nulla.
Eppure quest'anno tu sei diverso:
sei cresciuto come persona con un anno in più sulle spalle e tante esperienze
fatte...
Anche il mondo è cambiato: nuovi
trattati e nuove guerre, carestie e parole di pace, parole di odio, di
comprensione, di aiuto, uomini giusti, uomini malvagi. Anche il mondo è
cresciuto, chi dice in peggio, chi dice in meglio.
E Cristo viene perché tu cresca in
meglio. Per questo viene "ogni anno". Ogni anno egli viene e cerca una tenda
dove restare. ...Stringiti un po', fagli posto nella tua tenda.
Dio viene ! Ma Dio viene
attraverso una creatura, un uomo, Gesù cristo. Questo è il Natale.
Ma la venuta di Dio non si è
esaurita in quel fatto lontano: il dono della presenza di Dio è tanto grande
che non può essere accolto se non viene ridotto in tanti piccoli frammenti a
misura nostra.
Perché l'amore di Dio non può
essere percepito se non diventa amore di una persona umana.
La giustizia che Dio realizza non
può essere attuata se non c'è un uomo giusto.
La verità di Dio non può emergere
se non c'è una parola vera.
Il dono che è la vita non può
essere offerto se non attraverso un vivente. Non perché il dono sia
inadeguato, ma la creatura non lo può accogliere se non progressivamente,
secondo le possibilità umane.
E questo non per l'impotenza di
Dio, ma per l'incapacità, i limiti della creatura.
Il dono di Dio, finché resta
divino non è alla nostra portata. Per essere alla nostra portata deve
diventare umano, e per diventare umano deve farsi storia, la nostra storia.
La prima condizione per poter
vivere l'Avvento è la coscienza di essere creature. Significa: essere
coscienti di non essere noi la fonte della verità, la ragione del bene, di non
essere la vita che pure viviamo.
Significa avere esperienza che
tutto ciò che siamo è dono, è offerta accolta. Noi siamo perché siamo
sostenuti.
...eppure ci illudiamo sempre: la
tentazione dell'autonomia, dell'orgoglio, dei soldi, del potere...
C'è una dignità nel nostro essere
creature: non è solo riconoscere la nostra povertà, la nostra insufficienza...
ma è anche riconoscere la grandezza della chiamata; l'essere certi che non
siamo ancora quello che dovremmo essere, ma che tutto questo è possibile
perché un amore ci avvolge, perché una Parola ci chiama, perché un messaggio
vitale ci sostiene costantemente.
Se Dio viene attraverso le
creature devo incontrare le creature !
Devo vivere la storia, ma con la
coscienza che non è il posto, il potere, che non sono le cose, che non è il
mio lavoro che porta la vita...
Arriviamo a comprendere che, anche
attraverso le cose e le persone, solo Dio è il Vivente ! Solo Lui è la
Verità, solo Lui è il Bene !
Finché non raggiungiamo la
coscienza di essere creature noi non viviamo mai il Natale. L'Avvento non avrà
senso, passeremo sempre da una illusione all'altra mettendo Dio da parte.
Abbiamo bisogno di andare oltre le
apparenze. Invece ci fermiamo spesso ai messaggi superficiali.
Eppure è importante entrare in
sintonia profonda con la realtà.
Così il cristiano non è colui
che vive e ripete l'annuncio di salvezza. Il cristiano è colui che diventa
annuncio.
Se non prende corpo in qualcuno,
cioè se non si fa carne, la Parola oggi non viene annunciata, il lieto
messaggio non diventa vita.
Per questo Gesù ha mandato degli
apostoli, cioè degli uomini vivi, che sapessero cogliere le voci profonde
della realtà e delle situazioni, e con la loro vita l'annunciassero.
Così il luogo della preghiera e
dell'ascolto non è tanto il tempio, ma l'uomo ! Il luogo dove risuona la voce
è il cuore dell'uomo !
" I veri adoratori adoreranno Dio
in Spirito e Verità ! "
Dio viene
dove c'è qualcuno capace,
vivendo,
di vibrare così alla sua
Parola,
da diventare,
in quel luogo, in quel tempo,
la sua venuta !
A te, Maria, Regina della Pace,
affidiamo con fede la nostra preoccupazione e la nostra preghiera che gli
uomini intraprendano con fiducia e decisione il cammino della pace !
E' l'unico cammino oggi valido per
far trionfare la giustizia !
L'unico cammino degno della
civiltà !
Buon cammino !
4°
Cap.
Il brano di Gn 1,28 ( Dio li benedisse e
disse loro: Siate fecondi e moltiplicatevi, riempite la terra…. ) è un motivo
centrale e risuona come un ritornello anche in Gn 9,1-7; 17,2-6; 17,16; 17,20;
28,3-4; 47,27; 48,3-4; Es 1,7).
Il messaggio è chiaro: la vita viene
da Dio, dalla sua benedizione, e non può essere nelle mani dell’uomo.
Questo è un invito alla fiducia,
tanto più che l’alleanza tra Creatore e creatura non è condizionata dalla
risposta dell’uomo ma unicamente dalla volontà di Dio e dalla sua Parola.
La cattiveria degli uomini ha
riportato il caos nel mondo (diluvio), ma Dio si "ricordò", e la sua parola ha
riportato l’ordine (Gn 8,1). L’alleanza è ristabilita nei confronti di Noè, dei
suoi figli e dei suoi discendenti: Gn 9,1-17, ed è un impegno gratuito e
perpetuo.
Così Dio conferma la sua volontà
salvifica nei confronti dell’uomo, ribadendo l’offerta del suo amore nonostante
tutto, offerta che già aveva fatto subito dopo il peccato, con Gn 3,15, quando
nei confronti del serpente tentatore leggiamo queste parole: "Io porrò
inimicizia tra te e la donna, tra la tua stirpe e la stirpe di lei: questa ti
schiaccerà la testa e tu le insidierai il calcagno".
Si oppone l’uomo al diavolo e alla
sua razza, ma si lascia anche intravedere la vittoria finale dell’uomo grazie al
"sì" della Vergine Maria; è già un primo barlume di salvezza.
Tutto è stabilito da Dio per il bene
di tutti: l’uomo deve accogliere ed adorare.
Buon cammino !
5°
Cap.
Il messaggio del Profeta della
consolazione e i carmi del Servo.
Agli esiliati in Babilonia il profeta
Isaia non esita a ripetere parole di consolazione e di forte incoraggiamento. Va
notato che i testi biblici di speranza sono tutti nati in contesti di umano
fallimento (ad esempio, cf. Is 54,5-14; Is 55,1-11…). Dio però è talmente fedele
al suo piano di salvezza che non vi viene mai meno, anche se Israele si rivela
spesso mancante e poco perseverante nonostante la sua condizione di popolo
scelto e particolarmente amato.
Ma sono soprattutto i carmi del Servo
che ci interessano: Is 42,1ss; 49,1-6; 50,4-9; 53,1-12.
La figura del Servo , eletto da Dio e
scelto per una missione di salvezza ha una fisionomia ben precisa: radunatore
del suo popolo e luce delle nazioni predica la vera fede, espia con la sua morte
i peccati del popolo ed è glorificato da Dio.
Si tratta di una figura
contemporaneamente individuale e comunitaria; i due aspetti si innestano l’uno
nell’altro. Il Servo è il popolo di Israele… è il "resto" fedele di Israele… è
il Messia, perché la vocazione/missione del popolo di Dio si ritrova portata a
compimento nel Messia, e la vocazione del Messia rivive nella comunità.
Il Servo deve soffrire per il mondo,
instaurare la giustizia, salvare le nazioni, essere la luce dei Gentili,
insegnare la verità a tutti quelli che sono disposti ad accoglierla, ridare la
vista ai ciechi, liberare i prigionieri, stabilire un'alleanza con il mondo,
trattare i deboli con compassione e con amore, dispensare lo Spirito di Dio,
addossarsi i peccati del mondo, intercedere per i peccatori, portare la
conoscenza di Dio a tutti quelli che la cercano, garantire la pace e la serenità
del cuore a chi è fedele, anche se lotta e soffre.
Tutte queste aspettative sono state adempiute da Gesù Cristo.
In un contesto di delusione per le vicende drammatiche e dolorose subite da Israele, con tante domande riguardo alla fedeltà di Dio e all’efficacia del suo amore, i canti del Servo rappresentano un forte messaggio di speranza, di invito a custodire la parola di Dio con perseveranza… soprattutto con la loro riflessione sul significato salvifico della persecuzione vissuta dai profeti (es. Geremia) o dal "resto" di Israele, cioè dal popolo rimasto fedele.
Tutte queste aspettative sono state adempiute da Gesù Cristo.
In un contesto di delusione per le vicende drammatiche e dolorose subite da Israele, con tante domande riguardo alla fedeltà di Dio e all’efficacia del suo amore, i canti del Servo rappresentano un forte messaggio di speranza, di invito a custodire la parola di Dio con perseveranza… soprattutto con la loro riflessione sul significato salvifico della persecuzione vissuta dai profeti (es. Geremia) o dal "resto" di Israele, cioè dal popolo rimasto fedele.
Si fa presente il medesimo disegno di
Dio ed emerge la risposta: è proprio attraverso una sofferenza purificatrice,
prendendo su di sé la sorte degli altri, che giunge la salvezza per tutti. E il
Messia, in effetti, sarà il grande giusto sofferente.
Buon cammino !
6° Cap.
La lode d'Israele
I salmi sono la preghiera d’Israele.
Ispirati da Dio, sono una preghiera secondo Dio.
Frutto plurisecolare della pietà di
tutto un popolo, essi insegnano all’individuo e alla comunità l’atteggiamento
che si deve assumere davanti a Dio nelle circostanze più diverse.
Riflesso di situazioni
psicologicamente infinitamente varie, i salmi sono una scuola di preghiera per
qualsiasi anima amante del dialogo personale con Dio.
Vi si ritrovano di volta in volta il
soffio profetico e la meditazione sapienziale, lo slancio messianico e il
ricordo del passato, la fede sincera e profonda, l’esaltazione della legge, la
promozione dell’individuo e il sentimento comunitario, le tradizioni
patriarcali, la consapevolezza dell’elezione e le esigenze dell’alleanza, il
ricordo dell’Esodo e la speranza del ritorno… ecc.
Questa ricchezza multiforme viene
divisa in varie categorie secondo i contenuti: Inni (preghiere nelle quali
l’anima si compiace nel lodare Dio), Suppliche (nelle quali ci si rivolge a Dio
per implorare il suo soccorso), Ringraziamenti, ecc.
Essi riflettono gli stati d’animo più
vari, corrispondono ai bisogni interiori più diversi, esprimono una pietà
personale e collettiva di qualità assai elevata.
Il loro valore è garantito anche
dall’uso personale che ne fanno Nostro Signore, la Vergine, gli Apostoli e i
primi martiri.
La fede, la speranza e la carità ne
sono il sostegno intimo; e il Gloria che pone termine a ciascuno di essi sta ad
indicare che ora il cristiano ha fatto sua la preghiera ispirata di Israele,
nella consapevolezza del suo rapporto personale con il Padre, il Figlio e lo
Spirito Santo.
Un suggerimento semplice
per pregare i Salmi:
Ogni Salmo accompagna una particolare
situazione di vita: momenti di gioia oppure di tristezza; quando ci sentiamo
vicini al Signore o nella sensazione della sua lontananza. Essi sono uno
specchio fedele dei sentimenti dell’uomo ed ogni nostro atteggiamento si
riflette in uno di essi.
La comunità cristiana, guidata dallo
Spirito Santo, ha fatto proprie queste preghiere dei salmi, applicando al
Signore e a se stessa ciò che nei Salmi è detto del popolo di Dio, del tempio,
della terra promessa, del regno, dell’alleanza.
Qui di seguito viene suggerito come
servirci dei Salmi per la propria preghiera personale, secondo le situazioni e
gli stati d’animo:
INNI DI LODE, attraverso i quali
l’uomo loda Dio ora Creatore, ora Salvatore, ora misericordioso e vicino:
- Salmo 8: Quanto è grande il tuo
nome su tutta la terra.
- Salmo 29: Ti esalterò, Signore,
perchè mi hai liberato.
- Salmo 32: Il piano del Signore
sussiste per sempre.
- Salmo 33: Gustate e vedete
quanto è buono il Signore.
- Salmo 56: Invocherò Dio
l’Altissimo.
- Salmo 66: Ci benedica Dio.
- Salmo 91: Mi rallegri, Signore,
con le tue meraviglie.
- Salmo 99: Servite il Signore
nella gioia.
- Salmo 102: La tenerezza di Dio.
- Salmo 103: Splendore delle
opere di Dio.
- Salmo 107: Su tutta la terra
splende la tua gloria.
- Salmo 110: Dio si ricorda
sempre della sua alleanza.
- Salmo 112: La gloria e la
misericordia di Dio.
- Salmo 117: Benedetto colui che
viene nel nome del Signore.
- Salmo 139: Signore, tu mi
scruti e mi conosci.
- Salmo 144: Il Signore è santo
in tutte le sue opere.
- Salmo 145: Beato chi ha per
aiuto il Signore.
CANTI DI RINGRAZIAMENTO con i quali
si enumerano i benefici di Dio che richiamano sempre alla riconoscenza:
- Salmo 4: La gioia della fiducia
in Dio.
- Salmo 22: Felicità e grazia
perenni.
- Salmo 85: Dio di pietà,
compassionevole.
- Salmo 114-115: Amo il Signore
perchè ascolta.
- Salmo 123: Se il Signore non
fosse stato con noi.
- Salmo 137: Il Signore
completerà per me l’opera sua.
PER INVOCARE L’AIUTO DI DIO:
- Salmo 26: Il tuo volto,
Signore, io cerco.
- Salmo 30: Nelle tue mani
consegno il mio spirito.
- Salmo 40: Preghiera del malato
abbandonato.
- Salmo 53: Dio, per il tuo nome,
salvami.
- Salmo 61: Fondarsi unicamente
in Dio.
- Salmo 65: Acclamate a Dio da
tutta la terra.
- Salmo 76: Può Dio aver
dimenticato la misericordia?
- Salmo 84: Mostraci, Signore, la
tua misericordia.
- Salmo 141: Io grido a te,
Signore.
- Salmo 142: Nessun vivente
davanti a te è giusto.
PER CHIEDERE PERDONO A DIO:
- Salmo 31: La gioia dell’uomo
perdonato.
- Salmo 50: Pietà di me o Dio.
- Salmo 89: Come contare i nostri
giorni?
- Salmo 129: Dal profondo a te
grido, o Signore.
NEI MOMENTI DI SOFFERENZA:
- Salmo 6: Il Signore ascolta la
voce del mio pianto.
PREGHIERA DEL MATTINO:
- Salmo 5: Ascolta la mia voce,
Signore.
- Salmo 56: In te mi rifugio.
PREGHIERA DELLA SERA:
- Salmo 4: La gioia della fiducia
in Dio.
- Salmo 15: Proteggimi o Dio.
- Salmo 90: Tu che abiti al
riparo dell’Altissimo.
Buon
cammino, con l’augurio di una preghiera nella pace !
7° Cap.
L'interrogativo di
Qohelet
Il libro di Qohelet (o Ecclesiaste)
pone interrogativi e inquietudini che sono il passaggio obbligato verso
un'autentica esperienza spirituale.
Mentre Giobbe lascia supporre che una
vita ricca di benessere e di successo è degna di essere vissuta, Qohelet va
oltre e si chiede: a che serve?
Fra la credenza nella giustizia sulla
terra, che è rigettata, e la credenza nella giustizia oltre la morte, che non è
ancora intravista, la fede passa attraverso una crisi.
Il mondo nuovo che l'uomo si sforza
di costruire sfugge continuamente dalle mani, e così ogni generazione è
costretta a ricominciare da capo. Sempre ci sarà il limite della morte, l'occhio
dell'uomo continuerà a non saziarsi di vedere e l'orecchio di ascoltare, e alla
ricerca dell'uomo continuerà a sfuggire il senso dell'insieme.
Qohelet non è uno scettico o un
miscredente o un deluso: è più semplicemente un uomo lucido. Bene e male non
sono distribuiti secondo un criterio accettabile – continua Qohelet – e saggezza
e stupidità non sono trattate come meritano. Ma l’esistenza umana è vanità
soprattutto perché urta contro il limite invalicabile della morte.
Occorre ovviamente tenere presente
che siamo ancora nell’Antico Testamento, e Qohelet vede la morte come i suoi
contemporanei, cioè senza la chiarezza di una positiva esistenza ultraterrena.
Perché Dio – ecco la domanda
ineludibile – ha costruito l’uomo così, squilibrato e pieno di limiti ? Ma la
sua risposta mostra la sua profonda religiosità: "Dio agisce così perché l’uomo
abbia timore di lui" (3,14). Risposta breve, quasi evasiva ma importante.
Temere Dio significa essere
consapevole dei propri limiti. Significa avere fiducia in lui nonostante tutto.
Significa accettare la situazione serenamente e lucidamente, e afferrare il dono
di Dio volta per volta.
Qohelet registra un progresso su
Giobbe. Quest'ultimo considera il benessere terrestre come una soddisfazione
adeguata; Qohelet arriva fino ad associare il dolore alla felicità stessa che si
può provare quaggiù.
Giobbe si meraviglia che il giusto non sia colmato di beni; Qohelet constata che anche quando è colmo e sazio l'uomo non è felice.
Nei suoi aspetti apparentemente negativi l'autore testimonia la necessità d'una più completa rivelazione divina sul destino dell'uomo nell'al di là, collegato al comportamento dell'uomo sulla terra.
Il libro ha il carattere di un'opera di transizione. Le certezze tradizionali sono scosse, ma niente di fermo viene a rimpiazzarle.
Giobbe si meraviglia che il giusto non sia colmato di beni; Qohelet constata che anche quando è colmo e sazio l'uomo non è felice.
Nei suoi aspetti apparentemente negativi l'autore testimonia la necessità d'una più completa rivelazione divina sul destino dell'uomo nell'al di là, collegato al comportamento dell'uomo sulla terra.
Il libro ha il carattere di un'opera di transizione. Le certezze tradizionali sono scosse, ma niente di fermo viene a rimpiazzarle.
Mettendo in evidenza l'insufficienza
delle antiche concezioni e forzando gli spiriti ad affrontare gli enigmi umani,
il libro fa appello a una rivelazione più alta. Dà una lezione sul distacco dai
beni terrestri e, negando la felicità dei ricchi, prepara il mondo a udire:
"Beati voi poveri" (Lc 6,20).
Buon cammino !
8° Cap.
La riflessione
di Giobbe
L’affascinante e importantissimo
libro di Giobbe non è di facile lettura. Inizia con un prologo (v. 1-2) e
finisce con un epilogo (47,7-12), ambedue in prosa. Fra prologo ed epilogo è
inserita una ampia sezione poetica.
Giobbe è l’eco di una riflessione
sulla sofferenza del giusto e di una inquietudine che l’autore ha inserito nel
contesto dell’alleanza tra Dio e l’uomo che mette in discussione non solo la
fede del singolo, ma la stessa ragion d’essere del popolo di Dio, e sollecita un
chiarimento del modo di concepire Dio e il suo disegno di salvezza.
Giobbe non è più il modello della
pazienza, bensì il modello del credente che si scontra con il mistero di Dio. Il
suo dolore nasce dalla fede: egli non è più sicuro di Dio, vede dileguarsi la
propria sicurezza. Si trova in balia di un dolore ingiusto che non può
ricondursi al peccato e al castigo: un dolore che sembra smentire l’amore di Dio
che tuttavia continua ad essere affermato.
Giobbe arriva a comprendere che la
sua sofferenza non smentisce l’amore di Dio, bensì ne rivela il mistero, e la
scoperta di questo mistero come la sua accettazione sono parte essenziale
dell’autentica spiritualità.
Solo così si può dire di avere
incontrato Dio: "Ti conoscevo per sentito dire, ma ora i miei occhi ti vedono"
(42,5). Nell’esperienza di Giobbe troviamo la reazione del vero credente contro
il tentativo di razionalizzare il mistero dell’esistenza. Occorre invece
accettare il mistero, viverlo con fiducia nel Dio vivente che sta al di là dei
vari tentativi di soluzione: una fiducia che per sorreggersi non ha bisogno di
negare l’esperienza, che anzi deve essere letta lucidamente e accettata
coraggiosamente.
Giobbe è innocente eppure soffre, e
Dio è giusto. Come comporre le due affermazioni? Ma la giustizia di Dio è oltre
quella dell’uomo. La vera spiritualità si nutre del mistero, non si sforza di
eliminarlo.
Siamo ancora nell’Antico Testamento;
la risposta potrà venire solo da Gesù Cristo nella pienezza dei tempi: Lui è il
giusto sofferente che offre salvezza all’umanità peccatrice.
Buon cammino !
9° Cap.
La risposta del
Libro della Sapienza
Mentre secondo Qohelet la morte
rappresenta lo scacco radicale dell'esistenza dell'uomo, il Libro della Sapienza
porta, alle soglie del Nuovo Testamento, una apertura assolutamente nuova: "in
realtà Dio ha creato l'uomo per l'immortalità" (2,21-23).
Contrariamente alle apparenze Dio è
fedele e non abbandona il giusto nella morte, non lo mette al pari dello stolto.
La morte non delude la speranza dei
giusti, ma la conferma (3,4), e non si tratta di una semplice sopravvivenza ma
di una comunione di vita con Dio (15,3), prolungamento di quell'amicizia con la
sapienza che già qui il discepolo si è sforzato di instaurare (3,9).
Si può parlare di una duplice morte:
quella fisica, a cui anche i giusti sono soggetti ma che va vista come un
passaggio da una esistenza tormentata a una vita con Dio (2,19; 3,9; 5,15); e la
morte eterna, quella dell'empio che si identifica con la separazione definitiva
da Dio (2,24).
C'è da chiedersi a questo punto come
sia avvenuta questa illuminazione, che in definitiva ha salvato tutta
l'esperienza spirituale di Israele.
In ogni caso la conclusione è che Dio
è fedele e non può abbandonare l'uomo: non può averlo creato con una sete di
vita per poi deluderlo, non può invitarlo alla sapienza per poi tradirlo.
Naturalmente anche queste conclusioni
non sono giunte all’improvviso: già alcuni Salmi ne fanno cenno (73; 17; 49;
16).
L’intuizione della sopravvivenza fu
anche agevolata dall’esperienza dei martiri (2 Mac 7,9; 12,43-45; 14,16): è mai
possibile che Dio abbandoni alla morte coloro che muoiono per essere fedeli alla
sua legge ?
Tale speranza ha una caratteristica
fondamentale. Essa non poggia su ragionamenti umani ma è tutta sospesa alla
fedeltà di Dio; è religiosa: la vittoria sulla morte è assicurata dalla promessa
di Dio, ed è a partire da Dio che si comprende la necessità che la morte sia
vinta.
Buon cammino !
10° Cap.
A questo punto la lettura "a grandi
linee" dell'Antico Testamento evidenziando un percorso di spiritualità, è
pressochè conclusa, ma rimangono alcuni aspetti generali molto interessanti che
è bene sottolineare:
a) La fedeltà alla storia:
C'è un principio base, la convinzione
della presenza salvifica di Dio nella storia umana. Israele pone al centro della
propria fede una "storia di salvezza", e ciò significa la persuasione che Dio
agisce nel mondo storico in maniera e in forme umane, condividendo la nostra
esistenza; che l'uomo trova Dio e il suo dono di salvezza dentro la storia, non
fuori di essa; che la storia non è soltanto il luogo in cui inserirsi per
servire Dio, ma ancor prima il luogo dove è possibile conoscerlo: la storia è
luogo di rivelazione.
L’uomo biblico parte da ciò che è
singolare e concreto. Solo dopo tenta di analizzare i fatti e di coglierne il
senso universale.
Chi vive e comprende il momento
storico di Dio è chiamato ad essere un testimone che ricorda e racconta di
fronte a tutti.
L’Antico Testamento orienta la fede a
quanto accade nel mondo e la costringe a rimanere ancorata agli avvenimenti,
comunque siano: ancorata alla storia anche quando gli avvenimenti sembrano
smentire la concezione religiosa che Israele aveva della storia stessa.
Così l’esperienza spirituale di
Israele è sempre aperta alla sfida e alla minaccia degli avvenimenti.
L’uomo biblico è coinvolto nella
storia; la sua esperienza è confrontata con gli avvenimenti che vive, sia con
quelli che parlano della provvidenza divina, come con quelli che sembrano negare
la presenza di Dio.
In tutti i casi l’uomo biblico si
rifiuta non solo di disperare di Dio, ma anche di separarlo dalla storia e di
cercar rifugio nel misticismo o nella fuga dal mondo.
b) La memoria:
Israele legge la propria storia
presente e si apre al futuro traendo luce da alcune gesta di Dio particolarmente
rivelatrici: ad esempio le gesta delle origini, dei patriarchi e dell’esodo;
avvenimenti che sono stati costantemente conservati nella memoria per decifrare,
a partire da essi, le vie di Dio.
Ma Israele non ricorda semplicemente
le gesta di Dio, ma le gesta commentate dalle parole e fissate nei segni. Le
gesta di Dio resterebbero mute senza la parola che le spieghi e senza i segni
che accreditano la parola di spiegazione.
Si comprende in tal modo come la
liturgia abbia svolto una funzione fondamentale: le feste, il sabato, i gesti
liturgici sono memoriali.
Nella liturgia si ricorda e si
attualizza: le gesta del passato, ricordate e interpretate, ridiventano
contemporanee e interpellano il popolo. La memoria diventa un oggi.
Buon cammino !
11° Cap.
c) La concezione di Dio
nell'A.T. :
Israele ha fatto l'esperienza che Dio
è presente e operante nella storia, ma ha anche sperimentato la sensazione della
sua assenza, del suo silenzio.
Dio si nasconde, così come si
manifesta. Accanto alle professioni di fede: "Dio è con noi!", "Dio ci ha tratto
dall'Egitto!" c'è l'interrogativo dell'abbandono: "dov'è Dio?", "che cosa fa Dio
per noi?". (Es 14,11; 16,3; 17,3; Nm 11,4-6; 11,31-34; Gdc 6,13).
Certo l'agire di Dio è misterioso.
Le assenze di Dio non si spiegano
sempre e semplicemente come frutto del peccato e, quindi, come un castigo.
Obbediscono piuttosto a una pedagogia di Dio, sono una "prova", la strada
obbligata per raggiungere il vero Dio.
Profeti e salmisti ripetono che Dio
si nasconde "per farsi ritrovare". Normalmente infatti Dio fa percepire la sua
Presenza e la sua voce interiore a chi è davvero pronto ad accoglierlo; e questo
è segno di amore e di misericordia nei confronti dell'uomo sua creatura.
Ma nonostante queste spiegazioni, è
di fronte a queste assenze di Dio che Israele sente, perennemente, la tentazione
di cercare altre presenze o altri appoggi: cercare un Dio più programmabile,
meno inquietante.
Nel mistero di Dio si può constatare:
che Dio è nei cieli e tuttavia è
coinvolto nella storia;
è il protagonista della storia e
tuttavia la storia è nelle mani della libertà dell’uomo;
è il Signore della storia e tuttavia
nella storia c’è il male;
la sua azione è per l’uomo e tuttavia
non si lascia strumentalizzare dall’uomo.
La Bibbia riconosce tutto questo ma
l’Antico Testamento non è ancora in grado di dare soluzioni.
In ogni caso la ricerca di Dio non è
uno sforzo di conoscenza fine a se stessa: è sempre un cercare Dio in rapporto a
noi uomini e dentro la vita concreta.
Buon cammino !
12° Cap.
d) La concezione dell'uomo
nell'Antico Testamento :
Dio per Israele è costantemente
presente nella storia degli individui, del popolo eletto e degli altri popoli:
in una parola, dirige la storia.
Questa fede potrebbe portare a
sminuire o a negare la parte dell’uomo.
E invece no. E’ proprio all’interno
di un quadro in cui Dio è al di sopra di ogni cosa che Israele afferma il
primato dell’uomo.
L’uomo biblico non è giunto ad
affermare la grandezza dell’uomo osservando concretamente l’uomo e la sua
capacità di dominare la natura, la sua distanza dalle cose e la sua superiorità
su di esse. L’esperienza biblica è religiosa: ha colto la grandezza dell’uomo,
di ogni uomo, riflettendo sul comportamento di Dio, sul suo amore, sulla sua
alleanza. Ed ha alla fine compreso che l’esistenza dell’uomo sarà riscattata
dalla vanità e dalla morte proprio partendo dalla fedeltà di Dio.
Tutto questo è significativo.
L’esperienza biblica ripete dunque
che il riconoscimento della signoria di Dio non è a scapito del senso dell’uomo,
ma ne è il fondamento.
Dio e l’uomo sono legati: l’uomo
soltanto "insieme" con Dio si salva o si perde.
Buon cammino !
13° Cap.
... dall'Antico
al Nuovo Testamento
Nel tempo antico Dio aveva promesso a
Israele che un giorno avrebbe concluso una nuova alleanza (= testamento) con il
suo popolo (cf. Ger 31,31-34). In quella occasione avrebbe scritto la legge nel
loro cuore anziché su tavole di pietra (come i Dieci Comandamenti).
Ora dice Gesù nel vangelo: "Non
pensate che io sia venuto per abolire la Legge o i Profeti (= l’Antico
Testamento), non son venuto per abolire, ma per dare compimento. In verità vi
dico: finchè non siano passati il cielo e la terra non passerà neppure un iota o
un segno della Legge, senza che tutto sia compiuto" (Mt 5,17-18).
Pertanto l’Antico Testamento è
preparazione, promessa, annuncio, attesa di una pienezza definitiva: Gesù Cristo
(cf. Gv 5,39.45-47).
La Costituzione conciliare Dei Verbum
sulla Divina Rivelazione afferma al capitolo 15: "Questi Libri dell’Antico
Testamento, sebbene contengano cose imperfette, dimostrano tuttavia una vera
pedagogia divina. Essi esprimono un vivo senso di Dio, una sapienza salutare per
la vita dell’uomo e mirabili tesori di preghiere; in essi infine è nascosto il
mistero della nostra salvezza".
Come i genitori educano i loro figli
nel cammino della vita, così Dio ha accompagnato il popolo di Israele nel lungo
cammino alla scoperta del suo vero volto. (cf. Dt 1,31; Sal 40,2; Sal 103,13;
Sal 111,4; Sal 145,9; Is 49,15; Ger 31,20; Ez 34,16; Os 11,3-4; Os 14,5,8).
Per chi ha fede l’intera Sacra
Scrittura è parola che dona la vita.
E’ messaggio di amore perché tutto
quello che espone e racconta s’inserisce nel piano salvifico di Dio. Di un Dio
che si comunica nell’amore e invita urgentemente gli uomini a dare la loro
personale risposta, che non deve essere solo positiva ma ispirata alla carità.
E’ infatti nella carità che si
compendiano la legge e i profeti. I precetti e le osservanze non hanno alcun
senso se manca la linfa della carità.
Inoltre tutta la Sacra Scrittura è
sorgente di preghiera in quanto ad ogni pagina stimola il lettore a una
comunione sempre più intima e profonda con Dio.
Ora quanto l’Antico Testamento aveva
descritto con varie immagini, ora diventa visibile e udibile attraverso una
esperienza storica, concreta e sperimentabile (1 Gv 1,1-4). E Cristo è il dono
assoluto perché non si può dare più che se stessi; è l’alleanza fatta persona, è
il mediatore perfetto tra Dio e l’uomo: Cristo è dunque la piena e definitiva
rivelazione di Dio come comunione infinita di amore.
Fondamentale per ogni cristiano che
si accosta alla Sacra Scrittura è l’opera dello Spirito Santo che introduce alla
piena verità (Gv 16,13) in sintonia con il Vangelo (Gv 14,16).
La rivelazione biblica non è un
messaggio chiuso, ma un annuncio cui ogni cristiano è chiamato a dare la forma
rispondente alle nuove esigenze dei tempi, nell’amicizia profonda e personale
con Cristo e nell’adesione piena alla sua parola (1 Gv 4,2-3).
La comprensione spirituale del
Vangelo e di Dio è il risultato del nascere di una relazione con Dio attraverso
l’obbedienza amorosa ai suoi comandamenti.
Non si tratta semplicemente di una
comprensione di testi e versetti, bensì di una comprensione del potere della
Parola e di una conoscenza della vita che scaturisce dal versetto, basate
sull’esperienza, la fiducia, la testimonianza e su una fede in Dio che cerca di
essere ogni giorno più forte.
"Fate attenzione a come ascoltate !"
(Lc 8,12-15.18).
Sembra che il Signore voglia che uno
ascolti con il cuore più che con le orecchie, e che effettivamente la sua vita
interiore influisce sulla parola di Dio: uccidendola oppure facendola vivere e
crescere rigogliosa (cf. parabola del seminatore).
Dio parla e ogni uomo sulla faccia
della terra può ascoltare la sua voce, comprendere e rispondere come se fosse
chiamato personalmente per nome.
La sua voce è la voce di tutte le
età, non si affievolisce né muore allo spirare della brezza, né si smorza, né
ritorna a Lui vuota (Is 55,10-11; Eb 4,12-13).
Il Signore è vicino. Egli è umile e
la sua voce più sommessa di quella dell’uomo ma profonda, più profonda
dell’eternità stessa.
Buon cammino !
14° Cap.
ANNUNCIO DI PASQUA: CRISTO E'
RISORTO !
"Nessuno ha un amore più grande di
chi dà la propria vita per gli amici" (Gv 15,13).
Così, attraverso la risurrezione, la
croce è stata trasformata da strumento di castigo e di morte, in strumento
efficace dell'amore divino nelle mani del Buon Pastore che ha riscattato le sue
pecore, e che ancora oggi va alla ricerca della pecora perduta fino ai confini
della terra.
La croce è diventata uno strumento di
gioia per tutti quelli che vi sanno scorgere il mistero del perdono e dell'amore
divino: "Egli mi ha amato e ha dato se stesso per me!" (Gal 2,20).
Questo significa che la risurrezione
di Cristo nella carne il terzo giorno è diventata la forza fondamentale ed
efficace per il perdono dei peccati.
Se Cristo è risorto, allora la nostra
fede è autentica e noi non siamo più nei nostri peccati. La sua croce non fu
infamia ma gloria.
La risurrezione di Cristo ha mutato
l'infamia e la maledizione della croce in grazia, salvezza e gloria e ha reso il
corpo spezzato e il sangue versato realtà non solo vive, ma anche datrici di
vita.
Non sarà più un'agonia ma una
comunione nella gloria, come ha scoperto San Paolo: "Partecipiamo alle sue
sofferenze per partecipare anche alla sua gloria" (Rm 8,17).
Lo scopo dell'incarnazione perciò,
nella visione dei Padri della Chiesa, non si è mai limitato all'espiazione della
croce e alla redenzione per mezzo del sangue, ma è sempre andato oltre, fino a
concepire la risurrezione in vista del rinnovamento interiore dell'uomo come
fine ultimo dell'incarnazione.
E' attraverso la risurrezione che
Cristo, vivente e vincitore non solo del peccato ma anche della morte, ha aperto
una volta per tutte le porte per il nostro ritorno al regno di Dio, cioè alla
vita eterna, dopo aver pagato Egli stesso il prezzo dei nostri peccati sulla
croce.
Si tratta di un sacrificio che
ottiene non solo il perdono dei peccati, ma anche la rigenerazione
(ri-creazione) del peccatore in Cristo e nel suo Spirito: così il Cristo può
presentare gli uomini al Padre, prendendoli con sè nel suo amore, dopo averli
lavati nel suo sangue, affinchè possano essere senza macchia davanti a Dio
nell'amore, ed essere creature nuove che traggono il proprio respiro vitale
dallo Spirito di Dio, amati come il Figlio.
Come afferma Cristo stesso: "L'amore
con il quale mi hai amato sia in essi" (Gv 17,26).
Cristo è vivente per sempre e, anche
dopo essere morto per noi e averci giustificati con il suo sangue, continua a
intercedere per noi presso il Padre con l'audacia dell'amore con cui realizzò la
redenzione, in modo che non venga mai meno la speranza nonostante la nostra
ignoranza e la purtroppo ancora presente trasgressione: "Ma Dio dimostra il suo
amore per noi perchè, mentre eravamo ancora peccatori, Cristo è morto per noi. A
maggior ragione ora, giustificati per il suo sangue,saremo salvati per mezzo di
Lui" (Rm 5,8-9).
BUONA PASQUA !
15° Cap.
L'esperienza
spirituale originaria: il Cristo e i discepoli
L’esperienza spirituale originaria è
quella del Cristo e dei primi discepoli al suo seguito:
1) L’esperienza spirituale
dell’uomo Gesù.
2) L’esperienza spirituale dei
discepoli al suo seguito.
3) Lo scontro fra Gesù (il
messaggio e i suoi gesti) e l’ambiente religioso in cui egli è vissuto.
Gesù è assolutamente un uomo reale
che si è espresso in parole e gesti: ha lasciato trapelare qualcosa di sé.
Inoltre i testimoni della fede hanno
inteso comunicarci la sostanziale realtà degli avvenimenti.
Ed è altrettanto chiaro che tali
testimonianze, al di là delle differenze dovute a situazioni comunitarie e ad
esperienze diverse, riportano affermazioni costanti e comuni. Pertanto noi
accogliamo con fiducia quanto ci hanno tramandato.
Non è facile definire Gesù non
soltanto nella sua divinità, ma anche nella sua fisionomia umana. Non è infatti
un uomo comune.
Già all’inizio del suo ministero (Mc
1,21ss), di fronte ai suoi primi discorsi e ai suoi primi gesti, la folla si
pone l’interrogativo: Che significa tutto questo?
La risposta è che Gesù insegna con
autorità (non come gli scribi) e che il suo insegnamento è nuovo.
Buon cammino !
16° Cap.
Gesù testimone
della verità di Dio:
Una cosa è subito evidente: nei
numerosi dibattiti in cui Gesù fu coinvolto, egli va sempre al fondo del
problema. Così è a proposito del sabato, del puro e dell’impuro, del tributo a
Cesare e di altro ancora.
Di fronte ad ogni questione Gesù
cerca di condurre gli interroganti a una visione nuova del problema.
Non si lascia imprigionare nei
termini angusti entro i quali si era soliti porre la questione. Si mostra
convinto che c’è qualcosa più indietro da recuperare, qualcosa che rinnova i
problemi dalle fondamenta.
Questa capacità di Gesù che fa
scorgere il fondo vero delle cose, è già un motivo che lo rende diverso.
La folla se ne accorge e, come Marco
annota, rimane ammirata di lui (Mc 12,17) e "nessuno più ardiva interrogarlo"
(12,34) e "lo si ascoltava volentieri" (12,37).
Dove sta la radice della sua
originalità?
Gesù parla di Dio e soltanto di Dio.
Egli trae da una profonda comunione con il Padre i criteri della propria azione
e i giudizi per le proprie valutazioni.
Valuta le cose a partire da Dio.
Buon cammino !
17° Cap.
La spiritualità dell'uomo Gesù:
Per penetrare almeno un poco questo
profondo mistero della spiritualità dell'uomo Gesù, evidenziamo tre aspetti:
1) in tutto ciò che fa Gesù intende
unicamente rivelare il volto del Padre, il suo atteggiamento verso l'uomo, il
suo amore.
Se Gesù cerca gli oppressi, i
peccatori, gli emarginati di ogni genere, ricava i criteri del proprio
atteggiamento dalla sua conoscenza perfetta del comportamento di Dio che ama
ogni uomo. Ciò è particolarmente chiaro nelle parabole della misericordia di Lc
15: in questi brani si fa presente la misericordia di Dio che ama i peccatori e
li attende come un padre; Dio gioisce del loro ritorno e vuole che la sua gioia
sia condivisa.
2) Gesù è un uomo di profonda
preghiera: sappiamo che ha pregato al battesimo, prima di eleggere i dodici, a
Cafarnao, al Getzemani, sulla croce.
I momenti cruciali della sua vita
sono commentati da una preghiera personale e solitaria al Padre.
La preghiera di Gesù esprime
anzitutto la sua consapevolezza di essere unito al Padre: è la comunione col
Padre che affiora nella sua coscienza e si traduce in colloquio.
Ma è anche vero che la preghiera di
Gesù esprime la sua attenzione al piano di Dio e alla Parola: nella preghiera
Gesù ritrova il coraggio e la nitidezza della propria scelta.
Gesù è consapevole della sua
figliolanza divina, mistero unico, originale, irripetibile. Per questo egli si
ritira da solo a pregare. Non gli basta parlare con gli uomini, neppure gli
basta morire per i fratelli.
Avverte una solitudine che solo il
Padre può colmare, una ricchezza che solo il Padre può capire e condividere.
3) la profonda religiosità di Gesù si
esprime nella sua incondizionata obbedienza al volere del Padre. In tutto ciò
che egli fa e dice è attento a conformarsi al Padre, così da esserne l'immagine
perfetta: "Mio cibo è fare la volontà di colui che mi ha mandato e portare a
compimento la sua opera" ( Gv 4,34).
Gesù è proteso in una totale
obbedienza. Non è venuto a dire parole proprie, originali, tali da mettere in
mostra se stesso: è venuto a dire unicamente le parole del Padre.
Buon cammino !
18° Cap.
Gesù uomo per
gli altri. La via della croce.
Gesù è in ogni circostanza proteso
nel dono di sè.
Progetta l'esistenza in termini di
donazione, non di possesso.
Consapevole di essere messia e figlio
di Dio, non si mette al di fuori della storia degli uomini: solidarizza con essa
e la assume. Dice di essere venuto non per essere servito, ma per servire e dare
la sua vita in riscatto per le moltitudini (Mc 10,45; 14,24). Non si rifugia nel
disinteresse, non prende le distanze, ma si sente completamente coinvolto e
solidale.
E' a questo punto che si inserisce e
prende senso la via della croce.
Gesù previde la sua passione e morte
non semplicemente come sbocco logico, inevitabile e prevedibile di ciò che
diceva e faceva e della reazione che suscitava, ma come volontà di Dio.
I gesti e le parole dell'ultima Cena
(Mc 14,22-25) - il pane spezzato e il vino condiviso, il richiamo all'antica
alleanza (Es 24,8) e al Servo di Dio (Is 53) - rivelano che Gesù vide la sua
morte come un'obbedienza totale al padre, un abbandono totale nelle sue mani e
un dono incondizionato agli uomini.
Così Gesù è morto come ha vissuto,
portando a compimento quegli atteggiamenti che lo hanno guidato in tutta la sua
esistenza: l'incondizionata obbedienza al Padre, la solidarietà con i peccatori,
l'abbandono senza riserve all'amore.
In tal modo la croce diventa la
rivelazione ultima dell'originalità di Gesù (e del volto del Padre che egli
intende appunto svelare) e, per ciò stesso la rivelazione di ogni spiritualità
cristiana: l'apertura al Padre come obbedienza e l'apertura ai fratelli come
dono e solidarietà.
Buon cammino !
19° Cap.
L'esperienza dei discepoli al seguito di Gesù (prima parte)
Di fronte a Gesù nasceva la domanda:
chi sei? donde vieni?
Non è facile rispondere. Da una parte
la pretesa di Gesù di essere inviato da Dio, da un'altra parte la realtà umana,
quotidiana che sembra smentirla: così è accaduto a Nazaret (Mc 6,1ss) e ai
giudei della sinagoga di Cafarnao (Gv 6,41-42).
Da una parte l'affermazione che il
regno è giunto, dall'altra il fallimento della croce.
Tutto questo ci introduce
all'itinerario spirituale che il discepolo, chiamato da Gesù al suo seguito, ha
percorso.
I discepoli hanno seguito Gesù nei
suoi viaggi, hanno ricevuto da lui un insegnamento particolare, lo hanno
interrogato: hanno fatto vita comune con lui.
Tutto questo rientrava nella
normalità: ogni rabbì era circondato da un gruppo di discepoli che lo seguivano.
Ma al di là di questa comune ambientazione il rapporto che lega il discepolo a
Gesù è originale.
L'appello di Gesù (Mc 1,16-20) esige
prontezza di decisione, distacco e condivisione. L'elemento centrale è il
seguire, che suppone una chiamata e una adesione personale.
Sta qui il nocciolo dell'originalità
del discepolato evangelico.
Normalmente è il discepolo che va in
cerca del rabbì celebre, attirato dalla sua fama e desideroso di impossessarsi
della sua dottrina; nel vangelo è invece in primo piano la persona di Gesù, non
la dottrina; ed è Gesù che chiama, invita a seguirlo.
Normalmente la condizione di
discepolo è una situazione transitoria: il discepolo frequenta un maestro per
diventare a sua volta maestro. Nulla di ciò nel vangelo: l'essere discepolo è
una condizione permanente.
L'unico Maestro rimane e rimarrà
sempre il Signore Gesù.
Buon cammino !
20° Cap.
L'esperienza dei discepoli al seguito di
Gesù (seconda parte)
Il discepolo di Gesù, chiamato a vivere
un’esperienza originale di discepolato, è invitato a percorrere lo stesso
itinerario del maestro, cioè la via della croce.
Per questo gli è richiesta una profonda e radicale
conversione: Mc 8,27-35.
Non basta confessare apertamente come Pietro la
messianicità di Gesù per essere discepolo; occorre condividerne la strategia.
Anche il discepolo può correre il rischio di cadere
nella logica degli uomini attribuendo a Gesù una messianicità che viene “dalla
carne e dal sangue”: una messianicità secondo gli uomini, conforme a quello
schema di grandezza che gli uomini sognano.
Invece il discepolo deve “rinnegare se stesso” (Mc
8,34), capovolgendo l’immagine di messia che si è costruito e convertendo
radicalmente la speranza che ha coltivato.
E’ una conversione che va alla radice, tantopiù che
il discepolo deve applicare a se stesso la via della croce: la sua via è come
quella del maestro, ugualmente incamminata verso la croce.
In concreto il discepolo deve, a sua volta,
progettare l’esistenza in termini di donazione: “chi crede di salvare
l’esistenza la perde, chi la dona la ritrova” (Mc 8,35).
I discepoli, ponendosi al seguito di Gesù, avevano
idee sbagliate su di lui, dal momento che la pensavano sostanzialmente allo
stesso modo delle folle. Tutta la vicenda evangelica lo dimostra, fino
all’ultimo.
Eppure, a differenza delle folle e nonostante la
loro incomprensione, rimasero sempre accanto al maestro.
Ciò dimostra che in loro c’era un attaccamento
personale a Gesù, più profondo del progetto che si erano costruiti.
Sta qui, in questo appassionato e incrollabile
attaccamento al Signore, l’essenza della spiritualità cristiana.
Buon cammino !
21° Cap.
Vera e falsa ricerca di Dio (1).
Gesù visse, insegnò e operò (e fu
rifiutato) in una società grandemente religiosa.
Ma c’è anche una falsa ricerca di
Dio, c’è anche l’incredulità del credente. E’ contro questa falsa ricerca che
Gesù prima, e la comunità primitiva poi, dirigono gran parte della loro
denuncia, non solo smascherando le forme molteplici in cui questa falsa
religiosità si esprime, ma anche mettendo a nudo i moventi e le occulte radici.
Il vangelo descrive la falsa ricerca
di Dio incarnata in situazioni e persone del tempo: ciò vale, ad esempio, per il
fariseo e lo scriba, per la folla, per gli stessi discepoli.
Nel vangelo di Mc (7,1-23) troviamo
una forte polemica contro la spiritualità farisaica, con aspetti chiari e
importanti per conoscere alcune fra le principali deviazioni che possono
riprodursi nella stessa spiritualità cristiana anche nel nostro tempo.
C’è una prima affermazione:
comandamento di Dio e tradizioni degli uomini devono essere tenuti distinti
(7,8-13), perché il primo è perenne mentre le seconde sono provvisorie.
Una seconda affermazione: non ci si
purifica dalla vita ordinaria per incontrare Dio altrove, ma ci si deve
purificare dal peccato per incontrare Dio proprio nella vita quotidiana.
Inoltre non è ciò che entra nell’uomo
che lo contamina, ma ciò che esce dal suo cuore (7,15). Con questa piccola
parabola Gesù afferma la morale del cuore e non solo delle azioni.
E’ l’uomo che deve essere in ordine:
solo da un uomo ordinato procedono azioni morali.
Il cuore deve essere pulito se vuole
essere in grado di cogliere la volontà di Dio; volontà che non è semplice
lettera scritta, ma che solo può essere compresa in un rapporto personale di
profonda amicizia tra l’uomo e il suo Signore.
Occorre dunque crearsi, con sforzo
personale e perseveranza, una situazione interiore capace di conoscere Dio, il
vero Dio, e di leggere la sua autentica volontà.
Buon cammino !